La bibbia, storia ed esegesi biblica

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Testo

BIBBIA

La Sacra Scrittura degli ebrei e dei cristiani (la Bibbia cristiana comprende l'Antico e il Nuovo Testamento, la Bibbia ebraica soltanto l'Antico Testamento).

Gli ebrei e i primi cristiani, parlando dei loro libri sacri, li definivano “la Scrittura” o “le Scritture” (gr. graphe, graphái); poiché conteneva il codice di alleanza tra Dio e gli uomini, la Bibbia era anche designata con il nome di “alleanza” (berît in ebraico; diatheke in greco; testamentum in latino). A partire dal II sec. circa i cristiani distinsero due “alleanze” o “testamenti”: l'Antico e il Nuovo.

Canone

Con questo nome si intende il catalogo ufficiale dei libri ispirati, i quali, per la loro origine e autorità divina, costituiscono la regola della fede e dei costumi. Si parla pertanto di libri canonici, in contrapposizione ai non canonici, a seconda che siano riconosciuti o no come libri ispirati. Ma il catalogo, e cioè l'insieme dei libri ispirati, varia per numero e ampiezza presso gli ebrei e presso i cristiani e, tra i cristiani, si differenzia presso i cattolici e presso i non cattolici. La prima e più notevole differenza è quella che esiste tra il canone ebraico e quello cristiano. Il canone ebraico comprende unicamente i libri dell'Antico Testamento; quello cristiano, oltre ai libri dell'Antico Testamento, comprende anche quelli del Nuovo, corrispondenti al secondo periodo della Rivelazione. Quanto poi ai libri che costituiscono l'Antico Testamento, i protestanti concordano con gli ebrei quanto a numero e quantità, mentre i cattolici si scostano da essi, accettando anche i cosiddetti libri deuterocanonici, cioè quelli compresi nel canone alessandrino.
Tali discordanze trovano la loro giustificazione storica nel fatto che già presso gli ebrei dell'età anteriore a Cristo esistevano due canoni diversi. Il primo, degli ebrei palestinesi, e perciò detto palestinese, ammetteva come ispirati solo i libri scritti in ebraico, e li ripartiva in tre gruppi: 1. la Legge (Tora) o Pentateuco (Genesi, Esodo, Levitico, Numeri, Deuteronomio); 2. i Profeti (Nebi'im), anteriori (Giosuè, Giudici, Primo-Secondo libro di Samuele, Primo-Secondo libro dei Re) e posteriori (Isaia, Geremia, Ezechiele e i dodici profeti minori: Osea, Gioele, Amos, Abdia, Giona, Michea, Nahum, Abacuc, Sofonia, Aggeo, Zaccaria, Malachia); 3. gli scritti (Ketubim) [Salmi, Proverbi, Giobbe, Cantico dei Cantici, Rut, Lamentazioni, Ecclesiaste, Ester, Daniele, Esdra, Neemia, Primo-Secondo libro delle Cronache o Paralipomeni]. Il secondo canone, quello degli ebrei ellenizzati di Alessandria, o alessandrino, comprendeva sia i libri scritti originariamente in ebraico o aramaico e conservati solo nella traduzione greca, sia quelli scritti, forse, originariamente in greco (Tobia, Giuditta, Sapienza, Ecclesiastico, Primo-Secondo libro dei Maccabei, alcuni capitoli di Ester e alcune parti di Daniele: il Cantico dei tre fanciulli, Susanna, Bel e il Dragone). Il canone alessandrino era pertanto più lungo: comprendeva un maggior numero di libri e, per taluni libri comuni anche al canone palestinese, registrava capitoli nuovi. Vi sono tuttavia alcuni critici i quali ritengono che esistesse un canone palestinese originario (comprendente anche i libri scritti in greco) il quale era il più lungo e che, dopo la diaspora, passò agli ebrei di Alessandria. Si deve al rigorismo degli scribi e rabbini palestinesi se, in epoca più tarda, essi respinsero come apocrifi i libri scritti in greco, abbreviando pertanto il loro canone. L'edizione classica del testo ebraico è quella di Jacob ben Chajjim uscita a Venezia nel 1525; l'edizione critica più attendibile è quella di Kittel-Kahle-Einsfeldt (1906-1960). La Chiesa cattolica, seguendo l'insegnamento degli apostoli, ritiene valido il canone più lungo e cioè quello alessandrino; ma mentre i libri scritti in ebraico (protocanonici) furono accettati da essa fin dall'inizio e senza riserve, quelli compresi nel solo canone alessandrino (deuterocanonici) furono ammessi più tardi, dopo dubbi e controversie. I protestanti, come gli ebrei, respingono i libri deuterocanonici dell'Antico Testamento come apocrifi.
Quanto al Nuovo Testamento — accettato solo dai cristiani — pare che alla fine del II sec. il canone fosse completo; è certo che dal III al V sec. sorsero in varie Chiese dubbi circa alcuni libri (la Lettera agli Ebrei, la maggior parte delle Lettere cattoliche [di Giacomo, Seconda lettera di Pietro, Seconda-Terza lettera di Giovanni, di Giuda] e l'Apocalisse), i quali nel VI sec. furono tuttavia compresi definitivamente nel canone; per questa loro accoglienza più tarda, anche questi libri furono chiamati deuterocanonici, mentre protocanonici furono chiamati i libri del Nuovo Testamento sui quali non erano mai sussistiti dubbi: 1. Vangeli (Matteo, Marco, Luca, Giovanni); 2. Atti degli Apostoli; 3. Lettere di Paolo (ai Romani, Prima-Seconda lettera ai Corinzi, ai Galati, agli Efesini, ai Filippesi, ai Colossesi, Prima-Seconda lettera ai Tessalonicesi, Prima-Seconda lettera a Timoteo, a Tito, a Filemone); 4. Lettere cattoliche (Prima lettera di Pietro, Prima lettera di Giovanni). I protestanti ebbero all'inizio forti dubbi sui deuterocanonici del Nuovo Testamento, ma alla fine ammisero il canone completo, come la Chiesa cattolica.

Antiche versioni

La Bibbia ebraica fu tradotta in greco nel III sec. a.C. per poter essere capita dagli ebrei residenti fuori della Palestina, i quali non conoscevano l'ebraico, ma parlavano il greco, diffuso in tutti i paesi del Mediterraneo orientale. La versione fu compiuta ad Alessandria e fu detta dei Settanta, perché si credette compiuta da settanta dotti ebrei, e rappresenta il canone alessandrino. Dopo la versione dei Settanta si ebbero quelle, pure greche, di Aquila, Simmaco e Teodozione, che Origene nel III sec. riunì in una grande opera chiamata Esapla(Sestupla), perché in sei colonne parallele dava il testo ebraico, lo stesso trascritto in lettere greche, poi le altre versioni greche citate. Di quest'opera esistono esigui frammenti.
Dell'Antico Testamento esistono anche versioni aramaiche, o targumim. Dell'intera Bibbia (Antico e Nuovo Testamento) esistono antiche versioni in lingue orientali: in lingua siriaca (la più nota è la Peshitta [Pešitta', usuale, semplice]), in lingua copta, armena, etiopica, georgiana, araba. Le antiche versioni in lingue occidentali sono: la gotica, la paleoslava e la latina. In quest'ultima lingua esistettero dapprima due o tre versioni: l'africana e l'itala (II sec.) e, forse, l'europea (II-III sec.). Nel IV sec. san Girolamo tradusse l'intera Bibbia in gran parte dai testi originali; è questa la versione detta Vulgatache per la Chiesa cattolica è autentica, come ha definito il concilio di Trento, cioè fa testo in materia di fede e di costumi.

Interpretazione della Bibbia

La Bibbia è un complesso di libri ciascuno dei quali, secondo la Chiesa, ha Dio come autore principale. Considerata una “lettera di Dio all'uomo”, essa fa parte della Rivelazione divina e ha per destinatario l'uomo, cui svela misteri, profezie e impartisce norme di fede e di morale. Ma la lettura e la comprensione della Bibbia non sono cosa semplice. Da un lato, la comprensione è resa talora difficile dalla sublimità delle verità rivelate; d'altro lato, numerose difficoltà insorgono a causa della collaborazione e dell'intervento umano. I vari libri infatti furono scritti da autori diversi, in stili diversi, in epoche e persino in lingue diverse. E pertanto la particolare mentalità dei vari scrittori, la diversità di lingua e di tempo in cui i singoli libri furono scritti, la diversità dei costumi del popolo che fu il primo lettore della Bibbia (per non parlare delle modifiche di vario genere subite dai testi durante i secoli in cui furono trascritti a mano) sono tutti fattori che vanno tenuti presenti e che rendono assai complesse la lettura e l'interpretazione della Bibbia. A questo proposito, vi sono alcune condizioni generali (quali la conoscenza della lingua, l'autenticità del testo, ecc.) che sono comuni per la lettura e per l'interpretazione della Bibbia così come lo sono per ogni altro testo; e questo è di stretta pertinenza della filologia e della critica testuale. Ma, secondo la Chiesa, per una retta interpretazione della Bibbia vi sono anche altre norme o regole particolari, da essa stabilite, e che gli studiosi cattolici sono tenuti a seguire. La prima è l'interpretazione ecclesiastica, la quale verte soprattutto su quelle parti della Bibbia che trattano la fede o i costumi, che sono la base della dottrina della Chiesa; essa può essere positiva, quando il papa o un concilio ecumenico dichiarano il senso di un passo biblico (per es. in Matteo, 26, 26: “Questo è il mio corpo” significa che Cristo è realmente presente nell'eucaristia), o negativa, quando condanna una determinata interpretazione di un passo: è questo il caso più frequente. L'interprete cattolico deve dunque evitare di seguire un'interpretazione che contrasti con la dottrina della Chiesa, ma è libero di cercare il senso di un passo, specialmente là dove tale dottrina non è messa in discussione, come in testi di carattere puramente storico. Una seconda regola è l'interpretazione dei Padri, che ereditarono la dottrina dagli apostoli. Terza regola è la cosiddetta analogia della fede, secondo la quale nessun passo della Bibbia può realmente avere un significato che contrasti con quello di altri.

Problemi e storia dell'esegesi biblica

L'esegesi o spiegazione e interpretazione della Bibbia è nata particolarmente dalla scienza religiosa di quei popoli che la ritengono il testo della Rivelazione divina, sorgente dei princìpi della vita morale e sociale. Tracce di spiegazione si trovano già nello stesso testo biblico, talvolta a opera dello stesso autore ispirato, il quale vuole spiegare al lettore antiche usanze. Il più delle volte tuttavia questa spiegazione avviene attraverso “glosse”, cioè note che non sono opera dello scrittore ispirato, ma furono aggiunte più tardi, prima ai margini del testo, poi incorporate in esso. Presso gli ebrei l'interpretazione della Bibbia consistette dapprima in una parafrasi del testo, o Targum, in lingua aramaica; la vera esegesi ebbe inizio presso quegli ebrei che parlavano la lingua greca e che avevano come centro culturale Alessandria e come maggiore rappresentante Filone. Essi polemizzavano con i Greci, opponendo i loro testi sacri (interpretati in modo prevalentemente allegorico) alla sapienza pagana. Lo stesso indirizzo seguì la scuola cristiana di Alessandria, avente il suo caposcuola in Origene (III sec.). Essa partì dal principio che persone e fatti dell'Antico Testamento sono una prefigurazione di quelli del Nuovo. Curò quindi l'interpretazione allegorica dell'Antico Testamento, pur non trascurando l'interpretazione letterale e lo studio diretto del testo originale, come provano le Esapla di Origene. Ma già i primi esegeti cristiani avevano avvertito la necessità di cercare il senso diretto del testo biblico, ossia quello letterale; e fu questo l'indirizzo precipuo della scuola di Antiochia (IIIsec.), di lingua greca e siriaca, e di Giovanni Crisostomo (IV sec.), che commentò le Lettere di san Paolo. Tra i Padri latini, il maggior rappresentante di questo indirizzo è san Girolamo. Sant'Agostino si segnalò per l'interpretazione teologica della Bibbia, interpretazione che improntò tutta l'età patristica posteriore. Lo stesso indirizzo caratterizzò l'esegesi dell'età medievale, la quale, partendo dal senso letterale dei testi biblici, costruì le sue grandi dottrine teologiche elaborate alla luce della filosofia aristotelica e formulò il principio dei quattro sensi della Bibbia: letterale, allegorico, morale e anagogico.
La ricerca del senso letterale era tuttavia resa difficile dalla scarsa possibilità di conoscere il mondo orientale biblico e dalla conoscenza della Bibbia quasi esclusivamente nelle versioni latina in Occidente e greca in Oriente. D'altra parte, presso gli ebrei, la ricerca delle norme etico-religiose della vita sviluppò i loro studi nel senso di una sempre più minuta casistica di contenuto legale, come testimoniano le opere della letteratura rabbinica: Mishna, Tosefta, le due redazioni del Talmud, ecc. Accanto alla norma di vita, o halakà, gli ebrei dedussero dalla Bibbia un complesso di norme dottrinali, o haggadà, che si valeva di esempi, analogie, parabole, e che finì con l'interpretare i testi secondo norme astratte e simboliche. Nei secc. VIII e IX, sotto l'influsso di quanto si faceva per altre lingue, studiosi ebrei prepararono le prime opere di grammatica e lessicografia ebraica che costituirono la base per il ritorno al testo ebraico della Bibbia in tutta l'Europa del tardo medioevo. L'Umanesimo, a sua volta, riportando la cultura all'antico mondo classico, diede un vasto e profondo impulso allo studio del greco. Così, con la conoscenza della lingua ebraica e della greca, si compirono i primi veri e profondi studi critici sulla Bibbia (Antico e Nuovo Testamento) che prepararono la rinascita biblica moderna, con il Valla, Erasmo, Reuchlin, ecc. Si moltiplicarono le nuove traduzioni condotte sui testi originali, poiché il mondo colto non si accontentava più della versione latina di san Girolamo. A questi dotti umanisti risalgono i primi tentativi di una critica filologica più rigorosa.
Per la qualificazione e lo sviluppo ulteriore degli studi biblici, ebbe parte determinante la Riforma protestante che fece della Bibbia il fondamento centrale ed esclusivo della fede cristiana. Grande influsso ebbero la nuova traduzione della Bibbia a opera di Lutero e il movimento che fece capo a Calvino. L'elemento nuovo introdotto, o particolarmente sottolineato dalla Riforma, fu la fede assoluta nella Bibbia come parola unica di Dio, come unica autorità indiscutibile (in contrapposto all'autorità papale). Essa, per i protestanti, è la sola regola di fede, contiene e spiega tutto in ordine alla salvezza, e non ha bisogno di intermediari, poiché attraverso la sua parola Dio stesso parla nell'intimo di ogni uomo. Sulla scorta di tali premesse l'interpretazione protestante si basa quasi esclusivamente sullo studio critico e letterario della Bibbia, e, prescindendo dalle regole dell'interpretazione cattolica, e cioè dall'autorità della Chiesa e dalla tradizione, pone in primo piano la libera interpretazione. È l'uomo, con tutta la sua personalità di credente, che si pone di fronte al testo, e ascolta Dio.
Nel XVIII sec., in contrasto sia con l'esegesi cattolica sia con quella protestante, sorse e si affermò l'interpretazione razionalistica della Bibbia che nel più fervido momento del suo sviluppo fece capo alla cosiddetta “scuola di Tubinga” (XIX sec.). La corrente razionalista espresse svariate tendenze che avevano tuttavia alcuni punti in comune, quali il rifiuto dell'ispirazione divina, di ogni fede soprannaturale e dei miracoli. La Bibbia, considerata come un qualsiasi altro libro umano, veniva pertanto sottoposta a un'analisi minuziosa per scoprirvi la conferma delle teorie razionaliste relative al formarsi della fede e della credenza nei miracoli. Interessanti, riguardo al Nuovo Testamento, i tentativi, fatti da H. S. Reimarus e D. F. Strauss, di spiegare il mistero di Cristo quale ci è presentato dai Vangeli ma senza il sussidio del soprannaturale. Comunque si giudichi la corrente razionalista non se ne può disconoscere il contributo circa l'esegesi letterale del testo biblico, e l'impulso dato agli studi filologici, storici e archeologici. A questa corrente appartennero infatti alcuni studiosi di indiscusso valore, che ebbero grande parte nel rinnovamento moderno degli studi biblici, come Julius Wellhausen, Hermann Gunkel, Martin Dibelius, ecc. A loro volta, le scoperte archeologiche (dal XIX sec. in poi) esercitarono un notevole influsso non solo per la scoperta dei luoghi menzionati dalla Bibbia, ma anche e soprattutto per la conoscenza di tutte quelle antiche civiltà, fino allora pressoché sconosciute, contemporanee agli eventi biblici e spesso menzionate dalla Bibbia.
L'esegesi biblica più recente, oltre che approfondire la critica testuale, ha affrontato con maggior consapevolezza il problema di una critica più propriamente letteraria, e la corrente esegetica più accreditata è quella che si collega più o meno strettamente alla cosiddetta “scuola delle forme”; essa studia i generi letterari dei testi biblici, inquadrandoli nella cultura dei tempi e dei luoghi in cui sorsero e si svilupparono. Le scoperte archeologiche, la scuola delle forme, e un più attento uso della critica letteraria e testuale, hanno ravvicinato di molto le posizioni cattoliche e quelle dei protestanti.

Traduzioni della Bibbia e studi biblici

Le più importanti traduzioni in lingua italiana della Bibbia sono quella del Martini (1769), quella del Sales-Girotti (1911-1942) e quella del Ricciotti (1939), condotte tutte e tre sulla versione latina, detta Vulgata; sono invece condotte sul testo originale, greco ed ebraico, le traduzioni dirette da Garofalo-Vattioni-Algisi (1960-1961), da Garofalo-Rinaldi, corredata da ampio commento, e la traduzione di Galbiati-Penna-Rossano (1964).
Le più importanti traduzioni in lingua francese della Bibbia sono quella di A. Crampon (1894-1904), la Bible du Centenaire (1916 e sgg.), la Bible de la Pléiade (1958 e sgg.). In lingua inglese, le versioni più diffuse (oltre alla classica versione, detta King James Version) sono la Westminster Version (1928 e sgg.) e la Knox Version (1945 e sgg.). In lingua tedesca è celebre la versione di Lutero (1522-1534), sempre ristampata; diffuse inoltre sono le versioni di Tillmann e Parsch, quella di Rosch, ecc.
Gli ebrei italiani hanno la traduzione della Bibbia (Antico Testamento) di Samuel David Luzzatto (1872-1875) e quella diretta da Alfredo Disegni (1960 e sgg.). In tutto il mondo, la Bibbia è tradotta in circa 1.108 lingue e dialetti.
Il concilio Vaticano II ha proposto una revisione completa della Bibbia latina a opera di una équipe internazionale. Nel 1968 fu pubblicata, a cura della Società biblica italiana, La Bibbia concordata, curata da un comitato di studiosi cattolici, valdesi, metodisti, ortodossi, ebrei. Nel 1974 comparvero in Italia una Bibbia a cura dei padri gesuiti di Milano e una a cura della CEI, edizione ufficiale “tipica per l'uso liturgico”.
Esistono anche Bibbie poliglotte e hanno notevole importanza le numerose concordanze bibliche.
Le principali organizzazioni che in Italia si occupano di uno studio superiore della Bibbia sono la Pontificia commissione biblica, il Pontificio istituto biblico, lo Studio biblico francescano, che curano anche pubblicazioni periodiche. Tra le migliori opere per lo studio della Bibbia sono da ricordare: il Dizionario Biblico di H. Haag, tradotto in italiano da G. Gennaro (1960), e l'Atlante Biblico di Lemaire e Baldi. Un'opera di alto livello è il Dictionnaire de la Bible(in molti volumi), sempre aggiornato con i fascicoli del Supplément.

Bibbie illustrate

La tradizione di illustrare i codici della Bibbia o di parti di essa è assai antica, tanto in Oriente quanto in Occidente. Ai secc. VII-VIII risalgono il Pentateuco di Tours, detto Pentateuco di Ashburnham (Biblioteca nazionale di Parigi), il Sacramentario di Gellone (Biblioteca nazionale di Parigi) e le Bibbie irlandesi — come il Libro di Kells a Dublino e l'Evangeliario di Lindisfarne — decorate secondo lo stile orientale con iniziali zoomorfe, teste di animali e fogliame. Durante la rinascita carolingia (secc. IX-X) si moltiplicarono i manoscritti miniati della Bibbia, ornati con illustrazioni a piena pagina e grandi iniziali decorate con episodi biblici e leggende; capolavoro di quest'epoca è la Bibbia di Carlo il Calvo (Biblioteca nazionale di Parigi), meraviglioso codice in pergamena scritto su due colonne, in lettere d'oro, miniato tra l'840 e l'850 dalla scuola di Tours. Nei secc. XI e XII si distinsero nell'arte della miniatura i cisterciensi che perfezionarono l'iconografia delle iniziali; sono di questo periodo la Bibbia di Stefano Harding (nella Biblioteca di Digione) e la Bibbia di Noailles (Biblioteca nazionale di Parigi). La decorazione dei codici, caratterizzata nei secc. XIII-XIV dallo stile gotico imperante in Europa, ebbe in Italia grandissimo impulso dal Trecento a tutto il Quattrocento: in questo secolo si produssero alcune delle più famose Bibbie illustrate, come quella di Borso d'Este e quella di Federico di Montefeltro (Biblioteca vaticana). Anche dopo l'introduzione della stampa si continuò a illustrare la Bibbia; anzi tra le più note v'è proprio la prima Bibbia impressa a Magonza da Gutenberg (1453-1455), artisticamente miniata da Enrico Cremer; questa Bibbia, detta Bibbia Mazarina, è assai rara (se ne conoscono in tutto 45 esemplari, di cui due alla Biblioteca vaticana) ed è stata riprodotta in facsimile a Lipsia nel 1923.

Arte

Le più antiche illustrazioni della Bibbia, a carattere narrativo, sono le pitture murali della sinagoga di Dura-Europo (prima metà del II sec.). I libri dell'Antico e del Nuovo Testamento sono stati la più ricca sorgente di ispirazione per l'arte occidentale. Le più antiche figurazioni bibliche a Roma hanno un carattere simbolico-narrativo: Daniele nella fossa dei leoni, immagine del Salvatore nel sepolcro e simbolo dell'uomo protetto da Dio (catacombe di Lucina); Noè nell'arca, simbolo dell'uomo e della salvezza (catacombe di Domitilla); il Buon Pastore, simbolo del Cristo che è agnello e pastore insieme (catacombe dei Santi Pietro e Marcellino). Nelle decorazioni dei sarcofagi, coevi o di poco posteriori, la narrazione si articola con maggiore scioltezza intorno a un più vasto repertorio iconografico. Fra i temi prediletti è quello di Giona, le cui fantasiose vicende simboleggiano la potenza e la misericordia di Dio, o anche la resurrezione di Cristo (Museo lateranense). Nel V sec. hanno inizio i grandi cicli musivi, che si attengono con scrupolosa esattezza al racconto biblico. Il più completo è quello ispirato alle storie di Abramo, Giacobbe, Mosè e Giosuè, nella navata centrale di Santa Maria Maggiore in Roma, in cui la narrazione ha acquistato un tono epico, che si ritrova nelle illustrazioni del periodo carolingio (affreschi nella chiesa di San Giovanni a Münster) e nelle miniature dello scriptorium di Reichenau, che rielaborano nel contenuto espressivo le figurazioni tradizionali creandone anche di nuove (Sacramentario di Drogone nella Biblioteca nazionale di Parigi). Ai secc. XII e XIII risalgono i cicli musivi del duomo di Monreale e di San Marco a Venezia, i cicli affrescati della chiesa di Saint-Savin, quelli scolpiti delle cattedrali di Chartres, Reims, Naumburg. Del 1303-1305 è il ciclo del Nuovo Testamento di Giotto nella cappella degli Scrovegni a Padova. Un posto a sé hanno i complessi illustrativi ispirati alla Biblia pauperum che ricorrono specialmente nelle grandi vetrate gotiche, e di cui un'eco si può cogliere nel portale bronzeo di San Zeno in Verona. Ma in tema di porte con figurazioni bibliche, la più nota è quella detta del Paradiso, scolpita dal Ghiberti per il battistero di Firenze. Il Rinascimento si ispirò largamente alla Bibbia (sculture di Donatello e Verrocchio; affreschi di Perugino e Botticelli nella Cappella Sistina) con sempre maggiore indipendenza dalle tradizioni iconografiche, sino alla volta della Cappella Sistina di Michelangelo e alle Logge vaticane di Raffaello. La funzionalità religiosa dei temi biblici si andò in questo periodo affievolendo, mentre la Riforma, predicando la “verità del soggetto”, trasformò le figurazioni bibliche in fredde allegorie dottrinarie: Storie di Giuseppe del Lanfranco in palazzo Mattei a Roma. Si preferirono scene dell'Antico Testamento e le Crocifissioni (altare di Isenheim del Grünewald), ma le interpretazioni più profonde di temi biblici restano, nel mondo protestante, quelle di Rembrandt, il quale trattò i grandi temi biblici in modo nuovo e con profondo pathos (Tobia e l'arcangelo Raffaele, al Louvre). In Italia, dopo la Cappella Sistina, le più notevoli figurazioni bibliche sono quelle del Tintoretto nella Scuola di San Rocco (1564-1590), narrative e drammatiche, e indipendenti dalle tradizioni iconografiche non meno di quelle di Michelangelo. Nell'età moderna i temi biblici non scompaiono, ma, persa ogni funzionalità religiosa, ne hanno solo una sociale (Rouault), oppure si risolvono in illustrazioni da fiaba (Chagall).

Esempio



  


  1. giovanni

    esegesi seconda lettera di giovanni