L'inquinamento

Materie:Appunti
Categoria:Biologia

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INQUINAMENTO

ALLARME SMOG:
I monumenti ricoperti da una patina untuosa e nerastra. Le automobili che andrebbero lavate ogni mattina. Le foglie degli alberi che diventano gialle e cadono, anche fuori stagione: non ce la fanno a respirare, i loro stomi (i micropori che permettono gli scambi gassosi tra l'interno e l'esterno della pianta) si riempiono di sostanze estranee, si incrostano e non funzionano più. Aria sporca, quella di città, che provoca bronchiti e irritazioni delle mucose e, a lungo andare, anche malattie più gravi. Ne sanno qualcosa i vigili urbani: l'anzianità di carriera può essere misurata dalla quantità di piombo contenuta nel loro sangue. I componenti delle pattuglie che dirigono il traffico hanno anche un basso livello di Hdl, il colesterolo «buono» che ha una funzione protettiva. E tutto ciò si traduce in danni all'apparato cardiovascolare. L'inquinamento in realtà ha origini antiche. Risale all'inizio della rivoluzione industriale: l'aria è peggiorata quando sono nati i motori. Nel 1930 si ebbe il primo grave incidente: nella valle della Mosa, in Belgio, a causa dei fumi morirono 63 persone. Nel 1952 il più famoso, quello che colpì Londra: quattromila persone morirono per aver respirato una densa nebbia marrone. «Oggi sulla Terra sono più di un miliardo le persone esposte a livelli d’inquinamento atmosferico più alti di quelli raccomandati dall'Organizzazione mondiale della sanità», dice Lucia Venturi, del Comitato scientifico di Legambiente. Ma chi sono i responsabili di questa situazione? «A livello italiano, il settore dei trasporti è responsabile di oltre il 90 per cento delle emissioni di monossido di carbonio e di composti organici volatili. Si tratta soprattutto del traffico cittadino». Dagli scarichi delle automobili escono anidride solforosa, monossido di carbonio, ossidi di azoto, piombo, polveri e idrocarburi. Per queste sostanze la legge italiana prevede un controllo costante. Che cosa si può fare, in concreto, per sfuggire all'inquinamento? Nella speranza di respirare meglio molti scelgono di abitare fuori città. Ma è davvero migliore l'aria di campagna? E quanto lontano bisogna spingersi? Tutto dipende dal tipo d’inquinante al quale si vuole sfuggire. In ogni caso, rimanendo in Italia, è difficile riuscire a evitarli tutti: la maggior parte si diffonde infatti omogeneamente, con la circolazione dell'aria. Solo il monossido di carbonio, una molecola pesante, si con centra nelle zone di maggiore flusso di traffico. Anidride solforosa e ossidi d’azoto sono dovunque. Per quanto riguarda l'ozono poi, se ne trova di più in campagna che in città. Questo gas viene, infatti, prodotto dalla reazione che s’innesca tra ossidi di azoto e ossigeno, in presenza di intensa radiazione solare. In città però esso viene neutralizzato proprio a opera di alcune componenti dello smog: il monossido di azoto emesso dalle auto reagisce infatti con l'ozono e lo neutralizza. A cento chilometri dal centro cittadino la situazione cambia: qui non c'è più il traffico e la reazione di neutralizzazione non può avvenire. Anche in città, però, alcune giornate sembrano meno inquinate. «Questo dipende dalle condizioni meteorologiche. L'inquinamento cambia, infatti, a seconda delle stagioni oltre che nell'arco della giornata. E’ maggiore in inverno, quando il rimescolamento dell'aria è minimo: l'aria fredda è più stabile e lo smog rimane intrappolato in uno strato spesso un centinaio di metri. In estate invece l'elevata differenza di temperatura tra suolo e aria provoca delle correnti verticali che allontanano gli inquinanti» dice Giancarlo Tebaldi, fisico ambientale. «In effetti è il vento il nostro migliore alleato. Molti inquinanti però sono idrosolubili. Rimangono cioè intrappolati nelle goccioline di vapore d'acqua, e vengono spinti anche a diversi chilometri: sono anni che la Norvegia si lamenta per l'inquinamento inglese, portato dalle correnti occidentali sopra il Mare del Nord», dice Sergio Borghi, responsabile scientifico dell'osservatorio meteorologico di Brera.

INQUINAMENTO: COSA FARE?
«Attualmente il problema dell'inquinamento ha assunto proporzioni drammatiche. Prima l'estensione delle zone contaminate era molto modesta rispetto alla superficie terrestre. Ora, invece, sta per raggiungere tutto il pianeta. Può darsi che anche in passato, alle foci di alcuni fiumi, ci fossero zone inquinate dai rifiuti industriali. Senza dubbio, però, appena ci si allontanava dalla riva, il mare appariva in tutta la sua purezza. Stiamo avvelenando tutta la Terra. Non ci sarà più uno spazio libero per farvi una riserva di vita e di salute. La degradazione dell'ambiente è, ormai, uno degli aspetti caratteristici della nostra civiltà. L'umanità si autodistrugge». Così ha risposto a una delle prime domande rivoltegli sull'inquinamento Philippe Saint-Marc. Dell'intervista rilasciata riportiamo nelle pagine seguenti quei brani che contengono proposte o ipotesi di soluzione di un problema che interessa l'avvenire dell'umanità.

Ci vuole un grande sforzo di immaginazione per capire l'inquinamento in tutta la sua gravità, sia per le conseguenze che comporta per il futuro della nostra civiltà sia per i cambiamenti che dovremo fare. Oggi scopriamo che la natura non è un bene inesauribile. Al contrario, è un bene di cui vi è molta scarsità e non è affatto gratuito. Per proteggerlo bisogna spendere molto, sempre di più. Un bene caduco e non eterno perché fragile; che può sparire portando con se, nella sua estinzione, tutta l'umanità. Dobbiamo, dunque, metterci in una posizione assai diversa da quella che ci è stata imposta negli ultimi due secoli: per cui si è avuto un culto per il progresso scientifico e tecnico, una grande fiducia nei vantaggi della urbanizzazione e addirittura entusiasmo per il progresso industriale. Tutte le preoccupazioni dell'umanità dovrebbero concentrarsi sulla ricerca di nuovi metodi e di nuove tecniche che permettessero il progresso dell'uomo senza recare danno all'ambiente naturale. Così converrebbe produrre nuovi pesticidi e concimi in sostituzione del DDT, che permettessero di arricchire la terra e di lottare contro certe piaghe senza creare altri pericoli. Inoltre bisognerebbe costruire aerei meno rumorosi, automobili che non inquinassero tanto l'aria, cartiere che inquinassero meno l'acqua. Insomma tutta una serie di nuove tecniche. Sono convinto che se orientassimo la capacità creativa dell'uomo verso la ricerca di tecniche per la conservazione dell'ambiente, riusciremmo a risolvere questi problemi. Basta vedere come si sviluppi, durante una guerra, la tecnica militare, per capire quali progressi si potrebbero realizzare se per, almeno un ventennio, tutti i laboratori di ricerca fossero impegnati nello studio di nuove tecniche contro l'inquinamento. Anche l'aumento considerevole della popolazione mondiale può provocare nuovi problemi d'inquinamento. Infatti non si può continuare a far vivere sulla Terra, in buone condizioni, una massa di abitanti che raddoppia di numero ad ogni generazione. Intanto è impossibile duplicare ogni trent'anni la produzione degli alimenti. In secondo luogo bisogna considerare i limiti di sviluppo delle diverse produzioni e attività che rendono disponibili materie prime, energia e mezzi di trasporto. Infine c'è una limitazione assoluta: quella dello spazio. Per quanto riguarda la popolazione umana, bisogna distinguere due aspetti: quello della popolazione stessa nel suo complesso, come massa di persone viventi sulla Terra, e quello della sua ripartizione. Le conseguenze distruttrici sull'ambiente naturale variano molto a seconda che gli uomini vivano in grandi agglomerati urbani o, al contrario, siano divisi in medie o piccole collettività. La massa dei residui nocivi, prodotta dai grandi agglomerati, è più dannosa di quanto lo sia la stessa massa divisa in unità più piccole. Infatti in quest'ultimo caso si riesce a fare in modo che l'ambiente naturale mantenga una certa capacità di autodepurazione, specie per quanto riguarda l'acqua. Invece nel primo caso, le grandi comunità, l'ambiente stesso è saturo, distrutto, annullato. Inoltre le conseguenze dell'espansione demografica saranno più o meno gravi secondo i criteri seguiti per il trattamento dei residui dovuti all'aumento della popolazione. È necessario che i residui prodotti dall’attività dell'uomo siano riciclati rapidamente. Con la riutilizzazione di materiali usati si potrebbero ottenere, e in parte si sono già ottenuti, notevoli risultati. Per esempio si potrebbero produrre nuove automobili utilizzando i rottami di quelle abbandonate. Fra l'altro se ne avvantaggerebbe il paesaggio. Risultati concreti si sono già ottenuti nell'industria per la produzione di pasta cellulosa: in Svezia, si è creato un sistema per le industrie di pasta cellulosa che permette di ridurre da una tonnellata a 1,5 chilogrammi la quantità d'acqua inquinata scaricata per ogni tonnellata di carta prodotta. La riduzione e il trattamento dei residui dovrebbero diminuire considerevolmente i residui inutilizzabili, come i prelievi di materie prime. La nostra civiltà «sciupa» in modo impressionante. Dall'inizio del XIX secolo, quando è cominciata l'esplosione urbana e industriale, stiamo vivendo in una società che spreca senza misura: spreco di spazio a causa di un’urbanizzazione disordinata; spreco di materie prime, dovuto ad un’industrializzazione altrettanto disordinata; spreco della natura a causa di una totale e assoluta indifferenza per l'evoluzione dell'ambiente naturale. Ormai le risorse non rinnovabili di cui si è fatto tanto spreco in passato sono disponibili in quantità ridottissime. È cominciato un tempo in cui dovremo «economizzare» il nostro ambiente. C'è infine una necessità molto importante fino ad ora trascurata: la creazione di un’associazione internazionale per la protezione della natura. E una necessità perché cause ed effetti di molti fenomeni di inquinamento sono d'interesse generale. Non si può trattare il problema dell'inquinamento dei mari o del rumore provocato dagli aerei senza avere prima stipulato un accordo internazionale. Fino ad oggi si sono fatti pochi tentativi. Ma l'ostacolo maggiore che s’incontra è la sovranità nazionale. Occorre, perciò, realizzare la sopranazionalità che si attua per mezzo di autorità internazionali, dotate di mezzi finanziari adeguati e autonome capacità decisionali. L'azione internazionale non disturberebbe quella nazionale; le due azioni, anzi, si completano fra loro. Infatti quella nazionale non può raggiungere la sua piena; efficacia se non è coronata da una volontà internazionale appunto perché la Terra è una, perché gli scambi economici formano una comunità (per lo meno fra le nazioni industrializzate), e perché ecologicamente la Terra è un corpo vivo dove le frontiere nazionali non possono rompere certe realtà della natura come i grandi laghi, i mari e il cielo.

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