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RELAZIONE : EVOLUZIONE DELLA TERRA
Tettonica delle placche
I vulcani
I terremoti
La Terra è nata 4,5 miliardi di anni fa. L' ipotesi più seguita approposito della creazione della Terra è che essa fosse una massa incandescente.
La struttura della Terra
Si può considerare separatamente la struttura da un lato della superficie della Terra e della parte ad essa immediatamente sottostante, accessibile all'osservazione diretta ed alle perforazioni, dall'altro dell'interno della Terra Del primo tipo d'indagine si occupa la geologia, del secondo la geofisica e, subordinatamente, l'astronomia. L'accelerazione di gravità della superficie terrestre e la costante gravitazionale hanno permesso di stabilire che la densità media del globo è di 5,52 g/cm³; la misura del momento d'inerzia della Terra, ottenuta dalla costante di precessione degli equinozi, consente di stabilire che la parte interna del globo deve avere la densità massima; tenendo conto anche che la densità media delle rocce sulla superficie, calcolata in laboratorio, è di 2,75-2,8, si giunge a concludere che la densità media del nucleo del nostro pianeta deve essere di 10,7.
Lo studio della propagazione delle onde sismiche nell'interno della Terra, infine, ha permesso di stabilire che ivi esistono due superfici principali di discontinuità, all'incirca parallele alla superficie terrestre, in corrispondenza delle quali si ha un brusco salto nella velocità di propagazione delle onde longitudinali; altre superfici di discontinuità di importanza minore sono state individuate da numerosi geofisici; non tutti, però, sono d'accordo sul loro numero e sulla loro distanza dalla superficie terrestre. Delle due discontinuità principali, quella più prossima alla superficie Mohorovicic, o, ha da questa una distanza variabile tra 10-15 km al di sotto degli oceani, tra 30-40 km al di sotto dei continenti e attorno ai 50-60 km al di sotto delle catene montuose di corrugamento recente; quella più profonda si colloca a 2900 km dalla superficie terrestre: al di là di questa, verso l'interno della Terra, non si propagano le onde sismiche trasversali. Le due discontinuità suddette separano quindi la Terra in tre involucri concentrici ai quali si dà il nome di crosta (o derma), mantello e nucleo. Tra le altre discontinuità di secondo ordine, sono da molti riconosciute quella posta a 900-1000 km, che dividerebbe l'involucro intermedio in un mantello esterno ed un mantello interno, e quella situata a 5000 km ca., che, nell'ambito del nucleo, separerebbe il nucleo esterno dal nucleo interno.
Da una nebulosa, si è formata la stella Sole, che non avendo assorbito tutto il materiale,le particelle rimanenti si sono ammassate e avendo una maggiore gravità sono riuscite ad attrarre altro materiale
Le molecole rimaste, si attrassero formando un nucleo, che aumentando di massa, ha attratto altro materiale. Lo scontro di queste particelle ha prodotto un grande caloreattorno ai 1000°C. I pianeti perdono calore perché si trovano in un luogo dove le temperature sono molto inferiori.
Girando su se stessi i pianeti prendono una forma rotonda.
Lo strato superficiale perdendo calore si indurisce, passando dallo stato liquido a quello solido. La superficie esterna raffreddandosi ha impedito agli strati sottostanti di raffreddarsi così velocemente.
La pangea è un supercontinente che si suppone esistito 225 milioni ca. di anni fa, raggruppante tutte le terre emerse, a quell'epoca riunite. Si pensa che fosse circondato da un unico oceano (Panthalassa), di cui un ampio golfo (Tetide) si insinuava tra la sua parte settentrionale (Laurasia) e quella meridionale (Gondwana). Lo smembramento del Pangea, che si ritiene conseguenza dell'espansione dei fondi oceanici, avrebbe condotto, attraverso numerose fasi, alla disposizione e alla forma attuale delle masse continentali.
Il geoide termine che indica la superficie equipotenziale della Terra, di altitudine zero, che passa per il livello medio del mare e corrispondente a quella che risulta perpendicolare in ogni suo punto alla direzione del filo a piombo; il termine venne coniato da J. B. Listing (1873) per dare un nome alla superficie matematica della Terra che, contrariamente a quanto si pensava, non corrispondeva esattamente a quella di un ellissoide di rotazione.
La crosta poggia su di uno strato liquido e quindi si spacca determinando le "zolle". Le parti solide determinano una pressione sempre più forte.
Il nucleo è allo stato solido anche se ad una temperatura oltre i 1000°C, perché la pressione essendo talmente forte ha reso il nucleo così denso da essere solido. Questo nucleo è chiamato nife, la parte più esterna è detta sial e quella mediana sima. Il sima è uno degli involucri concentrici più esterni costituenti, nel loro complesso, la struttura interna della Terra.
Il sima è situato tra qualche decina di km e ca. 1000 km di profondità, al di sotto del sial. Il sima sarebbe composto da silicati pesanti di ferro, magnesio e calcio, allo stato vetroso e avrebbe una densità media di 3,5.
Il sima può affiorare in superficie e sembra costituire vaste aree sul fondo dell'oceano Pacifico. Il sìal è un involucro più esterno della Terra, discontinuo e di spessore medio di 30 km ca. (con un massimo di 70 km ca.). È composto soprattutto da silicati leggeri di alluminio, potassio e sodio; ha una densità media di 2,8 e lo stato fisico di un solido cristallino.
Sembra che sia assente sul fondo dell'oceano Pacifico, sottile negli altri oceani e particolarmente spesso sotto i continenti; costituisce, secondo molti studiosi, zolle galleggianti sul sottostante involucro (sima).
Il nife, termine con il quale vari autori hanno indicato il nucleo più interno della Terra. Tale nucleo, con un raggio approssimativo di 3500 km, sarebbe allo stato fuso e avrebbe una composizione interamente metallica ferro-nichelifera (da cui il nome di nife) e la sua densità sarebbe compresa fra 8 e 11,5. La parte più esterna del sial è composta dalla crosta terrestre ed ha uno spessore di circa 300 Km. La crosta è composta da silicio di magnesio e altro materiale chimico ed altri materiali. Nell' atmosferasi trovano gas come l' azoto, l' ossigeno, l' anidride carbonica.
Questi gas condensandosi hanno formato delle nuvole contenenti vapore acqueo.
Si venne a formare un effetto serra, queste nuvole riempiendosi di elettricità , diedero origine ad un temporale(quindi anche con la formazione di fulmini).
L'effetto serra è un effetto climatico esercitato dall'anidride carbonica (oltre a metano, ossidi di azoto, clorofluorocarburi), in quanto tende a trattenere il calore che dalla superficie della terra viene irraggiato nello spazio.
Il progressivo incremento della concentrazione di anidride carbonica nell'atmosfera in seguito all'aumento del consumo di combustibili fossili fa ritenere possibile il rischio di un innalzamento della temperatura media terrestre, che potrebbe determinare mutazioni climatiche.
Fenomeno che si verifica a livello planetario e consiste in un aumentato assorbimento della radiazione infrarossa da parte dell'atmosfera terrestre, che, secondo modelli matematici, l'effetto a medio-lungo periodo di aumentare in modo significativo la temperatura della superficie terrestre, con conseguenze ecologiche solo in parte prevedibili. Il fenomeno dell'effetto serra serra ha trovato sempre maggiore attenzione da parte della comunità scientifica internazionale, soprattutto perché la temperatura del nostro pianeta risulta effettivamente essere aumentata dall'inizio del secolo, nella misura di circa mezzo grado, nonostante la relativa battuta d'arresto degli anni Cinquanta. I maggiori responsabili dell'e. serra sembrano essere, a questo proposito, l'anidride carbonica, il metano, i clorofluorocarburi, gli ossidi di azoto e la stessa acqua. Fra questi composti, i soli CFC sono interamente di origine antropica, mentre gli altri sono inseriti nei grandi cicli del carbonio e dell'azoto. Fra di essi, le maggiori preoccupazioni provengono dall'anidride carbonica, in quanto la sua produzione è incrementata enormemente dai processi di combustione attuati dall'uomo, che ormai sono largamente in eccesso rispetto alle possibilità di assorbimento da parte dei mari e di trasformazione per mezzo della fotosintesi. Prova ne sia che la concentrazione di CO2 nell'atmosfera è passata negli ultimi trent'anni da 315 a 340 parti per milione.
Il meccanismo con cui questi gas intrappolano il calore ha la sua origine nella loro capacità di assorbire le radiazioni infrarosse (cioè le radiazioni termiche), che si accompagna alla notevole trasparenza nei confronti delle radiazioni visibili provenienti dal Sole. Accade così che i raggi solari possono attraversare in buona misura l'atmosfera, raggiungendo la superficie terrestre, la quale ne riemette in parte l'energia sotto forma di calore. Questo calore viene catturato dall'anidride carbonica e dai gas che si trovano nella troposfera, dai quali viene riemesso prontamente in tutte le direzioni e in particolare di nuovo verso la superficie terrestre, che si riscalda.
Le conseguenze più preoccupanti dell'effetto serra sembrano collegarsi al possibile scioglimento dei ghiacci polari, cui farà seguito un innalzamento del livello dei mari, con grave pregiudizio degli insediamenti costieri e altre inevitabili conseguenze sul clima. Una visione meno catastrofica, tuttavia, ritiene meno grave il possibile innalzamento del livello dei mari, guarda con un certo ottimismo al riscaldamento del pianeta, che potrebbe aprire all'agricoltura molte terre fino a ora incolte, certi cambiamenti nel clima attribuiti all'effetto serra vanno fatti risalire piuttosto a un insieme di fenomeni associati al cosiddetto El Niño.
L'irraggiamento è l'emissione di radiazioni elettromagnetiche nel campo dell'infrarosso, del visibile e dell'ultravioletto.
Al di sotto di ca. 500 °C, l'emissione, sempre presente a qualunque temperatura, da parte di qualsiasi corpo, diventa esclusivamente termica, cioè di radiazioni infrarosse.
L'irraggiamento è una delle forme di propagazione del calore.
irraggiaménto, meccanismo mediante il quale una carica elettrica o un insieme di cariche elettriche irraggiano onde elettromagnetiche nello spazio circostante. Per irraggiamento si intende una certa quantità di energia elettromagnetica inviata verso l'infinito, in analogia a un grave che venisse espulso dalla Terra con velocità superiore alla velocità di fuga. Questo punto è concettualmente molto importante, perché una carica elettrica in quiete crea un campo elettrico infinitamente esteso, come una corrente elettrica crea un campo magnetico infinitamente esteso, ma in nessuno dei due casi si ha irraggiamento La condizione essenziale affinché ci sia irraggiamento è, come previsto dalla teoria generale dell'elettromagnetismo, lo stato di accelerazione di una o più cariche elettriche. Le circostanze in cui ciò si verifica sono moltissime, da un fascio di elettroni che urtano un ostacolo (raggi X) a un'antenna per radio o teletrasmissioni, da un'ampolla di gas elettricamente o termicamente eccitato a un corpo qualunque a una qualunque temperatura, purché diversa dallo zero assoluto. Lo studio teorico del cosiddetto corpo nero, cioè di un corpo capace di emettere e di assorbire radiazioni di qualunque frequenza, ha costituito agli inizi del secolo un grosso problema; la sua soluzione ha portato all'introduzione del concetto di quanto della radiazione elettromagnetica o fotone e, in seguito, alla formulazione della moderna meccanica quantistica.
Come grandezza energetica o radiometrica l'irraggiamento (o irradianza) rappresenta la potenza di radiazione che incide sull'unità di superficie, ed è quindi misurato in W/m²
La scarica elettrica ha una capacità energetica capace di determinare la formazione di molecole di acqua.
Con queste piogge la superficie esterna divenne ancora più solida.
L'acqua quando toccava terra evaporava, dal momento che la temperatura del suolo era molto elevata, o almeno sopra i 100°C.
Una volta che la temperatura scese sotto i 100°C, non tutta l'acqua evaporò, ma parte di essa rimase formando dei bacini lacustri.
Nel mantello abbiamo le correnti convettive, che si basano sul principio che se una parte solida poggia su di una liquida, quella solida si spezza.
Da qui nasce la prima teoria sulla nascita dei continenti, elaborata da Wegener.
Note biografiche su Wegener:
Wegener Alfred, geofisico tedesco (Berlino 1880 - Groenlandia 1930). Interessatosi giovanissimo alle scienze naturali, fu allievo di W.J. Förster e M. Planck. Partecipò alla spedizione danese in Groenlandia (1906-1908), guidata da L.M. Erichsen; più tardi organizzò una propria spedizione verso il centro dell'inlandsis groenlandese, nel corso della quale morì. Dedicatosi a problemi di paleobiogeografia, si occupò soprattutto di studiare la genesi della disposizione dei continenti e legò il suo nome all'enunciazione (1912) della celebre teoria della deriva dei continenti.
Wegener negli anni '20 disse che i continenti si erano formati tutti insieme e poi in seguito si erano divisi; infatti si sono ritrovati i resti in Brasile e sulle coste africane di un rettile che non poteva volare, quindi da questa scoperta si rafforzò questa teoria.
Con l'utilizzo dei satelliti gli studiosi si sono accorti che l'oceano Atlantico si sta allargando di 3 cm all'anno.
La tettonica a zolle, approfondisce la teoria sulla formazione dei continenti, dando una spiegazione di cosa accade alla base dei continenti.
Lungo l'oceano Atlantico si è formata una dorsale ad una profondità di 2000-3000metri, ed è un rilievo materiale fluido.
Il rift fossa tettonica di ampiezza e sviluppo longitudinale molto grandi. Sono classificate tra i rifts le grandi fosse tettoniche dell'Africa orientale e le valli mediane delle dorsali oceaniche. Poiché le faglie che limitano i rifts tendono a convergere verso il basso, la struttura deve necessariamente, data la sua ampiezza, raggiungere le parti profonde della crosta, nelle quali la deformazione rigida può trasformarsi in adattamenti plastici; ciò appare confermato anche dall'attività vulcanica che accompagna i rifts. Si ritiene che essi siano connessi con fenomeni di distensione crostale, in accordo anche con la loro ubicazione all'interno della dorsale oceanica e con i dati relativi all'espansione dei fondi oceanici. È tuttavia possibile e, in alcuni casi, probabile, che la distensione si realizzi con una prima fase di inarcamento della crosta, alla quale seguirebbe il "collasso" della volta dell'arco, con formazione di una struttura anche morfologicamente depressa.
In ambiente sottomarino si distingue una dorsale sottomarina costituita da rilievi di notevole entità che si distaccano dalle platee abissali e che talvolta possono emergere dalla stessa superficie marina formando singole isole o
dorsale arcipelaghi anch'essi allineati nel senso della dorsale Geologicamente le dorsali sottomarine costituiscono strutture di importanza fondamentale nella dinamica della tettonica delle zolle e nell'evoluzione degli oceani, in quanto ne rappresentano gli assi di espansione: è infatti in corrispondenza delle dorsali che si ha la risalita di fusi a chimismo basico, dalla cui consolidazione si genera nuova crosta oceanica. Le dorsali costituiscono un sistema continuo che attraversa gli oceani Atlantico, Pacifico, Indiano e Antartico, il mar Glaciale Artico e il mar di Norvegia, con una lunghezza totale di quasi 70.000 km. Si tratta di una catena la cui larghezza supera spesso i 1500 km e che si eleva mediamente più di 2000 m rispetto alle pianure abissali circostanti, situate ad una profondità di 4-5 km, alle quali la dorsale stessa si raccorda progressivamente. Negli oceani Atlantico e Indiano la dorsale è percorsa al centro da una valle mediana, a fianchi estremamente ripidi, fino a sub-verticali, profonda intorno ai 2000 m e ampia complessivamente una cinquantina di km; il fondovalle vero e proprio, tuttavia, non è più largo di 1000-2000 m. Tale valle mediana non è invece evidente nel Pacifico e nell'Antartico. Il sistema delle dorsali oceaniche non corrisponde ad un allineamento lineare, ma ad una spezzata, nella quale tratti rettilinei della dorsale, di lunghezza variabile, appaiono interrotti e spostati da segmenti all'incirca ortogonali alla dorsale stessa (faglie trasformi), in corrispondenza ai quali esistono pure rilievi trasversali: essi sono costituiti sia dalla dorsale spostata, sia da intrusioni di materiali magmatici lungo la faglia trasforme. Benché le dorsali vengano spesso indicate come "medio-oceaniche", esse occupano in realtà posizioni non equidistanti dai margini continentali; in corrispondenza del mar Rosso, del golfo di Aden e del golfo di California, anzi, esse penetrano nei continenti stessi. In alcuni casi, inoltre, la dorsale può affiorare formando delle isole: è quanto avviene in Islanda, nelle Azzorre e in varie isole dell'Atlantico meridionale (Ascensione, Tristan da Cunha).
Le dorsali sono costituite da rocce di tipo basaltico in superficie e di tipo gabbrico a partire da una certa profondità. I basalti mostrano grande varietà di forme, tra le quali la più caratteristica è quella a cuscino, dovuta al rapido raffreddamento della lava a contatto con l'acqua marina. Complessivamente, si è calcolato che ogni anno dalle dorsali fuoriescono lave per un totale di 4 km³, ciò che rappresenta all'incirca il quadruplo della quantità di lava emessa da tutti i vulcani continentali; si tratta di prodotti alimentati da serbatoi magmatici subcrostali, situati probabilmente ad alcune decine di chilometri di profondità. Esistono tuttora ipotesi contrastanti circa il numero e la profondità di tali serbatoi, con cui dovrebbe essere connessa anche la spiegazione genetica dei vari tipi di rocce della crosta oceanica. Numerosi sono gli studiosi che ritengono che al di sotto della litosfera esista uno strato più o meno continuo dal quale avrebbero origine i vari magmi basici e ultrabasici. Le valutazioni di densità ricavate dallo studio della velocità di propagazione delle onde sismiche P hanno messo in luce che la densità dei materiali formanti la dorsale è intermedia tra quella dei materiali della crosta oceanica a distanze dalla d. superiori ai 30 km e quelle dei materiali del mantello, i più densi di tutti. In relazione con l'emissione di lave, il flusso di calore dalle dorsali è particolarmente elevato e raggiunge valori di 1,82 ) 1,56 m cal/cm² s, molto superiori a quelli delle pianure abissali (1,28 ) 0,53 m cal/cm² s).
Un altro aspetto presentato dalle dorsali è quello dell'attività sismica; esse sono infatti sede di terremoti ad ipocentro superficiale. La distribuzione dei sismi negli oceani, come è noto, non è casuale, ma è legata ai margini delle placche litosferiche, in corrispondenza dei quali le placche stesse si muovono reciprocamente. In particolare, le placche si allontanano dalle dorsali e scorrono lateralmente l'una rispetto all'altra lungo le faglie trasformi. È soprattutto in corrispondenza di questi tratti ortogonali alla d. e colleganti due segmenti della stessa che l'attrito connesso allo scorrimento genera sismi ad ipocentro superficiale.
Benché in generale nell'ambito della litosfera si considerino prevalentemente i movimenti delle placche, è bene sottolineare che anche gli assi di espansione, coincidenti con la parte centrale della valle mediana delle dorsali, possono spostarsi rispetto alla sottostante astenosfera. Ciò è desumibile dalla constatazione che in diverse regioni del globo terrestre tra due assi di espansione non è interposta alcuna zona di consunzione della crosta; poiché varie considerazioni portano ad escludere che l'intero pianeta sia in espansione ad un tasso tale da giustificare l'ampliamento degli oceani senza l'intervento di fenomeni di distruzione della crosta, si deve concludere che le dorsali stesse sono in movimento. Così, ad esempio, la dorsale di Carlsberg nell'oceano Indiano e la dorsale medio-atlantica non sono separate da alcuna zona di sprofondamento o di corrugamento crostale e quindi almeno una delle due dorsali deve muoversi; perché ciò si verifichi senza che venga a mancare la simmetria rispetto alla dorsale stessa è sufficiente che l'asse di espansione si sposti ad una velocità uguale alla metà della velocità con la quale le placche si allontanano l'una dall'altra.
Al di sopra delle lave basaltiche delle dorsali si trovano generalmente sedimenti pelagici, formati da melme a Foraminiferi e a Coccoliti; la loro bassissima velocità di deposizione (0,02 mm/anno) consente la formazione di veli di spessore assai modesto. Allontanandosi dalla dorsale, i depositi divengono argillosi e silicei, poiché viene superata la profondità di 4500-5000 m (limite di compensazione dei carbonati) al di sotto della quale i gusci dei Foraminiferi vengono sciolti. Indagini svolte sia sui depositi ricoprenti direttamente le lave basaltiche, sia su queste ultime hanno dimostrato che nelle grandi linee l'età degli uni e delle altre aumenta simmetricamente a mano a mano che ci si allontana dalla dorsale, ciò che viene interpretato come una prova dell'espansione del fondo oceanico a partire dalla d. stessa; nello stesso senso aumenta, evidentemente, anche lo spessore dello strato sedimentario che ricopre il fondo oceanico basaltico. Un'ulteriore e indipendente conferma dell'espansione è fornita anche dai dati paleomagnetici; risulta infatti, nell'insieme, che lo strato 2 dei fondi oceanici è magnetizzato in bande a polarizzazione alternativamente normale e invertita, simmetriche rispetto alla dorsale.
I diversi caratteri morfologici presentati dalle dorsali nei vari oceani sono stati messi in relazione con una differente velocità di espansione. Con una velocità dell'ordine di 2-4 cm/anno si avrebbero dorsali del tipo Atlantico, con rilievi molto accentuati e con profonda valle mediana; le dorsali di tipo Pacifico, caratterizzate da rilievi più blandi, spesso di altezza inferiore ai 500 m, e dall'assenza di una imponente valle mediana sarebbero legate ad una velocità di espansione assai maggiore, dell'ordine di 5-12 cm/anno. Analogamente, lo spessore dello strato 2, basaltico, sarebbe maggiore nel primo caso e minore nel secondo. Viceversa, l'abbassamento progressivo della d. a mano a mano che ci si allontana da essa, dovuto, a quanto pare, alla diminuzione di volume per progressivo raffreddamento del materiale magmatico, sarebbe minore nel primo caso e maggiore nel secondo.
L'allontanamento delle americhe è stato provocato da una frattura.
Lungo la dorsale atlantica troviamo una continua fuoriuscita di materiale molto caldo, che continua a pigiare lungo le fasce.
Il raggio terrestre, considerando la Terra in prima approssimazione una sfera, risulta pari a 6378 km, mentre la massa risulta eguale a 5,97 1027 kg.
La costituzione della Terra è contrassegnata da discontinuità nella densità e da superfici di separazione fra un nucleo interno (raggio di ca. 3500 km), un mantello (fra 2900 e 100 km) e una crosta superficiale.
Il nucleo in fisica terrestre, nucleo della Terra è la parte più interna della Terra, caratterizzata da densità elevata.
Ha un raggio di ca. 3500 km e si divide in nucleo esterno e nucleo interno (raggio di ca. 1400 km), entrambi costituiti prevalentemente di ferro e nichel.
In geofisica si dice nucleo la sezione più interna della Terra situata al di sotto del mantello dal quale è separato dalla discontinuità di Wiechert-Gutenberg. Lo spessore medio del n. è di circa 3400 km e la sua composizione a base prevalentemente di leghe di ferro e nichelio e forse anche di silicio; secondo altre ipotesi sarebbe composto da una materia solare indifferenziata fortemente compressa e ricca di idrogeno.
In base alle caratteristiche fisiche si distingue un n. esterno (outer core) dello spessore di 2000 km ca., probabilmente fluido e con una pressione che aumenta fin oltre i 2 milioni di atm, mentre la temperatura si mantiene sui 2000°C, la densità aumenta da 9,5 a 11,7 g/cm³ (anche la velocità delle onde sismiche, longitudinali, aumenta da 8,2 a più di 10 km/s).
Il n. interno (inner core) invece avrebbe uno spessore di 1400 km e sarebbe allo stato solido anche per via del notevole aumento della pressione che al centro della Terra supererebbe i 3 milioni di atm, mentre la temperatura oscillerebbe intorno ai 3000-4000 °C; la densità e la velocità delle onde sismiche aumentano, la prima fino a ca. 16 g/cm³ e la seconda fino a 11,2 km/s.
Il mantello è l'involucro intermedio del nostro pianeta, compreso tra la crosta, esterna, ed il nucleo. Esso è pertanto limitato superiormente dalla superficie di discontinuità di Mohorovicic e inferiormente da quella di Gutenberg. La prima è situata a profondità variabili tra i 6-10 km al di sotto dei fondi oceanici ed i 30-70 km al di sotto dei continenti, dove raggiunge la massima profondità in corrispondenza delle catene montuose di corrugamento recente. La seconda è invece posta alla profondità costante di 2.900 km. La massa del m., pari a 4,075.10²7 g, rappresenta il 68,1% della massa totale della Terra. Nel passaggio dalla crosta al m. la velocità delle onde sismiche longitudinali aumenta bruscamente da 6,5-6,8 km/s a 7,5-8,1 km/s. Questa alta velocità sismica è mantenuta fino alla profondità di 100-200 km, in corrispondenza della quale esiste ovunque uno strato a bassa velocità. A 900 km di profondità si incontra la superficie di discontinuità di Repetti, separante il m. esterno da quello interno. Mentre la composizione di quest'ultimo è tuttora oggetto di molte congetture, su quella del m. esterno sembra esistere una maggior concordanza di opinioni. In base allo studio delle meteoriti, all'analisi dei sismogrammi e a prove chimiche sperimentali, si ritiene che il m. superiore, la cui composizione non sarebbe strettamente omogenea procedendo in senso laterale, sia costituito in prevalenza da rocce ultrabasiche, dotate di comportamento rigido nella parte esterna (costituente, assieme alla crosta, la litosfera) e plastico, perché prossime al punto di fusione, nella parte interna (astenosfera). Il gradiente geotermico tenderebbe a diminuire con la profondità; si ritiene che verso la base del m. la temperatura non superi i 2000-3000 °C. La pressione in corrispondenza della superficie di Gutenberg sarebbe invece attorno ai 1500 kb.
Queste zone hanno composizione diversa: il nucleo (densità superiore a 8) sarebbe formato da nichel e ferro (nife); il mantello della parte interna (densità fra 5 e 6) da ossidi e solfuri metallici (osol); nella parte esterna (densità fra 3 e 4) da silicati di magnesio (sima); la crosta (densità 2,8) da silicati di alluminio (sial).
La cròsta è un sottile involucro esterno del nostro pianeta, costituito da rocce solide, meno dense di quelle del sottostante mantello, dal quale è separato da una superficie di discontinuità detta "Moho" dal nome del suo scopritore, il sismologo iugoslavo Mohorovicic: in corrispondenza di tale superficie la velocità delle onde sismiche P passa da 6,6 km/s a 7,5-8,1 km/s. Densità, spessore, età e struttura della c. presentano valori e caratteri non omogenei; in prima approssimazione si possono distinguere tre tipi di crosta: continentale, oceanica, di transizione.
— Crosta continentale. Le masse continentali sono formate da una crosta che ha densità media di 2,7; essa è costituita da due involucri, separati dalla discontinuità di Conrad; la porzione superiore è formata per il 92% da rocce ignee e metamorfiche e per l'8% da rocce sedimentarie, presenti quasi esclusivamente nelle zone più superficiali, ed è indicata dai geofisici come "strato del granito"; è possibile che la sua composizione sia granitica nelle parti alte e passi gradualmente a granodioritica e ad enderbitica approssimandosi alla discontinuità di Conrad. La porzione di crosta sottostante a quest'ultima, non accessibile direttamente, è nota come "strato del basalto"; secondo alcuni essa sarebbe formata, in parte o completamente, ancora da enderbite; altri ritengono invece che si succedano, dall'alto al basso, rocce anfibolitiche, gabbriche ed eclogitiche. Lo spessore della crosta continentale varia tra una media di 35-40 km e punte massime di 60-70 km, raggiunte in corrispondenza delle catene di montagne di corrugamento recente. L'età delle rocce della crosta continentale è molto varia, poiché in esse si comprendono anche quelle sedimentarie recenti ed attuali. Le rocce metamorfiche affioranti negli scudi continentali hanno molto frequentemente età superiori a 1,5 miliardi di anni; sono note estese porzioni con età maggiore di 3,6 miliardi di anni. La struttura della crosta continentale è nota solo per le sue parti più superficiali; in esse si possono distinguere una copertura ed un substrato. La copertura è costituita essenzialmente da rocce sedimentarie, formanti sia piatti accumuli poco deformati, sia fasce intensamente corrugate in corrispondenza delle catene montuose, nella cui ossatura sono peraltro presenti anche rocce del substrato; il substrato consta di rocce metamorfiche e granitoidi, per lo più intimamente deformate per aver partecipato a numerosi cicli orogenetico-metamorfici, durante i quali si sono succedute fasi di ripiegamento e di intrusione.
— Crosta oceanica. I fondi oceanici sono caratterizzati da una crosta che ha densità media di 3 e struttura semplice, costituita da tre strati sovrapposti: strato 1, strato 2 e strato 3. Lo strato superiore (strato 1) ha spessore variabile tra 0 e 1 km ed è formato da rocce sedimentarie. Lo strato 2, con spessore di 0,7-2 km, consta di basalti toleitici a cuscini, associati a sedimenti pelagici calcarei e argillosi; i basalti presentano anomalie magnetiche disposte in bande parallele e simmetriche rispetto alle dorsali oceaniche; ogni coppia di bande mostra polarità alternativamente normale e invertita; il fenomeno è servito, assieme ad altri, per mettere a punto la teoria dell'espansione dei fondi oceanici. Infine, lo strato 3, con spessore di 5 km ca., ha composizione ignota, che si ritiene consista in una parte superiore diabasica filoniana ed in una inferiore gabbrica, forse stratificata. L'età della crosta oceanica aumenta, nelle grandi linee, a mano a mano che ci si allontana dalle dorsali; in nessun punto, per quanto è noto, essa supera i 200 milioni di anni.
— Crosta di transizione. È presente negli archi insulari e nei margini continentali; ha spessori variabili tra i 15 ed i 30 km e caratteri intermedi tra quelli della crosta continentale e della c. oceanica.
In pedologia con il termine di crosta si intende un deposito chimico concrezionato, duro, superficiale, con una certa estensione nello spazio, che si forma per deposizione di minerali sciolti nelle acque vadose, durante la loro risalita per capillarità; ciò accade soprattutto nei suoli dei climi con alternanze di stagioni aride e umide. Le croste possono essere calcaree, ferruginose, lateritiche, gessose, saline.
La tettònica è un termine geologico con cui si indicano sia i rapporti spaziali e la struttura interna delle masse rocciose, sia la disciplina che si occupa del loro studio. La tettonica, cioè l'architettura di un certo settore della crosta terrestre, è determinata dall'associazione di singoli elementi, o gruppi di elementi, che prendono il nome di strutture. Il termine di geologia strutturale, dai più usato come sinonimo di tettonica, si dovrebbe riferire più propriamente allo studio delle strutture, riservando quello di tettonica all'indagine sulle vicende che hanno condotto alla loro genesi ed associazione; in altri termini, si può dire che la geologia strutturale sta alla tettonica come la fotografia sta alla cinematografia.
La geologìa è una scienza che studia la parte solida della crosta terrestre (litosfera) per quanto riguarda la sua formazione e la sua struttura; prende inoltre in esame vari fenomeni naturali come magmatismo, metamorfismo, orogenesi, erosione, sedimentazione e ne stabilisce il meccanismo, le cause e la loro successione cronologica. Per tale valutazione temporale la g. oltre che una scienza naturalistica è anche una scienza storica.
La g., liberandosi piano piano dei pregiudizi filosofici e religiosi propri del Medioevo, ha acquisito un campo di indagine enorme ed un contenuto sempre più rigoroso ed obiettivo; essa ha rapporti di interdipendenza molto stretti con altre scienze affini come paleontologia, petrografia, mineralogia, geochimica, giacimentologia, geografia fisica e geomorfologia. Altre connessioni intercorrono con le discipline fisiche come ingegneria, geofisica, geodesia e topografia. In senso moderno la g. viene oggi suddivisa in due parti: teorica e applicata.
— G. teorica. Persegue finalità puramente speculative ed è costituita dalla g. generale o fisica o geodinamica che studia le cause e il meccanismo dei vari fenomeni sia interni alla crosta terrestre (endodinamica) sia esterni (esodinamica), dalla g. storica che traccia la storia evolutiva della crosta terrestre nei vari aspetti geografici, climatici e vitali, dalla stratigrafia che studia i processi di sedimentazione e l'età delle varie formazioni, dalla g. strutturale o tettonica che prende in esame gli elementi geologici strutturali e ne studia cause e meccanismi.
— G. applicata. Indirizza a fini pratici i risultati ottenuti dalla g. pura e ha assunto recentemente sviluppo e importanza sempre più grandi; basti pensare agli enormi problemi connessi all'impostazione ed esecuzione delle grandi opere di ingegneria civile (dighe, strade, gallerie, ferrovie, fondazioni, serbatoi, pozzi, aeroporti, ponti), alla prevenzione delle grandi catastrofi naturali mediante lo studio dei processi evolutivi superficiali, alla ricerca e sfruttamento industriale di minerali e combustibili fossili solidi, liquidi e gassosi, di acque normali e termominerali, di materiali da costruzione.
Pertanto i principali settori della g. applicata sono l' idrogeologia, la g. delle costruzioni, la geomorfologia applicata e la g. mineraria.
La tettonica di una regione può derivare unicamente dalla successione di eventi litogenetici primari ed in tal caso essa è generalmente assai semplice; oppure essa può rappresentare il risultato delle dislocazioni e delle deformazioni di corpi rocciosi preesistenti, con una complessità più o meno grande a seconda dei casi. È soprattutto di questi casi, che necessitano di studi e conoscenze particolari, che si occupa la tettonica, che è pertanto per lo più definita come studio dell'assetto geologico di una regione deformata; parimenti, la geologia strutturale è intesa soprattutto come studio analitico delle strutture da deformazione e dislocazione, dette strutture tettoniche.
Tettonica delle placche
I risultati hanno consentito di mettere a punto un modello di deformazione della litosfera terrestre, che in inglese prende il nome di plate tectonics
La sua scoperta è recente; essa è stata resa possibile soprattutto dalle migliori conoscenze dei fondi oceanici, della loro composizione, struttura ed età e dei meccanismi geodinamici che vi si svolgono, conoscenze fornite dalle ricerche oceanografiche, geofisiche e geochimiche. È stato possibile accertare che l'involucro più esterno del nostro pianeta, costituito dalla parte superiore del mantello e dalla crosta terrestre, è suddiviso in un piccolo numero di placche di grandi dimensioni; in alcune di queste la crosta è di tipo unicamente oceanico, in altre essa è in parte oceanica, in parte continentale. Le placche, tutte giustapposte, sarebbero in continuo movimento relativo lungo i loro margini, o allontanandosi l'una dall'altra a partire dalle dorsali oceaniche, o convergendo in corrispondenza delle fosse oceaniche e delle zone di collisione, o scorrendo lateralmente lungo le faglie trasformi. In sintesi, la successione di eventi previsti dal modello della t. delle placche sarebbe la seguente: si formula anzitutto l'ipotesi che nel mantello terrestre, al di sotto della litosfera, esistano correnti formanti celle convettive, che, viste in sezione verticale schematica, avrebbero profilo approssimativamente rettangolare a base suborizzontale; ciascuna cella sarebbe quindi formata da un ramo ascendente e da uno discendente, collegati da due rami sub-paralleli al limite inferiore della litosfera.
Si ammette inoltre che in due celle contigue il movimento sia opposto: in tal modo i rami subverticali contigui si muovono nello stesso senso, e, se essi ascendono, quelli suborizzontali adiacenti convergono nella parte inferiore delle due celle e divergono in quella superiore. La presenza di due rami ascendenti al di sotto di una massa continentale produrrebbe in questa dapprima un rigonfiamento molto allungato, cui seguirebbe, per l'azione traente esercitata dai due rami suborizzontali divergenti, la lacerazione della crosta ed il progressivo allontanamento dei due monconi. Lo spazio lasciato libero da questi verrebbe occupato da materiale risalente dall'astenosfera, che, cristallizzando, formerebbe una crosta oceanica, costituente il fondo di un nuovo oceano, espressione della depressione morfologica creata dall'allontanamento delle due masse continentali. Il proseguire del fenomeno porterebbe alla progressiva espansione del fondo oceanico, accompagnata da grandi espandimenti basaltici emessi attraverso la primitiva frattura, interrotta ed apparentemente spostata da faglie trasformi, sede — come la dorsale stessa — di intensa attività sismica. La produzione di crosta oceanica, non compensata dall'espansione dell'intero pianeta , porterebbe al formarsi di superfici inclinate lungo le quali una placca litosferica con crosta oceanica si inabisserebbe al di sotto di un'altra, consumandosi. Il fenomeno sarebbe accompagnato da fusione parziale e successiva risalita diapirica di materiali, che genererebbero un arco magmatico. Inoltre, il convergere di due placche porterebbe necessariamente, oltre che ad un'intensa attività sismica, alla deformazione dei loro margini ed al metamorfismo di una parte delle rocce che li costituiscono: si originerebbero in tal modo catene montuose di corrugamento; i loro caratteri tettonici e i corpi rocciosi coinvolti dipenderebbero dal fatto che l'avvicinamento progressivo di due placche contigue comporti o meno la collisione di masse continentali.
La tettonite è una roccia che ha subito intime deformazioni sotto l'azione di pressioni orientate, con predominanza dei fenomeni di rottura meccanica (clastesi) rispetto a quelli di cristallizzazione metamorfica. Le tettoniti sono prodotti del metamorfismo di dislocazione (detto anche tettonico, o dinamometamorfismo), che si rinvengono in fasce generalmente ristrette ed allungate alla base delle falde di ricoprimento o lungo le superfici di faglia. La classificazione delle tettoniti è basata sull'entità dei fenomeni di clastesi. In un primo stadio la roccia premetamorfica viene interessata da un reticolato di fratture, che ne isolano dei frammenti, ciascuno dei quali è ancora relativamente integro. In uno stadio successivo la clastesi colpisce i singoli minerali della roccia, della quale possono salvarsi piccoli frammenti che ne consentono il riconoscimento. A livelli più elevati di frantumazione e di macinatura della roccia corrispondono una diminuzione della grana originaria ed inizi di blastesi; il litotipo pre-metamorfico non è più riconoscibile e si passa progressivamente a rocce dette cataclasiti, miloniti, ultramiloniti. Queste ultime, nelle quali i costituenti originari sono ridotti a dimensioni submicroscopiche, simulano a volte certi vetri vulcanici (pseudotachiliti). Quando una milonite ricristallizza mantenendo la tessitura clastica si parla di blastomilonite.
La fase in tettonica è l' insieme di eventi deformativi, ed eventualmente metamorfici, che si realizzano in una determinata regione durante un certo intervallo di tempo. Nella sua originaria accezione, il termine di fase implica che gli eventi si siano verificati in tempi geologicamente brevi e che due fasi successive siano separate da un periodo di "quiete" molto più lungo. Ciò fa sì che spesso una fase possa essere messa in evidenza anche con l'impiego dei soli metodi della geologia stratigrafica, identificando le discordanze presenti in una determinata serie di terreni.
Oggi il termine di fase viene correntemente impiegato anche a scala locale, quando l'assetto tettonico di un'area viene dapprima ricostruito con i metodi dell'analisi strutturale e della petrotettonica; in tal caso, si prescinde inizialmente dalla correlabilità tra le fasi locali e quelle a grande scala conosciute per l'orogene in cui l'area studiata si inquadra. In questi studi dettagliati le difficoltà di correlazione dei risultati locali ottenuti in aree diverse sono aumentate dal fatto che può non esservi identità di interpretazione circa il numero delle fasi che si sono realizzate in un'area, poiché non sempre esistono criteri indiscutibili per assegnare alla stessa fase o a fasi diverse e consecutive deformazioni che appaiono sovrapposte Nei casi dubbi, se la deformazione è avvenuta in ambiente metamorfico. l'ambiguità può essere talora eliminata ricorrendo allo studio delle paragenesi metamorfiche associate ad ogni evento deformativo, purché nelle varie fasi le condizioni termobariche siano state sufficientemente differenziate. Anche questo metodo è tuttavia suscettibile di incertezze, soprattutto in quanto la fase metamorfica, oltre che coeva della fase deformativa, può essere più recente o più vecchia di questa e, in ogni caso, il suo sviluppo richiede spesso un tempo più lungo di quello necessario a produrre la deformazione.
Infine, estendendone l'accezione originaria, il concetto di fase tettonica può essere impiegato anche per le aree che non sono state orogenizzate o per periodi in cui l'orogenesi non era ancora in atto: così, per esempio, si può parlare di "fase distensiva" per l'insieme di quegli eventi che hanno generato sistemi di fosse tettoniche in aree che non sono state successivamente coinvolte in un'orogenesi, o che lo sono state solo in epoche molto posteriori.
La zolla si può spostare in due sensi o allontanandosi da quella da cui ha avuto origine,avvicinandosi ad essa.
Secondo come i due continenti si scontrano possiamo tirare due conclusioni:
- se nello scontro di due continenti uno di essi va sotto, abbiamo un movimento di subduzione,
- se le due masse hanno una diversa densità, quella più debole, si arriccia,
avendo la formazione di una catena montuosa,
- i due continenti anzichè avere una orogenesi, uno scivola sopra l' altro.
Con il movimento delle zolle si connette la forma di particolari formazioni
di forze endogene(forze all' interno della Terra).
Le fòrze endògene sono quei fenomeni di vario genere che si originano ed hanno sede all'interno della crosta terrestre. Esse sono legate principalmente al vulcanismo, a bradisismi, a movimenti epirogenetici ed orogenetici, a terremoti ed al calore interno terrestre; si esplicano principalmente attraverso spostamenti di masse rocciose profonde e conseguenti disequilibri in superficie ed emissioni di gas e vapori.
Il subduzióne movimento mediante il quale una placca litosferica con crosta oceanica scende lungo un piano inclinato, inabissandosi al di sotto di un'altra placca. L'attrito che accompagna il movimento genera terremoti con ipocentro situato a profondità variabili lungo il piano di s., fino ad un massimo di poco superiore ai 700 km. Al di sotto di tale limite, si ritiene che la placca discendente venga completamente assorbita nel mantello. Fenomeni di fusione del materiale subdotto iniziano però anche a profondità molto minori e portano all'estrazione di fusi a chimismo meno basico (andesitico), che risalgono verticalmente attraversando la placca al di sotto della quale avviene la s. e giungendo in superficie a formare un arco magmatico, ricco di isole vulcaniche. Lungo la zona di s., a profondità inferiori a quelle alle quali iniziano i processi di fusione selettiva, si verificano fenomeni di "metamorfismo di profondità", caratterizzati da una temperatura notevolmente più bassa di quella che si dovrebbe avere se il gradiente geotermico fosse normale; ciò è dovuto al fatto che la placca subdotta (che provenendo dalla superficie, è fredda) scende con una velocità troppo alta (dell'ordine anche di alcuni centimetri all'anno) per riuscire a riscaldarsi subito: durante un certo intervallo di tempo essa è pertanto soggetta ad una pressione notevole, dovuta al carico della placca al di sotto della quale essa si inabissa, accompagnata da una temperatura relativamente bassa: si generano pertanto paragenesi metamorfiche caratteristiche, quali quelle presenti nelle cosiddette facies a scisti blu. La traccia del piano di s. sulla superficie terrestre corrisponde ad una depressione morfologica che costituisce una fossa oceanica, dal momento che il fenomeno coinvolge due placche, di cui almeno una ha crosta oceanica. La subduzione, nella dinamica della tettonica delle placche, ha, in un certo senso, funzione compensatrice del processo di espansione dei fondi oceanici: infatti, se, come sembra, questo genera nuova crosta ad una velocità maggiore di quella di espansione del nostro pianeta, la quantità di crosta eccedente deve essere eliminata, come per l'appunto avviene nelle zone di s. Il meccanismo, inoltre, può provocare l'avvicinamento di due masse continentali e, da ultimo, la loro collisione, con nascita di una catena montuosa.
L'orogenesi è un complesso di processi geodinamici che determinano la formazione di catene montuose. Queste possono essere sostanzialmente di tre tipi: catene a pieghe e a falde di ricoprimento, comportanti deformazioni cospicue dei materiali coinvolti, in seguito ad azioni di compressione; catene a compartimenti rigidi non ripiegati, delimitati da faglie subverticali, derivanti da sollevamenti per spinte dal basso verso l'alto; catene di origine vulcanica, isolate, oppure associate all'uno o all'altro dei due tipi precedenti. Le più sviluppate e strutturalmente complesse sono le catene del primo tipo; esse sono anche quelle per le quali i meccanismi che ne hanno causato la genesi sono meno intuitivi.
La grande quantità e varietà di dati da inquadrare in una spiegazione organica giustifica i numerosi e diversi tentativi di soluzione proposti in epoche successive, noti come "teorie orogenetiche", ciascuna delle quali ha incontrato sostenitori ed oppositori; solo verso la fine degli anni Sessanta le ricerche oceanografiche e geofisiche hanno condotto alla messa a punto di una nuova teoria, detta della "tettonica delle placche", sulla quale sembra essersi realizzato l'accordo della maggior parte degli studiosi.
La recente teoria della tettonica delle placche parte dall'ammissione, che appare sufficientemente provata, che i fondi oceanici siano molto più recenti delle masse continentali e che derivino da un processo di espansione; essa suppone inoltre che le entità che partecipano ai movimenti a grande scala osservabili sulla superficie terrestre siano delle gigantesche piastre, scorrenti su un substrato plastico detto astenosfera. Il motore atto a provocare i movimenti delle placche è visto nelle correnti convettive presenti nel mantello. Nei suoi tratti essenziali, lo sviluppo di un orogene inizierebbe con la frattura di una preesistente massa continentale e il successivo allontanamento dei due margini continentali; la frattura diverrebbe la dorsale di un nuovo oceano; lo spazio interposto tra i due blocchi continentali verrebbe occupato, a mano a mano che la frattura si amplia, da rocce ignee basiche intrusive ed effusive, formanti una crosta di tipo oceanico, sulla quale si depositerebbero sedimenti pelagici. Non potendo l'espansione procedere illimitatamente a causa dell'insufficiente espansione dell'intero pianeta, si formerebbe a un certo momento una grande frattura inclinata, lungo la quale una parte della litosfera si inabisserebbe. Ogni fossa oceanica non rappresenterebbe altro che la manifestazione superficiale di tale sottoscorrimento. Esso porterebbe alla fusione parziale del materiale subdotto e alla conseguente nascita di un arco magmatico. Se successivamente incorporato ad un margine continentale, esso darebbe luogo ad una catena monoliminare, o cordigliera. La catena biliminare deriverebbe invece dal proseguire del sottoscorrimento fino alla collisione delle due masse continentali.
Il predetto meccanismo è stato applicato alla spiegazione della genesi dei sistemi montuosi dei vari continenti e, poiché gli oceani divengono parte attiva di questo sistema geodinamico globale, anche all'interpretazione dell'evoluzione di quelli attuali.
Come è noto, le catene montuose tendono a essere smantellate dall'erosione; solo quelle più recenti esistono quindi come rilievi morfologici accentuati; risalendo all'indietro nel tempo geologico gli antichi orogeni possono tuttavia essere ugualmente identificati anche in aree peneplanate ("scudi") sulla base delle strutture presenti nei complessi rocciosi. Ciò è tuttavia molto difficile già per quelle aree che non sono state coinvolte da più di un'orogenesi e diviene estremamente complesso per quelle che recano tracce di successive deformazioni. Poiché, per quanto detto, le orogenesi si manifestano ai margini delle placche litosferiche, ciascuna di esse ha evidentemente interessato solo aree relativamente ristrette della superficie terrestre.
Nelle grandi linee, la storia delle orogenesi manifestatesi sul nostro pianeta può essere divisa in due parti, assumendo come limite l'inizio dell'era paleozoica (ca. 570 milioni di anni fa). Il numero delle orogenesi prepaleozoiche non è noto con sicurezza, né sono possibili correlazioni certe tra le tracce messe in evidenza nei vari scudi. Sia nello scudo canadese che in quello baltico si sono riconosciute almeno tre orogenesi nell'intervallo di tempo compreso all'incirca tra 2,9 e 1,25 miliardi di anni or sono. Sicure evidenze di vari orogeni prepaleozoici sono state riconosciute anche negli altri continenti.
All'inizio dell'era paleozoica si ritiene che esistessero quattro grosse masse continentali: un supercontinente meridionale (Gondwana), comprendente l'America meridionale, l'Antartide, l'Africa, l'Australia e l'India, e tre blocchi corrispondenti all'incirca all'America settentrionale, all'Europa e all'Asia. Un oceano preercinico-pretetico separava il Gondwana dagli altri continenti; l'Europa era divisa dall'America settentrionale dall'oceano precaledoniano e dall'Asia dall'oceano preuralico.
La zolla è un continente di vasta porzione di terre emerse, caratterizzata da continuità e circondata dagli oceani.
Comprende anche le isole che sorgono sulla cosiddetta piattaforma continentale, orlo sommerso dei continenti fino a 200 m di profondità, oltre il quale il fondo oceanico si abbassa, di solito bruscamente, nella scarpata continentale.
L'Europa e l'Asia insieme con l'Africa costituiscono un unico continente, il più vasto (84.659.000 km2), detto continente antico. Le Americhe, settentrionale, centrale e meridionale (42.059.000 km2) sono dette continente nuovo; l'Australia e l'Oceania (8.942.000 km2) continente nuovissimo.
Il quarto continente è quello antartico (13.177.000 km2).
Il fluido trovando una crosta più fragile la spezza, il fluido insionuandosi nella frattura provoca una pressione di allontanamento.
Per crosta si intende anche fondo marino.
I VULCANI
Un vulcano è costituito da un focolaio, che è una cavità più o meno grande.
La sostanza all' interno del focolaio pigia sulle pareti e trovando un punto più debole si insinua, formando un condotto, che man mano riesce a sbucare all' esterno formando un cono vulcanico, che assume tre forme a seconda della composizione chimica della lava, che può essere:
acida, basica(o alcalina), neutra.
La composizione chimica dipende dalla quantità di silicati che
contiene la lava.
Se la percentuale di silicati è sopra al 65%, la lava sarà acida;se è sotto il 50% sarà basica;se è intermedia sarà neutra.
Questi tre tipi hanno anche tre diversi metodi di eruzione:
la lava acida, è molto densa ed uscirà con poca velocità.
Questi sono i vulcani molto alti con pareti scoscese.
Uno dei vulcani italiani che ha la lava così densa che mentre sale il condotto si solidifica è lo stromboli, le sue eruzioni sono molto pericolose,
perchè la lava ottura il condotto e se la pressione è molto forte, fa esplodere il tappo, con effetti disastrosi.
Altri vulcani italiani con lava acida importanti sono: lo Stromboli,
l' Etna e Vulcano.
I vulcani basici sono quelli hawaiani, la loro lava ha una notevole velocità,
circa 4-5 Km orari, per questo sono molto estesi e non hanno pareti scoscese. I vulcani neutri sono intermedi.
La composizione della lava determina la formazione di minerali quando si consolida.Una eruzione finisce se il serbatoio è vuoto, o se la pressione si esaurisce. Il raffreddamento avviene piano quando è nel condotto e velocemente quando è all' esterno.
Se il raffreddamento è lento, le molecole hanno il tempo di aggregarsi formando grandi cristalli.
I porfidi sono cristalli piccoli,che hanno avuto poco tempo per formarsi e derivano dalle lave basiche.
Il vulcano è un edificio naturale a struttura più o meno complessa e di forma assai varia, costituito da materiali che, provenendo dal profondo, salgono, attraverso la crosta terrestre, in superficie, dove si accumulano nei pressi dello sbocco, depositandosi sotto forma di lave e tufi. In questo termine rientrano, come caso tipico, anche i rilievi montuosi a forma di cono emettenti dall'apice vapori e talora lave, che corrispondono all'usuale concetto di v. Vengono distinti tipi di vulcani in base alla forma, alla struttura interna e alla composizione: questi caratteri dipendono da vari fattori, quali la quantità di materiale emesso, la forma del condotto che porta il magma in superficie, la topografia della zona nella quale il v. viene edificato ed infine il tipo di attività vulcanica che ha generato il v. (attività che a sua volta dipende dalla natura e soprattutto dalla viscosità del magma che viene eruttato). I vulcani possono anzitutto essere distinti in vulcani di lava, vulcani misti e vulcani di materiali incoerenti, a seconda che essi siano costituiti unicamente da lava, oppure da prodotti piroclastici o, ancora, da una mescolanza dei due.
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— Vulcani di lava. Si formano durante eruzioni di tipo effusivo: sono da ricordare i vulcani a scudo, detti anche aspiti, costituiti da lave consolidate in forma di scudo molto appiattito; sono dovuti ad effusioni di magma basaltico da condotti vulcanici tubolari; per la sua fluidità, il magma basaltico si espande sulla regione circostante, sviluppando così un edificio vulcanico assai più largo che alto. Vulcani di lava sono anche i cosiddetti vulcani tabulari (coperture di lava, pedioniti), edifici giganteschi in forma di piastra (il v. tabulare del Deccan avrebbe una superficie di 650.000 km² ed uno spessore di 3000 m); vulcani di questo tipo sono dovuti al successivo sovrapporsi di colate laviche di natura basaltica, fuoruscenti da fessure della crosta terrestre; talora, alle colate sono intercalate coltri di tufi; i vulcani tabulari possono originarsi anche da nubi ardenti (sono allora di composizione litologica particolare ed in genere hanno dimensioni minori). Vulcani di lava di dimensioni assai minori sono infine la colata lavica, la corrente di lava, alcuni tipi di cupola lavica e di dosso vulcanico, e la protrusione.
— Vulcani misti. Si formano per un'alternanza di fasi effusive ed esplosive e sono costituiti da una successione di strati di lava e di tufi. Tra le forme più caratteristiche sono lo stratovulcano, ed alcuni tipi di dosso vulcanico.
— Vulcani di materiali incoerenti. Costituiti dall'accumulo di soli prodotti piroclastici, sono dovuti ad eruzioni fortemente esplosive; in alcuni casi, la violenza di queste ultime è tale da non portare all'accumulo di alcun tipo di materiale, ma soltanto alla formazione di un diatrema (o canale di esplosione), talora contornato da depositi piroclastici di spessore assai ridotto.
Oltre che in base ai materiali dai quali sono costituiti, i vulcani possono essere classificati anche a seconda del tipo di eruzione che li ha generati; da questo punto di vista si distinguono vulcani centrali, dovuti ad attività circoscritta ad un punto della superficie terrestre e non distribuita lungo una linea o su di un'area relativamente vasta; vulcani lineari (ai quali appartengono le coperture di lava o vulcani tubolari e i dossi di ristagno); vulcani areali.
I vulcani vengono inoltre detti monogenici o poligenici, a seconda che si siano formati in seguito ad un'unica eruzione, oppure a numerose eruzioni, ripetute nel tempo con caratteristiche talora uguali, talora diverse. Sono poligenici, ad esempio, gli stratovulcani.
I vulcani poligenici possono essere semplici, se sono prodotti da un'attività vulcanica i cui caratteri non mutano nel tempo, oppure composti, se sono generati da un'attività variabile nel tempo; ciò avviene per esempio quando un'eruzione esplosiva squarcia lo stratovulcano preesistente, sostituendovi in cima una caldera. Se, successivamente, all'interno di questa viene edificato un nuovo cono vulcanico, l'edificio nel suo complesso prende il nome di v. a recinto, perché il vecchio cratere recinge il cono vulcanico di neoformazione. È questo il caso del Vesuvio, che si è formato all'interno di un apparato vulcanico preesistente, trasformato in caldera, del quale il monte Somma rappresenta ciò che rimane attualmente.
I vulcani composti possono essere classificati in base al modo in cui evolve l'attività vulcanica: esiste un'evoluzione normale, inversa, ricorrente. L'evoluzione normale è regolata dalle leggi seguenti: le dimensioni del v. più antico sono maggiori di quelle del v. più recente; il tipo di materiale eruttato diventa sempre più ricco di silice, e quindi sempre più acido.
Il focolare vulcànico è una zona interna alla crosta terrestre nella quale sono raccolte le masse liquide di magma e da cui si dipartiranno gli stessi magmi per traboccare a giorno attraverso i condotti vulcanici. Viene detta anche bacino magmatico.
Il cratère è una cavità imbutiforme degli apparati vulcanici, di varie dimensioni, dal fondo comunicante con il condotto per mezzo di bocche se il vulcano è attivo.
Rispetto alla genesi si distinguono: crateri di accumulo, di esplosione, semplici o hawaiani.
— Crateri di accumulo. Sono formati dall'accumulo di scorie.
— Crateri di esplosione. Si formano quando parte delle rocce preesistenti siano state asportate da un'esplosione.
— Crateri semplici o hawaiani. Detti anche di sprofondamento o di subsidenza, sono delle fosse aperte nella lava solidificata a causa dello svuotamento del condotto.
Esistono poi tipi particolari come le caldere, dalla forma tipicamente circolare, che sono originate sia per esplosione (le più piccole) sia per sprofondamento (le più grandi). Cessata l'attività vulcanica, il cratere può essere occupato dalle acque formando così un lago craterico.
Il camino vulcànico è un condotto di forma grossolanamente cilindrica e con andamento generalmente subverticale attraverso il quale avviene l'eruzione vulcanica vera e propria con conseguente emissione di materiale lavico e tufaceo ed emanazione di gas e di vapori. Se il camino si forma per fenomeni vulcanici di tipo essenzialmente esplosivo viene chiamato camino o canale d'esplosione o necks.
Il magma è una massa allo stato fuso, più o meno fluida e a temperatura molto elevata, in genere superiore ai 1200°C, di composizione chimica piuttosto complessa, ma in prevalenza costituita da silicati, ricca di gas e vapori, che si trova o si forma nelle zone profonde della crosta terrestre; essa è comunque dotata di una notevole continuità nello spazio e di una grande indipendenza nei confronti delle formazioni rocciose circostanti. Il consolidamento delle masse magmatiche porta alla formazione delle rocce eruttive; più in particolare i magmi possono solidificare per lento raffreddamento in posto, cioè nello stesso bacino magmatico o in zone più o meno profonde della litosfera, dando luogo alle rocce eruttive intrusive, iniettarsi entro discontinuità o fratture generando le rocce eruttive filoniane, oppure arrivare in superficie espandendosi come lave vulcaniche e dando luogo, a seguito di un raffreddamento e consolidamento più rapidi, alle rocce eruttive effusive.
Per quanto riguarda la composizione delle masse magmatiche essa è in buona parte ben conosciuta, in quanto sono note le caratteristiche di composizione chimica e mineralogica delle rocce che si sono formate dal loro consolidamento. In particolare, i principali componenti presenti nel m., detti anche costituenti chimici fissi o fondamentali i quali durante il processo di solidificazione si combinano variamente per generare dei composti solidi, sono i seguenti espressi in ossidi: SiO2, Al2O3, Fe2O 3, FeO, MgO, CaO, K2 varie combinazioni quantitative di questi costituenti verrà determinato il tipo chimico delle diverse rocce eruttive generate. Ai componenti fondamentali sopra ricordati si associano in quantità minori TiO2, ZrO2, P2 O5, Cr MnO, BaO, Li2O, SrO. Nelle masse magmatiche sono inoltre presenti degli elementi volatili, i quali, durante i processi di consolidamento, si liberano allo stato gassoso o di soluzioni termali. Tali elementi, detti pneumatolitici o pneumoidatogeni, sono essenzialmente rappresentati da H2O, CO2 , F, Cl, HF, HCl, H3BO3, H 2S, SO2; essi condizionano solo in minima p composizione finale delle rocce che si originano dai magmi, però presentano una fondamentale importanza nei processi eruttivi in quanto riducono la viscosità della massa magmatica e favoriscono la cristallizzazione dei composti durante la fase di raffreddamento. Essi inoltre possono concentrarsi nei residui magmatici aumentandone la mobilità e le capacità specifiche di eruzione e infine, liberandosi sotto forma di gas o di soluzioni a elevata temperatura, possono dar luogo a processi mineralogenetici tardivi ai quali sono connessi geneticamente molti giacimenti di minerali utili.
In base al contenuto di silice i magmi si possono classificare in ipersilicici (SiO2>80%), persilicici (80-65%), mesosilicici (65-52%), iposilicici (52-45%) e ultrabasici (65%), lave neutre (SiO2=65-52%) e lave basiche (SiO 2