darwin

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Testo

L‘EVOLUZIONE
L'idea che le forme viventi possano essere derivate da altri organismi, vissuti in precedenza, fece la sua comparsa già in tempi antichi, ma in modo sporadico. Il filosofo Anassimandro, vissuto in Grecia nel VI secolo a.C., riteneva che gli uomini derivassero da pesci; il poeta Tito Lucrezio Caro, vissuto a Roma nel I secolo a.C., nel suo De rerum natura, scriveva che nei fenomeni naturali non vi è traccia di intervento divino e ammetteva un incessante divenire della natura stessa, poiché l'universo vive del moto continuo degli atomi. L'idea che risultò dominante fino alla seconda metà del XVIII secolo, fu quella della fissità delle specie, cioè della loro immutabilità, e della loro formazione per intervento divino (teoria che prende il nome di creazionismo). Tale idea fu, in particolare, codificata dal naturalista svedese Carlo Linneo che nel 1751 nella sua opera Philosophia botanica affermava che le forme viventi furono create per progetto divino e disposte in un ordine che si adattava a essere classificato. Il naturalista strutturò la classificazione tassonomica dei viventi ma le sue idee creazioniste, che trovarono larga diffusione, determinarono una resistenza della comunità scientifica a idee evoluzioniste. Queste nel corso del XVIII secolo cominciarono a essere oggetto di dibattito nei circoli intellettuali; i concetti rimasero, tuttavia, piuttosto vaghi e in quel periodo non furono delineate in modo organico teorie che potessero spiegare i meccanismi evolutivi.
Il naturalista francese Jean-Baptiste de Lamarck nella sua opera Philosophie zoologique, pubblicata nel 1809, espose per la prima volta le sue teorie, che si possono riassumere in due concetti: "l'uso e il disuso delle parti" e "l'ereditarietà dei caratteri acquisiti". Egli in sostanza riteneva che alcune parti del corpo di un organismo, se non venivano utilizzate frequentemente, finivano con l'atrofizzarsi ("disuso"), mentre quelle più spesso usate si sviluppavano in modo particolare ("uso"). Queste modificazioni costituivano "caratteri acquisiti" che potevano venire trasmesse ai figli ("ereditarietà") e, in tal modo, determinare una modificazione delle caratteristiche della specie. In base a questa teoria, ad esempio, il collo delle giraffe, inizialmente corto, avrebbe potuto essersi sviluppato progressivamente in modo da raggiungere le foglie degli alberi più alti.
Una teoria organica e supportata da precise osservazioni scientifiche si ebbe con L'origine delle specie di Charles Darwin, opera pubblicata nel 1859. Dopo avere compiuto importanti osservazioni nel corso di un viaggio di cinque anni sul brigantino Beagle, formulò le sue idee, per le quali risultarono determinanti anche le letture dell'opera di Thomas R. Malthus, e che risultavano quasi contemporanee alle conclusioni del naturalista britannico Alfred Russel Wallace. La teoria darwiniana si basa sull'idea che alcuni individui appartenenti a una certa specie presentano dalla nascita alcune variazioni casuali rispetto agli altri individui di quella stessa specie, che possono risultare utili in un particolare contesto, ad esempio nel caso che le condizioni ambientali si modifichino. Questi individui possono in tal senso risultare più favoriti degli altri (vedi Selezione naturale), così da riuscire a sopravvivere e avere un maggiore successo riproduttivo. La loro prole può ereditare queste caratteristiche che, nel caso risultino ancora favorevoli, determinano una maggiore possibilità di sopravvivenza e di riproduzione anche in questa generazione; così essi trasmetteranno a loro volta alla progenie le caratteristiche che, a lungo andare, possono assommarsi ad altre caratteristiche di successiva comparsa e infine determinare la formazione di un gruppo di individui che, rispetto a quelli considerati all'inizio, risultano diversi. Questo processo è alla base della nascita di nuove specie.
Al tempo di Darwin, in realtà, i meccanismi di mutazione genetica non erano conosciuti, così come non era chiaro come i caratteri si trasmettessero da una generazione all'altra. Perciò, anche per i fautori della teoria darwiniana, alcuni aspetti di essa restavano di difficile spiegazione. La riscoperta, nei primi decenni del Novecento, delle ricerche sull'ereditarietà del monaco austriaco Gregor Mendel, operata dal botanico olandese Hugo De Vries e da altri studiosi, gettò nuova luce sulle teorie darwiniane; inoltre, il progressivo approfondirsi della conoscenza della biologia molecolare e della struttura degli acidi nucleici, ha permesso, nel corso del XX secolo, di dare coerenza alla teoria evolutiva dello studioso britannico e di approfondirla (ad esempio, il genetista britannico John B.S. Haldane sviluppò una teoria matematica della selezione naturale).
Benché la teoria darwinista abbia incontrato notevoli resistenze, specialmente tra le fila della gerarchia ecclesiastica, oggi i suoi fondamenti razionali sono così convincenti, che l'idea dell'evoluzione di tutti i viventi (compreso l'uomo) da altre specie precedenti è stata accolta con favore da gran parte dell'opinione pubblica.
Il contributo di Charles Darwin alla comprensione di come avviene l'evoluzione delle forme viventi comprende, da un lato, la raccolta di un'enorme quantità di prove a sostegno di questo processo e, dall'altro lato, la formulazione dell'unica teoria in grado di spiegarne scientificamente i meccanismi. Benché Alfred Russel Wallace sia arrivato in modo indipendente a formulare la teoria evolutiva quasi contemporaneamente a Darwin, il nome di quest'ultimo viene, tuttavia, ricordato più di quello di Wallace per il gran numero di prove chiare e convincenti che sono presentate nell'Origine delle specie.
Una delle prove fornite da Darwin a sostegno della sua teoria era la presenza di fossili, dai quali era possibile ricostruire forme viventi spesso completamente diverse da quelle attuali. Alcuni geologi del suo tempo, tuttavia, ritenevano che queste prove non fossero abbastanza convincenti. In particolare, nel 1862 il fisico William Kelvin, che come scienziato godeva al tempo di un immenso prestigio, mise in difficoltà Darwin, dimostrando con autorevolezza ma, come oggi sappiamo, erroneamente, che il Sole e, quindi, la Terra (che si è formata dopo il Sole) non potevano essere più vecchi di 24 milioni di anni. Sebbene questa stima fosse considerevolmente migliore della data 4004 a.C., assunta allora dalla gerarchia ecclesiastica come probabile data della creazione, essa non lasciava a Darwin il modo di spiegare l'evoluzione con i tempi e le modalità da lui ipotizzate. L'errore di Kelvin, successivamente chiarito, si basava sull'assunto che il Sole fornisse calore per combustione invece che per fusione nucleare.
Oltre ai resti fossili, Darwin fornì altre prove dell'evoluzione, talvolta meno dirette, ma in molti casi più convincenti. Le veloci modificazioni che si ottenevano con gli incroci degli animali e delle piante domestici (vedi Riproduzione controllata delle piante) erano un argomento persuasivo sia della possibilità di generare varianti evolutive delle specie, sia per dimostrare l'efficacia dell'equivalente artificiale della selezione naturale, che Darwin proponeva come meccanismo alla base dell'evoluzione. Darwin era, inoltre, particolarmente convinto dalla prova della distribuzione geografica degli animali: la presenza di specie simili nei diversi continenti si spiega, infatti, facilmente con la separazione delle specie ancestrali, avvenuta con la deriva dei continenti (vedi Tettonica a zolle), e con la divergenza evolutiva dalle specie originali delle popolazioni così separate, fino alla trasformazione in nuove specie, tipiche di ciascuna area geografica. Una specie è, per definizione, un gruppo di organismi viventi in grado di incrociarsi tra loro e di produrre prole fertile. La teoria creazionista, che si oppone all'evoluzionismo, non fornisce una spiegazione altrettanto semplice e convincente di questo
fenomeno, in quanto ipotizza la creazione di specie simili, ma indipendenti, avvenuta ripetutamente in numerosi punti della superficie terrestre
Meccanismi evolutivi
Il meccanismo alla base dell'evoluzione, proposto da Darwin e Wallace con il nome di selezione naturale, consiste nella sopravvivenza non casuale di caratteristiche ereditarie che variano, invece, casualmente. Qualcosa di simile era stato suggerito in precedenza da altri studiosi britannici del periodo vittoriano, come Patrick Matthew ed Edward Blyth, anche se il loro apprezzamento di questa forza selettiva era apparentemente limitato alla componente negativa, di eliminazione delle specie. Darwin e Wallace riconobbero, invece, il suo potenziale di forza anche positiva, in grado di guidare l'evoluzione di tutte le forme di vita. In sintesi, la selezione naturale è l'insieme di tutte le forze presenti nell'ambiente naturale, che esercita una pressione evolutiva su tutte le forme di vita e le loro varianti. Semplificando, si può dire che la selezione naturale opera scegliendo il "più adatto" e scartando "il meno adatto". Secondo Darwin, una variazione ha valore adattativo quando aiuta l'organismo che la manifesta a sopravvivere e a riprodursi. In un predatore, ad esempio, sono qualità adattative la capacità di correre velocemente e una vista acuta.
Alla teoria della selezione naturale molti degli evoluzionisti delle generazioni precedenti a Darwin preferivano, invece, un'ipotesi alternativa, oggi comunemente associata al nome di Jean-Baptiste de Lamarck, secondo la quale le variazioni acquisite durante la vita di un organismo, come l'ingrossamento di un organo in seguito a un utilizzo intenso o la sua riduzione a causa di un uso ridotto, sarebbero ereditarie. Benché questa teoria dell'ereditarietà dei caratteri acquisiti possa esercitare un fascino irrazionale ed emotivo, non vi sono, tuttavia, prove in grado di dimostrarla, né essa è possibile teoricamente. È, infatti, difficile spiegare come le variazioni operate sul corpo dell'individuo nel corso di una vita possano andare a codificarsi nei geni delle cellule della linea germinale (gameti). Ai tempi di Darwin, tuttavia, le conoscenze molecolari dei meccanismi dell'ereditarietà erano molto scarse e, dunque, la questione risultava più controversa.
La scarsa conoscenza di questi meccanismi risulta evidente nella "teoria della pangenesi", proposta da Darwin per spiegare il fenomeno della trasmissione dei caratteri ereditari. In base a questa ipotesi, i fattori ereditari che si trasmettono da una generazione all'altra sarebbero il contributo di parti infinitesime, provenienti da tutte le regioni dell'organismo dei genitori e confluenti nelle cellule germinali. Questa ipotesi è uno dei punti più deboli di tutta la teoria darwiniana. Una semplice spiegazione al problema dell'ereditarietà, che peraltro si accorda perfettamente con le teorie evolutive della selezione naturale, si trovava nei risultati degli esperimenti di Gregor
Mendel, pubblicati nel 1865, il cui valore fu trascurato dalla comunità scientifica per circa cinquanta anni.1
L'origine delle specie e l'evoluzione della diversità
L'evoluzione porta alla divergenza e alla diversità delle specie. Per la pressione selettiva, tra le diverse forme vengono selezionate quelle che sono dotate di maggior valore adattativo. In questo modo, da un singolo primo antenato, nel corso della storia si sono evolute molte centinaia di milioni di specie diverse. Il processo con cui da una specie si originano due nuove specie è detto speciazione. La divergenza tra le specie si riflette nella separazione delle unità tassonomiche (generi, famiglie, ordini, classi ecc.).
Uno dei fattori che spesso contribuiscono ai processi di speciazione è l'isolamento geografico: una specie viene accidentalmente divisa in due popolazioni separate da barriere geografiche. L'isolamento può avvenire negli habitat più disparati: si può trattare di una vera e propria isola in mezzo al mare, ma anche di un lago separato da altre acque dolci, oppure di un'isola di vegetazione nel deserto (oasi); perfino un albero in un campo può essere un fattore di isolamento sufficiente per qualcuno dei suoi piccoli abitanti. L'isolamento geografico comporta, infatti, l'assenza di flusso genico, cioè la mancanza di contaminazione sessuale tra i diversi pool genici delle popolazioni separate. In queste condizioni, a causa delle differenti pressioni selettive o di variazioni casuali nei due areali, le frequenze alleliche nei pool possono cambiare. Quando la diversità genica ha raggiunto un certo punto critico, le due sottopopolazioni, anche se si rincontrassero, avrebbero comunque accumulato differenze tali per cui non sarebbero più in grado di incrociarsi fra loro o di produrre prole fertile. In tal modo, esse non si considerano più due popolazioni separate, appartenenti alla stessa specie, bensì due specie autonome e indipendenti.
Non solo le barriere geografiche sono responsabili del blocco del flusso genico che alla fine conduce alla comparsa di nuove specie: esistono, infatti, isolamenti di tipo ecologico o comportamentale, che possono esercitare gli stessi effetti. Un tipico esempio è quello di una popolazione di animali diurni che, a un certo punto, assume abitudini notturne: le scarse occasioni di incontro con gli altri membri della specie, rimasti diurni, può condurre alla separazione totale dei due gruppi in due specie differenti.
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