L'Italia

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Testo

ITALIA
• Dati generali
NOME LOCALE: Repubblica italiana
CAPITALE: Roma (2.649.765 ab.)
CITTÀ PRINCIPALI: Milano (1.369.000 ab.), Napoli (1.067.000 ab.), Torino (963.000 ab.), Palermo (699.000 ab.), Genova (679.000 ab.), Bologna (404.000 ab.), Firenze (403.000 ab.), Bari (342.000 ab.), Catania (333.000 ab.), Venezia (309.000 ab.)
SUPERFICIE: 301.308 km2
POPOLAZIONE: 57.381.000 ab.
DENSITÀ: 190 ab./km2
FORMA DI GOVERNO: repubblica
LINGUA: Italiano
UNITÀ MONETARIA: lira italiana (£)
RELIGIONE: cattolica
MEMBRO DI: ONU, OSCE, UE, UEO, Consiglio d’Europa, OCDE, NATO
SIGLA INTERNAZIONALE: I
FUSO ORARIO: +1
• Territorio
CONFINI: a NW con la Francia, a N con Svizzera ed Austria, a NE con la Slovenia
MARI: a W il Mar Ligure ed il Mar Tirreno, ad E il Mar Adriatico ed il Mar Ionio, a S il Mar Mediterraneo
RILIEVI: Alpi (Monte Bianco 4.810 m, Monte Rosa 4.634 m, Cervino 4.478 m, Monviso 3.841 m) Appennini (Gran Sasso 2.912 m, Monte Cimone 2.165 m, Monte Amiata 1.733 m, Maiella 2.795 m) Pianura Padana (42.000 km2)
FIUMI: Po, Adige, Tevere, Adda, Oglio, Tanaro, Ticino, Arno, Piave, Volturno
LAGHI: Lago di Garda, Lago Maggiore, Lago di Como, Lago d’Iseo, Lago di Lugano
ISOLE: Isola d’Elba, Isole Eolie, Isole Egadi, Isole Ponziane, Isole Partenopee
• Popolazione
CRESCITA DEMOGRAFICA: +0,3%
MORTALITÀ INFANTILE: 6,6‰
SPERANZA DI VITA: 73 (m.) 80 (f.)
POPOLAZIONE URBANA: 66,6%
• Indicatori sociali
SVILUPPO UMANO: 21° posto
ALFABETIZZAZIONE: 97,9%
AB. PER AUTOVETTURA: 1,9
POSTI LETTO OSPEDALIERI: 356.242
QUOTIDIANI: 111
USO ANNUALE D’ACQUA PER AB.: 986 m3
CALORIE GIORNALIERE DISPONIBILI PER AB.: 3.561
CONFRONTO CON MINIMO CAL. FAO: +141%
• Economia
PNL/AB.: 19.270 $ USA
STRUTTURA DEL PNL: primario 3%, secondario 32%, terziario 65%
POPOLAZIONE ATTIVA: 40,3%; primario 7%, secondario 32,8%, terziario 60,8%
ENERGIA: elettricità
POTENZA INSTALLATA: 71.949.000 kW
CONSUMO PER AB.: 4.711 kWh
IMPORTAZIONI: 167.979.400.000 $ USA
PRINCIPALI PRODOTTI IMPORTATI: macchinari 29,6%, prodotti chimici 19,6%
ESPORTAZIONI: 190.008.100.000 $ USA
PRINCIPALI PRODOTTI ESPORTATI: macchinari 40,1%, prodotti chimici 10,1%
GEOGRAFIA FISICA E POLITICA
Repubblica (Repubblica Italiana) dell'Europa mediterranea. Superficie: 301.302 km2. Popolazione: 56.778.000 ab. Capitale: Roma. Lingua: ufficiale è l'italiano. Tra i gruppi alloglotti i più consistenti sono quelli friulano, ladino, sardo e tedesco; di minore importanza i nuclei franco-provenzali della Valle d'Aosta, quelli albanese e greco di alcune zone della Puglia, della Calabria e della Sicilia, e quello catalano di Alghero. Religione: cattolica; esistono minoranze di protestanti e ortodossi. Unità monetaria: lira italiana. Confini: lo Stato italiano confina, nella parte continentale, a ovest con la Francia, a nord con la Svizzera e l'Austria, a est con la Slovenia; nella parte peninsulare e insulare è limitato a ovest dal Mar Ligure, dal Mar di Sardegna e dal Mar Tirreno, a sud dal Mare di Sicilia e dal Mar Ionio, a est dal Mar Adriatico. Ordinamento: Secondo la Costituzione repubblicana, promulgata il 27 dicembre 1947 ed entrata in vigore il 1° gennaio 1948, l'Italia è «una Repubblica democratica fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione». Il Parlamento è a struttura bicamerale e si compone della Camera dei Deputati (630 membri) e del Senato della Repubblica (315 membri elettivi). Prerogativa del Parlamento è la funzione legislativa, esercitata collegialmente dalle due Camere. Esso esercita, inoltre, il controllo sull'indirizzo e sull'attività del potere esecutivo. Il Parlamento, in seduta comune, elegge il presidente della Repubblica, che rimane in carica 7 anni. Attribuzione del presidente della Repubblica è la nomina del presidente del Consiglio dei Ministri e dei ministri. Amministrativamente l'Italia si divide in 20 regioni, di cui 5 a statuto speciale, e 103 province (8 istituite nel 1992).
GEOGRAFIA FISICA
n Geomorfologia. Nel Cenozoico, in seguito al corrugamento alpino-himalaiano, si verificò il sollevamento delle Alpi e degli Appennini. Nel Neozoico imponenti fenomeni eruttivi, il modellamento esercitato dai ghiacciai e, più tardi, quello delle acque dilavanti completarono la fisionomia del Paese, mentre i depositi alluvionali formarono le pianure. L'arco alpino comprende a ovest i più alti gruppi montuosi, con cime permanentemente innevate (Monte Bianco 4810 m, Monte Rosa 4634 m, Monte Cervino 4478 m). In questo tratto la catena principale delle Alpi affonda le radici nella pianura piemontese; in Lombardia e nel Veneto; essa è affiancata dalle Prealpi. Solitamente le Alpi vengono ripartite in Alpi Occidentali (Marittime, Cozie, Graie), Alpi Centrali (Pennine, Lepontine, Retiche), Alpi Orientali (Dolomitiche, Carniche, Giulie), con altitudini che diminuiscono da ovest a est. Ai piedi delle Prealpi si allungano i grandi laghi di origine glaciale come il Lago Maggiore (212 km2), il lago di Como (146 km2; il più profondo, 410 m) e quello di Garda (il più esteso, 370 km2). La Pianura Padano-Veneta, limitata dalle Alpi e dagli Appennini, è la più vasta d'Italia con i suoi 46.000 km2. Gli Appennini, che costituiscono l'ossatura della nostra penisola, meno elevati delle Alpi, si allungano con forma arcuata per 1190 km, variando in larghezza da 30 a 150 km. Al sistema principale si accompagnano il Preappennino Tirrenico e il Preappennino Adriatico. I rilievi della Sicilia devono essere considerati la continuazione di quelli appenninici per genesi e per struttura morfologica. Fra essi spicca il grande cono vulcanico dell'Etna. I sistemi montuosi della Sardegna assieme a quelli della Corsica costituiscono un complesso che si distingue nettamente dalle Alpi e dagli Appennini: costituiscono i resti di un antico massiccio, per la maggior parte sprofondato, la Tirrenide. La linea di costa dell'Italia alterna marine basse e uniformi (prevalentemente nel versante adriatico) a scogliere alte e frastagliate, articolate da numerose baie e ampi golfi (di Genova, Gaeta, Napoli, Salerno, Policastro, Sant'Eufemia, Squillace, Taranto, Manfredonia, Venezia, Trieste).
n Clima e vegetazione. l'Italia ha un clima temperato con differenze notevoli fra regioni anche vicine. Regione alpina: la temperatura diminuisce con l'altitudine. Notevoli le escursioni termiche annue e diurne. Le piogge cadono in prevalenza d'estate, aumentando da ovest verso est. Per quanto riguarda la vegetazione, sino a 1000 m predominano i boschi di querce e castagni; seguono i boschi di faggi sino a 1500 m, i boschi di conifere sino a 2200 m, con prati e pascoli, la fascia arbustiva e quindi, sino a ca. 2500-2800 m, quella dei pascoli naturali d'alta montagna. Regione padano-veneta: presenta un clima continentale di transizione con temperature medie invernali intorno agli 0 °C e medie estive di oltre 25 °C. Le precipitazioni non sono molto abbondanti (600-700 mm annui). È una regione intensamente coltivata, con rari boschi di querce e di roveri, alternati a macchie di eriche e ginestre. Regione appenninica: presenta un carattere di continentalità che si accentua verso l'interno. Le temperature invernali sono basse (da 4 a 6 °C), mentre quelle estive salgono da 20 a 25 °C. Le precipitazioni sono più copiose nelle zone elevate e nei versanti rivolti a ovest. Nella fascia più bassa, accanto alle querce, compaiono piante di tipo mediterraneo, in quella più alta faggi e conifere, alternati a prati e pascoli. Regione ligure-tirrenica: comprende la fascia litoranea tirrenica settentrionale e occidentale. L'influenza notevole del mare mitiga le escursioni termiche annue; le temperature invernali infatti variano da 8 a 12 °C, mentre quelle estive si aggirano sui 25 °C. Le precipitazioni, cospicue nella parte settentrionale (oltre 2700 mm annui) e in tutte le zone montuose (oltre 1000 mm annui), diminuiscono nelle regioni collinari e pianeggianti (ca. 600 mm). La vegetazione spontanea è rappresentata dalla macchia mediterranea. Regione adriatica: aperta ai venti settentrionali e limitatamente influenzata da un mare poco profondo, ha un clima quasi continentale. Le temperature invernali variano da un minimo di 2 °C nel golfo di Trieste a un massimo di 8 °C in prossimità del Capo d'Otranto; quelle estive per le stesse località oscillano tra 21 e 26 °C. Superiori a 1000 mm annui nel golfo di Trieste, le precipitazioni sono piuttosto scarse nel resto del litorale (ca. 500 mm nella Puglia). La flora spontanea assume sempre più carattere mediterraneo procedendo verso sud. Regione insulare-ionica: comprende le isole e le coste ioniche della Calabria, della Basilicata e della Puglia.
Il clima è tipicamente mediterraneo, con inverni miti (da 8 a 12 °C) ed estati calde (da 15 a 28 °C). Le precipitazioni sono scarse (500 mm annui) e concentrate nel periodo invernale. Là dove l'uomo non ha modificato il paesaggio naturale, domina ancora la macchia mediterranea con le sue tipiche essenze sempreverdi.
n Idrografia. I fiumi che scendono dalle Alpi e dagli Appennini settentrionali hanno un regime regolare con minimi di portata in inverno e massimi in autunno ed estate. I fiumi dell'Italia peninsulare, a corso ripido e accidentato, sono alimentati soprattutto dalle precipitazioni e presentano un carattere torrentizio con massimi invernali e primaverili. I fiumi dell'Italia insulare accentuano il carattere torrentizio e presentano grandi e violente piene invernali e prolungate siccità estive. Per la maggior parte i fiumi italiani sono tributari del Mar Adriatico. Fra questi il più importante è il Po sia per lunghezza, sia per portata media, seguito dall'Adige. Nel Mar Tirreno si gettano l'Arno e il Tevere; tributari del Mar Ionio sono i corsi d'acqua brevi e torrentizi della Basilicata e della Calabria. I fiumi italiani sono utilizzati come fonte di energia idrica, mentre non hanno alcun valore per la navigazione, eccettuati il Po e il basso corso dell'Adige.
n Fauna. La fauna d'Italia, compresa nella regione paleartica, presenta notevoli differenze nel senso nord-sud e nel confronto isole-continente. Tipici delle Alpi sono: il camoscio, lo stambecco, l'ermellino; rari gli orsi e i cervi. Specie tipiche della Sardegna e isole vicine: il muflone, il daino, il gatto selvatico, il cinghiale. Sugli Appennini e in Sicilia non sono rari i lupi, mentre in Abruzzo sono presenti gli orsi. Diffusi in tutt'Italia lepri, scoiattoli, volpi, tassi, ghiri, martore, topi, pipistrelli, testuggini palustri, lucertole, vipere, bisce d'acqua, rane, numerose specie di insetti, molluschi e altri invertebrati (mancano artropodi dal veleno mortale). L'Italia rappresenta un'importante via migratoria per diverse specie di uccelli, che sono di passo sulle coste tirreniche e adriatiche e sulla Pianura Padana. Specie tipica italiana è il passero d'Italia; sulle Alpi vivono il gallo cedrone, il francolino di monte, il fagiano di monte, il picchio, la pernice. Comuni in Sardegna anseriformi, gruiformi, fenicotteri e rapaci, come avvoltoi, grifoni e aquile, rari sul continente. Tra gli uccelli di passo, comuni le quaglie, le beccacce, i tordi. Interessante è pure la fauna marina, molto ricca presso il golfo di Napoli, con forme abissali presso lo stretto di Messina e nel Mar Ligure. Abbondanti nei nostri mari clupeidi (sardine, acciughe) e scombridi (tonni, scombri). Per la protezione e la conservazione delle specie caratteristiche sono stati istituiti alcuni parchi nazionali (Gran Paradiso, Abruzzo, Calabria, Circeo, Stelvio).
POPOLAZIONE
Dal 1861 a oggi la popolazione italiana è più che raddoppiata. L'aumento maggiore si è avuto dopo la prima guerra mondiale, ma anche dopo il secondo conflitto l'incremento demografico è stato notevole. Tale aumento è dovuto all'eccedenza dei nati sui morti anche per la diminuzione della mortalità, specie infantile. La popolazione italiana non è equamente ripartita; si addensa attorno ai maggiori centri urbani e in particolare dove alle attività industriali e commerciali si affianca una fiorente agricoltura. Sono densamente popolati la Liguria, la Lombardia e il Piemonte, ricchi di attività industriali, commerciali e agricole; la Campania per le sue fertili terre e l'elevata natalità. La densità si attenua decisamente nelle zone tipicamente agricole, nelle aree montane (Valle d'Aosta) e nei litorali paludosi da poco bonificati (Basilicata). Questa ineguale ripartizione è uno degli effetti degli squilibri economici esistenti tra le varie regioni italiane e della conseguente dinamica della popolazione italiana, che dalle aree a basso reddito unitario tende a spostarsi verso zone a più alto livello economico.
ECONOMIA
Sotto il profilo economico, l'Italia è stata, nel corso degli anni seguenti il secondo conflitto mondiale, uno dei Paesi più dinamici del Continente europeo trasformandosi, da Paese agricolo in Paese prevalentemente industriale. Di circa 20 milioni di unità lavorative, nel 1951, era occupato nell'industria il 30,4% e nell'agricoltura il 40%. Nel 1961 il settore industriale raggiungeva il 39,2% e quello agricolo si abbassava al 28,2%. Il progresso industriale italiano appare tanto più importante se si considera che il Paese è sostanzialmente privo di materie prime ed è altresì fortemente tributario dell'estero per il settore energetico. Non meno apprezzabile è il fatto che l'economia italiana (soprattutto l'industria manifatturiera) ha operato in regime di progressiva liberalizzazione degli scambi internazionali e, dopo l'entrata in vigore del MEC, ha saputo conseguire posizioni di competitività con le più solide economie associate. Accanto all'industria si sono sviluppati enormemente i servizi e le attività terziarie in genere, tanto che oggi l'industria è attorno al 30% delle forze occupate, l'agricoltura al 10-11%, le altre attività al 60%. L'espansione industriale ha interessato in misura di gran lunga maggiore le regioni settentrionali, dove l'iniziativa privata ha trovato condizioni ambientali più favorevoli. Nel Sud, invece, si sono realizzate opere di natura prevalentemente infrastrutturale (a cura dello Stato) o iniziative di modesta portata, che hanno fruito delle agevolazioni della Cassa del Mezzogiorno. Tutto ciò ha aggravato ulteriormente lo squilibrio economico tra il Nord e il Mezzogiorno d'Italia. Il grande moto migratorio, se da un lato ha reso meno pesante la pressione demografica nelle campagne, dall'altro ha contribuito in misura decisiva al verificarsi di fenomeni, quali lo spopolamento di intere zone agricole, specie nel Mezzogiorno e in montagna, private della migliore forza-lavoro non compensata da un'adeguata industrializzazione dell'agricoltura, e l'addensamento e lo sviluppo accelerato di alcune grandi città (Milano, Torino, Roma, Napoli, Palermo), con evidenti implicazioni di carattere sociale, economico, urbanistico. Per avviare a soluzione i problemi dell'agricoltura, gli Enti di riforma agraria, tra il 1950 e il 1964, hanno bonificato e appoderato ca. 700.000 ha, creando più di 100.000 piccole nuove aziende coltivatrici. La riforma ha operato nel delta padano, in Maremma, nel Fucino e quindi nel Sud e nelle isole. Ciononostante, la produttività dell'agricoltura resta alquanto bassa.
n Agricoltura. La superficie destinata alle coltivazioni è in Italia pari a oltre il 53% della superficie produttiva totale, che si estende su ca. 30 milioni di ha. È questa una percentuale che pur tendendo spontaneamente a contrarsi, rimane assai elevata rispetto ai Paesi di più elevato progresso agricolo. Il bosco, le foraggere permanenti e i prati, destinazioni assai più adatte a molti suoli italiani, hanno ceduto in passato, sotto la pressione demografica, alle colture di sussistenza (cereali in genere), soprattutto lungo la fascia appenninica. Il frumento, tra i cereali, è una coltura diffusa ovunque e soddisfa, con modeste importazioni di grani duri per la pastificazione, il fabbisogno nazionale. Tra gli altri cereali, hanno importanza il mais, soprattutto in funzione dell'alimentazione del bestiame, e il riso, la cui coltivazione è diffusa nella Pianura Padana. In netta espansione sono le colture orticole, tra le quali pomodori, cavoli, cavolfiori, carciofi e alcune leguminose, tutti prodotti di elevato valore commerciale. Le coltivazioni legnose presentano una notevole varietà di specie. La vite è diffusa ovunque, dalle Alpi alla Sicilia, e occupa, solo in coltura specializzata, oltre 1 milione di ha. L'olivo trova un ambiente climatico e terreni favorevoli in tutto il Centro-Sud e nella costa ligure, con più di 1 milione di ha. Gli agrumi (arance, mandarini e limoni) trovano condizioni ambientali favorevoli lungo le coste calabre e sicule e alimentano una notevole esportazione. Il frutteto (soprattutto mele, pere, albicocche e pesche) ha raggiunto livelli produttivi e qualitativi notevoli nella valle dell'Adige, nel basso Veneto, nelle pianure romagnole e nella Campania costiera. Di modesta importanza, nel complesso, le colture industriali, quali il tabacco (a coltura controllata dal monopolio di Stato) e la barbabietola da zucchero. Abbastanza vivace è la floricoltura, che ha le sue aree più rinomate in Liguria, nella provincia di Imperia e nel Lazio. Il patrimonio forestale è poca cosa, in Italia, a causa dei diboscamenti massicci e disordinati, attuati nel corso dell'ultimo secolo.
n Allevamento e pesca. Nel settore zootecnico si registrano miglioramenti qualitativi e quantitativi, ancora insoddisfacenti però nel settore bovino. Il patrimonio consta (1989) di circa 9 milioni di capi bovini, di oltre 9 milioni di suini e di oltre 12 milioni tra ovini e caprini. Relativamente ai bovini, soltanto nella Pianura Padana si è affermata l'azienda specializzata, con produzioni relativamente elevate di carne e latte, mentre altrove, particolarmente nelle piccole aziende mezzadrili e a conduzione diretta, l'allevamento si pratica in forme promiscue. La pesca ha quasi ovunque rammodernato le proprie attrezzature e una sempre maggiore incidenza nel pescato acquista il prodotto d'alto mare.
n Risorse minerarie. Le risorse del sottosuolo sono assolutamente inadeguate alle esigenze della nostra industria di trasformazione, almeno relativamente ai minerali di maggiore importanza. I minerali di ferro (di cui attualmente è cessata l'estrazione) sono presenti a Cogne, nell'Isola d'Elba e nella Nurra (Sardegna). Relativamente ricchi i giacimenti di minerali di zinco e piombo nella zona di Iglesias e nella Nurra. In Sardegna si trovano pure giacimenti di antimonio. Praticamente cessato lo sfruttamento dello zolfo per antieconomicità dell'estrazione. Il carbone è presente nella Valle d'Aosta, nel Friuli, in alcune località dell'Italia centrale, e in Sardegna. Il petrolio è praticamente tutto concentrato nei giacimenti di Gela e Ragusa (Sicilia), essendo limitate le produzioni della Padania, dell'alta Romagna e di Marche, Basilicata e Molise. Cospicua è la produzione di metano, tratto dai giacimenti della Sicilia, della Basilicata, del Foggiano, dell'alta Emilia e del delta padano. Sempre più fitta la rete di metanodotti, che alimentano tanto l'industria quanto i servizi domestici. Utilizzati a fini energetici e per l'estrazione di ammoniaca i soffioni boraciferi della Toscana (zona di Larderello).
n Industria. I settori più rappresentativi sono stati, nel corso degli ultimi anni, il metallurgico, il meccanico, l'elettrico, il chimico e l'edilizio. La siderurgia italiana, pur vantando antichissime tradizioni, si è sviluppata con notevole ritardo rispetto ai maggiori Paesi europei. Tra le produzioni meccaniche più importanti figurano l'automobilistica, concentrata soprattutto nella FIAT e in altre minori, l'elettrotecnica e l'industria delle macchine utensili. La chimica con la petrolchimica e la farmaceutica, settore di recente sviluppo, presenta un altissimo grado di concentrazione ed è per capacità produttive tra le più dinamiche in Europa. La partecipazione statale vi occupa un posto notevole con grandi impianti nella Pianura Padana e a Ravenna, Ferrandina (metano) e Gela. Per quanto riguarda l'energia elettrica (la cui richiesta è notevolmente aumentata in ragione dello sviluppo industriale), sfruttate quasi al limite le risorse idriche, derivate in massima parte dai rilievi alpini e dall'Appennino settentrionale, va aumentando continuamente l'apporto dell'energia termica, mentre l'esito di alcuni referendum popolari di fine anni Ottanta ha bloccato lo sviluppo del programma nucleare nazionale. Un grande sviluppo ha avuto, negli anni postbellici, l'industria edilizia, con conseguente incremento di tutti i rami di attività a essa collegati. L'impulso è derivato, dopo la ricostruzione, in parte notevole dall'edilizia residenziale, sollecitata dal fenomeno dell'urbanesimo, ma un apporto importante è stato dato anche dalle opere pubbliche. La crisi del settore è andata manifestandosi dalla fine degli anni Settanta. Nell'industria tessile, nei suoi due rami principali, laniero e cotoniero, è in corso un processo di ristrutturazione, che interessa soprattutto le unità minori. Efficienti sono invece le grandi imprese (Piemonte e Veneto) a ciclo integrato, o comunque collegate direttamente all'industria dell'abbigliamento. Notevole, nel settore, l'inserimento del tessile artificiale. L'industria delle calzature, salvo alcune eccezioni (Varese, Vigevano e Bologna), è caratterizzata dalla polverizzazione della produzione, che tuttavia non impedisce l'allargamento del mercato estero. Nel settore alimentare, l'Italia vanta affermati complessi, soprattutto nel campo zuccheriero, del pastificio e delle conserve (pomodori, frutta e legumi), che sorgono in Campania, Umbria, Emilia-Romagna, Lombardia e Veneto. L'industria casearia è tradizionale e rinomata in Lombardia, e in alcune zone dell'Emilia (Parma e Reggio) e del Piemonte.
n Turismo. Una voce importantissima nel quadro della bilancia dei pagamenti italiana, nonostante la concorrenza di alcuni paesi del Mediterraneo, è rappresentata dal turismo, un'attività economica di notevoli proporzioni e suscettibile di ulteriori incrementi, soprattutto nelle località del Sud.
n Comunicazioni. Un contributo notevole allo sviluppo economico del Paese è stato dato, nel secondo dopoguerra, dalla creazione di una vasta rete autostradale. Nel complesso, l'impianto stradale ha ricevuto un potenziamento superiore a quello registratosi nello stesso periodo nei più avanzati Paesi europei. Anche il traffico aereo interno, con la costruzione o l'ammodernamento di scali presso città periferiche, ha registrato un notevole sviluppo. L'incremento della motorizzazione e del traffico aereo impongono ora un più organico coordinamento tra la rete stradale (ca. 300.000 km), aerea e ferroviaria (ca. 20.000 km). I maggiori porti italiani, relativamente al movimento merci, sono: Genova, Venezia, Napoli, Augusta, Ravenna, La Spezia, Trieste, Livorno, Savona e Taranto.
n Commercio estero e bilancia dei pagamenti. Una parte cospicua degli scambi commerciali si svolge ormai con i Paesi associati della CEE, nel cui ambito non esistono più limitazioni quantitative e qualitative relativamente ai prodotti industriali, mentre ne sussistono alcune per determinati prodotti agricoli. Ma scarsi sono i vincoli anche negli scambi con i Paesi fuori dell'area comunitaria. Tra i maggiori partners figurano Francia, Germania, USA, Benelux e Gran Bretagna. Con i Paesi dell'Europa orientale il commercio (in via di incremento) è regolato invece dal bilateralismo. L'Italia importa soprattutto petrolio (greggio), ferro e acciaio, autoveicoli e loro parti, carne, carta, minerali e metalli, materie plastiche e prodotti chimici. Esporta prodotti agricoli e dell'industria alimentare, tessuti e abbigliamento, calzature, prodotti di oreficeria, materie plastiche, prodotti chimici, autoveicoli e macchinario vario. La bilancia commerciale è strutturalmente deficitaria, ma ad alleggerire il saldo passivo contribuiscono le entrate derivate dal turismo e da altre partite invisibili (rimesse degli emigrati, noli ecc.).
STORIA
L'ITALIA ANTICA
In epoca preistorica sono presenti in Italia due civiltà di origine indoeuropea: quella delle terremare a nord e quella villanoviana nel centro della penisola. Intorno all'VIII sec. a.C. i Greci fondarono colonie nell'Italia meridionale e in Sicilia; nello stesso periodo si hanno notizie degli Etruschi. Nel V sec. a.C. i Galli si stanziarono nella Pianura Padana. Nel III sec. a.C. l'Italia viene unificata dai Romani e fino alla caduta dell'Impero romano d'Occidente (476 d.C.) la sua storia s'identifica con quella di Roma.
L'ITALIA MEDIEVALE
Periodo romano-barbarico. Dopo un lungo periodo di invasioni da parte dei Goti e dei Vandali, nel 476, con la deposizione dell'ultimo imperatore Romolo Augustolo da parte del capo degli Eruli Odoacre, aveva fine l'Impero romano d'Occidente. Nel 493 Odoacre fu sconfitto da Teodorico, che fondò il regno ostrogoto. Il suo piano di politica interna tendente alla fusione delle due società, la romana e la germanica, fallì. Morto Teodorico, l'imperatore d'Oriente Giustiniano mosse alla conquista dell'Italia. La guerra greco-gotica (535-553) pose fine alla dominazione dei Goti e instaurò il dominio bizantino. Ma pochi anni dopo ai Goti succedettero i Longobardi, che riuscirono a occupare la maggior parte della penisola (568-569). La pace conclusa coi Bizantini nel 603 sancì formalmente la spartizione del Paese in due: l'Italia bizantina (che comprendeva i litorali veneto, ligure e toscano, l'esarcato di Ravenna, la pentapoli, i ducati di Roma e di Napoli, la Puglia, parte della Calabria, Sicilia, Sardegna e Corsica) e l'Italia longobarda con capitale Pavia (che comprendeva anche i due ducati di Spoleto e di Benevento). Sotto il re longobardo Liutprando, con la donazione di Sutri (728), si assiste alla costituzione di uno Stato della Chiesa, uno dei più potenti domini feudali d'Italia, mentre a Venezia si consolida un regime repubblicano autonomo da Bisanzio, retto da un doge elettivo. Nel 754 papa Stefano II chiamò in Italia Pipino il Breve, re dei Franchi, che sconfisse il re longobardo Astolfo.
Il Sacro Romano Impero. Nel 774, vinto Desiderio, Carlo Magno poneva fine al regno dei Longobardi, e nell'800, con la sua incoronazione, nasceva il Sacro Romano Impero. Con l'Impero carolingio le grandi invasioni barbariche erano finite; sorsero nuove strutture politiche e sociali (il sistema feudale e l'economia curtense), ma non si realizzò la fusione dei vari popoli, che continuarono, invece, a vivere ciascuno con i propri costumi e le proprie leggi. Alla morte di Carlo Magno si assisté da un lato alla frantumazione politica dell'Impero (e in Italia all'aprirsi di un lungo periodo di lotta tra i feudatari maggiori per il predominio sulla penisola), dall'altro alla progressiva corruzione e decadenza della Chiesa.
La lotta per le investiture. Il titolo di re d'Italia venne a lungo conteso, finché Ottone I di Sassonia scese in Italia e fu incoronato imperatore (962). Inizia in questo periodo un violento conflitto tra papato e Impero ('lotta per le investiture'), che ebbe il suo momento culminante nella scomunica inflitta da papa Gregorio VII all'imperatore Enrico IV e che si concluse nel 1122 con il Concordato di Worms.
Il periodo comunale. A partire dall'XI sec. si assiste in Italia alla dissoluzione del mondo feudale e alla creazione del libero Comune italiano. I comuni italiani, però, pur costituendosi in Stati autonomi, non intesero mai escludere del tutto le sovranità dell'Impero o del papato, ma soltanto limitarne il potere e stabilirne i diritti. Dalla trasformazione economica e da una più attiva vita politica e commerciale emerse una nuova classe, la borghesia, destinata a rimuovere le strutture della società. I comuni trovarono i maggiori ostacoli al proprio sviluppo economico sia nell'Impero (nella battaglia di Legnano del 1176 la Lega lombarda si scontrò con Federico I Barbarossa), sia nelle guerre tra comuni vicini o tra fazioni dello stesso comune (guelfi e ghibellini, neri e bianchi ecc.). Mentre nel Nord nascevano i comuni, i Normanni con l'appoggio del papa conquistavano il Mezzogiorno. Nel 1127 Ruggero II si proclamava Rex Siciliae et Italiae, divenendo l'incontrastato signore dell'Italia meridionale. Per garantire la propria sovranità e indipendenza, il papato cercò d'impedire che un imperatore estendesse il suo dominio al resto della penisola. Pertanto i papi combatterono Federico II e la dinastia sveva fino alla sua totale distruzione (a opera di Carlo d'Angiò nella battaglia di Benevento, 1266). In seguito alla guerra del Vespro (1282), la dinastia angioina dovette cedere la Sicilia agli Aragonesi di Spagna e contentarsi del Regno di Napoli, che nel 1442 venne conquistato da Alfonso d'Aragona. Nel XIII sec. sopra tutti gli altri comuni avevano raggiunto grande espansione e potenza le repubbliche marinare italiane, le quali avevano tratto incalcolabili benefici dalle crociate, estendendo il loro dominio in Oriente e nel Mediterraneo. Dopo l'eliminazione di Amalfi dalla scena politica, Genova aveva lottato contro Pisa riuscendo vincitrice nella battaglia della Meloria (1284). Genova e Venezia erano rimaste a contendersi il predominio in Oriente, ma la guerra di Chioggia (1378-1381) poneva fine alla potenza di Genova.
Le signorie. Altri comuni importanti dell'Italia settentrionale, in seguito alle logoranti lotte di fazione, si trasformarono in signorie e principati. Tra le molte signorie che fiorirono nel XIII e XIV sec. le più importanti furono quelle di Milano (i Visconti e gli Sforza) e di Firenze (i Medici). Quanto più s'affermavano le signorie in Italia e gli Stati nazionali in Francia e in Spagna, tanto più declinavano la potenza e il prestigio di quelle istituzioni medievali ch'erano l'impero e il papato. L'imprigionamento di Bonifacio VIII (1303) da parte degli agenti di Filippo il Bello e il trasferimento in Francia (cattività avignonese, 1305-1377) della sede del papato rivelarono la condizione politica di quest'ultimo, ormai prigioniero della monarchia francese. Anche l'Impero aveva perso ormai ogni significato reale. Enrico VII di Lussemburgo, invocato da tutti i ghibellini dell'epoca, sceso in Italia nel 1310, moriva tre anni dopo senza essere riuscito ad affermare l'autorità imperiale. Verso la metà del Quattrocento la Repubblica di Venezia, Milano, Firenze, lo Stato Pontificio e il Regno di Napoli, dopo quasi un secolo di lotte, non essendo riuscito nessuno a prevalere sugli altri, si accordarono (pace di Lodi, 1454) sulla convenienza per tutti di mantenere una politica di equilibrio. In tale periodo poterono essere coltivati gli studi e le arti: col Rinascimento l'Italia conquistò il primato intellettuale ed artistico in Occidente.
L'ITALIA MODERNA
Le guerre di predominio in Italia. La fine del Quattrocento coincise con la crisi della libertà italiana. Vantando diritti sul Regno di Napoli, quale discendente degli Angioini, il re di Francia, Carlo VIII, chiamato da Ludovico il Moro, scese in Italia e occupò il Regno di Napoli. Di fronte alla resistenza degli Stati italiani, Carlo VIII decise di ritirarsi, ma il tentativo di conquista fu ripetuto da Luigi XII, che occupò il Ducato di Milano (1500). Le lotte per la supremazia in Italia continuarono tra Francesco I e Carlo V.
L'Italia durante la Controriforma. Il trattato di Cateau-Cambrésis (1559) consacrava definitivamente il predominio spagnolo in Italia. Rimanevano indipendenti: lo Stato Pontificio, il Ducato di Savoia, Venezia e il Granducato di Toscana. La dominazione spagnola (1559-1713) coincise con il periodo di più profonda decadenza delle nostre arti e delle nostre lettere, con la più grave depressione economica, col più rigido conformismo morale e religioso. Al Rinascimento subentrava la Controriforma lungo le linee tracciate dal Concilio di Trento (1545-1563).
La fine del predominio spagnolo. Nella prima metà del Settecento, durante le guerre di successione spagnola e austriaca, acquistarono sempre maggior rilievo nella storia italiana i duchi di Savoia, che ottennero la Sardegna e il titolo regio, mentre al predominio spagnolo si andava sostituendo quello austriaco (trattati di Utrecht e di Rastadt, 1713-1714; pace di Aquisgrana, 1748).
L'Illuminismo e l'età napoleonica. Nella seconda metà del Settecento l'Illuminismo destò in Italia, specialmente a Napoli e a Milano, un grande fervore di studi e di riforme politiche, sociali ed economiche (C. Beccaria, A. Genovesi, i due Verri). Nello stesso tempo si cominciarono a chiarire sempre più i concetti di nazione e d'indipendenza e le aspirazioni all'unità: si ponevano le premesse ideali del Risorgimento. Durante il periodo napoleonico (1796-1814) i più importanti avvenimenti furono la creazione della Repubblica Cispadana e della Repubblica Cisalpina (1797), che divenne Repubblica italiana nel 1802 e Regno d'Italia nel 1805, la creazione delle similari repubbliche Ligure, Romana e Partenopea nel Regno di Napoli (1798-1799), la scomparsa della Repubblica di Venezia (1797: trattato di Campoformido) e la soppressione (1798 e 1808) dello Stato Pontificio.
Il Risorgimento. Con la restaurazione dell''antico regime e col ritorno dei vecchi sovrani assolutisti nacquero le società segrete e si ebbero i primi moti per l'indipendenza. Il Risorgimento d'Italia fu opera di pensatori come Mazzini, Gioberti, Cattaneo, di condottieri come Vittorio Emanuele II e Garibaldi e di politici come Cavour. Mazzini fondò a Marsiglia nel 1831 la Giovine Italia, con il compito di fare l'Italia «una, libera, indipendente, repubblicana». Il partito moderato, che contava uomini come Cesare Balbo, Massimo d'Azeglio e Camillo Benso di Cavour, sosteneva, invece, la necessità dell'appoggio diplomatico e militare da parte degli altri Stati, mentre Gioberti era fautore di una federazione italiana sotto la presidenza del papa. L'anno cruciale delle rivoluzioni nazionali in Europa fu il 1848. In Italia reazioni antiaustriache si ebbero a Venezia, Milano e Brescia (Cinque Giornate). Carlo Alberto, concesso lo Statuto e accorso in aiuto dei Milanesi, il 23 marzo varcava il Ticino e dichiarava guerra all'Austria. Anche altri principi italiani, sotto la pressione dell'opinione pubblica, parteciparono all'impresa con l'invio di truppe e di materiali. Successivamente, però, seguendo l'esempio di Pio IX, i sovrani ritirarono i propri eserciti dal conflitto. Battuto a Custoza (23-25 luglio 1848) da Radetzky, Carlo Alberto chiese l'armistizio (detto di Salasco, dal nome del generale firmatario). Nel 1849 la guerra fu ripresa, ma questa volta il conflitto durò appena tre giorni e finì con la disfatta di Novara (23 marzo). Carlo Alberto abdicava in favore del figlio Vittorio Emanuele II e partiva per Oporto in volontario esilio, mentre a Roma veniva proclamata la Repubblica, retta da un triumvirato (Mazzini, Saffi, Armellini). Ma le truppe francesi, inviate da Luigi Napoleone, abbatterono la Repubblica Romana e ristabilirono il governo pontificio. Anche Venezia dovette capitolare di fronte agli Austriaci. Falliti i programmi di Gioberti e di Mazzini, si fece strada l'idea che la via più efficace per raggiungere l'indipendenza fosse quella di porre il Piemonte alla guida del movimento rinascimentale nazionale. Questo fu il disegno di Camillo Benso di Cavour e di Vittorio Emanuele II. Cavour, presidente del Consiglio nel 1852, decise la partecipazione delle forze piemontesi alla guerra di Crimea (1854-1855), intervento che gli permise poi di porre il problema italiano davanti alle potenze occidentali al congresso di Parigi. La sua azione condusse all'alleanza con Napoleone III, che a Plombières (1858) s'impegnava segretamente ad aiutare il Piemonte nel caso in cui fosse stato aggredito dall'Austria. La II guerra di indipendenza (1859), preparata e condotta d'accordo con l'imperatore francese, ebbe un epilogo improvviso e inaspettato nell'armistizio di Villafranca, firmato da Napoleone III all'insaputa del governo piemontese, dopo le vittorie franco-italiane di Solferino e San Martino, che avevano aperto la via per un'azione nel Veneto. Vittorio Emanuele II dalla pace di Zurigo ottenne la Lombardia. Cavour, amareggiato, si dimise, ma l'anno dopo, in seguito ai moti popolari scoppiati in Toscana, a Parma, Modena, Bologna e in Romagna, che chiedevano l'annessione al Piemonte, accettò di formare un nuovo ministero e ottenne da Napoleone III che in quegli Stati fossero indetti plebisciti. In cambio delle annessioni, Nizza e Savoia andarono alla Francia (1860). Nel frattempo la spedizione dei Mille (maggio-settembre 1860) guidata da Garibaldi, si concludeva con la conquista della Sicilia e la presa di Napoli (7 settembre).
Il Regno d'Italia. Il plebiscito del 21-22 ottobre univa il Regno delle Due Sicilie a quello di Vittorio Emanuele II. Il 17 marzo 1861 a Torino veniva proclamata la costituzione del nuovo Regno d'Italia. Il Veneto venne all'Italia con la III guerra d'indipendenza (1866), dopo che la Prussia, alleata dell'Italia, ebbe vinto l'Austria a Sadowa e nonostante le sconfitte italiane di Custoza e di Lissa. Restava ancora aperta la questione romana. I tentativi di occupare Roma da parte dei patrioti italiani (episodio dei fratelli Cairoli a Villa Glori) spinsero Napoleone III a inviare a Roma un corpo di spedizione, che batté i garibaldini a Mentana (1867). Dopo la disfatta di Sedan (1870) e la partenza del presidio francese da Roma, il generale Cadorna prendeva finalmente la città (breccia di Porta Pia, 20 settembre 1870), che un plebiscito popolare annetteva al Regno d'Italia. Protestando solennemente, Pio IX si ritirò dal Quirinale in Vaticano, dichiarandosi prigioniero dello Stato italiano, alla cui vita politica per decenni ai cattolici italiani fu vietato di partecipare («non expedit»). Nel 1876 la Destra, che dovette affrontare i gravi problemi finanziari e amministrativi legati alla avvenuta unificazione nazionale, fu battuta alle elezioni e salì al potere la Sinistra. Durante i governi Depretis furono approvate leggi importanti come quelle per l'istruzione primaria obbligatoria (1879) e per l'estensione del diritto di voto, e prese iniziative centrali sul piano della politica estera, quale la stipulazione della Triplice Alleanza con Germania e Austria-Ungheria nel 1882. Nel 1887, alla morte del Depretis, gli succedeva F. Crispi, che parallelamente ad un'azione repressiva nei confronti del movimento socialista che si andava rafforzando, iniziò una politica di imprese coloniali (Eritrea e Abissinia) alle quali il Paese non era preparato. Dopo la disfatta di Adua (1896), di cui egli fu ritenuto responsabile, Crispi scomparve dalla scena politica. La sommossa popolare di Milano (6-8 maggio 1898), repressa senza pietà dal generale Bava-Beccaris, scatenò una reazione a catena contro l'estrema sinistra e le forze cattoliche progressiste. In questo clima avviene l'uccisione di re Umberto I da parte dell'anarchico Bresci (29 luglio 1900).
L'età giolittiana. Il Paese ritrova il proprio equilibrio nel governo di A. Giolitti, uno dei più abili statisti che l'Italia abbia avuto. La sua politica liberale e progressista fu caratterizzata dall'impulso dato all'espansione economica, agricola e industriale del Paese, dalle concessioni che fece alla classe operaia, a partire dalla legge sul suffragio universale, dal rientro dei cattolici nella vita politica. Intanto si andava affermando un forte movimento nazionalista, che sosteneva la ripresa della politica coloniale, che si ebbe nel 1911 con la guerra contro la Turchia e la conquista della Libia. La vittoria elettorale dei socialisti e dei cattolici nel 1913 portò alle dimissioni di Giolitti, al quale succedette Salandra (1914).
La guerra e la crisi del dopoguerra. Dopo una dichiarazione di neutralità (1° agosto 1914), sotto la pressione delle correnti interventiste, il governo aderì alla Triplice Intesa (trattato di Londra, aprile 1915) e dichiarò guerra all'Austria (24 maggio), sperando di completare l'unità territoriale. La guerra comportò notevoli sacrifici, ma fu coronata nel novembre 1918 dalla vittoria. I trattati di San Germano (1919) e di Rapallo (1920) concedettero all'Italia Trentino, Alto Adige, Trieste, Istria e Zara. Ma gli Italiani rimasero delusi dal trattamento ricevuto dagli alleati. La crisi morale si aggiunse alla crisi economica: chiusura delle fabbriche di guerra, bilancio deficitario, svalutazione della lira. Le elezioni del 1919 segnarono una netta avanzata dei cattolici del Partito popolare italiano, fondato al principio dell'anno da L. Sturzo, e del Partito socialista. Due anni dopo, al congresso di Livorno, una frazione del Partito socialista fondava il Partito comunista.
Il fascismo. Dopo lo sciopero generale e l'occupazione delle fabbriche, la crisi costituzionale sfociò in un regime autoritario e antidemocratico: il fascismo. Dopo la marcia su Roma (ottobre 1922) e la nomina di Mussolini a primo ministro, l'opposizione, dopo le elezioni politiche del 1924 svoltesi con una legge-truffa di tipo maggioritario (legge Acerbo), ebbe un ultimo sussulto con la denuncia delle violenze elettorali da parte del socialista Giacomo Matteotti, che pagò con la vita il suo gesto generoso (10 giugno 1924). L'incertezza e gli errori dei partiti antifascisti (v. Aventino) permisero a Mussolini (discorso alla Camera del 3 gennaio 1925) d'inaugurare un regime totalitario. L'opposizione aperta al fascismo si trasferì all'estero, tra gli emigrati o fuorusciti (Nitti, Sturzo, Turati, Treves, Salvemini, Silone ecc.). In politica interna il fascismo realizzava importanti opere pubbliche, come la bonifica dell'Agro Pontino; riusciva poi a rialzare il prestigio nazionale risolvendo definitivamente la questione romana con la Conciliazione del 1929. Il conflitto italo-etiopico (1935-1936) e le sanzioni economiche contro l'Italia, decise dalla Società delle Nazioni, avvicinarono sempre più l'Italia fascista alla Germania nazista (Asse Roma-Berlino, 1936). Durante la guerra civile spagnola (1936-1939) il governo fascista inviava insieme con quello hitleriano notevoli aiuti al generale Franco. Scoppiata la seconda guerra mondiale, l'Italia, dopo aver proclamato in un primo tempo la non belligeranza, interveniva nel giugno 1940, quando la Francia era già sconfitta. Ma per l'Italia, a causa dell'impreparazione militare e dell'impopolarità della guerra, il conflitto doveva risolversi in un disastro nazionale.
La caduta del fascismo e la liberazione. Messo in minoranza alla seduta del Gran Consiglio, Mussolini fu arrestato (25 luglio 1943) per ordine del re e l'incarico di formare il governo fu dato a Badoglio, il quale, il 3 settembre, firmava l'armistizio di Cassibile con le forze alleate. Mentre i Tedeschi minacciavano Roma, il re col governo riparava a Brindisi. Il 13 ottobre l'Italia dichiarava guerra alla Germania e veniva riconosciuta dagli Alleati come cobelligerante. Da parte sua Mussolini, liberato dai Tedeschi, proclamava a Salò la Repubblica Sociale Italiana. Il Paese si trovò diviso in due parti: il Sud (fino alla Campania) in mano agli Alleati e sotto il governo di Vittorio Emanuele III, il quale conservava il regno sino all'occupazione di Roma per un accordo intervenuto tra i partiti antifascisti (tregua istituzionale); il resto in mano ai Tedeschi e ai fascisti. Dopo la liberazione di Roma da parte deller truppe alleate (4 giugno 1944) il governo tornava alla capitale e il re cedeva i poteri sovrani al figlio Umberto, luogotenente generale del Regno. Il Comitato di Liberazione Nazionale formò il primo ministero Bonomi con la partecipazione dei partiti antifascisti. Il nuovo governo decise l'epurazione nelle amministrazioni statali e la costituzione del CLNAI per dirigere la lotta partigiana al Nord (v. Resistenza). La liberazione si compì il 25 aprile 1945. Mussolini veniva catturato e giustiziato il 28 aprile.
La Repubblica italiana. Dopo un secondo gabinetto Bonomi e un governo presieduto da Parri, capo della Resistenza nel Nord, assunse le redini del potere il leader della Democrazia Cristiana A. De Gasperi (dicembre 1945), il quale diresse il Paese per quasi otto anni (dal 1947 senza i comunisti e i socialisti al governo). Nel 1946 Vittorio Emanuele III fu indotto ad abdicare in favore di Umberto II (9 maggio), ma il referendum istituzionale del 2 giugno risolveva la questione a favore della Repubblica (con 12.717.923 voti contro 10.719.284 andati alla monarchia). Dalle elezioni nacque la Costituente, chiamata a dare alla Repubblica gli ordinamenti costituzionali. Nel 1947 veniva firmato il trattato di pace, assai duro sia per le clausole militari sia per quelle concernenti le colonie. Il 1° gennaio 1948 entrava in vigore il testo della Costituzione repubblicana. Con le elezioni del 18 aprile 1948 la Democrazia Cristiana otteneva la maggioranza assoluta alla Camera e apriva la stagione dei governi 'centristi'. L. Einaudi veniva eletto alla presidenza della Repubblica. La politica estera di De Gasperi portava l'Italia a inserirsi nel sistema atlantico e nell'ambito della Comunità europea. Nel 1954 Trieste veniva restituita all'Italia. Nel 1955, presidente della Repubblica G. Gronchi, l'Italia era ammessa all'ONU. L'anno dopo, il processo di destalinizzazione e i fatti di Ungheria portarono a una crisi nei rapporti tra i partiti di sinistra (PSI e PCI) e a un lento, ma progressivo riavvicinamento dei socialisti ai partiti democratici di centro (DC, PRI, PSDI). Si preparava così lentamente l'assunzione di responsabilità di governo da parte dei socialisti (gabinetti Moro) con la cosiddetta formula di centrosinistra (primi anni Sessanta). L'elezione del socialdemocratico G. Saragat (1964) a presidente della Repubblica dopo la presidenza Segni (1962-1964) affrettava il processo di unificazione dei partiti socialisti PSI e PSDI. Dopo il varo di importanti riforme (nazionalizzazione dell'energia elettrica, riforma della scuola) il Parlamento rivelava tuttavia la propria fragilità, specchio del moltiplicarsi di correnti in seno ai partiti e riflesso anche degli effetti di quell'espansione economica che instaurava una politica di tensione tra governo e sindacati. Il mondo del lavoro premeva per il riconoscimento dei propri diritti, formalizzati in uno Statuto, e forti rivendicazioni salariali; il mondo dei giovani dava vita nel 1968 a clamorose contestazioni del regime sociale politico e culturale dominante. L'autunno caldo del 1969 sanzionava l'inquietudine e le attese dei lavoratori, fino a far temere, dopo il tragico attentato terroristico alla Banca Nazionale dell'Agricoltura di Milano (dicembre 1969), una crisi di regime. Sotto la presidenza di G. Leone (1971-1978) andò accentuandosi una crisi economica e sociale (segnata dal diffondersi del terrorismo e da numerose stragi) che entrava in una fase acuta proprio nel 1978, anno in cui venne rapito e ucciso dalle Brigate Rosse il presidente della DC Aldo Moro, fautore dell'ingresso nell'area di governo del PCI, che nelle elezioni amministrative del 1976 aveva di fatto raggiunto la parità con il Partito democristiano e che, per la prima volta, diede l'appoggio a un monocolore DC presieduto da G. Andreotti; l'appoggio venne meno all'inizio dell'anno successivo e portò alle elezioni anticipate. Il terrorismo intensificò la propria azione destabilizzante. La presidenza di A. Pertini (1978-1985) riuscì a restituire una certa fiducia al Paese nonostante un succedersi di scandali a diversi livelli, primo fra tutti quello della loggia massonica P2, il crack del Banco Ambrosiano, il dilagare delle interferenze mafiose. Il 4 agosto 1983 venne instaurato il primo gabinetto a direzione socialista nella storia della Repubblica: primo ministro Bettino Craxi, che s'impegnò nella lotta contro l'inflazione, fornì garanzie di fedeltà alla NATO e definì i rapporti col Vaticano (nuovo Concordato del 17 febbraio 1984). Alla scadenza del mandato di Pertini, il 24 giugno 1985, viene eletto presidente della Repubblica F. Cossiga. Il governo Craxi deve dimettersi nel marzo 1987 a causa dei contrasti fra le due principali forze politiche (DC e PSI) della coalizione di 'pentapartito' (DC, PSI, PRI, PSDI e PLI). Ma dopo il breve Gabinetto Fanfani, che porta alle elezioni anticipate del giugno 1987, gli stessi cinque partiti tornano insieme nel governo guidato dal democristiano G. Goria, al quale è succeduto (nell'aprile del 1988) C. De Mita, dimessosi nel luglio 1989 in favore di G. Andreotti, che nel 1991 ha varato un nuovo governo senza il sostegno del PRI. Nel 1991 il PCI ha mutato il nome in Partito democratico della sinistra (PDS). Mentre si faceva sempre più generale la richiesta di riforme istituzionali per rafforzare le capacità di governo e ridurre la preponderanza dei partiti sulle istituzioni e nell'economia pubblica, le elezioni politiche del 1992 segnavano -- con la sconfitta di DC, PSI e PDS e la forte avanzata della Lega Nord-Lega Lombarda -- una destabilizzazione del quadro politico tradizionale. Gli assetti politici entrarono definitivamente in crisi di fronte al moltiplicarsi delle inchieste giudiziarie (a partire da quella di 'Mani pulite' a Milano, febbraio 1992) che svelarono un diffusissimo quadro di corruzione, tangenti, collusioni politico-economiche ('Tangentopoli') e arrivarono a coinvolgere i gruppi dirigenti del pentapartito, in particolare della DC e del PSI. Estremamente violento si faceva anche l'attacco mafioso ai poteri dello Stato (assassinii dei giudici G. Falcone e P. Borsellino, maggio-luglio 1992). Nel maggio 1992 venne eletto alla presidenza della Repubblica (dopo le dimissioni anticipate di F. Cossiga) Oscar Luigi Scalfaro. Il socialista G. Amato formò un governo DC-PSI-PSDI-PLI, che firmò un accordo con sindacati e Confindustria per l'abolizione della scala mobile sui salari e la riduzione del costo del lavoro in funzione antinflazionistica. Nell'aprile 1993 un referendum popolare introdusse per il Senato il voto maggioritario a un turno unico, segnale della volontà del paese di 'voltare pagina'; a guidare un governo tecnico non concordato con i partiti venne chiamato l'ex governatore della Banca d'Italia C.A. Ciampi. L'inchiesta su Tangentopoli investiva anche i grandi nomi della finanza. L'approvazione di una nuova legge elettorale con prevalenza del maggioritario (agosto 1993), il tracollo di DC e PSI e dei partiti minori di centro e la netta affermazione della Lega Nord e delle sinistre alle elezioni amministrative (maggio e dicembre 1993) furono alla base di un mutamento del panorama politico (gennaio-febbraio 1994). La DC, rinnovata, prese il nome di Partito Popolare Italiano. Per le elezioni politiche del marzo 1994 nell'area di centro-destra sorsero le nuove formazioni di Forza Italia dell'imprenditore S. Berlusconi, di Alleanza Nazionale (capeggiata dal segretario del MSI G. Fini, che nel 1995 ha guidato la trasformazione del MSI in AN e ha abbandonato i richiami al fascismo) e del Centro Cristiano Democratico (CCD), fuoriuscito dalla DC, che si coalizzarono con la Lega Nord nel Polo delle libertà e del buongoverno; al centro il PPI si alleò con M. Segni nel Patto per l'Italia; le sinistre si coalizzarono nel raggruppamento dei Progressisti (PDS, Rifondazione Comunista, PSI, Verdi, Alleanza Democratica, La Rete, Cristiano-sociali). Le elezioni hanno dato la maggioranza alla Camera dei Deputati al Polo delle libertà, il cui leader S. Berlusconi formò (maggio) un governo, che nel dicembre si dovette dimettere per il passaggio all'opposizione della Lega Nord. Nel gennaio 1995 Scalfaro ha promosso la formazione di un governo di tecnici presieduto da L. Dini, già ministro del tesoro nel governo Berlusconi. La non accettazione da parte di Dini della richiesta del centro-destra di dimettersi entro giungo per consentire le elezioni ha fatto sì che Forza Italia e AN non sostenessero il governo tecnico. Questo incentrava la sua azione su quattro punti: riforma elettorale, manovra economica, riforma pensionistica e emanazione di nuove norme sui mezzi di comunicazione, trovando il pieno sostegno del centro-sinistra. Le elezioni amministrative di aprile si concludevano con il successo della sinistra, mentre i referendum di giugno vedevano la vittoria del Polo delle libertà soprattutto per quelli riguardanti le televisioni. Il governo Dini appariva in grado di durare a lungo, soprattutto per la necessità, sostenuta anche dal capo dello stato, di evitare il voto nel semestre di presidenza italiana dell'Unione Europea. Nel frattempo Romano Prodi, ex presidente dell'IRI, si candidava come futuro premier di una coalizione , che prendeva il nome di Ulivo, formata dai maggiori partiti di centro-sinistra (PDS, PPI, Patto Segni, Verdi, SI,) in previsione delle elezioni. L'adesione del PPI al programma di Prodi portava a una divisione all'interno del partito e alla nascita in luglio del CDU guidato da R. Buttiglione. All'inizio del gennaio 1996 il governo Dini veniva dichiarato decaduto e venivano indette le elezioni per aprile. Lo scontro elettorale vedeva uscire vittoriosa la coalizione dell'Ulivo e un inaspettato successo della Lega Nord soprattutto nelle regioni del Nord. Romano Prodi in maggio formava un governo di centro-sinistra senza rappresentanti del Polo delle Libertà e della Lega. Nel maggio 1998 il governo di Romano Prodi ha raggiunto un importante risultato con l'ingresso dell'Italia nella moneta unica europea.
LINGUA E LETTERATURA
LINGUA E DIALETTI
L'italiano è una lingua neolatina o romanza appartenente al gruppo orientale. I dialetti parlati in Italia si dividono principalmente in settentrionali e centromeridionali, secondo il confine segnato dalla linea che va da La Spezia a Rimini. Sono invece considerate lingue regionali il sardo e il ladino. I primi esempi di volgare scritto riguardano un'area piuttosto estesa dell'Italia: essi sono l'Indovinello veronese (secc. VIII-IX), un glossario italo-greco del X sec., probabilmente di Pavia, il Placito di Capua (960), la Postilla amiatina (1087), le iscrizioni nella basilica inferiore di San Clemente a Roma (posteriori al 1084). La prima lingua d'arte nasce alla corte siciliana di Federico II di Svevia. L'uso del volgare come lingua della cultura comincia ad affermarsi nel quadro del rinnovamento sociale che vede con i comuni l'apparire di una nuova classe borghese di imprenditori e di mercanti e di un nuovo pubblico letterario. Alla fine del XIII sec. Firenze acquista una posizione di privilegio, che manterrà durante la prima metà del secolo successivo: la divulgazione delle opere di Dante -- la Commedia, in particolare -- e, successivamente, del Petrarca e del Boccaccio suscitò una fioritura di imitazioni che ne riproponevano le caratteristiche stilistiche e grammaticali. La divisione politica degli Stati italiani non consente l'affermarsi di una lingua comune. L'Italia, per secoli, ha avuto soltanto una debole unità culturale. In tal modo si spiega come, nella prima metà del Quattrocento, il grande progresso della latinità umanistica possa minacciare le posizioni conquistate dal volgare. Nel Cinquecento, la questione della lingua (lingua fiorentina, toscana o italiana) tradisce il distacco esistente tra il mondo delle lettere e il problema concreto dell'espressione rivolta a un pubblico più ampio di quello della corte. Ancora alla prima metà dell'Ottocento, l'italiano è una lingua scritta e conosciuta da un'esigua minoranza intellettuale. Ad Alessandro Manzoni spetta il merito di aver creato una lingua viva e moderna, foggiata su quella in uso presso i Fiorentini colti. La realizzazione dell'unità contribuisce in maniera determinante all'affermarsi di una lingua comune, patrimonio di tutta la nazione.
LETTERATURA
n Le origini e il Duecento. La letteratura italiana nasce solo nel XIII sec., in forte ritardo sulle altre letterature europee, per la forza di conservazione del latino. Punto di partenza è la fondazione della Scuola poetica siciliana, fiorita tra il 1230 e il 1270 ca. alla corte di Federico II. I testi arcaici precedenti (Laurenziano, Cassinese, di Sant'Alessio) della fine del XII sec. e il Cantico delle creature di s. Francesco (1224) sono già componimenti letterari, ma la loro apparizione come fenomeni poetici è episodica. L'iniziativa della Scuola siciliana è invece unitaria: propone l'adozione di una lingua d'arte italiana (il volgare siciliano colto); elabora quelli che saranno i metri principali della lirica posteriore: la canzone e il sonetto, ispirandosi ai modelli provenzali. La sconfitta di Benevento, con la morte di re Manfredi (1266), disperde la Scuola. Ma il suo ricupero era già avvenuto in Toscana: i testi siciliani vi si diffondono, linguisticamente toscanizzati, mentre i rimatori delle varie province della regione (Guittone d'Arezzo, Chiaro Davanzati) ne assimilano temi, schemi e linguaggio arricchendoli di un fervore speculativo più vivacemente interessato ai tradizionali temi provenzali dell'amore, della cortesia e della virtù. Nasce la prosa in volgare nella quale elementi culturali diversi sono ancora confusi: Guittone d'Arezzo, Brunetto Latini, i vari 'fiori' (raccolte di proverbi, sentenze di filosofi, aneddoti con finalità morali), i volgarizzamenti del francese e del latino, le raccolte di novelle come il Novellino. L'uso del volgare subisce tuttavia ancora la concorrenza di altre lingue più autorevoli: il latino, che è pur sempre la lingua dei dotti, e il francese, che sembra preferibile per la sua larga diffusione (il Tresor di Brunetto Latini e il Milione di Marco Polo). Nel Veneto e in Italia settentrionale fioriscono, sin dalla fine del XIII sec., i poemi cavallereschi detti franco-veneti e una più originale produzione religiosa, sociale e moraleggiante, collegata al movimento ereticale lombardo della pataria (Girardo Patecchio, Uguccione da Lodi, Bonvesin de la Riva, Giacomino da Verona). In Umbria, la poesia religiosa ispirata a s. Francesco trova la sua espressione collettiva nella lauda, destinata a evolversi in primitiva rappresentazione drammatica (sacra rappresentazione): di essa si servì il più grande poeta religioso del tempo, Iacopone da Todi. La poesia religiosa ha il suo corrispettivo gioioso e terreno nell'ispirazione popolareggiante dei poeti comico-realistici o giocosi della Toscana (Rustico di Filippo, Cecco Angiolieri, Folgore da San Gimignano): malgrado l'apparente antiletterarietà dell'espressione, anche questa è poesia dotta. Lo stesso fenomeno si verifica con le tipiche forme popolari dell'alba e della ballata, che sono elevate a raffinato motivo lirico dai poeti del dolce stil novo. La poetica del bolognese Guido Guinizelli, estrema spiritualizzazione della concezione dell'amor cortese, è arricchita di toni personali, oltre che psicologicamente approfondita, nei poeti toscani (Guido Cavalcanti, Lapo Gianni, Gianni Alfani, Dino Frescobaldi, Cino da Pistoia e, soprattutto, Dante Alighieri).
n Il Trecento. Dante, nelle opere minori (Canzoniere, Vita nova, Convivio, De vulgari eloquentia, Monarchia), riassume i diversi aspetti di tale fervore. La Divina Commedia chiude ma anche informa un'età e nello stesso tempo la trascende, sottraendosi a ogni classificazione, come sempre avviene per i massimi capolavori. Il mondo del Boccaccio è più limitatamente fiorentino: il Decameron raccoglie un'ormai secolare eredità di cultura cittadina e borghese e segna la nascita del letterato capace di dominare la realtà, di osservarla con sereno distacco; tale vuol essere anche il Petrarca. Fondamentale è l'influenza di questo autore: la sua poesia sarà imitatissima e darà luogo al fenomeno del petrarchismo; la sua opera di rivalutazione dei classici sarà determinante per la cultura letteraria fino a tutto il Cinquecento. Nel Trecento la Toscana resta l'unico territorio d'intensa vita culturale. Qui la prosa in volgare si giova del vivo apporto dei cronisti fiorentini Dino Compagni e Giovanni Villani e delle prose di devozione, da quelle anonime nate in ambito francescano (come i Fioretti di s. Francesco) a quelle di Iacopo Passavanti, di Domenico Cavalca, di s. Caterina da Siena, di Andrea da Barberino (I Reali di Francia), di ser Giovanni Fiorentino (Il Pecorone), di Franco Sacchetti, uno dei pochi nomi da segnalare anche tra i rimatori del Trecento.
n L'Umanesimo e il Rinascimento. Nel Quattrocento si afferma la nuova cultura umanistica, che disdegna per un cinquantennio il volgare. Non mancano risultati degni di nota che fanno capo nella seconda metà del secolo al latino idillico del Pontano e a quello elegiaco del Poliziano. Ma la nuova cultura non è più soltanto cittadina o regionale, è nazionale, italiana. Centri di cultura sorgono un po' dovunque, nelle accademie e nelle corti. Firenze ha una funzione importantissima in quella rinascita del volgare che si afferma con l'intelligente mecenatismo di Lorenzo il Magnifico e negli scritti suoi e dei poeti da lui protetti, il Pulci e il Poliziano. A Venezia Giustinian, colto umanista, ingentilisce la lirica dialettale; a Ferrara il Boiardo assimila, nell'Orlando innamorato, con spirito diverso da quello che il Pulci rivela nel Morgante, l'ingenuità favolosa ed eroica dei cantari e romanzi cavallereschi; a Napoli lo stesso raffinato Sannazzaro non si sottrae al fascino della comicità umile e giullaresca. Nei primi decenni del Cinquecento il classicismo rinascimentale trova la sua più fortunata formulazione nelle Prose della volgar lingua di Bembo. È al petrarchismo che il Bembo diede un particolare impulso, proponendo un tipo di lirica che del Petrarca riconquistasse l'esperienza spirituale, oltre che i valori formali. Ma il petrarchismo (Della Casa, Tansillo, Gaspara Stampa, Vittoria Colonna, Michelangelo) generò una contrapposizione giocosa che ebbe soprattutto fortuna a Firenze, col Berni e col Lasca. L'antipetrarchismo fu uno dei modi con cui nel Cinquecento si espresse lo spirito comico di una borghesia spregiudicata che all'idealismo platonizzante di Bembo o a quello dei trattati di vita cortigiana contrapponeva un vivace realismo. Altri modi dello stesso atteggiamento si ritrovano nella novella (Bandello, Firenzuola, Straparola), nella poesia in latino maccheronico di Folengo, nell'opera di P. Aretino, di B. Cellini e soprattutto nel teatro comico. La commedia del Cinquecento (Ariosto, Aretino, Bibbiena, Caro, Della Porta) costituisce uno dei capitoli più vitali del teatro italiano e trova nella Mandragola di Machiavelli il suo capolavoro, capace di rispecchiare intero lo spirito di un secolo. Fuori delle grandi corti fioriscono sia la produzione anonima (la Venexiana) sia il teatro d'ispirazione contadina (Ruzzante, Calmo ecc.). Le tragedie del Cinquecento (Trissino, Rucellai, Giraldi) hanno invece valore soprattutto storico; più importante è la trattatistica che le accompagna (Giraldi, Scaligero ecc.). Grande, infine, il successo del 'dramma pastorale' che nell'Aminta del Tasso e nel Pastor fido del Guarini avrà i suoi capolavori. Esempio massimo di mirabile commistione di valori ideali e di spirito comico, di fantasia e di realismo è la poesia dell'Ariosto, il quale con l'Orlando furioso diede un modello insuperabile di arte rinascimentale. La coscienza critica del tempo s'incarna invece in Machiavelli, teorico realista, volto a costruire, nel Principe e nei Discorsi, i fondamenti di uno Stato forte, non soggetto, per la virtù dell'individuo e la saldezza delle istituzioni, all'avversità della fortuna. Diversamente da Machiavelli, Guicciardini accetta la situazione politica della sua epoca, svolge con scrupolo il compito di testimone della crisi, osserva la realtà con saggio discernimento, inteso a salvaguardare il proprio interesse 'particulare'.
n La crisi del Rinascimento e il Seicento. A metà del Cinquecento la crisi si manifesta come piena decadenza della civiltà rinascimentale. Nella letteratura, a un classicismo spontaneamente assimilato s'era sostituito un classicismo precettistico, in coerenza con il dogmatismo religioso e morale della Controriforma che impone la censura, la revisione degli stessi classici di 'pericolosa' lettura, l'Indice dei libri proibiti. Chi soffrì nella sua stessa anima questa crisi rinascimentale fu Torquato Tasso e da questa sofferenza derivò l'intensa elegia amorosa in perpetuo conflitto con un'autentica e travagliata religiosità, che è il motivo centrale della Gerusalemme liberata. Anche nella novellistica si anticipò il barocco con le novelle del Bandello, mentre solitaria apparve la voce di Giordano Bruno che traeva le regole dalla poesia e non avvinceva la poesia alle regole, fino ad arrivare, nel suo Candelaio, a mettere in satira ogni forma di pedanteria. Con Marino e i marinisti la poetica tardo-cinquecentesca della poesia come diletto si muta in quella della meraviglia, nel gusto di un secolo che tendeva alla pompa, alla sontuosità. Questa poetica anticlassicistica o della novità, formulata, forse più coerentemente che in altri, da Emanuele Tesauro, è presente in quasi tutti i poeti del secolo, da Chiabrera a Tassoni, fino alla schiera dei satirici e dei dialettali (G. C. Cortese e G. B. Basile). Cortigiana, raffinatamente colta o popolareggiante, la poesia esprimeva in definitiva una desolante povertà di contenuti. Una notevole eccezione è però costituita dal teatro tragico (Della Valle, C. de' Dottori); e non va dimenticato che nel Seicento si sviluppano la Commedia dell'arte e il melodramma. Nella prosa filosofica, il pensiero rinascimentale trova nelle opere di Bruno e di Campanella la sua combattiva formulazione, pagata col martirio o con la persecuzione. Alla cultura ufficiale (Botero, Segneri, Bartoli) si contrappone una cultura polemica (Sarpi, Boccalini, Tassoni). Nella lotta contro l'aristotelismo emerge la più grande figura del secolo, Galilei: erede del Rinascimento per la distinzione da lui operata tra fede e scienza e per l'efficacia della sua prosa caustica.
n Arcadia e Illuminismo. La scuola di Galilei (Torricelli, Viviani, Malpighi, Redi e Magalotti) collega la cultura italiana a quella europea. Ed essa può essere richiamata con orgoglio già nazionale dagli scrittori del Settecento, attenti a ricostruire le linee della storia civile e letteraria d'Italia con un infaticabile impegno di eruditi (Muratori, Scipione, Maffei, Tiraboschi), di polemisti e storici (Giannone), di scienziati e divulgatori della scienza (Morgagni, Spallanzani, Algarotti). Nella letteratura la reazione al 'mal gusto' barocco si definisce sul piano nazionale con la costituzione dell'Arcadia (1690), la cui funzione riordinatrice nelle forme metriche e nel linguaggio poetico giovò anche ai poeti più rinnovatori: a Metastasio e Goldoni per il teatro, allo stesso Parini per la poesia. Il rinnovamento culturale illuministico si accentra in Italia soprattutto a Napoli (con l'opera di A. Genovesi, G. Filangieri, F. M. Pagano, F. Galiani) e a Milano, che vede l'azione riformatrice della rivista Il Caffè, di Pietro Verri, di Cesare Beccaria. Nella prosa prevale la tendenza antitoscanizzante, contrastata dalla veneziana Accademia dei Granelleschi (con Carlo e Gasparo Gozzi) e da quella milanese dei Trasformati, ma sollecitata polemicamente da quella dei Pugni col Verri e più autorevolmente giustificata nel Saggio sulla filosofia delle lingue di Melchiorre Cesarotti. Nell'estetica, dove il geniale antiaristotelismo del Vico era rimasto per tutto il secolo inascoltato, il sensismo, abbracciato da Verri e Beccaria, offre un'immagine della poesia che può adattarsi con senso vivo del particolare e del concreto a tutti gli argomenti. Nella critica, infine, l'antipedantismo e l'antiretorica apparentano, pur nella loro diversità, i due maggiori critici del secolo, Baretti e Bettinelli. Arcadia e Illuminismo s'intrecciano inscindibilmente nel teatro d'ambiente del Goldoni e nella poesia satirica e sferzante del Parini.
n Preromanticismo e Romanticismo. Sullo scorcio del Settecento, la reazione all'Illuminismo si fa più viva: si evolve il gusto con la moda della poesia lugubre, cimiteriale, campestre, notturna, sintomo di una sensibilità preromantica nell'opera di A. Verri, A. Varano, I. Pindemonte. Non preromantico, ma 'protoromantico' è stato definito l'Alfieri, il cui titanismo scaturisce dal conflitto del sentimento, anelante a una libertà assoluta, con le leggi meccaniche della natura. Nell'atmosfera preromantica rientra anche il neoclassicismo, che il mito della bellezza scinde in due tendenze: quella illustrativa (Giordani, Monti); e quella intimamente conquistata da un'alta riflessione sulle disarmonie della vita che il Foscolo espresse nei maggiori sonetti, nelle Odi, nei Sepolcri e nelle Grazie. Milano fu, dopo il 1816, il centro d'irradiazione in Italia del Romanticismo, inteso dagli scrittori del Conciliatore (Di Breme, Berchet, Borsieri, Visconti) in un'accezione moderatamente polemica. Delle due direzioni prese in Europa dal Romanticismo, quella del lirismo soggettivo e quella del realismo, fu la seconda che soprattutto attecchì in Italia, imponendosi con un modello narrativo quale I Promessi Sposi di Manzoni, di alto valore poetico, ideologico e linguistico, ma esprimendosi anche in altre forme, come quella meno autorevole delle poesie milanesi e romanesche di Porta e Belli, con i quali il dialetto diventa mezzo espressivo di un'arte satirica e fortemente rappresentativa. La tendenza lirica e soggettiva del Romanticismo ha in Italia un solo grande nome: quello del Leopardi. Con Foscolo e Manzoni, Leopardi condivide l'ansia religiosa, ma rifiuta ogni consolazione, chiudendosi nella solitudine patetica ed eroica dell'idillio. Leopardi è dunque un isolato: la sua lirica 'pura' contrastava sia col prevalente conciliatorismo cattolico-liberale (che prende le mosse da Manzoni, Pellico, Gioberti e giunge al sentimentalismo pietistico, moralistico o paternalistico di Cantù, Prati, Tommaseo), sia col finalismo patriottico degli scrittori democratici (Mazzini, Berchet, Giusti, Guerrazzi), sia infine col populismo romanzesco entro al quale fa le sue prove narrative anche Nievo, staccandosi però dagli schemi del genere con Le confessioni di un italiano, romanzo di evocazioni storiche e autobiografiche. La coscienza critica romantica, fondata sul canone della letteratura come espressione della società, si riassume nella geniale attività di De Sanctis. Ma, intanto, nel meno fervido clima dell'Italia postrisorgimentale, il manzonismo era divenuto lo strumento linguistico della pubblicistica dei toscani o toscanizzanti (Bonghi, F. Martini, De Amicis); Carducci vi reagì rilanciando un classicismo di ampia prospettiva storica, ma sotterraneamente percorso da motivi romantici. Più fedeli alla lezione del realismo manzoniano gli scrittori lombardi e piemontesi della Scapigliatura, che reagivano al sentimentalismo alla Prati e Aleardi: movimento di notevole importanza, non misurabile sulle pagine di Boito, Praga, Tarchetti e del più tardo Dossi, ma nel suo fervore d'arte che determinò i più vari interessi ed esperimenti, aprendo la strada al verismo.
n Verismo e decadentismo. Anche il verismo accolse l'eredità del realismo manzoniano, contraddicendolo, però, per certi versi. La poetica del documento umano è praticata in modo diverso dai vari scrittori: Capuana, Serao, Fucini, Pratesi, De Roberto, Deledda, Pascarella e Di Giacomo. In Verga, il più grande narratore italiano dopo Manzoni, tale poetica si traduce nell'individuazione di alcuni temi essenziali, la religione della famiglia o della 'roba', sui quali egli costruisce nei Malavoglia e in Mastro don Gesualdo la sua dolorosa epopea dei vinti. Ma la poetica del documento non soddisfa altri narratori: per Fogazzaro resta solo come impianto romanzesco complicato da una problematica spiritualistica; per il D'Annunzio delle Novelle della Pescara, mezzo d'osservazione della vita elementare nei suoi dati coloriti e primordiali; per il Pirandello dei romanzi e dei racconti, infine, elemento oggettivo d'ambientazione borghese e comune cui si contrappone umoristicamente o tragicamente la dimensione soggettivistica del personaggio. Ma solo più tardi, con La coscienza di Zeno di Italo Svevo (1923), apparirà il grande romanzo d'analisi italiano. Nel clima verista della seconda metà dell'Ottocento fiorisce la produzione teatrale: più che il dramma borghese di Paolo Ferrari è infatti in primo piano il dramma verista, con Verga, con Carlo Bertolazzi, con Vittorio Bersezio, con Giuseppe Giacosa. Negli ultimi decenni dell'Ottocento e nei primi del Novecento il decadentismo penetra nel tradizionale e un po' chiuso organismo della poesia italiana. Pascoli assimila l'inquietudine simbolista e traduce i dati autobiografici in una poetica del 'mistero', di cui il poeta-fanciullino è lo smarrito cantore. D'Annunzio sembra in genere più attento a conservare le strutture tradizionali, ma nell'Alcyone si spinge al limite della strumentazione in senso fonico e musicale del linguaggio. Anche nel teatro la reazione antiverista avviene nel nome di D'Annunzio, che riporta sulla scena climi poetici e temi inconsueti. In opposizione si esprimono intimisti e crepuscolari (Gozzano, Corazzini), mentre i futuristi propongono, in nome di un'esagitata modernità, la rottura di ogni regola sintattica e grammaticale e di ogni legame col passato. Antidannunziano è quel teatro tra fantastico e simbolico che fu detto grottesco (Chiarelli, Rosso di San Secondo, Antonelli). Contemporaneamente primeggia il teatro di Luigi Pirandello, al cui tragico relativismo si contrappone il teatro di Ugo Betti, autore spietato nel mettere a nudo le piaghe e gli istinti più torbidi dell'uomo e della società.
n La letteratura contemporanea. Nel primo Novecento la cultura italiana tende a rinnovarsi in modi più riflessivi e profondi. La letteratura filosofica ha i suoi esponenti in Labriola, Croce, Gentile, Salvemini, Romagnosi, Cattaneo, Amari. La cultura militante delle riviste fiorentine (Il Leonardo, La Voce, Lacerba) di Prezzolini, Papini e Soffici e di quelle torinesi di Gobetti e di Gramsci diviene sempre più incisiva e aperta alle più vive innovazioni. Da Parigi Marinetti lancia il movimento futurista, cui si ricollegheranno dadaismo e surrealismo. La guerra interrompe questo fervore attivistico di cultura, ma in realtà fa maturare altre premesse. Nella poesia la posizione dei poeti nuovi (Campana, Onofri, Rebora, Sbarbaro, Saba, Ungaretti, Montale) si configura come proposta di una poesia pura, espressa in parole di intensa risonanza. Poesia dove i dati di una sofferta esperienza umana appaiono però ancora visibilmente, mentre nei poeti dell'ermetismo (Quasimodo, Gatto, Luzi, Parronchi, Bigongiari) la ricerca tecnico-letteraria sembra farsi più esclusiva e astratta. Gentile diviene intanto il filosofo ufficiale del fascismo, ma solo una parte degli intellettuali si presta all'ossequio formale verso il regime. Croce, isolato politicamente, accresce la sua autorità di pensatore, storico e critico con un'attività multiforme e coerente. La prosa tende a risolversi nel frammento di valore lirico, o all'elaborato saggio d'arte e all'elegante elzeviro, come negli scrittori della Ronda, da Cardarelli a Barilli, a Cecchi, a Baldini. L'ambizione al romanzo, tenuta viva da Tozzi, Borgese, Palazzeschi, Bacchelli, Bontempelli, Pea, Alvaro, si fa più palese sulle riviste fiorentine Solaria e Letteratura, aperte al confronto con la narrativa europea e americana, ma anche alla realtà. Nel decennio precedente e in quello immediatamente successivo alla seconda guerra mondiale si chiariscono le più interessanti esperienze narrative con Vittorini, Pavese, Bilenchi, Pratolini, Brancati, Moravia. Più appartata l'esperienza letterariamente composita e umanamente tormentata di Gadda. Il dopoguerra ha sancito il passaggio dalla prosa lirica al romanzo. I nuovi contenuti politici, sociali e morali si riflettono con esiti e accentuazioni tematiche diversi nell'opera di Carlo Levi, Bernari, Calvino e infine nel romanzo postumo ma fortunatissimo di Tomasi di Lampedusa, Il Gattopardo. La solitudine dell'uomo immerso in momenti storici sconvolgenti impronta la tematica di G. Bassani e di C. Cassola. La Ginzburg, la Banti e la Romano si affidano al ricupero della memoria. Elsa Morante s'impone con vigore sommo narratrice di livello internazionale con La storia. E mentre Buzzati entra nel mistero del surreale, G. Testori evoca un realismo pieno di sangue e di linfa. Gli fanno da controcanto la quotidianità meschina e disadorna delle opere di Mastronardi e di Bianciardi e l'acutissima analisi dell'alienazione del mondo industriale svolta da Volponi. Né si può dimenticare l'opera di G. Morselli, Ledda, Camon, Tomizza, Malerba, Arpino, Eco. In poesia, i versi più limpidi delle nuove generazioni, sull'eco di Caproni, Penna, Raboni, Fortini, Roversi, Zanzotto, si trovano in D. Bellezza e M. Cucchi. La critica letteraria è esercitata da studiosi attenti e raffinati quali Contini, Caretti, Getto, Binni, Asor Rosa, Barberi-Squarotti, Pampaloni, Fortini, Magris. Gli anni Ottanta e Novanta hanno visto emergere autori alla ricerca di nuovi linguaggi in sostituzione dei tradizionali, che alla luce di una società multimediale, sono apparsi ormai obsoleti. Pur non verificandosi la nascita di vere e proprie correnti sono emersi autori interessanti quali Benni, De Carlo, Del Giudice, Maurensing e Bufalino, insieme a personaggi il cui valore era già noto come Vassalli e Pontiggia. Per quello che riguarda la poesia si è assistito a una fioritura della poesia dialettale con esponenti come Guerra, Zanzotto e Pierro.
Italia (arte)
n Arte antica. L'arte italica, fiorita nella penisola dall'Età del Ferro all'età di Augusto, offre un panorama quanto mai vario e complesso, in cui si assommano caratteri comuni e manifestazioni regionali differenziate. Tra il III e il II sec. a.C. la diffusione della cultura greco-ellenistica porta alla formazione di una vera koinè italica, che confluisce poi, assieme alle componenti etrusche e greche, nell'arte romana (v. Roma).
n Arte paleocristiana. Le prime manifestazioni della nuova arte cristiana (pitture delle catacombe e sculture dei sarcofagi) si ricollegano alle esperienze della tarda romanità, sia nel linguaggio formale, sia per l'uso del materiale iconografico pagano con significato simbolico o funzione narrativa. L'architettura cristiana, sorta dopo l'editto di Costantino (313), si riallaccia a quella romana, adottando lo schema della basilica classica per le chiese (S. Maria Maggiore, S. Sabina a Roma) e quello a pianta centrale dei ninfei per mausolei e battisteri (mausoleo di S. Costanza, battistero lateranense a Roma), spesso ornati di mosaici. Il processo di maturazione del linguaggio artistico si manifesta in modo assai più esplicito e coerente nelle chiese e nei mosaici di Ravenna, capitale dell'Impero di Occidente e poi centro dell'Esarcato bizantino (mausoleo di Galla Placidia, battistero degli Ortodossi, V sec.; battistero degli Ariani, S. Apollinare Nuovo, S. Apollinare in Classe, S. Vitale, VI sec.).
n Arte medievale. Dall'VIII all'XI sec., in Lombardia l'eredità tardo-romana, ravvivata dai fermenti carolingi e ottoniani, porta lentamente alla formazione di un nuovo linguaggio, che prelude all'arte romanica, i cui primi segni si avvertono nell'architettura (battistero di Galliano, S. Maria Maggiore di Lomello). All'architettura romanico-lombarda (S. Ambrogio a Milano, secc. X-XI; S. Michele di Pavia, XII sec.) ed emiliana (cattedrali di Modena, Piacenza, Ferrara) si affianca, talora con caratteri vivamente differenziati, quella delle altre regioni: a Venezia (S. Marco), nelle Marche (S. Ciriaco ad Ancona); a Pisa (cattedrale e battistero); nel Lazio, dove si sviluppa il tipico gusto decorativo dei marmorari, come i Cosmati e i Vassalletto. Nell'Italia meridionale il romanico si fonde a volte con motivi bizantini e moreschi, determinanti soprattutto in Sicilia (cattedrali di Cefalù e Monreale). I motivi dell'architettura gotica, introdotti in Italia dai monaci cistercensi (abbazie di Fossanova, Casamari, S. Galgano), benché parzialmente accolti in ogni regione, sono temprati dal persistente gusto romanico e da un equilibrio spaziale di ascendenza tardo-antica. Di particolare interesse sono le architetture castellane dell'Italia meridionale all'epoca di Federico II e quelle civili dell'Italia centrosettentrionale (Volterra, Firenze, Siena, Como, Piacenza). Anche nella scultura, come nell'architettura, l'influsso innovatore dell'arte lombarda si diffuse in tutta l'Italia settentrionale, fino a culminare nella complessa personalità, già gotica, di B. Antelami. Quasi ovunque si manifesta un consapevole ritorno alle forme dell'antichità, soprattutto nell'Italia meridionale, dove probabilmente si formò il genio di Nicola Pisano. Suoi allievi furono Arnolfo di Cambio e il figlio Giovanni Pisano, la cui influenza fu determinante in Toscana e si estese anche nell'Italia meridionale e in Lombardia. Al decorativismo gotico (porta sud del battistero di Firenze) e poi alla plasticità giottesca (rilievi del campanile del duomo) si rifece Andrea da Pontedera, detto Andrea Pisano, mentre suo figlio Nino raggiunse raffinatezze degne degli avori francesi. Risultati considerevoli, alle soglie del Quattrocento, diede la scultura a Verona, a Venezia e in Lombardia. L'influsso dell'arte bizantina appare dominante non solo nei cicli musivi di S. Marco a Venezia (secc. XI-XIII) o in quelli di Cefalù (XII sec.), di Palermo (XII sec.) e di Monreale (secc. XII-XIII), ma anche nella miniatura e nella sintassi formale e iconografica della pittura, soprattutto a Pisa e a Siena. Nella pittura, però, all'inizio del Duecento già si avvertono nuovi fermenti espressivi, con P. Cavallini, Coppo, Cimabue, Duccio da Buoninsegna, creando quest'ultimo un tipico gusto senese che si affinerà, nel secolo seguente, con S. Martini, Pietro Lorenzetti e il fratello Ambrogio. Al sorgere del Trecento, intanto, il genio di Giotto apre la strada a un nuovo Umanesimo, che determinerà il corso della pittura per tutto il secolo, non solo in Toscana (Stefano, T. Gaddi, B. Daddi, gli Orcagna, Spinello Aretino, A. Gaddi), ma anche nell'Italia settentrionale (con Vitale da Bologna, Tommaso da Modena, Giovanni da Milano, Altichiero), esclusa Venezia, dove Paolo Veneziano fonde sapientemente nelle sue preziose tavole tradizione bizantina e gusto gotico.
n Arte del Rinascimento. Nel campo dell'architettura, la prima attuazione di quella classicità che era ormai diffuso atteggiamento spirituale e culturale spetta alla chiara modulazione spaziale, al linearismo prospettico e al nitido rigore costruttivo realizzati a Firenze nelle opere di F. Brunelleschi, al quale si affianca L. B. Alberti. Alle loro diverse concezioni si richiamano gli altri grandi costruttori del Quattrocento, come Michelozzo, Benedetto e Giuliano da Maiano, Simone del Pollaiolo detto il Cronaca, Giuliano da Sangallo, L. Laurana, Francesco di Giorgio Martini, B. Rossetti; ancora legati alla tradizione gotica e al gusto del pittoresco e del decorativo sono invece Pietro Lombardo (a Venezia), il Filarete, G. Solari e G. A. Amadeo (in Lombardia). La grande architettura del Cinquecento si apre con D. Bramante e prosegue con Michelangelo. Al primo si riallacciano: Raffaello, B. Peruzzi, Giulio Romano e Antonio da Sangallo il Vecchio; al secondo: Antonio da Sangallo il Giovane, G. Vasari, B. Ammannati, B. Buontalenti, il Vignola, Giacomo della Porta, G. Alessi e P. Tibaldi. All'eccessivo interesse per gli ornati e per gli effetti chiaroscurali reagiscono I. Sansovino (a Venezia), A. Palladio (a Vicenza) e M. Sammicheli (a Verona), ma ormai il libero e fantasioso gusto individuale prelude al barocco. Anche nel campo della scultura il primato spetta alla Toscana, dapprima con il fiorentino L. Ghiberti e con il senese Iacopo della Quercia, poi con il genio multiforme di Donatello. Questi, come il Brunelleschi in architettura e Masaccio in pittura, eliminò ogni convenzione gotica, diffondendo le nuove conquiste del Rinascimento fiorentino. L'energia vitale di Donatello, sviluppata in particolare dal Pollaiolo e dal Verrocchio, trovò pronta accoglienza in tutti gli scultori dell'epoca, non solo in Toscana (i Della Robbia, Agostino di Duccio, Desiderio da Settignano, Mino da Fiesole e A. e B. Rossellino), ma anche in Emilia (Nicolò dell'Arca e G. Mazzoni), in Sicilia e in Liguria (D. Gagini), in Lombardia (G. A. Amadeo e A. Bregno), in Dalmazia (F. Laurana) e a Venezia (A. Rizzo). Lo svolgimento della scultura del Cinquecento è dominato dal pittoricismo di Leonardo (di cui non possediamo però alcuna scultura) e soprattutto dalla sublime potenza plastica e dalla veemente tragicità di Michelangelo. L'influsso michelangiolesco si riflette in scultori quali il Tribolo, B. Bandinelli, A. Montorsoli, B. Cellini (orafo squisito e geniale), A. Vittoria, I. Sansovino e, sul finire del secolo, nei più significativi rappresentanti del manierismo (Giambologna, T. Landini, P. Tacca, F. Mochi), la cui affermazione prelude, in pittura come in scultura, alla nascita del barocco. Nei primi anni del Quattrocento, mentre nel resto dell'Italia trionfano i ritmi squisiti del gotico internazionale (Lorenzo Monaco, Sassetta, Beato Angelico, Masolino, Gentile da Fabriano, Pisanello, Jacobello del Fiore, Stefano da Zevio, M. Giambono, Michelino da Besozzo), a Firenze la pittura si discosta dal passato, accogliendo la visione plastica e prospettica del Brunelleschi e di Donatello e il rinnovato interesse per i valori dell'individualità umana delle immagini di Masaccio. Dal comune fervore della nuova ricerca ciascuno trasse stimoli e mezzi diversi per esprimere il proprio mondo fantastico: Paolo Uccello raggiunge suggestioni fiabesche con vibranti tarsie di colore; Piero della Francesca permea la geometrica perfezione delle sue immagini di una lenta luce diffusa; Andrea del Castagno sprigiona aspre energie plastiche dal vigore del chiaroscuro e dalla precisione dei contorni; risultati di straordinaria vitalità espressiva raggiungono il Pollaiolo, il Verrocchio, F. Lippi, A. Baldovinetti e S. Botticelli; né vanno dimenticati: D. Ghirlandaio, A. Mantegna, L. Signorelli, Melozzo, il Perugino, il Pinturicchio, i raffinati pittori senesi (Matteo di Giovanni, Neroccio), gli espressionisti ferraresi (C. Tura, F. del Cossa, E. de Roberti), gli splendidi coloristi veneziani (Giambellino, V. Carpaccio, C. Crivelli), gli affabili e realistici lombardi (Foppa, Borgognone) e infine il fiammingheggiante Antonello da Messina. La pittura del Cinquecento, a Firenze e in tutta Italia, è dominata dagli stili di Leonardo, di Michelangelo, di Raffaello, mentre a Venezia il tonalismo di Giorgione inaugura una nuova visione pittorica, sviluppata da Tiziano, da Paolo Veronese, dal Tintoretto. Al linguaggio contrastante di questi sommi artisti guardarono, variamente interpretandolo, i migliori pittori del secolo: Giulio Romano, il Correggio e i leonardeschi lombardi, Boltraffio, Solario e Luini; L. Lotto; i veneti, come Palma il Vecchio, Bonifacio Veronese, J. Bassano; i bresciani come G. Romanino, G. Savoldo e il Moretto, e ancora Dosso Dossi, Sebastiano del Piombo ecc. Intanto a Firenze, già con Bartolomeo della Porta e Andrea del Sarto, si avvertono i primi sintomi del manierismo, che avrà i suoi massimi rappresentanti nel Primaticcio, in Niccolò dell'Abbate e in Rosso Fiorentino, e ancora nel Pontormo, nel Bronzino, in G. Vasari, in Daniele da Volterra, in D. Beccafumi, nel Parmigianino ecc. Sul finire del secolo, al manierismo reagirono la riforma classicista dei bolognesi Carracci e la visione drammatica e innovatrice del Caravaggio, che indicheranno due direttrici alla pittura del secolo seguente.
n Secoli XVII e XVIII. A Roma, mentre ancora operavano correnti di transizione in architettura e in scultura, matura il complesso fenomeno del barocco per opera di G. L. Bernini e di F. Borromini, creatore di preziose eleganze ornamentali. Accanto a questi operarono numerosi architetti (G. Rainaldi, Pietro da Cortona) e scultori, come A. Algardi, A Raggi, E. Ferrata e C. Rusconi, la cui attività si protrae nei primi decenni del Settecento, quando già si avverte a Roma, nella sobrietà dei toscani Filippo della Valle e A. Galilei e negli equilibrati ritmi costruttivi di C. Fontana, una nuova esigenza di chiarezza formale. Intorno alla metà del secolo, mentre il barocco romano si esalta e si conclude con l'opera di Francesco de Sanctis (scalinata di Trinità dei Monti), N. Salvi e P. Bracci (fontana di Trevi), le teorie di J. J. Winckelmann e la precettistica di A. R. Mengs, nel nome di un ritorno alla pura bellezza e alla serena misura dell'arte classica, preparano l'avvento del gusto neoclassico, perfettamente esemplificato nella scultura di A. Canova. Inflessioni diverse raggiunse il barocco nel resto dell'Italia. A Napoli, dalla collaborazione di C. Fanzago con una folta schiera di scultori nascerà, con il vasto complesso della reggia di Caserta, ideata da L. Vanvitelli, l'insuperato capolavoro del Settecento italiano. In Piemonte, prima il modenese G. Guarini e poi il siciliano F. Juvara realizzarono alcune tra le più originali opere di tutta l'architettura barocca. Eccezionale fu la vicenda artistica della Lombardia, che vide esaurirsi rapidamente la fragile vena barocca degli artisti rimasti in patria e contribuì alla formazione del barocco romano (Maderno, Borromini), meridionale e genovese (B. Bianco). A Venezia, infine, l'eredità del Palladio e del Sansovino fu accolta nel Seicento dallo Scamozzi e nel Settecento da A. Tirali e G. Massari, mentre B. Longhena sviluppava una propria originale concezione barocca plastica e pittorica. Il panorama della pittura italiana fino all'avvento del neoclassicismo si presenta complesso e ricco di aspetti spesso contrastanti, con un eccezionale sviluppo della decorazione monumentale religiosa e profana: da Pietro da Cortona, ai genovesi G. B. Gaulli detto il Baciccia e D. Piola, al trentino A. Pozzo e al napoletano L. Giordano, alla scuola dei quadraturisti bolognesi (famosissimi i Bibiena), fino a culminare nel Settecento a Venezia con G. B. Piazzetta, G. B. e G. D. Tiepolo. Si diffonde la pittura di paesaggio, soprattutto a Roma, dove lavorarono i francesi N. Poussin e C. Lorenese, a Napoli con S. Rosa e a Venezia con M. Ricci e gli arcadici F. Zuccarelli e F. Zais; si afferma il genere della natura morta, rappresentata dalla scuola napoletana (P. Porpora, G. Recco, G. B. Ruoppolo) e singolarmente interpretata nelle composizioni con strumenti musicali del bergamasco E. Baschenis; trovano grande favore la pittura di genere (originalissimi il Pitocchetto e P. Longhi), il gusto dei bamboccianti romani, le scene di battaglia (A. Falcone, S. Rosa), le composizioni fantastiche di rovine classiche (G. B. Pannini e P. Batoni) e le vedute (Bellotto, Guardi e Canaletto). Profonda eco suscitò l'esempio del Caravaggio, non solo a Roma (O. e A. Gentileschi, O Borgianni) e a Napoli, dove si mescola con spunti della corrente carraccesca (G. Ribera, G. B. Caracciolo, B. Cavallino, M. Stanzione, M. Preti), ma perfino a Venezia (D. Fetti, J. Liss) e in genere su tutta la pittura naturalistica in Italia e all'estero. Di grande prestigio godè, soprattutto a Roma e in Emilia, l'accademia bolognese dei Carracci, con G. Reni, il Domenichino, F. Albani, G. Lanfranco, G. F. Barbieri detto il Guercino, A. Sacchi, dal cui insegnamento mosse alla fine del secolo C. Maratta. L'influsso vitale della pittura fiamminga di P. P. Rubens e di A. van Dyck fece dei pittori genovesi, come G. Assereto, G. A. De Ferrari, B. Strozzi e A. Magnasco, creatore di allucinanti e fantastici capricci, degli splendidi coloristi. Artisti notevoli furono anche i pittori attivi in Lombardia (G. C. Procaccini, G. B. Crespi detto il Cerano, il Morazzone, D. Crespi); vivaci i ritrattisti (fra Galgario, R. Carriera), i pittori napoletani del Settecento (F. Solimena, S. Conca, C. Giaquinto) e i veneziani (G. A. Pellegrini, J. Amigoni, G. B. Pittoni, G. Diziani).
n Secoli XIX e XX. Il movimento neoclassico, già affermatosi alla fine del XVIII sec., acquistò rilievo internazionale e si protrasse a lungo nel corso del XIX sec. Esempi notevoli di questo indirizzo si ebbero nell'architettura romana (G. Valadier, L. Canina) e soprattutto in quella milanese (G. Piermarini, L. Cagnola, L. Canonica); in seguito l'architettura s'ispirò ecletticamente ai vari stili del passato (romanico, gotico, rinascimentale), senza tuttavia determinare manifestazioni originali, eccezion fatta per l'opera di A. Antonelli in Piemonte e di G. Mengoni a Milano. All'indirizzo razionalista, sviluppatosi soprattutto nell'Europa settentrionale e nell'America del Nord, l'Italia, maggiormente legata alle tradizioni del passato, si accostò dopo la fioritura del Liberty (E. Basile) e solo in maniera secondaria con il futurismo (Sant'Elia), alle cui tendenze innovatrici si oppose l'architettura fascista (M. Piacentini, G. Muzio). In seguito, attraverso posizioni di transizione (G. Ponti), anche in Italia si sono venute precisando diverse correnti d'avanguardia, rappresentate, tra gli altri, da G. Pagano, L. Piccinato, L. Figini, G. Terragni, G. Pollini, L. Scarpa, G. Michelucci, P. L. Nervi, P. Portoghesi, P. Sartogo, A. Rossi, I. Gardella, L. Quaroni, volti a un recupero di tendenze espressionistiche o neo-razionalistiche. La larga risonanza della personalità del Canova e il numero dei suoi seguaci, a volte davvero notevoli come P. Tenerani, contribuirono al perdurare del gusto accademico nella scultura, malgrado i tentativi di tipo naturalistico dei toscani L. Bartolini e G. Dupré, fino alla metà del secolo, quando trionfa la corrente verista (V. Vela, A. d'Orsi, V. Gemito). Al verismo reagì l'impressionismo con G. Grandi, D. Calandra e Medardo Rosso. Dopo la fioritura della scultura monumentale (E. Rosa, E. Gallori, L. Andreotti, P. Canonica, F. Messina), nuove tendenze si affermano a Milano intorno al 1930 con il movimento astrattista dei Valori plastici (A. Martini, M. Marini); tra i più significativi scultori contemporanei vanno ricordati: G. Manzù, A. Viani, M. Basaldella, M. Mazzacurati, E. Greco, A. Cascella, A. Pomodoro. Al gusto neoclassico, diffuso soprattutto a Roma (V. Camuccini) e a Milano (A. Appiani, G. Traballesi, L. Sabatelli), la pittura italiana reagì con una pronta adesione al Romanticismo. Principale centro fu Milano, già con il neoclassico F. Hayez, poi con G. Carnevali, F. Faruffini, T. Cremona, D. Ranzoni e gi altri della Scapigliatura lombarda, D. e G. Induno, fino alla fioritura del divisionismo (G. Previati, G. Pelizza da Volpedo, G. Segantini). Particolarmente fecondo fu nell'Ottocento il movimento dei macchiaioli toscani, cui appartennero G. Costa, T. Signorini, A. ed E. Cecioni, G. Banti, O. Borrani, R. Sernesi, G. Fattori, S. Lega e inizialmente anche G. Boldini. La pittura di paesaggio ebbe ottime affermazioni in Piemonte (A. Fontanesi, V. Avondo, L. Delleani) e a Napoli, con la scuola di Posillipo (G. Gigante, F. Palizzi) e la scuola di Resina, da cui uscì G. De Nittis; a Napoli si affermarono anche D. Morelli, G. Toma, F. P. Michetti e A. Mancini. Azione innovatrice svolse in Italia il futurismo (1909) con Boccioni, Carrà, Severini e Soffici, al quale seguirono la pittura metafisica di G. De Chirico, il largo pittoricismo di F. Carena, l'espressionismo di M. Sironi, il plasticismo di F. Casorati, l'impressionismo di De Pisis e di A. Tosi, mentre un posto a sé occupa l'opera di A. Modigliani. Dalla corrente del Novecento, che si proponeva un ritorno alla tradizione classica soprattutto in opposizione all'impressionismo, si discostano, intorno al 1930, con validissime soluzioni espressive: Scipione, M. Mafai, G. Morandi, M. Maccari, L. Bartolini; a Torino C. Levi ed E. Paolucci e a Milano il gruppo di Corrente. Particolarmente vari e complessi gli orientamenti della pittura italiana dopo la seconda guerra mondiale, da F. Pirandello, O. Tamburi, F. Gentilini, E. Morlotti all'astrattismo di A. Corpora, Afro Basaldella, R. Birolli, E. Vedova, al neorealismo permeato di intenti sociali di R. Guttuso, R. Vespignani, E. Treccani. Importante l'apporto che fino agli anni Sessanta gli artisti italiani hanno dato alle avanguardie internazionali: di particolare rilievo le esperienze di L. Fontana, A. Burri, G. Capogrossi, R. Crippa, nel campo dell'arte informale, e quella di B. Munari, nel campo dell'arte cinetica. Presenti nelle principali correnti degli anni Settanta, hanno acquisito fama internazionale pittori e scultori come M. Merz, G. Paolini, M. Pistoletto, E. Isgrò. Alle avanguardie, agli inizi degli Anni Ottanta, si è andata sovrapponendo la transavanguardia, che mira al ricupero di un soggettivismo impegnato ad analizzare i temi dell'arte concettuale in misura puramente artistica. È infine da segnalare la raffinatezza stilistica raggiunta nel design con le creazioni di M. Zanuso, E. Sottsass, R. Sambonet, V. Magistretti e altri.
Marco Catrambone
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