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Categoria: | Ricerche |
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INQUINAMENTO
Ecologia
Nel valutare il grado di inquinamento e la sua pericolosità bisogna distinguere fra sostanze ad alta tossicità acuta, ma che si degradano rapidamente, e sostanze a tossicità acuta piuttosto bassa, ma che sono resistenti alla degradazione, per cui si accumulano nell'ambiente e nei tessuti vegetali o animali: ogni successiva esposizione a uno di questi inquinanti può avere effetto addizionale e la somma di tali effetti ha di norma conseguenze molto gravi, spesso irrimediabili. Questa distinzione è fondamentale per il controllo dell'inquinamento: gli inquinanti sono per la maggior parte non persistenti e per evitare ogni pericolo è di norma sufficiente immetterli nell'ambiente dopo averli diluiti tanto da renderli innocui, come si fa per l'anidride solforosa. Gli inquinanti persistenti o “non biodegradabili”, rimanendo invece inalterati nell'ambiente, si diffondono e possono essere riconcentrati a opera di organismi viventi fino a raggiungere livelli pericolosi: ad es. molti pesci possono concentrare fino a 10.000 volte i residui di insetticidi clororganici presenti nell'acqua.
Inquinamento atmosferico
Le caratteristiche dell'atmosfera della Terra risultano modificate o per una variazione nelle percentuali dei componenti gassosi naturali o per l'immissione di gas estranei alla sua composizione; in entrambi i casi si possono avere effetti secondari dovuti a reazioni chimiche o fotochimiche innescate da tali componenti. L'emissione di gas estranei è dovuta per lo più al riscaldamento domestico e al traffico motorizzato. A queste fonti sono da aggiungere le industrie (chimiche, petrolifere e petrolchimiche, cementifere, siderurgiche e metallurgiche). Mentre le prime due fonti determinano l'inquinamento di fondo, le altre sono responsabili di un inquinamento poco esteso, concentrato e caratteristico delle grandi metropoli e dei centri industriali. Nelle atmosfere urbane la concentrazione delle polveri è di parecchi milligrammi per metro cubo: le polveri con dimensioni inferiori al m, che costituiscono più della metà del peso globale delle polveri dell'aria, sono particolarmente dannose in quanto, oltrepassando ogni barriera di difesa fisiologica, giungono negli alveoli polmonari e, se sono di dimensioni minori di 0,1 m, si depositano sull'epitelio bronchiale. Il danno arrecato agli scambi respiratori da queste polveri è aumentato dal loro potere di adsorbimento di contaminanti acidi. Tra le sostanze contaminanti si distinguono tre categorie principali: 1. le sostanze particolarmente irritanti, come i composti solforosi e quelle che danno contaminazione ossidante fotochimica; 2. le sostanze, come i composti del fluoro, che, essendo trattenute nell'organismo, possono produrre intossicazioni (es. fluorosi); a questa categoria appartengono inoltre l'arsenico, i metalli pesanti, il biossido di zolfo; 3. le sostanze cancerogene, quali taluni idrocarburi policiclici presenti nei prodotti di combustione degli oli minerali.
L'emissione di sostanze inquinanti in particolari condizioni meteorologiche dà luogo al fenomeno dello smog Inoltre la presenza di particelle sospese che agiscono come nuclei di condensazione favorisce la formazione e la persistenza della nebbia; le particelle di piombo a contatto dei vapori di iodio presenti nell'aria favoriscono la formazione di nuvole e quindi le precipitazioni; l'aria inquinata impedisce a una parte delle radiazioni solari — visibili e ultraviolette — di giungere al suolo.
Naturalmente oltre agli effetti nocivi sulla salute della popolazione si devono imputare all'inquinamento atmosferico danni notevoli alla vegetazione, agli animali e alle cose (alterazione del rivestimento esterno degli edifici, deterioramento dei monumenti, annerimento di affreschi e pitture, ecc.). Le modalità per ridurre la quantità delle sostanze inquinanti sono molteplici: captazione delle polveri per semplice decantazione o per mezzo di filtri elettrostatici, sonici, ecc.; diluizioni di polveri e gas con aria ausiliaria o mediante l'uso di alti camini che disperdano le polveri in un maggior volume d'aria; assorbimento dei gas o loro trasformazione con reazioni chimiche, ecc. Nel campo della combustione domestica è possibile attuare la riduzione degli inquinanti immessi nell'atmosfera con la buona scelta del combustibile e con una buona conduzione della combustione. Il perfezionamento dei processi di lavorazione ha ridotto notevolmente il potere inquinante di molte grandi raffinerie: il monossido di carbonio viene bruciato e non immesso nell'aria, i gas ricchi di composti solforati vengono avviati a impianti per il recupero dello zolfo, ecc. Sono stati anche studiati processi industriali per produrre oli combustibili a basso tenore in zolfo. L'uso di questi e del gasolio ha notevolmente ridotto il problema dell'inquinamento da impianti domestici di riscaldamento, mentre la depurazione dei fumi di combustione emessi da questi rimane ancora un problema assai complesso sia tecnicamente sia economicamente.
Inquinamento delle acque naturali
L'inquinamento delle acque naturali da parte delle sostanze di rifiuto industriali e domestiche, fenomeno noto fin dall'antichità, ha assunto in questi ultimi decenni proporzioni rilevanti. Si distingue un inquinamento delle acque superficiali da quello delle acque sotterranee. Le conseguenze del primo, differenti per aspetto e gravità a seconda che si tratti delle acque di un fiume o di un lago, sono: depauperamento della fauna ittica, morte di batteri aerobi e piante acquatiche; sviluppo di odori mefitici e di strati di materie in putrefazione; diffusione di microrganismi patogeni; difficoltà di una potabilizzazione economica e inconvenienti nell'impiego industriale delle acque. L'inquinamento dei fiumi è generalmente di tipo “acuto” e a distanza di qualche chilometro dalla sorgente inquinante la situazione ritorna normale; quello dei laghi è molto più complesso ed è in relazione col più lento ricambio idrico; in questo caso assume aspetto “cronico”, molto più difficilmente risanabile. L'inquinamento delle acque sotterranee (pozzi perdenti, interramento di residui industriali solubili, filtrazione di acque superficiali inquinate) è molto più grave per l'impossibilità di effettuare un risanamento di tali acque: i pozzi inquinati devono essere abbandonati.
All'inquinamento domestico, derivante dallo scarico dei liquami delle fogne urbane, e a quello industriale, causato dal versamento in acque pubbliche dei residui più diversi, va aggiunto quello agricolo, particolarmente sentito nelle zone ad agricoltura intensiva e dovuto all'uso di concimi chimici e di pesticidi (diserbanti, insetticidi, anticrittogamici) altamente tossici, che, continuamente dilavati dalle piogge, vengono convogliati nei corsi d'acqua.
Bisogna tuttavia tenere presente che le sostanze organiche vengono aggredite da batteri aerobi, i quali, utilizzando l'ossigeno disciolto nell'acqua, trasformano il carbonio, lo zolfo, l'azoto e il fosforo in composti ossigenati innocui. Se l'acqua non è sufficientemente ossigenata, la demolizione delle sostanze organiche a opera di batteri anaerobi porta invece alla formazione di composti idrogenati nocivi. Il grado di inquinamento da sostanza organica dell'acqua è espresso dalla “richiesta biochimica d'ossigeno” (BOD con sigla inglese), che è tanto maggiore quanto più esso è elevato. La contaminazione delle acque è quindi spesso funzione della mancanza di ossigeno, oltre che, naturalmente, della presenza di sostanze tossiche non fermentescibili; in tal senso è spesso legata all'inquinamento atmosferico che riduce la percentuale di ossigeno nei bassi strati dell'atmosfera. Variazioni di temperatura nella massa d'acqua, provocate ad es. da scarichi di acque di raffreddamento industriali e di centrali termoelettriche, generano gravi squilibri nelle associazioni biologiche: ad es. scomparsa di pesci che amano le acque fredde, come trote e coregoni.
I detersivi sintetici per uso domestico e industriale sono una delle cause più frequenti e vistose dell'inquinamento idrico. Per rendersi conto dei danni gravissimi provocati dallo spesso strato di schiuma biancastra che tanto sovente ricopre i corsi d'acqua, si pensi che 1 ppm di questi composti è sufficiente a produrre schiuma e a ridurre notevolmente il grado di ossigenazione dell'acqua. Il problema è stato almeno in parte risolto modificando la composizione chimica dei detersivi, rendendoli cioè “biodegradabili”. Anche in questo caso si liberano però nell'acqua quantità elevate di fosfati che favoriscono l'eutrofizzazione.
Mentre i rifiuti cittadini hanno raramente alta tossicità acuta, gli effluenti industriali sono spesso veri e propri veleni aventi anche effetti d'accumulo: cianuri, rame, zinco, piombo, mercurio, cadmio, cromo sono gli esempi più comuni.
Il mercurio è usato in grande quantità negli impianti di produzione del cloro e in vari processi industriali di catalisi e si accumula a livelli intollerabili per i pesci. Il pesce spada e il tonno sono fra quelli che lo assorbono in maggiore quantità.
Un gruppo di inquinanti che desta crescenti preoccupazioni è costituito dai difenili policlorurati (PCB's, con sigla inglese), impiegati industrialmente come fluidi dielettrici, come solventi per vernici, adesivi, inchiostri da stampa, materie plastiche. Sono composti molto stabili e persistenti, pochissimo solubili in acqua, tossici anche in piccole dosi. I loro residui si trovano oggi un po' dovunque: nell'acqua piovana, nei fiumi e nei mari, in molti pesci e uccelli, nel grasso umano.
L'accumulo di composti azotati nelle acque dolci ha altre gravi conseguenze, se queste sono destinate a uso potabile. Infatti i trattamenti di potabilizzazione non riescono a eliminare i nitrati solubili; questi, poco dannosi per gli adulti, vengono però ridotti dalla flora intestinale di bambini e cuccioli di animali a nitriti, che sono tossici poiché si combinano con l'emoglobina formando metaemoglobina che non trasporta ossigeno ai tessuti, con conseguenze talora fatali.
L'inquinante più diffuso delle acque marine è il petrolio: se ne calcola a diversi milioni di t la quantità galleggiante sulla superficie di mari e oceani, con conseguenze particolarmente dannose per gli uccelli marini. I detergenti usati spesso per eliminare i residui di petrolio dalle acque, dalla sabbia e dagli scogli lungo le spiagge sono risultati talora assai più tossici del petrolio stesso per molti organismi marini, ritardando notevolmente il ripopolamento delle acque trattate, che è invece abbastanza rapido se il petrolio non è troppo concentrato, grazie all'attività di varie specie batteriche che vivono a spese del petrolio stesso degradandolo in breve tempo.
La lotta contro gli inquinamenti, se è in gran parte già risolta in sede tecnica (è stato dimostrato, tra l'altro, che la depurazione delle acque industriali all'uscita dello stabilimento è più economica di quella all'entrata per un idoneo impiego delle acque stesse), non lo è dal punto di vista legislativo e pratico, anche se diverse soluzioni sono allo studio.
La tecnica della depurazione delle acque residue si articola in vari trattamenti i più importanti dei quali sono: la grigliatura, la dissabbiatura, la filtrazione, la sedimentazione, la percolazione su letti batterici, i trattamenti con fanghi attivi ed eventualmente la coagulazione chimica dei composti azotati fosfatici e la clorazione. Per il trattamento delle acque industriali è talvolta necessario ricorrere alla neutralizzazione, con carbonato di sodio o latte di calce per gli effluenti acidi, con acido solforico o biossido di carbonio per gli effluenti alcalini, o ancora mediante resine scambiatrici di ioni; all'estrazione con solventi selettivi per sostanze nocive economicamente interessanti; alla centrifugazione per separare solidi in sospensione finissima non trattenuti dalla sedimentazione.
Inquinamento delle acque pubbliche
L'inquinamento delle acque pubbliche per ciò che riguarda la pesca viene chiamato anche polluzione; si suole distinguere in inquinamento acuto, cronico, subacuto e potenziale. Può esercitare un'azione tossica diretta verso i pesci o indiretta modificando l'ambiente che ospita i pesci al punto di impedirne la vita. Le sostanze tossiche inquinanti possono agire in soluzione, in sospensione, in superficie; le industrie dalle quali provengono sono per legge obbligate a dotarsi di vasche di decantazione.
Inquinamento termico
Si tratta di una forma particolare di inquinamento, la cui importanza, spesso trascurata, risulta evidente se si considera che esso è una delle cause della deossigenazione dell'acqua, con conseguenti gravi danni alla flora e fauna acquatiche. Infatti quanto più l'acqua è calda tanto minore è la quantità di O2 che essa è in grado di tenere in soluzione, mentre per contro l'aumento di temperatura fa aumentare la quantità di ossigeno necessaria ai pesci e alla fauna acquatica in genere per sopravvivere. L'equilibrio biologico può esser alterato da cambiamenti più o meno improvvisi, anche non molto intensi, della temperatura ambientale. Responsabili di questo tipo di inquinamento sono soprattutto le centrali elettriche: si sono spesso misurate differenze di 10 ºC e più tra l'acqua in entrata e quella in uscita.
Inquinamento da sostanze radioattive
Si tratta della ricaduta sulla superficie terrestre di prodotti radioattivi dovuti ad esplosioni nucleari o rilasciati a causa di malfunzionamento o incidenti dei reattorinucleari. (Per il più grave incidente del genere finora verificatosi in una centrale nucleare.
La ricaduta radioattiva è genericamente indicata con il termine fall-out e si registra su tutta la superficie della Terra con intensità maggiore o minore a seconda della distanza dal luogo dove si è verificato il rilascio, e del tempo trascorso. La ricaduta radioattiva è dovuta all'attrazione gravitazionale esercitata sulle particelle e risulta più intensa, quindi più facilmente misurabile durante le precipitazioni atmosferiche. Pertanto dopo ogni incidente nucleare si raccolgono acqua piovana, neve e pulviscolo atmosferico per procedere alle misure.
Le scorie radioattive più pericolose sono: stronzio 90, cesio 137, iodio 131, cripto 85, plutonio 238, ecc., che entrano rapidamente nelle catene alimentari e il cui effetto sulla flora e sulla fauna si protrae nel tempo, anche quando la radioattività ambientale è tornata a valori normali: esse infatti provocano perdita della capacità riproduttiva, e inducono mutazioni stabili con insorgenza di caratteri nuovi, spesso negativi, per cui l'equilibrio all'interno di un singolo ecosistema e fra ecosistemi diversi ne viene sconvolto. Ad esempio il cesio 137, prodotto di fissione nucleare con vita media di 30 anni, emittente di raggi g, si comporta chimicamente come il potassio, che è un componente essenziale di tutte le cellule, per cui l'isotopo una volta penetrato in un organismo si diffonde in tutti i tessuti.
Inquinamento da fitofarmaci
Molti insetticidi non hanno azione specifica, ma uccidono indiscriminatamente anche gli insetti utili, come gli iperparassiti, i predatori, gli impollinatori. Fra questi, i composti cloroderivati organici sono molto persistenti e si accumulano nell'ambiente. I pesci sono tra gli organismi più sensibili a questa forma di inquinamento.
Indagini eseguite in molti paesi hanno rivelato una diffusa presenza di residui di insetticidi clorurati anche nell'organismo umano.
Un altro gruppo di fitofarmaci inquinanti, persistenti e tossici è costituito dagli anticrittogamici a base di composti organici del mercurio, per i quali in questi ultimi 20 anni si sono messi in evidenza effetti collaterali preoccupanti. È spesso molto difficile valutare la pericolosità effettiva di una sostanza inquinante, che talora non è di per sé particolarmente dannosa, ma che può diventarlo dopo lungo tempo dalla sua immissione nell'ambiente e attraverso vie e cicli assai complessi e imprevedibili, sotto l'influsso di molteplici fattori che sfuggono a un controllo diretto.
Inquinamento fonico o acustico o da rumore
Inquinamento fonico o acustico o da rumore. Il deterioramento ambientale dovuto al rumore si “dosa” come gli altri inquinamenti, in relazione al disturbo che provoca sempre e al danno che può arrecare quando vengono superati dati valori di parametri caratteristici. Le sorgenti di rumore sono di tipo industriale (rumore dovuto a impianti o a macchine) o dovute al traffico, agli elettrodomestici, agli impianti idraulici e di condizionamento, agli apparecchi di riproduzione sonora (radio, giradischi, televisori). Gli effetti fisiologici del rumore consistono in danni all'apparato uditivo (sordità professionale per rumori industriali), in disturbi extrauditivi all'apparato cardiaco, al sistema circolatorio, al sistema nervoso centrale e periferico, al metabolismo. Il disturbo al sonno ha caratteri particolari, rilevabili mediante elettroencefalografia.
Inquinamento acustico
Si stanno precisando le conoscenze relative alle conseguenze sul corpo umano provocate dal rumore, che è in costante aumento nelle società industrializzate: è stato calcolato che nei paesi occidentali oltre 100 milioni di persone (il 15% del totale) viva in condizioni di esposizione a un livello continuo di rumore superiore a 65 dB, considerate inaccettabili, mentre altri 240 milioni di individui sono sottoposti a più di 55 dB. I danni, fisiologici e psichici, provocati dall'inquinamento da rumore, sono stati così determinati: intorno a 50-60 dB si manifestano cefalee, ansietà e un aumento dell'irritabilità; a 130-140 dB incominciano dolori auricolari; oltre i 140 dB aumenta notevolmente il rischio di lesioni auricolari; a 160 dB si verifica la rottura della membrana del timpano o lesioni all'orecchio interno. Più che l'intensità del rumore, che raramente raggiunge i livelli più alti, sono in aumento la sua durata nel tempo e la sua diffusione nello spazio: la crescente urbanizzazione, l'aumento del numero dei veicoli e della densità di popolazione hanno infatti provocato un prolungarsi del rumore nelle ore notturne e nei giorni festivi e un suo estendersi alle periferie delle città. Nel 1980 l'OCSE (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) ha promosso una conferenza sulle politiche di lotta contro il rumore.
Diritto internazionale
Il problema della prevenzione internazionale dell'inquinamento in alto mare, principalmente provocato da scarichi di idrocarburi o dall'immissione di sostanze radioattive, presenta caratteri di estrema attualità. È, infatti, urgente e assoluta la necessità di impedire che l'incremento delle comunicazioni marittime e lo sviluppo delle attività industriali in mare aperto e nel relativo sottosuolo non si risolvano in una contaminazione irreversibile del delicato equilibrio ecologico marino. Il principio della cosiddetta libertà dei mari non abilita, evidentemente, le navi di uno Stato a pregiudicare l'integrità delle acque facenti parte del mare aperto; è del pari chiaro che, data la mobilità del fenomeno dell'inquinamento idrico, ogni Stato è interessato a evitare che la contaminazione dell'alto mare si trasmetta anche alla propria zona di mare territoriale (e, a maggior ragione, al proprio mare “patrimoniale”, reclamato di recente da molti Stati costieri).
Le più importanti convenzioni multilaterali sono le seguenti:
La convenzione internazionale per la prevenzione dell'inquinamento marino da parte di oli minerali (firmata nel 1954, ed emendata nel 1962 e 1969) proibisce lo scarico entro certi limiti di distanza dalla costa e in determinate zone, lasciando alla sola discrezione dello Stato di bandiera della nave responsabile l'importante compito di punire i colpevoli.
La convenzione di Ginevra sull'alto mare del 1958 si limita a statuire che ogni Stato ha il dovere di prendere misure per impedire l'inquinamento, sia minerale sia radioattivo, del mare da parte delle navi di propria bandiera.
La convenzione di Bruxelles del 1969 stabilisce il diritto di ogni Stato-parte di intervenire in alto mare, senza limiti di distanza, per proteggere la sua fascia costiera in caso di incidente suscettibile di provocare un grave inquinamento da oli minerali. Tale convenzione è stata chiaramente ispirata da alcuni notissimi incidenti, quale il naufragio (1967) della petroliera Torrey Canyon, battente bandiera ombra liberiana, nei pressi della Cornovaglia, che arrecò gravissimi danni alle coste inglesi e francesi.
È indubbiamente operante, nell'attuale linea di sviluppo del diritto del mare, una tendenza a combattere in maniera più efficace l'inquinamento marino e il problema ha costituito uno dei principali oggetti dei lavori della Conferenza internazionale sul diritto del mare, indetta nel 1974, a Caracas, dalle Nazioni Unite. Particolarmente significativi al riguardo sono, sul piano unilaterale, i provvedimenti di molti Stati, specie in via di sviluppo, che reclamano poteri di controllo fino a 200 miglia dalla costa; sul piano multilaterale i progetti redatti dall'Organizzazione civile marittima internazionale, tendenti a promuovere la completa prevenzione giuridica di ogni fonte di inquinamento marino. La più importante iniziativa internazionale al riguardo è stata la convenzione dell'ONU sul diritto del mare, sottoposta alla firma degli Stati a partire dal 1982. Ai suoi stessi princìpi di tutela delle acque marine e di apprestamento di mezzi di difesa per prevenire le grandi catastrofi si ispira la legge italiana n. 979/1982. Per la tutela delle acque dall'inquinamento è stata varata la legge 10 maggio 1976 n. 319, successivamente modificata dalla legge 8 ottobre 1976 n. 690 e dalla legge 23 dicembre 1979 n. 650. La nuova normativa, nota come legge Merli, disciplina gli scarichi di qualsiasi tipo in tutte le acque di superficie e sotterranee, interne e marittime, pubbliche e private, nonché gli scarichi nelle fognature nel suolo e nel sottosuolo. Competenti a tutelare la collettività dall'inquinamento idrico sono lo Stato, le Regioni, i Comuni e le Capitanerie di Porto. Per ogni scarico deve essere chiesto il permesso all'autorità competente (il capo del compartimento marittimo per gli scarichi in mare, un apposito comitato interministeriale per gli scarichi in mare libero, il Comune per gli scarichi in acque superficiali, in fognature o nel sottosuolo). La legge stabilisce che gli scarichi non devono superare certi limiti di accettabilità previsti in apposite tabelle differenziate vuoi quanto a tempi (in quanto si è previsto un progressivo adeguamento degli scarichi alla nuova normativa) vuoi quanto a tipo di scarichi. (Per scarico si intende ogni versamento di rifiuti con carattere continuativo proveniente da un insediamento civile o produttivo.) La legge prevede pesanti sanzioni per chi ne infrange le norme: secondo i casi le relative contravvenzioni sono punite con l'ammenda o con l'arresto che può arrivare fino a un massimo di due anni. La prevenzione dell'inquinamento atmosferico è affidata, in Italia, fondamentalmente alle norme della legge 13 luglio 1966 n. 615, relativa agli impianti di riscaldamento, agli impianti industriali che producano emissioni di fumi, all'uso degli autoveicoli e ai limiti di tollerabilità dei loro scarichi. Il d.p.r. 24 maggio 1988 n. 236 ha fissato i minimi requisiti necessari delle qualità dell'aria rispetto agli agenti del suo inquinamento.; inoltre sono da ricordare i provvedimenti restrittivi che le province o i sindaci delle principali città possono emettere in attuazione delle disposizioni contenute nel decreto del ministro dell'Ambiente del 15 aprile 1994 qualora si verifichi il superamento delle soglie di attenzione e di allarme per gli inquinanti atmosferici (per es. ossidi di carbonio e di azoto).
In Italia la legislazione per il controllo delle fonti di inquinamento idrico ha fatto lentamente alcuni passi avanti. Il decreto legge 30 dicembre 1981 n. 801 convertito con modificazioni nella legge 5 marzo 1982 n. 62 contiene alcuni provvedimenti in materia di tutela delle acque dall'inquinamento. Viene riconosciuta alle Regioni la più ampia libertà nell'approvazione dei limiti di accettabilità, nonché delle norme e prescrizioni regolamentari stabilite da comuni e consorzi; le Regioni sono inoltre tenute a individuare, mediante apposito piano, le zone idonee a effettuare lo smaltimento dei liquami e dei fanghi residuati dalle lavorazioni industriali o dai processi di depurazione. Al fine di impedire il processo di eutrofizzazione delle acque fluviali, lacustri e marine, il decreto stabilisce che i detersivi per bucato devono essere prodotti con un contenuto di composti di fosforo non superiore al 6,5% espresso come fosforo. I produttori di detersivi per bucato sono quindi tenuti a indicare in modo chiaramente visibile sui documenti di vendita e sui contenitori destinati al commercio la percentuale di fosforo presente nel prodotto. I sindaci, nella loro funzione di autorità sanitaria, sono tenuti a garantire l'applicazione di tali norme, avvalendosi del personale e delle strutture delle unità sanitarie locali. Con il d.p.r. 24 maggio 1988 n. 236 sono stati fissati i requisiti minimi necessari di purezza per le acque destinate al consumo umano.
In Europa, dopo il disastro di Seveso (1976), la CEE ha approvato il 24 giugno 1982 una direttiva (82/501) sui grandi rischi industriali che prescrive a chiunque faccia uso di materiali pericolosi per la salute o l'incolumità dei cittadini la notifica alle autorità competenti, l'obbligo di dotarsi di impianti di prevenzione, l'individuazione dei rischi derivabili. Nel marzo 1985 inoltre il Consiglio della CEE ha approvato, dopo 5 anni di discussione, la direttiva che rende obbligatoria per tutti i paesi membri la procedura di valutazione di impatto ambientale. Gran Bretagna, Francia, Germania, Lussemburgo possedevano già una legislazione in questo senso.
Un altro settore ad alto rischio è quello relativo allo smaltimento delle scorie delle attività industriali pericolose. Il caso è stato riproposto dalla misteriosa vicenda del trasporto e della scomparsa dei contenitori della diossina proveniente da Seveso, ritrovati in Francia dopo 8 mesi di ricerche nel maggio 1983 in un mattatoio abbandonato e poi definitivamente eliminati, con un'operazione conclusa nel giugno 1985, dal forno ad altissima temperatura della Ciba-Geigy a Basilea. La CEE ha emesso in proposito una direttiva (85/339) che prevede la regolamentazione del trasporto delle scorie da un paese all'altro, sottoponendole a precise garanzie e controlli. In attuazione di tale direttiva è stata approvata la legge 9 novembre 1988 n. 475 che disciplina organicamente la materia, prevedendo i modi per assicurare il controllo e lo smaltimento dei rifiuti industriali pericolosi per l'ambiente, la bonifica delle zone contaminate, il riciclaggio obbligatorio, il divieto di spedizioni transfrontaliere di rifiuti prodotti in Italia. Rispetto all'inquinamento acustico. L'Italia ha provveduto a dotarsi di un'apposita disciplina (l991) che stabilisce i massimi di esposizione al rumore negli ambienti abitativi e nell'ambiente esterno e che, tra l'altro, adotta un criterio differenziale imponendo che la differenza tra rumore ambientale e quello residuo non superi determinati valori per i periodi diurn e notturno.
Convegno internazionale su ipoacusia da macchine industriali degli anni 90- esposizione prof. Barhard