Pena di morte

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Testo

PENA DI MORTE
QUANDO LA VITA GENERA MORTE (LEGALMENTE)
DAL MEDIOEVO AD OGGI
Il Medioevo in Europa è caratterizzato da una grande confusione e sovrapposizione di poteri, perchè il sistema feudale era tale per cui al potere dello Stato, che si identificava con il re o l'imperatore, si affiancava il potere dei feudatari, a cui il re delegava il compito di amministrare la giustizia, e poi il potere dei magistrati cittadini. Erano molti quindi coloro che potevano comminare pene, anche quella capitale, che veniva applicata per crimini come omicidio, furto, sacrilegio e tradimento, a volte sulla base di leggi, spesso in modo arbitrario dal potente di turno. Venivano utilizzati la decapitazione, l'impiccagione, l'annegamento e la tortura fino alla morte.
Ci fu un lungo periodo della storia europea in cui torture ed esecuzioni capitali furono particolarmente frequenti e riservate a reati che noi oggi considereremmo di opinione. La commistione tra potere politico e potere religioso ha portato per secoli alla condanna di chi si discostava dalle posizioni della Chiesa, sia sul piano dogmatico che su quello politico e scientifico, senza contare le innumerevoli donne accusate di essersi date al demonio e bruciate come streghe.
Col passare dei secoli, la pena capitale rimase in vigore in quasi tutti i Paesi, e vennero introdotti sempre nuovi strumenti di morte. Per esempio nella Francia dell'Ancienne Regime essa era eseguita con raffinati supplizi differenziati a seconda del rango sociale del condannato o del tipo di reato commesso: l'impiccagione era riservata ai contadini, la decapitazione ai nobili, la ruota ai delitti più atroci, il rogo ai delitti contro la religione, lo squartamento ai delitti contro lo Stato. Con la Rivoluzione, su proposta di Guillotin, furono abolite le differenze di condanna con l'introduzione della ghigliottina.
La pena di morte comunque restò nella maggior parte degli ordinamenti giuridici fino alla fine del XVIII secolo, quando cominciarono ad essere numerosi e importanti gli sforzi per combatterla e favorirne l'abolizione.
La più famosa denuncia dell'ingiustizia della pena di morte si deve al giurista italiano Cesare Beccaria, che nell'opera Dei Delitti E Delle Pene (1764), sostenendone l'inefficacia come mezzo di prevenzione del crimine e sottolineando la possibilità dell'errore giudiziario, ne propose l'abolizione; l'opera di Beccaria ottenne grande attenzione anche fuori dall'Italia e influenzò in maniera decisiva i movimenti di riforma del diritto penale. Uno dei primi esempi di abolizione totale della pena di morte si deve a Pietro Leopoldo di Toscana, che la eliminò dal Granducato di Toscana nel 1786. A partire dal XIX secolo, in numerosi Stati, prima in alcuni occidentali, poi via via in molti altri, la pena di morte venne abolita e sostituita da altre punizioni come il carcere a vita.
Durante questo secolo però essa ha continuato ad essere utilizzata da alcuni governi dittatoriali per sbarazzarsi di chi li contrastava, per motivi di ideologia o di colore della pelle, come in Sudafrica durante l'apartheid, in Russia ai tempi di Lenin e Stalin, in Europa ai tempi del nazismo.
Purtroppo in molti Stati rimane tuttora in vigore, e la popolazione, nella maggior parte dei casi, non è per niente contraria all'applicazione di questa estrema pena. Il fatto preoccupante è che in numerosi Paesi, soprattutto in quelli a regime dittatoriale, la pena capitale è ancora applicata con una certa arbitrarietà da parte dei potenti, sebbene ci siano leggi scritte già da tantissimi secoli.
STRUMENTI DI MORTE
Nel corso dei secoli, l'uomo si è servito di molti metodi per uccidere i condannati a morte; in questa sezione verranno trattati quelli più diffusi. Ne esistono anche altri poco diffusi o ormai del tutto inutilizzati.
METODI DI MORTE POCO DIFFUSI O INUTILIZZATI
Se vi interessano, dovete visitare l'Europa: molti paesi e città hanno musei di tortura medievale, molto belli quelli di Mont St. Michel in Francia e di Gand in Belgio.
ALLUNGAMENTO
Il condannato veniva legato ai polsi e alle caviglie con corde che venivano tirate da parti opposte con argani; in questo modo era "tirato" fino alla morte.
ANNEGAMENTO
Il condannato veniva buttato in acqua legato, in modo che non riuscisse a nuotare. Questo sistema era usato soprattutto nei luoghi di mare. Veniva utilizzato per verificare la colpevolezza di una presunta strega: se essa annegava, era considerata innocente; se l'acqua la respingeva ed essa galleggiava, era considerata colpevole e veniva messa al rogo.
BOLLITURA
Il condannato veniva posto in un calderone pieno d'acqua che veniva riscaldato. Questa tecnica era usata soprattutto nel Medioevo.
CALDERONE
Un recipiente di ferro veniva posto sullo stomaco del reo con l'apertura in basso, poi veniva alzato affinché entrassero alcuni topi; quindi veniva riscaldato e i topi, per uscire, non potevano fare altro che rosicchiare lo stomaco del condannato.
CAVALLO DI LEGNO
Il condannato veniva posto a cavalcioni in una struttura a V, come su un cavallo; venivano poi posti dei pesi ai suoi piedi affinché egli venisse tirato sempre più giù, fino a quando non si divideva in due.
CROCIFISSIONE
Il condannato veniva inchiodato a polsi e caviglie ad una croce. Inizialmente praticata su alberi, questa pratica era riservata agli schiavi dell'antica Roma.
DECAPITAZIONE
Un boia, generalmente incappucciato, tagliava la testa del condannato con un'accetta. Molto diffusa in Inghilterra nel 1500-1600. L'accetta usata per l'ultima decapitazione, avvenuta nel 1747, può essere vista alla Torre di Londra.
ESSERE GETTATI DA GRANDE ALTEZZA
Il condannato era gettato giù da una montagna o da un alto muro.
IMMERSIONE NELLE FOGNE
La condannata (adultera o prostituta) veniva legata ad un'asse e quindi immersa nel punto del canale in cui confluivano gli scarichi delle fogne; questa tecnica è stata in seguito migliorata mettendo la poveretta in gabbia. Pratica usata soprattutto nel Medioevo.
LAPIDAZIONE
Venivano tirati sassi contro il condannato finché non moriva; spesso la comunità assisteva e partecipava allo "spettacolo". È ancora praticata nei paesi islamici. Anche la Bibbia e il Vangelo vi facevano riferimento per quanto riguarda la pena da comminare alle adultere.
LETTO (o sedia) DI FERRO
Il prigioniero vi veniva fatto sedere, poi si riscaldava il ferro fino all'incandescenza.
MORTE DA INSETTI
Ci sono molte variazioni di questa pratica. In genere il condannato veniva fissato al suolo, poi cosparso con una sostanza dolce (ad esempio miele), e abbandonato per essere mangiato da insetti.
MORTE PER FAME
Il condannato era posto in una cella e non veniva nutrito. Celebre l'episodio del Conte Ugolino descritto da Dante nella Divina Commedia.
PENDOLO
Un pendolo con lama affilatissima veniva lentamente abbassato sul condannato che giaceva sulla schiena; come nel racconto di Edgar Allan Poe "Il Pozzo E Il Pendolo".
PERCOSSIONE
Il condannato veniva percosso fino alla morte, spesso con strumenti quali il gatto a nove code; un esempio è quando gli schiavi americani venivano picchiati dai loro padroni.
PRESSATURA
Il condannato veniva posto fra due lastre di pietra; sulla lastra superiore venivano posti oggetti pesanti, finché egli non moriva schiacciato.
ROGO
Il condannato veniva legato a un palo, poi si incendiava il palo alla base del quale vi era materiale incendiabile come fieno. Questo metodo era usato ai tempi della caccia agli eretici ed alle streghe, quando esse non venivano condannate all'impiccagione.
RUOTA
Vi erano molti modi di usarla. Per esempio, il condannato poteva venir legato al cerchio esterno della ruota, che veniva fatta rotolare lungo un percorso spinato o giù per una collina.
SBRANAMENTO DA ANIMALI
Il condannato veniva gettato in un'arena insieme a leoni. Questo metodo era usato soprattutto nell'antica Roma.
SCORTICAMENTO
La pelle del condannato veniva tolta a striscie con svariati strumenti.
SOTTERRAMENTO
Il condannato veniva sotterrato vivo e lasciato a morire. Questo metodo è stato largamente usato in tutti i secoli. In India, ad esempio, sotterravano le donne fino al collo, poi le lasciavano, con solo la testa all'esterno, a cuocere al sole.
SPARO DI CANNONE
Il condannato veniva posto dinanzi la bocca del cannone, poi veniva sparato un colpo.
TRAFISSIONE CON FRECCE
Il condannato veniva legato ad un palo o ad un muro e degli incaricati gli tiravano delle frecce. Questa pratica era usata fra Indiani e Vichinghi, che miravano alle parti non vitali del corpo per prolungare l'agonia il più possibile.
Una delle vittime più note della trafissione è San Sebastiano, vissuto nel III sec. d.C., che fu martirizzato con frecce; essendo queste simbolo della peste, il santo fu assunto come protettore contro tale epidemia.
VERGINE DI FERRO
Consisteva in una sorta di sarcofago femminile fatto di legno o ferro, scavato dentro e riempito con chiodi appuntiti. La vergine di ferro veniva aperta e il condannato vi veniva inserito. Quest'ultimo, alla chiusura del portello, veniva "abbracciato" dalla vergine e veniva trafitto dai chiodi.
Non è affatto vero, come affermano i sostenitori della pena capitale, che i metodi odierni utilizzati nei paesi più avanzati siano indolori; possono anzi essere considerati forme di tortura, come provano le testimonianze riportate.
LA SEDIA ELETTRICA
Tempo di sopravvivenza: 10 minuti
La sedia elettrica fu introdotta negli USA nel 1888, in ragione della sua pretesa di maggiore umanità rispetto all'impiccagione, utilizzata in precedenza. La procedura con cui il condannato viene ucciso è la seguente: dopo che il detenuto è stato legato alla sedia, vengono fissati elettrodi di rame inumiditi alla testa e ad una gamba (che sono state rasate per assicurare una buona aderenza). Potenti scariche elettriche, applicate a brevi intervalli, causano la morte per arresto cardiaco e paralisi respiratoria: un elettricista, agli ordini del boia, immette la corrente per la durata di due minuti e diciotto secondi variando il voltaggio da 500 a 2000 volt, altrimenti il condannato brucerebbe. Il procedimento procura effetti visibili devastanti: il prigioniero a volte balza in avanti trattenuto dai lacci, orina, defeca o vomita sangue, gli organi interni sono ustionati, si sente odore di carne bruciata.
Benché lo stato di incoscienza dovrebbe subentrare dopo la prima scarica, in alcuni casi questo non accade: a volte il condannato è solo reso incosciente dalla prima scarica, ma gli organi interni continuano a funzionare, tanto da rendere necessarie ulteriori scariche.
Riportiamo ora due particolari casi di detenuti sottoposti alla sedia elettrica:
Willie Francis: 17enne nero, condannato nel 1946, sopravvissuto al primo tentativo di ucciderlo. Un testimone oculare disse: "Ho visto il boia che accendeva l'interruttore ed ho visto le labbra del prigioniero gonfiarsi, il suo corpo teso e stirato. Ho sentito l'incaricato gridare al suo collega di mandare più succo [elettricità] quando ha visto che Willie Francis non moriva e il collega rispondere che stava mandando tutta la corrente elettrica che aveva. Allora Willie gridò: 'Toglietemela, fatemi respirare!'. Successivamente ha detto di aver sentito un bruciore nella testa ed alla gamba sinistra, di essere saltato contro le cinghie e di aver visto puntini blu, rosa e verdi".
Fu messo a morte un anno più tardi, con successo.
John Louis Evans: giustiziato nell'aprile 1983, è stato dichiarato ufficialmente morto - secondo quanto riferito dai testimoni oculari - soltanto dopo tre distinte scariche di 1900 volt ciascuna, per una durata complessiva di oltre quattordici minuti.

LA CAMERA A GAS
Tempo di sopravvivenza: 8-10 minuti
Questo metodo di esecuzione fu introdotto negli USA negli anni '20, ispirato dall'uso di gas venefici durante la prima guerra mondiale e dal largo impiego del forno come metodo di suicidio.
Il prigioniero viene fissato ad una sedia in una camera stagna. Uno stetoscopio fissato al suo torace viene collegato a cuffie che si trovano nella stanza adiacente, dove stanno i testimoni, in maniera tale che un medico possa controllare il progredire dell'esecuzione; nella camera stagna viene quindi liberato gas cianuro che uccide il condannato. La morte avviene per asfissia: il cianuro inibisce l'azione degli enzimi respiratori che trasferiscono l'ossigeno dal sangue alle cellule del corpo. Lo stato di incoscienza può subentrare rapidamente, ma l'esecuzione durerà più a lungo se il prigioniero tenta di prolungare la propria vita trattenendo il fiato o respirando lentamente. Così come avviene con gli altri metodi di esecuzione, gli organi vitali possono continuare a funzionare per un breve periodo, a prescindere dal fatto che il prigioniero sia cosciente o meno.
Riportiamo ora un particolare caso di un detenuto sottoposto alla camera a gas:
Jimmy Lee Gray: giustiziato nel Mississippi il 2 settembre 1983. Le sue convulsioni sarebbero durate otto minuti, nel corso dei quali il prigioniero avrebbe ripreso fiato undici volte, sbattendo ripetutamente la testa contro un palo che si trovava dietro di lui. Alcuni testimoni hanno dichiarato che Gray non aveva l'aria di essere ancora morto, nel momento in cui i funzionari del carcere li hanno invitati ad uscire.
L'INIEZIONE LETALE
Tempo di sopravvivenza: 6-15 minuti
Introdotta in Oklahoma e Texas nel 1977; la prima esecuzione fu in Texas nel dicembre 1982. Comporta un'iniezione endovenosa continuata di una dose letale di un barbiturico ad azione rapida (pentothal) in combinazione con un agente chimico paralizzante. La procedura assomiglia a quella utilizzata per effettuare un'anestesia totale. In Texas viene usata una combinazione di tre sostanze: un barbiturico che rende il prigioniero incosciente, una sostanza che rilassa i muscoli e paralizza il diaframma in modo da bloccare il movimento dei polmoni e un'altra che provoca l'arresto cardiaco.
C'è chi dice che questo sia il metodo di esecuzione più umano, invece possono esserci anche gravi complicazioni: l'uso prolungato di droghe per via endovenosa da parte del prigioniero può comportare la necessità di andare alla ricerca di una vena più profonda per via chirurgica; se il prigioniero si agita, il veleno può penetrare in un'arteria o in una parte di tessuto muscolare e provocare dolore; se le componenti non sono ben dosate o si combinano tra loro in anticipo sul tempo previsto, la miscela si può inspessire, ostruire le vene e rallentare il processo; se il barbiturico anestetico non agisce rapidamente il prigioniero può essere cosciente mentre soffoca o mentre i suoi polmoni si paralizzano.
Riportiamo ora un particolare caso di un detenuto sottoposto all'iniezione letale:
James Autry: giustiziato il 14 marzo 1984. La prima esecuzione era prevista per il novembre 1983: Autry era già stato legato alla barella e stava subendo la prima fase del procedimento - una soluzione salina veniva introdotta nelle sue vene - quando l'esecuzione è stata sospesa.
Dopo la "seconda" esecuzione, un testimone oculare riferì che il condannato impiegò almeno dieci minuti a morire e per buona parte del tempo era cosciente, si muoveva e si lamentava del dolore. Un medico della prigione presente all'esecuzione ha riferito in seguito che l'ago si era occluso, rallentando così i tempi dell'esecuzione.
LA GARROTA
Tempo di sopravvivenza: 25 minuti
Consiste in una panchina sulla quale viene fatto sedere il condannato che si appoggia ad un palo intorno al quale passa un cerchio di ferro che lo stringe alla gola; una manovella a vite stringe sempre più il cerchio finché sopravviene la morte per strangolamento, mentre un cuneo di ferro provoca la rottura delle vertebre cerebrali.
Usata in Spagna fino a pochi decenni fa.
L'IMPICCAGIONE

Tempo di sopravvivenza: 8-13 minuti
Nell'impiccagione la perdita di coscienza è quasi immediata; la morte avviene rapidamente per asfissia, ad opera di un cappio posto attorno al collo e fissato ad un sostegno per l'altro capo. Il peso del corpo, abbandonato nel vuoto o inclinato in avanti, grava sul cappio, ne determina la chiusura e la conseguente azione comprimente sulle vie respiratorie.
L'impiccagione lascia vari segni, sia interni che esterni: il condannato diventa cianotico, la lingua sporge in fuori, i bulbi oculari escono dalle orbite, vi è un solco alla cute del collo; ci sono inoltre lesioni vertebrali e fratture interne.
LA FUCILAZIONE
Tempo di sopravvivenza: incerto
La sentenza viene eseguita da un plotone composto da un numero di fucilieri che varia da sei a diciotto; non tutte le armi sono cariche. Dopo che il condannato (o i condannati) ha ricevuto la prima scarica all'ordine dell'ufficiale che comanda il plotone, quest'ultimo gli si avvicina e gli spara alla tempia o alla nuca: è il colpo di grazia.
Ecco il parere di padre Joseph Vernet, ex cappellano delle esecuzioni in Francia:
"La coscienza, nonostante il colpo di grazia, resta ancora a lungo; questo metodo è tra i più barbari. Infatti l'esecuzione si compie la mattina all'alba, in un fortino militare, lontano dagli occhi di tutti".
LA GHIGLIOTTINA
Tempo di sopravvivenza: 1-2 minuti
Macchina per decapitazione, così chiamata dal nome del fisico francese Joseph-Ignace de Guillotin, che ne propose l'adozione nel 1789: siccome la decapitazione era considerata il metodo di esecuzione meno doloroso e più umano, Guillotin suggerì la costruzione di una macchina apposita.
Essa consiste di due travi parallele issate verticalmente, incavate al centro e unite in alto da una traversa, e di una lama obliqua, legata con una fune alla traversa. Il condannato pone il collo in una struttura tipo gogna dalla quale passerà la lama obliqua; liberata la fune, la lama scivola lungo le due travi e cade sul collo del prigioniero, tagliandogli di netto la testa, che cade nel cesto posto davanti alla ghigliottina.
Essa fu impiegata soprattutto durante la rivoluzione francese.
LE MOTIVAZIONI A FAVORE
I sostenitori della pena di morte trovano ragioni diverse a sostegno della loro tesi, ragioni di ordine etico, sociale, anche economico.
Essi partono dal presupposto che compito fondamentale dello Stato sia difendere ad ogni costo i singoli individui e la comunità, che chi rispetta la legge ha diritto ad una tutela maggiore rispetto a chi la disattende, che chi commette reati deve pagare, che esistono colpe per cui nessuna pena, tranne la morte, costituisca la giusta punizione.
Sarebbe quindi un'esigenza di giustizia a sostenere le loro ragioni.
In relazione alla pena di morte le teorie sulla funzione della pena si possono ricondurre a due filoni fondamentali: quello della retribuzione e quello della prevenzione. Per il primo la pena è un male che interviene come reazione morale e giuridica al male che è stato commesso con il reato, alla cui gravità è proporzionato, in modo da configurarsi come castigo morale e non come vendetta; per il secondo lo Stato non restituisce male con male, ma si limita a difendere la società dalla pericolosità degli autori dei reati, cercando attraverso la pena di impedire che soggetti socialmente pericolosi commettano altri reati.
I sostenitori della pena di morte infatti assegnano ad essa una funzione deterrente, in quanto sono convinti che la durezza della pena sia sufficiente in molti casi ad evitare che il reato venga commesso: soltanto coloro che agiscono in preda a violenta passione non badano alla pena prevista dalla legge.
In modo particolare la pena di morte svolgerebbe una funzione preventiva nei confronti di ondate di criminalità organizzata in grado di sconvolgere la vita sociale di uno Stato (gangsterismo, mafia, terrorismo ecc.).
La pena di morte inoltre, soddisfacendo il risentimento delle vittime e dei loro parenti, eliminerebbe la tentazione di vendette private ed il manifestarsi di disordini sociali.
L'eliminazione definitiva di un delinquente eviterebbe poi il ripetersi di altri reati da parte dello stesso che, pur condannato, potrebbe ritornare in libertà per condoni o altri meccanismi previsti dalla legge; certamente sul piano economico essa rappresenta un sistema di punizione molto meno gravoso di una lunga detenzione e dell'ergastolo, e quindi vantaggioso per la comunità.
Il fatto che la pena di morte sia irreparabile e non si possa risarcire chi sia stato condannato ingiustamente non sarebbe una ragione sufficiente per sopprimerla: basterebbe applicarla solo nei casi in cui ci sia la matematica certezza della colpevolezza dell'imputato; tanto più che esiste un'ulteriore garanzia: il potere di ogni capo di stato di concedere la grazia in caso di dubbio, commutandola in ergastolo o altra pena detentiva.
LE MOTIVAZIONI CONTRO
Coloro che si oppongono alla pena di morte lo fanno soprattutto per motivi morali. Al di là dell'atrocità insita in questo strumento (atrocità che non si esaurisce nel momento dell'esecuzione, ma consiste in anni di angoscia nell'attesa che essa venga eseguita), essi ritengono che nessun uomo né individualmente né come rappresentante della comunità abbia il diritto di togliere la vita ad un altro uomo, indipendentemente dalla gravità delle colpe da quest'ultimo commesse.
Secondo gli oppositori della pena di morte, questa contravviene al principio secondo cui la pena non deve tendere alla vendetta o alla semplice punizione del colpevole, ma alla sua rieducazione e al suo recupero sul piano umano e sociale: e quale recupero sarà mai possibile nei confronti di un morto? In realtà il timore di trascurare i dettagli ed i mezzi legali a cui il condannato ricorre dilatano molto i tempi dei processi e ritardano il momento dell'esecuzione, per cui la persona che viene soppressa a volte è molto cambiata rispetto a quella che ha commesso il crimine, con il risultato di mandare a morte individui sostanzialmente diversi da quelli a suo tempo condannati.
Ma non è solo sul piano dell'etica che gli oppositori della pena di morte si muovono. Essi ribattono punto per punto le tesi dei sostenitori, affermando che in realtà essa non svolge alcuna funzione deterrente in quanto è semplicistico credere che un criminale consulti il codice per scegliere il crimine da commettere, così come essa non rappresenta uno strumento efficace contro la criminalità organizzata, che è stata sì a volte vinta, ma con altri mezzi, in particolare colpendola nei suoi interessi economici.
Altri fenomeni che i sostenitori della pena di morte considerano evitabili solo con il suo utilizzo, come le recidive o la tendenza alla vendetta privata, vanno invece affronati, secondo gli oppositori, in termini di educazione sociale, cioè aiutando e seguendo gli ex carcerati e facendo in generale una capillare opera di educazione alla legalità.
A tutte queste considerazioni se ne aggiungono altre due ancora più significative. Innanzi tutto la possibilità di errori giudiziari, cioè la possibilità tutt'altro che remota di uccidere un innocente, giustifica da sola l'abolizione della pena capitale. Infine la pena di morte si dimostra uno strumento di discriminazione sociale, in quanto vengono giustiziati criminali che appartengono soprattutto alle classi sociali più deboli ed ai gruppi più marginali: membri delle minoranze razziali, individui con un basso livello di scolarizzazione, soggetti con una vita familiare allo sbando, persone con reddito molto basso, a volte oppositori politici.
In modo più dettagliato è possibile verificare la sua efficacia in alcuni casi particolari:
È EFFICACE CONTRO GLI OMICIDI?
L'argomento più spesso usato a sostegno del mantenimento della pena di morte nelle repubbliche ex-sovietiche è quello della necessità di non eliminare dall'ordinamento un deterrente particolarmente efficace nei confronti di omicidi e di altri gravi reati comuni. Eppure nessuno degli ormai numerosi studi condotti in materia ha potuto dimostrare la maggiore efficacia deterrente della pena di morte rispetto ad altre pene.
È del tutto errato ritenere che la maggiorparte di coloro che commettono crimini gravi quali l'omicidio calcolino razionalmente le conseguenze delle loro azioni. Gli omicidi sono spesso commessi in momenti di passioni, quando forti emozioni prevalono sulla ragione. Sono a volte commessi sotto l'effetto di droghe o alcol, o in momenti di panico quando il colpevole è scoperto nell'atto di rubare. Alcuni soggetti colpevoli di omicidio hanno problemi di grave instabilità psichiatrica o sono malati mentali. In nessuno di questi casi è pensabile che il timore di essere condannati a morte possa operare come deterrente efficace.
Vi è un altro grave limite a cui va incontro l'argomento della deterrenza. Anche chi progetta un crimine in maniera calcolata può scegliere di procedere, nonostante la consapevolezza del rischio che corre, nel convincimento che non sarà scoperto. La maggioranza dei criminologi sostiene da tempo che il modo migliore per scoraggiare questo tipo di comportamento criminale non è quello di accrescere la severità della punizione, ma di aumentare le probabilità di scoprire il delitto e di condannare il colpevole.
Addirittura è possibile che la pena di morte abbia effetti contrari a quelli voluti. Chi sa di rischiare la morte per il reato che sta commettendo può essere, in certi casi, incoraggiato ad uccidere i testimoni del suo crimine o chiunque altro possa identificarlo e farlo incriminare.
Infine, i dati sulla diffusione dei crimini negli Stati abolizionisti non dimostrano affatto che l'abolizione della pena di morte ha provocato il loro incremento. Nel 1988 il Comitato per la Prevenzione del Crimine delle Nazioni Unite ha condotto uno studio relativo ai dati esistenti in ordine al rapporto fra pena di morte e tasso degli omicidi, concludendo che:
Lo studio non ha potuto offrire sostegno scientifico alla tesi che le esecuzioni capitali producono effetti maggiori del carcere a vita ed è improbabile che una prova del genere possa essere presto disponibile. L'insieme dei dati, infatti, al momento non corrobora in alcun modo la tesi della deterrenza.
È EFFICACE CONTRO I TRAFFICANTI DI DROGA?
Sono oltre venti gli stati (molti dei quali asiatici) che prevedono la pena di morte quale strumento per combattere il traffico di droga; la metà di questi ha adottato queste misure nel corso degli anni '80. Centinaia di persone riconosciute colpevoli di reati di droga sono state da allora giustiziate. La ragione che ha indotto al ricorso alla pena di morte risiede, com'è ovvio, nella sua presunta efficacia quale deterrente nei confronti dei trafficanti. Tuttavia, nonostante le numerose esecuzioni, non sono emerse prove di alcun genere che possano attestare in modo convincente che un declino nel traffico di droga negli stati interessati possa essere attribuito alla minaccia o all'applicazione della pena capitale.
In Iran, le esecuzioni per reati aventi attinenza con la droga ebbero inizio già prima della rivoluzione del 1979. Risulta che, in seguito, siano state messe a morte oltre mille persone; eppure sembra che l'abuso e il commercio di droghe continuino a costituire un problema assai grave, tutt'altro che risolto.
In Malaysia, dove a partire dal 1983 la pena di morte per reati di droga è obbligatoria, le autorità hanno in più occasioni riconosciuto pubblicamente l'inefficacia del ricorso alle esecuzioni capitali. L'ispettore generale di Polizia ha dichiarato nel 1985 che la pena di morte non sembrava aver avuto effetti di deterrenza nei confronti dei trafficanti; nel 1990, il vice ministro degli Interni ha dichiarato che la pena di morte non era riuscita a ridurre il traffico o il consumo di droga e che si rendeva pertanto necessario un diverso approccio al problema. L'elenco dei fallimenti potrebbe continuare.
Alcuni organismi internazionali hanno discusso la questione. Risulta dagli atti del Gruppo di esperti delle Nazioni Unite sulle misure da adottare contro il traffico di droga per via aerea e per mare che:
In base all'esperienza di diversi esperti, il fatto che come massima pena sia prevista la pena di morte, non comporta necessariamente che questa abbia particolari effetti deterrenti nei confronti del traffico di droga: in realtà in alcuni casi potrebbe complicare l'attività della pubblica accusa visto che i tribunali sono portati a richiedere standard di prova assai più elevati nell'ipotesi che sia prevista la pena di morte (in particolare se obbligatoria). Il deterrente più efficace rimane sicuramente la certezza di essere scoperti e arrestati.
Dal canto suo, la Conferenza internazionale sull'abuso e il traffico illecito di droga, tenutasi a Vienna nel 1987, ha adottato uno Schema multidisciplinare delle attività future per il controllo sull'abuso di droghe che comprende numerose misure di prevenzione e repressione.
È EFFICACE CONTRO I TERRORISTI?
La pena di morte viene spesso invocata come strumento utile e necessario per arginare il terrorismo. Attentati dinamitardi, rapimenti, uccisioni di pubblici ufficiali o di esponenti politici, dirottamenti di aerei ed altre azioni di violenza a sfondo politico spesso colpiscono non solo gli obiettivi prescelti, ma anche persone innocenti che si trovano casualmente nel luogo dove avviene l'azione. L'indignazione suscitata da simili fatti provoca comprensibilmente nell'opinione pubblica la richiesta di punizioni esemplari e severe, pena di morte compresa. Tuttavia, come hanno ripetutamente affermato diversi esperti di lotta al terrorismo, le esecuzioni possono, anziché porre un freno, provocarne l'inasprimento.
Il professor Ezzat A. Fattah, docente di criminologia all'Univeristà Simon Fraser in Canada, ha osservato:
Coloro che realmente pensano che la reintroduzione della pena di morte porrà fine, oppure produrrà una diminuzione del numero degli atti terroristici, sono ingenui o illusi. Le punizioni consuete, compresa la pena di morte, non provocano alcun timore nei terroristi o negli autori di crimini politici, i quali sono motivati ideologicamente e votati al sacrificio per amore della loro causa [...]. Inoltre, le attività terroristiche sono pericolose e il terrorista affronta quotidianamente rischi letali e tende a non essere intimorito dalla prospettiva della morte immediata. Com'è pensabile allora che egli possa essere scoraggiato dal rischio di essere condannato alla pena capitale?
Le autorità britanniche che hanno governato la Palestina negli anni '40 hanno condannato all'impiccagione numerosi appartenenti all'organizzazione illegale Zionist Irgun, accusati di attentati dinamitardi e altre azioni violente. Menachem Begin, ex leader dell'Irgun e successivamente Primo Ministro d'Israele, disse una volta ad un ex governatore britannico che le esecuzioni avevano "galvanizzato" così tanto il suo gruppo, che in seguito impiccò per ritorsione numerosi soldati inglesi. Secondo Begin le impiccagioni diedero loro le motivazioni di cui avevano bisogno e li resero più agguerriti e votati alla causa.
Le esecuzioni portate a termine per crimini di natura politica hanno l'effetto di pubblicizzare gli atti terroristici, suscitando l'interesse dell'opinione pubblica e offrendo ai gruppi terroristici l'opportunità di rendere note le proprie posizioni politiche; si rischia anche di creare dei "martiri" la cui memoria dev'essere onorata. Inoltre le esecuzioni vengono usate come giustificazioni di ulteriori atti di violenza compiuti per ritorsione: i gruppi armati possono sostenere la legittimità delle proprie azioni dicendo di volersi servire anch'essi della stessa pena di morte che i governi sostengono di aver diritto di applicare nei loro confronti.
Robert Badinter, ministro della Giustizia francese, disse nel 1985:
Nella storia non è mai successo che la minaccia della sentenza capitale abbia fermato il terrorismo o la violenza politica. Se esistono uomini o donne che non sono per nulla intimoriti dalla minaccia della pena capitale, sono proprio i terroristi, che spesso rischiano la propria vita in azione.
E Albert Pierrepoint, l'ultimo "boia" inglese, disse, a proposito dell'esecuzione di due membri dell'IRA:
Il mattino dell'esecuzione cantavano tutti e due: "Evviva i ribelli, evviva...", cantavano senza paura andando verso il patibolo. La gente di fuori non si rende conto di queste cose. Io dico che non è un deterrente perché, quando si sono viste queste cose, ci si dice: "Se non hanno paura di morire, come può essere un deterrente?". A dire il vero, penso che su tante condanne a morte che ho eseguito non ho fermato neppure un assassino.
COSA DICE IL CRISTIANESIMO?
Fin dalle origini il Cristianesimo, nello stesso messaggio delle Scritture, ha presentato ambiguità circa la pena di morte. Sostanzialmente esclusa in Mt 5, 44 ("amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano"), in Lc 6, 35-37 ("...non giudicate e non sarete giudicati; non condannate e non sarete condannati; perdonate e vi sarà perdonato") e in Gv 8, 1-11 (nell'episodio della donna adultera), tale pena riappare ammissibile nell'epistola ai romani di Paolo in rapporto alla sottomissione all'autorità in quanto emanata da Dio; ed analoga ambiguità può essere riscontrata nei testi degli apologisti e dei padri della Chiesa, da Tertulliano (De Idolatria) e Lattanzio (Divinae Instituziones), contrari alla pena capitale, ad Agostino, orientato ad ammettere in determinate circostanze il "diritto di spada".
Nel diritto biblico la pena di morte è comminata tra l'altro per l'omicidio premeditato (Es 21, 12; Lv 24, 7), per il rapimento e la successiva vendita di persona (Es 21, 16; Dt 24, 7), per il delitto di stregoneria (Es 22, 17), per la violazione del riposo sabbatico (Es 35, 2), per i sacrifici umani (Lv 20, 2), per i maltrattamenti e le percosse ai genitori (ES 21, 15; Lv 20, 9), per l'adulterio e l'incesto (Lv 20, 10-12; Dt 22, 22), per l'idolatria (Dt 17, 2-5; 19, 17-18).
Oggi, la Chiesa cattolica ha una posizione e un'idea ben precisa: combattere la pena di morte, in ogni caso. Il Papa ha più volte lanciato appelli per evitare esecuzioni imminenti: ne è un esempio il caso di Joseph O'Dell, condannato a morte nel 1997, che ha suscitato clamore e reazioni anche da parte dei governi dei paesi di tutto il mondo. Ma il Papa non ha potuto niente contro la macchina della morte americana.
Comunque, la pena di morte è in teoria vigente nello Stato della Città del Vaticano, limitatamente al caso di attentato contro la vita, l'integrità o la libertà personale del Papa o di attentato contro il capo di uno Stato estero, quando la legge di tale Stato prevede appunto questa pena (Legge Vaticana 7 giugno 1929, n. 11, art. 4). In Vaticano le ultime esecuzioni risalgono al pontificato di Pio IX (1846-78).
DICHIARAZIONE UNIVERSALE DEI DIRITTI DELL'UOMO
La Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo del 10 dicembre 1948 non ammette la pena di morte, sebbene essa non sia esplicitamente menzionata. L'art. 3 dice:
Ogni individuo ha diritto alla vita, alla libertà ed alla sicurezza della propria persona.
Da allora la comunità internazionale in diverse occasioni esprimerà l'intenzione di fare dell'abolizione della pena di morte un obiettivo primario nel campo della tutela dei diritti umani.

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