L'antisemitismo

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Testo

PREFAZIONE
Sulla scorta della lettura, condotta in III liceo, dei seguenti romanzi:
Morante - La Storia
Levi - Se questo è un uomo
- La tregua
Uhlman - Trilogia del ritorno
del saggio storico di:
Saracino- Breve storia dell’antisemitismo
e di una selezione di passi tratti da:
Piperno- L’antisemitismo moderno
Sartre- Riflessioni sulla questione ebraica
“L’ANTISEMITISMO COME ELEMENTO CONTESTUALE IN ALCUNI ROMANZI DEL ‘900”.
Il tema in IV liceo, è stato articolato in base ad un piano operativo, variato due volte nel corso dell’anno, ed assunto in via definitiva, in V liceo, all’interno di un percorso pluridisciplinare.
aaaaaaaa
PREMESSA - Chi sono gli ebrei?
CAP. I - L’identità ebraica come prodotto dell’antisemitismo
PAR. I - Il ghetto;
PAR. II - Il segno e l’usura;
PAR. III - Alcuni momenti fondamentali nella storia
dell’antisemitismo: le intrinseche ragioni economiche
della persecuzione.
CAP. II - L’antisemitismo nella storia recente come contrapposizione allo
stato di Israele: ragioni politiche, ragioni economiche.
Olocausto: un riconoscimento di responsabilità.
CONCLUSIONI.
La seconda sezione del lavoro riguarda “La Storia” di E. Morante, edito nel 1974, in cui l’antisemitismo appare elemento fondamentale nella contestualizzazione del romanzo. Mentre la ricostruzione del quadro storico, definito attraverso la cronologia dei grandi eventi della Storia è stata curata dalle scritture che li ha distinti per anno all’inizio di ognuno dei sette capitoli che compongono il romanzo, in questo lavoro gli allievi hanno puntatola loro attenzione su quei personaggi che di più e meglio, mostrano il condizionamento subito nella loro personale quotidianità da parte dell’antisemitismo, prima e dopo la sua definizione in termini legislativi. Questa sezione è stata così articolata:
PREMESSA: Notizie sulla scrittrice.
I PERSONAGGI: 1- Gunther
2- Nora Almagia
3- Ida Ramundo
4- Nino
5- Useppe
6- Vilma e la Signora Di Segni
7- Giuseppe Ramundo e Davide.

La terza sezione del lavoro ha riguardato la “Trilogia del ritorno” di Fred Uhlman. Gli allievi hanno individuato nel I e nel II romanzo (“L’amico ritrovato” e “Un’anima non vile”) lo sviluppo ideologico dell’istanza antisemita nella società tedesca alla vigilia del nazismo e durante il nazismo, per cogliere nel III romanzo (“Niente resurrezioni, per favore”), più complesso dei precedenti, le connotazioni ideologiche contemporanee che pone il tema oggi, alla luce dell’esperienza nazista e del suo esito.
PREMESSA
Chi sono gli ebrei?
II termine " Ebreo " si afferma a partire dal XIX sec. in sostituzione di "Giudeo per indicare coloro i quali appartengono alla religione ebraica, indipendentemente dal fatto di praticarne o meno i riti. Secondo l'ebraismo ortodosso, l 'appartenenza ebraica si tramanda in modo matrilineare, per discendenza da genitori ebrei; in realtà, però possono essere definiti ebrei tutti coloro che sono e si sentono parte di un popolo che, nel corso dei secoli, è riuscito a mantenere viva la propria identità, non di rado minacciata. Le manifestazioni più significative di queste minacce furono certamente le persecuzioni. In generale il fenomeno di ostilità nei confronti del popolo ebreo è comunemente definito "antisemitismo". Questo termine come sinonimo di pregiudizio razzistico verso gli ebrei deriva da una concezione antropologica che divideva la popolazione mondiale in tre principali ceppi a cui erano stati attribuiti i nomi biblici dei figli di Noè, Sam, Cam e Japhet. Secondo questa divisione, gli ebrei e gli arabi erano stati inseriti nel gruppo dei "Semiti'. Storicamente l'antisemitismo, nella forma in cui si è espresso e si esprime, è il prodotto della tradizione cristiana che ha attribuito al popolo ebreo la responsabilità del deicidio. Detto ciò, anche se le autorità ecclesiastiche nel corso degli ultimi anni hanno mutato il loro atteggiamento dì condanna, non si può negare che questa forma di razzismo si sia sviluppata soprattutto nei paesi cristiani, nell'alveo di una condanna che è rimasta inalterata per quasi 2000 anni, fino al Concilio Ecumenico Vaticano II (1965).
Dal momento in cui ebbero inizio le persecuzioni, l'identità Ebraica è andata definendosi come un "prodotto dell'antisemitismo". Ciò, che a primo acchito, potrebbe apparire come una contraddizione, rivela in effetti un rapporto di biunivocità, dal momento che l'antisemitismo può essere considerato uno dei fattori condizionanti della natura ebraica.
Tutte le caratteristiche che attualmente distinguono gli ebrei dagli altri gruppi etnici (la propensione per gli affari, per la medicina e, in generale per tutti gli studi ), si andarono rafforzando man mano che l'antisemitismo si manifestava in tutte le sue forme, costringendo gli ebrei ad adattare la loro posizione all'interno della società discriminante alle prescrizioni di legge formulate contro il loro gruppo. Alla base di questo concetto risiede una duplice natura dell'antisemitismo, derivata dal Cristianesimo una, dal pregiudizio comune l'altra.
Il vero e proprio antisemitismo nacque intorno al IV sec. d.C., periodo in cui il Cristianesimo divenne una religione intollerante soprattutto nei confronti di coloro che professavano altre fedi. Nel caso degli ebrei, la Chiesa li ritenne responsabili della crocifissione di Cristo, poiché ( com'è narrato nella Bibbia ) avendo avuto l'occasione di salvarlo preferirono liberare Barabba. La Chiesa non si curò delle motivazioni che spinsero gli ebrei a compiere questo gesto (la convinzione che Gesù non fosse il Messia ) e colpevolizzò la minoranza tra tutti coloro che erano presenti al deicidio Questo può essere considerato come un'azione politica dato che questa situazione giovò alla Chiesa per ottenere il favore dell'Impero Romano (reale responsabile del deicidio ),che in quel periodo affermava la propria egemonia.
Il Cristianesimo, nei secoli, ha mantenuto la sua posizione discriminante nei confronti degli ebrei, attraverso manifestazioni di isolamento sociale, tra cui la ghettizzazione, la condanna dell'usura, la distinzione per segno, le persecuzioni e l'istituzione di leggi razziali.
CAPITOLO I
L’identità ebraica come prodotto dell’antisemitismo
PAR.I - Il ghetto
Il Ghetto, termine col quale sì indicò, in Italia, il quartiere di dimora coatta degli ebrei, rappresentò una delle più palesi forme di isolamento del gruppo ebraico.
Nell'antichità e nel Medioevo, la necessità di proteggere la propria incolumità spinse gli ebrei ad isolarsi volontariamente in quartieri separati, le giudecche, in cui potevano esercitare le loro principali attività, senza restrizioni. Risiedere in luoghi circoscritti divenne un obbligo solo a partire dal XVI sec. e fu applicato come norma generale per tutti gli ebrei in seguito alla bolla “Cum nimis absurdum” (del 12-VII-1555) emanata dal pontefice Paolo IV. L'istituzione, subito attuata nello Stato Pontificio, si estese, in seguito, anche nel resto d'Italia (trasfusa nelle leggi civili) e nell’Europa cristiana.
Il termine ghetto deriva dal gheto veneziano, una fonderia di metalli in cui, per la prima volta, gli ebrei furono costretti a concentrarsi nel 1516. Ideologicamente nacque dall'intolleranza della Controriforma nei confronti delle altre religioni.
Circondati da alte mura, sorvegliate da una sentinella, i ghetti divennero, col passare del tempo, luoghi malsani, a causa dell'inevitabile sovrappopolamento.
Il fenomeno di ghettizzazione costituì una delle più gravi violazioni della libertà individuale, a cui si associarono notevoli ripercussioni sulla vita economica e sociale, nonché, sulla stessa psicologia degli ebrei. Nell'ambito economico e sociale le maggiori ripercussioni riguardarono l'organizzazione del lavoro, in quanto gli ebrei furono costretti a dedicarsi esclusivamente ad attività artigianali soprattutto legate alla metallurgia, all'oreficeria, alla tessitura, tanto più capillari quanto più dure erano le difficoltà di sopravvivenza nel ghetto; vigeva, inoltre, l'impossibilità di esercitare libere professioni, salvo l'attività medica, alla quale si affiancava la pratica di prestare denaro ad interesse, l'usura. Lo sviluppo di queste due attività, e, quindi, la crescente abilità di chi le esercitava, consentì l'uscita dal ghetto e la conquista di una funzione pubblica all'interno di una società non ebrea, il che migliorò molto la posizione sociale dell'ebreo, garantendogli alcune libertà.
La separazione, fra le tante conseguenze, comportò anche l'instaurazione di una differenza netta tra ebrei e cristiani riguardo alla lingua parlata, essendosi nei ghetti in genere conservate le parlate in uso nelle singole località al momento della clausura. E’ necessario, però, ricordare che un'altra notevole differenza tra ebrei e cristiani è data dall’importanza assegnata allo studio, utile all’approfondimento delle loro principali attività, che risentì e risente particolarmente del peso della tradizione religiosa, rimasta intatta a causa della condizione di isolamento degli ebrei. La conservazione della cultura ebraica, complementare agli studi accurati cui, fin dal cinque anni di età, venivano e vengono avviati i bambini sui testi sacri (Bibbia e Talmud), basi della cultura e fonti della fede e della scienza, rimane, per tutta l'esistenza, un impegno e una verifica costante della propria identità di fede, perseguitata spesso nella storia, e, perciò, più intensamente vissuta nella clandestinità o nella segregazione.
In conclusione il fenomeno della ghettizzazione contribuì a creare nella società ebraica attuale spirito di identità unitario derivato, non solo dall'obbligo di risiedere in una medesima comunità ma, soprattutto, dalla consapevolezza di dover sopravvivere ad un destino comune.
PAR.II - Il segno e l’usura
Attualmente i simboli dell'ebraismo sono la "stella di Davide", stella a sei punte, e il candelabro a sette bracci; ma, in origine, il primo simbolo utilizzato allo scopo di distinguere uomini appartenenti a religioni diverse, fu introdotto da Omar 11, califfo arabo. Esso era un pezzo di stoffa, a forma di maiale, per gli ebrei e, a forma di scimmia, per i cristiani. Nel 1215, anno in cui si tenne il Concilio Lateranense, la Chiesa, alfine di evitare "peccaminose unioni" tra ebrei e cristiani, emise l'ordine di contraddistinguere gli ebrei mediante un simbolo. Esso in genere era costituito da una pezza di colore giallo, ma diverse erano le varianti; dall'obbligo furono esentati medici ed usurai che avevano, evidentemente, già assunto allora una funzionalità sociale tale da eludere qualunque valutazione di tipo religioso. Se si tiene conto che in Italia lo stesso segno (simon in ebraico) spesso fu imposto alle donne ebree ed alle prostitute, si comprende come, nell'immaginario collettivo, la discriminazione si sia sempre associata all'idea di ciò che è "moralmente biasimevole ": nel linguaggio comune italiano il simon diventò scimon, da cui "sciamannato " per indicare chi è sciatto e sporco. Il simbolo della "stella di Davide " è un merito puramente nazista che contribuì, tenuto conto del clima terroristico, in cui fu imposto, a incidere ulteriormente sull'identità ebraica: essere segnati come individui inferiori induce alla diffidenza, ma anche al disperato bisogno di essere riconosciuti nella propria dignità di uomini: da qui l'impegno nello studio, nell'esercizio delle proprie professioni, nell'educazione dei propri figli che ha spesso distinto nel tempo le comunità ebraiche.
Gli ebrei, a causa della loro posizione sociale, erano soggetti a delle restrizioni anche nel lavoro. Che la parola "ebreo " sia diventata sinonimo di "usuraio " si deve a precisi motivi di carattere giuridico: agli ebrei era consentito il contatto unicamente con materiali sterili, il danaro appunto, mai in nessun caso la Terra. Agli ebrei, perciò, furono consentite attività artigianali, di trasformazione di materiali inerti (metallurgia, oreficeria) o materiali organici(concia di pelli di bestie morte) e fu consentita un'unica libera professione, quella del medico, perché essa comportava il contatto , indesiderato e temuto dai più, con le malattie. Mentre le attività artigianali si svilupparono all'interno del ghetto, l'usura e la professione medica consentirono agli ebrei l'affermazione di un'identità sociale tollerata perché funzionale, utile ai non ebrei (cristiani). Anche i sovrani cercarono di approfittare degli ebrei: si trattò soprattutto dei re di Francia, di Spagna e di Inghilterra che avevano bisogno di notevoli quantità di denaro per finanziare le crociate, le guerre, le spedizioni verso il Nuovo Mondo e per mantenere la corte ed il mezzo ordinariamente usato per estorcere denaro agli ebrei fu l'imposizione di una tangente sui loro affari.
Ma anche altri metodi furono applicati: l'arresto in massa seguito dalla liberazione dietro il versamento di un riscatto, le multe che gravavano su tutta la comunità ebraica, spesso giustificate con le accuse più assurde e, infine, l'espulsione collettiva, seguita dal ritorno dietro pagamento di notevoli somme di denaro per la restituzione dei beni confiscati. La situazione degli ebrei si aggravò, nel Medioevo, quando i grandi feudatari incominciarono ad approfittare delle loro attività: si arrivò anzi al punto di vendere all'asta ebrei. In seguito, anche la nascente borghesia riuscirà a conquistarli e il più delle volte ad acquistarli: cosi , per esempio in Germania, gli ebrei si ritrovarono a dover pagare tre tasse distinte, alla monarchia, alla nobiltà e ai borghesi. L'usuraio ebreo divenne cosi "sfruttatore " e "sfruttato " allo stesso tempo. Man mano che questo sistema andò decadendo e man mano che la borghesia acquistò sempre più importanza, gli ebrei si dedicarono sempre meno all'usura, ed articolarono di più le loro attività. In età moderna, quando la borghesia capitalistica generò dinastie di banchieri cristiani e maggiore tolleranza, se non indifferenza religiosa, le attività di molti ebrei si diversificarono ed essi diventarono industriali (metallurgia), importatori(di materie prime), assicuratori(Lloyd), finanzieri(CREDIT MOBILIER dei Rotschild). Alta finanza, certo, alta industria, ma dopo secoli di apprendistato forzato.
PAR.III- Alcuni momenti fondamentali nella storia dell’antisemitismo
Parlare dell'antisemitismo, comporta la necessità di una periodizzazione del fenomeno, tutt'altro che unitario nel suo svolgimento e nel corso dei secoli collegato con altri fenomeni storici o movimenti ed ideologie "alternative". Alla base del pregiudizio antisemita da parte cristiana è possibile individuare molte ragioni: accattivarsi le simpatie dei romani e combattere il proselitismo ebraico furono le principali.
- 132 In seguito alle repressioni romane, avvenne la definitiva dispersione degli ebrei denominata "diaspora".
- Dal IV sec. gli imperatori romani, pur garantendo la libertà di culto, distrussero alcune sinagoghe, vietando la ricostruzione di nuove; negarono la possibilità di sposare donne cristiane e di accedere ai pubblici uffici.
A partire dal IV secolo si passerà da forme di intolleranza, ad una di antisemitismo vero e proprio, quando il cristianesimo diventò religione di Stato. Può sembrare incomprensibile come la Chiesa abbia potuto, nel giro di pochi secoli, calpestare e stravolgere fino a questo punto il messaggio cristiano. In realtà la spiegazione è piuttosto nota agli studiosi e si può riassumere con le seguenti parole di R. Piperno: «Alla radice dell'azione antiebraica cristiana vi furono motivi politico- sociali e ideologici. Per quanto riguarda i primi, è chiaro che i cristiani, nel momento in cui iniziavano la conquista interna dell'impero romano, avevano tutto l'interesse a scindere completamente le loro posizioni da quelle degli ebrei, che non erano sempre ben visti, in particolare dal ceto conservatore che, convertitosi al cristianesimo, ne diveniva il principale sostenitore.
Contemporaneamente importava ai cristiani mantenersi attivi cittadini e scagionare i romani dall'accusa di aver crocifisso Gesù, mentre nulla era più facile che farne ricadere la colpa sugli ebrei (…) : per tutto ciò si sviluppò l'accusa di deicidio (…). Non contava che ormai la maggior parte degli ebrei vivesse già da diversi secoli fuori d'Israele al momento della crocifissione che la condanna fosse stata pronunciata da un magistrato romano, eseguita da soldati romani, con un supplizio tipicamente romano (…) che l'accusa di deicidio era moralmente inconcepibile perché presso gli ebrei mancava la convinzione che Gesù fosse Dio. In realtà, trasferendo l'accusa sul capo degli ebrei, a parte ogni considerazione dottrinaria, si aveva il doppio vantaggio di accattivarsi le simpatie romane e di combattere il vivace proselitismo ebraico».
L'antisemitismo continuò a crescere negli anni del cristianesimo trionfante, corrispondente più o meno al papato di Gregorio I Magno, nella cui bolla "Sicut Judels" si affermava che si sarebbe dovuto continuare nell'intento di conversione forzata. Posti in condizioni di inferiorità giuridica e privati di ogni diritto civile agli ebrei fu proibito il possesso di schiavi. Questo fatto , in un'economia basata sul lavoro di questi ultimi come quella romana, implicava praticamente l'esclusione da alcune attività economiche come ad esempio l'agricoltura. Durante i secoli della decadenza dell'Impero Romano e dell'Alto Medioevo, discriminati e fatti oggetto di misure vessatorie, soprattutto sotto le monarchie barbariche, gli ebrei conobbero tuttavia momenti di prosperità e di sviluppo sul piano economico. Esclusi dalle funzioni amministrative e dalle attività agricole, si dedicarono alle attività commerciali e mercantili, particolarmente importanti in un periodo di trapasso da un tipo di economia , quasi esclusivamente agricola, ad un altro di tipo di economia imprenditoriale. A partire dal secolo XI si assiste alla nascita del capitalismo medievale nell'Europa centrale. In questo stesso secolo, nel momento in cui cominciarono ad affermarsi le repubbliche marinare che conquistarono rapidamente il monopolio degli affari mediterranei si verificò il declinare della supremazia commerciale ebraica. Le crociate allontanarono definitivamente dalla vita mercantile gli ebrei che si trasformarono in usurai. Quest'attività fu in un primo momento rivolta al finanziamento dei sovrani e dei nobili , ma presto venne estesa ai contadini ed al popolo minuto, divenendo il fondamento della potenza finanziaria ebraica. Naturalmente la pratica di queste professioni suscitò nei confronti degli ebrei il risentimento e l'odio popolare che spesso provocarono persecuzioni e massacri, a cui seguiva normalmente la distruzione delle note di credito. La Chiesa contribuì ad accreditare l'immagine di un preciso stereotipo di usuraio ebraico, ed ad indurre la popolazione ad intravedere negli ebrei la causa della propria miseria. Nel 1198 il conte di Champagne stipulò un accordo con il re di Francia, volto a stabilire il possesso degli ebrei presenti sul proprio territorio. Quando si arriva alla vendita all'asta di questi uomini è chiaro che essi rappresentavano una risorsa per l'economia del territorio in cui risiedevano. Verso la fine del XIII secolo, quasi tutto il popolo ebraico residente nel paesi cristiani, con l'eccezione dell'Italia meridionale e della Spagna, viveva di quest'occupazione, che spesso era l'unica professione possibile per loro. Il predominio ebraico nel mondo finanziario si realizzò nel secoli XII e XIII, quando furono completamente emarginati dall'attività commerciale, e vennero severamente applicate le leggi che vietavano ai cristiani il prestito con usura. In Francia, dove questo popolo era presente fin dall'età romana, i primi Carolingi li protessero per incrementare lo sviluppo del commercio. Le fiere della Champagne, che in un certo periodo furono tra i principali fattori di ricchezza, diedero nuovo impulso all'insediamento ebraico. Nel secoli successivi diventarono importanti centri di cultura ebraica soprattutto le comunità del nord- est della Francia, dove gli ebrei ricevevano l'invito o l'autorizzazione a stabilirsi in una città, perché si riteneva che sarebbero potuti essere utili allo sviluppo economico del paese, si garantivano loro certi diritti, sottoponendoli però ad alcune restrizioni. E così in cambio di protezione, secondo il sistema feudale, essi si legavano alla corte con un giuramento di fedeltà, impegnandosi a pagare regolarmente le tasse al loro protettori.
- 1348-49 In Europa dilagò la peste nera e gli ebrei furono accusati di esserne responsabili.
-1492 Gli ebrei furono espulsi dai domini Aragonesi. Il re di Spagna ordinò che essi lasciassero il paese entro 4 mesi con l'alternativa del battesimo forzato o della morte.
Non tutti gli ebrei di Spagna, nel 1492, abbandonarono il paese. Alcuni preferirono, con la disperazione nel cuore, accettare la seconda alternativa prevista dall'atroce decreto di re Ferdinando: si convertirono dunque al cattolicesimo e furono chiamati "marrani", che in spagnolo significa "maialini". La loro vita divenne presto un inferno. Insopportabile era il loro stesso appellativo, allusivo all'animale che, prima, i non convertiti non potevano toccare, secondo il noto precetto della religione ebraica, ed al quale ora essi venivano associati con rovente disprezzo.
Insopportabili le loro condizioni di vita, a causa delle restrizioni apportate alle già limitate libertà civili ed economiche. Insopportabile soprattutto l'incessante sospetto che gravava su di essi, di essersi mantenuti segretamente fedeli alla religione dei padri. Ed il più piccolo indizio era sempre fatale: i roghi di marrani continuarono ad attrarre le folle sulle piazze spagnole, dapprima frequentemente, poi sempre più di rado, per oltre due secoli, fin verso la metà del '700.
- 1541 Carlo V espulse nuovamente gli ebrei del regno di Napoli. Dopo la controriforma, il Papa ordinò che gli ebrei fossero relegati nei ghetti; 1569 Pio V decretò la loro espulsione dalle città appartenenti alla Chiesa.
Per quanto riguarda l'Inghilterra, gli ebrei furono riammessi soltanto nella seconda metà del 1600, durante il regno di Cromwell. Per incrementare il commercio furono invogliati a trasferirsi a Londra i mercanti marrani di Amsterdam.
Per quanto particolarmente riguarda lo Stato pontificio, si deve dire che il Papa tollerava gli ebrei, ma non tollerava che gli ebrei convertiti al cattolicesimo si riconvertissero pubblicamente alla religione ebraica, oppure continuassero a praticarla segretamente. Nel 1685 un decreto di re Gillano Il permetteva agli ebrei il libero esercizio del loro culto.
-1861 USA. Durante la guerra di Secessione, gli ebrei furono accusati di vari reati economici e perseguitati. 1881 in Russia vennero distrutte centinaia di comunità ebraiche.
-1935 Germania. Con le leggi di Norimberga venne attuata la distinzione legislativa tra compatriota ed ebreo; venne attribuito all'ebreo lo status giuridico di razza inferiore, e negata anche la cittadinanza, gli fu vietato di sposare ariani. In Germania il ruolo svolto da questo popolo nella vita economica fu così rilevante, che il dissidio, fra gli elementi proebraici ed antiebraici di tutta la nazione raggiunse proporzioni pubbliche senza precedenti.
In Italia solo nelle regioni settentrionali e centrali gli ebrei rimasero di continuo, ma non furono mai molto numerosi ne' ebbero molta importanza all'interno del giudaismo. Soltanto nel Rinascimento la loro attività intellettuale ed artistica fu degna d'attenzione anche a livello internazionale. Ma la storia degli ebrei italiani, soprattutto quella del Rinascimento, riguarda generalmente singoli individui, in quanto il rinnovamento intellettuale per esempio, non coinvolse quasi mai la totalità delle comunità ebraiche.
-1938 GERMANIA: "Notte dei Cristalli". I cittadini furono autorizzati al libero genocidio degli ebrei che vennero esclusi dal diritto di voto e dai pubblici impieghi.
-1938 ITALIA. Il consiglio dei ministri approvò l'Istituto per la bonifica umana e l'ortogenesi; il Duce ordinò che tutti gli ebrei venissero esclusi dai ruoli diplomatici e ne proibì l'iscrizione in scuole italiane, congedando gli insegnanti ebrei. Venne attuata la distinzione tra ebrei e italiani nelle sessioni di esami; furono censurati tutti i libri di scrittori ebrei; fu vietato loro di dimorare nel Regno e nelle colonie; tutti gli scienziati e intellettuali ebrei vennero espulsi dalle accademie.
-1941 GERMANIA e ITALIA. Venne imposto agli ebrei di portare sul petto una stella gialla a sei punte, come segno di riconoscimento; cominciarono ad essere deportati verso campi di sterminio.
-1943 ITALIA. I tedeschi occuparono il nord e il centro intensificando le persecuzioni.
-1944 ITALIA. Truppe fasciste eseguirono l'arresto degli ebrei sfuggiti alle razzie tedesche.
-1948 Nacque lo Stato della Palestina.
Attraverso un corso così ampio del tempo le motivazioni di fondo dell'Antisemitismo variano: da quella iniziale del presunto deicidio, ritornato rigorosamente ad imporsi in età controriformistica, a quelle occasionali di profanazioni presunte compiute da ebrei su oggetti e luoghi sacri; dall'accusa, nel XIV sec., di responsabilità nella diffusione del contagio della peste nera, a quella di tradimento, resa nota dall'affaire Dreyfus in Francia alla fine del secolo scorso.
Le motivazioni reali che stanno alla base delle persecuzioni (e delle migrazioni conseguenti) vanno obiettivamente cercate nel danaro: in età moderna il finanziamento delle corti, delle spedizioni verso il Nuovo Mondo, si dovettero al denaro di ebrei espulsi dai territori di residenza ed ammessi dietro pagamento di esose multe o tenuti a versare quote del 10% ai sovrani sulle somme date in prestito.
In tempi più recenti si sa che la militarizzazione del III Reich si ottenne con la confisca del denaro e dei beni degli ebrei com'è, di recente, stato ammesso dai grandi esponenti dell'economia tedesca (Allianz, Basf, Bayer, BMW, Daimler, Deutsche Bank, Degussa, Dresdner Bank, Hoesch-Krupt, Hoechst, Siemens) chiamati a risarcire alle associazioni degli ebrei superstiti dei campi di concentramento, sia pure simbolicamente, il danno a suo tempo perpetrato.
CAPITOLO II
L’antisemitismo nella storia recente
Dichiarazione sull’antisemitismo redatta dal Consiglio europeo di Dublino, 25 e 26 giugno 1990.
"Il Consiglio europeo esprime la sua profonda repulsione per le recenti manifestazioni di antisemitismo che comportano atti di profanazione perpetrati nei confronti dei defunti e che intendono provocare la più grande emozione nei vivi. Che tali abomini possano godere di un qualche credito proprio nel momento in cui stiamo commemorando la fine della seconda guerra mondiale é ancora più' preoccupante. Il Consiglio europeo deplora tutte le manifestazioni di questi fenomeni.Esso conviene che si debbano adottare misure energiche per combatterli in qualunque luogo e momento essi avvengano nella Comunità. Gli stati membri valuteranno il grado in cui le loro legislazioni nazionali debbano efficacemente essere utilizzate per far fronte a questi fenomeni. Esso infatti, ritiene che il rispetto della dignità dell’uomo e l'eliminazione delle manifestazioni di discriminazione siano della massima importanza."
La Dichiarazione del Consiglio europeo del '90 dimostra l’indisponibilità delle supreme istituzioni dell'Europa di oggi ai minimi fenomeni di odio razziale del passato recente, ma non evidenzia le ragioni politiche ed economiche dell'antisemitismo di oggi.
Ragioni politiche
Lo Stato d'Israele sorse nel 1948,dopo che la Gran Bretagna abbandonò la Palestina che occupava dal 1917, per proclamazione di un governo provvisorio ebraico. L’anno precedente, 1947, l’ONU aveva deciso la spartizione della Palestina storica in due stati, uno ebraico ed uno arabo.La guerra tra gli stati arabi confinanti ed il nuovo stato di lsraele, all'indomani della sua proclamazione,fu espressione del rifiuto anche di quella spartizione. Dall'armistizio di Rodi (1949), ad oggi, Israele ha più volte dimostrato la propria forza politico militare:
1956-Nel corso del 1954/55/56, sono continuati periodici scontri sanguinosi lungo la linea di armistizio soprattutto con l'Egitto (zona di Gaza). Da allora la situazione si è venuta aggravando soprattutto per la salita al potere del clonassero, con l'intensificarsi dei propositi egiziani di rivincita e conseguente riarmo accelerato (favorito dal blocco sovietico).
Reiterati attacchi alle colonie agricole ebraiche non lontane dalla linea di armistizio, attacchi che secondo Israele, avevano per base soprattutto Gaza. Dopo altri scontri di una certa, gravità, lungo la frontiera giordano- israeliana, determinatasi la grave crisi internazionale in conseguenza dell'improvvisa nazionalizzazione della Società del canale di Suez, operata dal Col. Nasser (26 luglio 1956), il 29 ottobre truppe israeliane entrarono in territorio egiziano (penisola del Sinai);il 30 si ebbe un ultimatum franco-britannico ai contendenti, accettati da Israele, respinto dall'Egitto, e il 31 l'inizio delle ostilità franco- britanniche contro l’Egitto. Tale intervento fu , per altro, condannato dalle Nazioni Unite e in particolare da Stati Uniti e URSS: le ostilità furono pertanto troncate (9 novembre) e, subito dopo le N.U. inviarono in Egitto un corpo di spedizione con conseguente ritiro delle forze anglo-francesi e di Israele; ultime località sgombrate dagli israeliani (primi di marzo 1957) furono le zone di Aqaba e di Gaza.
1967-Questa situazione, sempre più insostenibile, di una guerriglia di fatto,all'ombra dell'armistizio del 1956, si rivelò improvvisamente drammatica quando il presidente egiziano Nasser, ottenuto il ritiro delle forze dell'ONU dalla linea di armistizio,decise il blocco del porto israeliano di Eilait (fine maggio 1967). Contemporaneamente gli Stati arabi concludevano un patto di alleanza militare e si disponevano ad attaccare Israele, quando furono prevenuti da parte israeliana (6/7 giugno): battute le forze arabe in una rapida guerra aerea e terrestre di cinque giorni (guidata da Moshe Dayan e da I. Rabin), Israele occupò tutta la penisola del Sinai sino al canale di Suez, la striscia di Gaza e la Cisgiordania, accettando, poi, l’invito dell’ONU a cessare il fuoco.La parte araba di Gerusalemme fu senz'altro annessa, ricomponendosi cosi l'unità dell'antica capitale. Da allora, mentre le forze armate degli Stati arabi sono state reintegrate del materiale perduto dall’URSS, Israele si é ripetutamente dichiarato disposto ad un'intesa con gli arabi, a condizione di poter fruire del Canale di Suez e di ottenere non più solo un armistizio, ma un vero e proprio trattato di pace. Nonostante le insistenza dell'ONU, questo non é avvenuto e sono continuati gli incidenti di frontiera,gli attacchi e le rappresaglie reciproche.
1973 - Guerra del Kippnr tra Egitto ed Israele: non portò modifiche territoriali ma avviò difficili trattative che culminarono nel ‘78 negli accordi di Comp David e nel ‘79 in quelli di Washington, tra il presidente egiziano Sadat e il premier israeliano Begin, su mediazione del presidente USA Carter: Israele restituiva il Sinai all'Egitto ma dimostrava inequivocabilmente d'essere uno stato di cui non si poteva ignorare la potenza.
19al-Mentre la questione araba rimaneva in posizione di impasse, il Governo israeliano si impegnava sul fronte libanese, attaccando e bombardando numerosi villaggi oltre confine.Questo provocava un rafforzamento, in ambito governativo della destra e delle forze più intransigenti del sionismo: il ministro degli esteri Dayan veniva sostituito da Shamir (oppositore degli accordi di Camp David) e, successivamente, dopo il passaggio alla difesa da Madai, contrario ad ogni compromesso con l'Egitto.Il governo veniva sciolto nel giugno 1981, in seguito alle polemiche interne riguardanti il bombardamento israeliano di un centro atomico iracheno alla periferia di Baghdad.
Le nuove elezioni decretavano il successo del Partito laburista. L’uccisione di Sadat da parte di integralisti musulmani mostrava, in modo cruento, le divisioni interne al mondo arabo che, all'iniziativa diplomatica di cui l'Egitto si era fatto portavoce, associava il proliferare di associazioni fondamentalistiche in cui l'elemento islamico assumeva carattere fortemente avverso all'Occidente ed il rafforzamento dei movimenti armati per la liberazione della Palestina, alcuni organizzati politicamente, l'OLP di Arafat, altri spontanei come la INTIFADA.
1982 - Le truppe israeliane invadono il Libano meridionale e il Governo, all’unanimità respingeva il piano per il Medio Oriente proposto a Begin dal presidente americano Reagan. Nel settembre dello stesso anno, completata l’occupazione di Beirut, le truppe israeliane massacravano centinaia di profughi palestinesi nei campi di Shabra e Chatila. Israele respingeva ogni responsabilità dell'eccidio, accusando le forze falangiste, ma all'interno del paese avevano luogo imponenti manifestazioni di proteste e l'opposizione chiedeva le dimissioni di Begin e del ministro della difesa Sharon. Alla fine di settembre, le forze israeliane si ritiravano da Beirut. Le elezioni tenutesi l'anno seguente decretavano la nomina a presidente della Repubblica di Haim Herzog.
Ragioni economiche
L'incremento demografico dello stato di Israele (28%) non è più, oggi, riconducibile all'immigrazione da altre parti del mondo e deve essere ritenuto, insieme al bassissimo indice di mortalità, sintomo del rigoglio economico e dell'alto grado di coesione sociale raggiunto nel paese. L'agricoltura, tanto produttiva da alimentare una fortissima esportazione di prodotti agrumicoli, gode dell'applicazione di avanzatissime tecnologie, anche idrauliche che hanno reso fertilissime zone un tempo desertiche. L'industria elettronica, elettrica, metalmeccanica, quando non alimenta le esportazioni, soddisfa a pieno la richiesta di consumo locale.
Olocausto
Erano otto milioni gli uomini che lavorarono come schiavi per l'industria del Terzo Reich; molti non tornarono. Ci sono volute campagne internazionali e la mobilitazione dei migliori studi legali americani con la minaccia di chiedere risarcimenti che avrebbero messo la Bundesrepublink in ginocchio, perché dopo mezzo secolo, i sopravvissuti ottenessero la promessa
di avere giustizia. Con l’atteso incontro alla Cancelleria tra Gerhard Shoeder e lo staff dirigenziale delle imprese leader dell’economia tedesca i poteri economici e finanziari della prima potenza europea hanno accettato di comparire davanti al Tribunale della Storia. Le dodici maggiori aziende del paese hanno accettato di costituire il "Fondo della Memoria, della Responsabilità e del futuro". Sulla somma che verrà stanziata il silenzio ufficiale è assoluto, ma nessuno smentisce la stampa tedesca che fornisce cifre tra i due miliardi e mezzo e i tre miliardi di lire. Tutto questo rappresenta davvero una svolta storica. L'avvio per versare i risarcimenti appare certo solo per i sopravvissuti residenti in America e in Israele. Tra le dodici grandi aziende che costituiranno il fondo: Allianz, Bmw, Dresdner Bank, Bayer. Con questo la Germania riconosce le proprie responsabilità economiche ma anche morali.

CONCLUSIONI
Da un punto di vista politico, l'antisemitismo, nel medio oriente, ha perduto i connotati. pseudo-razziali e si configura come lotta ad un insediamento che ha arbitrariamente espropriato il popolo palestinese dal suo territorio in nome di un diritto impossibile da vantare giuridicamente, che risaliva al tempo biblico. Da un punto dì vista economico, indubbio é stata 1a capacità dello Stato di Israele, di cosi giovane età, d’imporsi un assetto istituzionale, economico e militare cosi fortemente coeso, produttivo ed efficiente; di aver reso altamente produttivo un territorio, da sempre infertile e desertico; di porsi nel mondo arabo ricco di petrolio; in quanto paese, privo di petrolio ma ricco di articolate potenzialità imprenditoriali. Sono tutti questi gli elementi che, associati ai legami di profonda solidarietà con le comunità ebraiche di ogni altra parte del mondo (americano sopratutto), alimentano un antisemitismo dai connotati nuovi, politici ed economici appunti. Nel mondo occidentale europeo soprattutto negli strati sociali più bassi, per incultura, per idiotismo e per ogni tipo di fanatismo che lì facilmente attecchisce a mò di compensazione inconsapevole, in questo tessuto sociale, 1’antisemitismo tradizionale, opportunamente alimentato, produce ancora i suoi animali da batteria (naziskin).
PREMESSA
ELSA MORANTE (1912-1985)
Cronologia delle opere:
1948- Menzogna e sortilegio;
1963- Racconti in " Lo scialle Andaluso
1957- L'isola di Arturo
1974- La Storia;
1982- Aracoeli.
Due elementi convivono da sempre nella scrittura della Morante:
- il senso di una letteratura demistificatoria, totalmente responsabile in direzione educativa, d'ispirazione realistica, ottocentesca sulle strutture scrittorie;
- la tendenza al magico, al fantastico, al surreale
Ne "La Storia" (1974) i due elementi si fondono compiutamente nella rappresentazione di un'umanità composita e tragicamente segnata dall'irrazionale crudeltà della Storia, dominata da uomini dagli allucinati progetti distruttivi, da vassalli che sognano imperi romani e subita, nella più assoluta impotenza, da chi fa i conti con le misere ragioni della sopravvivenza quotidiana. In questo "scandalo che dura da diecimila anni " si dispongono squarci di mondo incontaminato ed innocente, quello degli occhi stupiti di Useppe attraverso cui il mondo reale perde la sua effettiva crudeltà per assumere connotazioni gioiose e piacevoli, e quello più consapevole, ma puro, degli animali (Bliz e Bella) capaci di amare in modo totalizzante, di difendere e sorvegliare fino allo stremo chi è loro affidato.
Mentre l'indicazione degli eventi della Storia, che la Morante appone all'inizio di ogni capitolo dei suo romanzo, scandisce i momenti delle guerre, delle alleanze, dei grandi progetti degli uomini di potere, più significativamente il contesto storico viene dall'autrice ricostruito attraverso personaggi di piccolo affare che nella loro storia, fatta di quotidiana miseria e sofferenza, vivono le vicende determinate dai grandi, non tanto senza possibilità di comprenderne le ragioni, perché esse razionali non sono, quanto senza possibilità di dominare gli eventi perché nessun potere, né economico né culturale né politico, essi hanno.
I PERSONAGGI
Gunther
La figura di Gunther e di Nora Almagià dominano nelle prime pagine del romanzo.
Gunther era un soldato tedesco che, in contrasto con la sua andatura marziale, aveva uno sguardo disperato e immaturo; cresciuto in un villaggio in Baviera aveva conosciuto solo la città di Monaco, dove andava per qualche lavoro di elettricista e per incontrarsi saltuariamente con un’anziana prostituta. Era stato trasportato a Roma dal Führer nel gennaio 1941 per una tappa preparatoria, prima di compiere un lungo viaggio verso una destinazione segreta. La sua indole era caratterizzata da numerosi contrasti: da un lato impaziente di avventura, dall'altro triste e malinconico per aver lasciato la propria patria; da un lato desideroso di compiere azioni eroiche, per far onore al suo Fuhrer, dall'altro convinto che la guerra fosse “un algebra errata, dalla quale bisognava mantenersi lontani”. Il soldato Gunther era piuttosto timido, inesperto, ma soprattutto solo. La voglia d'esser a casa, rannicchiato nel suo letto, nella casa in cui aleggiava l'odore freddo e paludoso della campagna e quello tiepido del cavolo che sua madre ribolliva in cucina, lo spingeva lungo le strade del quartiere di S. Lorenzo, verso uno stato di solitudine e di amarezza. Anch’egli come molti altri personaggi che appaiono nel romanzo è vittima: "Soldato che capitato nel quartiere di S. Lorenzo senza nessuna scelta, come un imputato accerchiato dalle guardie che oramai, della sua ultima libertà irrisoria, non sapeva più che farsene". Vittima di una Storia per lui incomprensibile, che sollecita come in Nino, il suo infantile desiderio di avventura, un'autentica avventura esotica, l'Africa". Per uno appena cresciuto, che i suoi viaggi li faceva in bicicletta o sull'autobus che portava a Monaco, questo era un nome carico di misterioso significato. Se dal delirio guerrafondaio nazista Gunther derivava l'educazione alla brutalità, egli pure ha qualche tratto di tenerezza: ”Rimaneva mammarolo" e "si sentiva come un gatto dentro al sacco, portato di peso verso il continente nero", quello appunto che stava per raggiungere, se non l'avesse ingoiato il Mediterraneo tre giorni dopo l'incontro con Ida. Più vittima, insomma, che carnefice, Gunther ha gesti di gentilezza anche nei confronti di Ida che subisce la sua violenza. "Sul punto di andarsene, gli venne l’idea di lasciarle un ricordo, secondo un’usanza tenuta in certi suoi addii con altre ragazze. Però, non sapendo che cosa darle, mentre si frugava nelle tasche vi ritrovò il suo famoso coltelluccio; e per quanto il sacrificio gli costasse, lo depose nel palmo di lei, senz'altre spiegazioni. In cambio, lui voleva pure portarsi un ricordo. E girava lo sguardo perplesso intorno alla stanza, senza scoprirvi niente; quando gli cadde sott'occhio un mazzetto dì fiori d'aspetto pesto e quasi unto (offerta di scolari poveri) che nessuno s’era curato di mettere in fresco dalla mattina e giaceva su una mensola mezzo appassito; allora, ne staccò una piccola corolla rossiccia e deponendola con serietà in mezzo a certe sue carte nel portafoglio disse: "Mein ganzes Leben lang!" (Per tutta la vita).
Nora
Nora Almagià, padovana di famiglia piccolo- borghese bottegaia, moglie di Giuseppe Raimundo, era ebrea, ma non voleva farlo sapere a nessuno tanto che in diverse occasioni camuffava il proprio cognome, convertendolo da Almagià in Almagìa. Non aveva qualità speciali, non era né intelligente, né bella, ma di certo era graziosa. Era di abitudini modeste e di carattere timido, specie con gli estranei. La sua natura introversa era caratterizzata da sbalzi d'umore, che si accendevano nel buio dei suoi occhi da zingara. Da un eccessivo sentimentalismo giovanile, ad inquietudini capaci di assediarla giorno e notte, fino a divenire fissazioni, l’oggetto dei suoi sfoghi era Giuseppe, ovvero suo marito. Si voltava contro di lui come una strega, rinfacciandogli la nascita, il paese, i parenti.
Il carattere di Nora, tormentata ed inconsuetamente irascibile, appare, fin dall'inizio, determinato dal terribile segreto d'esser ebrea. "Per non farsi udire dal vicinato Nora badava a tener bassa la voce e porte e finestre chiuse, come se intorno alle loro stanzucce sbarrate, ci fosse un'enorme folla di testimoni in ascolto”. Quando, nel 1938, l'Italia intono' il coro ufficiale della propaganda antisemita, essa vide la mole fragorosa del destino avanzare verso la sua porta, ingrossandosi di giorno in giorno. I notiziari radiofonici, con le loro voci roboanti e minatorie, già sembravano invadere fisicamente le sue stanzette, spargendovi il panico; ma tanto più' lei si sentiva costretta, per non trovarsi impreparata, a seguire quei notiziari. "La notizia del prossimo censimento, l’obbligo dell'autodenuncia, forse più dell'arteriosclerosi che la minacciava determinarono un incupirsi del suo carattere già schivo. Nora finirà con l'uscire raramente di casa, col non rispondere al saluto della gente e col sentire bussare alla porta di casa in piena notte.
Le pagine più significative del personaggio di Nora Almagià sono quelle in cui si raccontano le circostanze della sua morte. "Le veniva l’idea di lasciare Cosenza, di trasferirsi altrove. Ma dove e da chi? A Padova, dai suoi scarsi parenti ebrei, non era possibile; a Roma, da sua figlia, o dai suoi suoceri; nelle campagne di Reggio…Per quanto lei seguitasse a farsi proposte diverse, esaminando tutti i continenti e i paesi, per lei, nell'interno del globo, non c'era nessun posto. Nel corso degli ultimi mesi, aveva udito parlare, forse alla radio, di emigrazioni ebraiche in Palestina, e della Palestina altro non sapeva se non ch’era la patria biblica degli Ebrei, e che la sua capitale era Gerusalemme. Ma pure, venne a conclusione che l'unico luogo dove poteva esser accolta era la Palestina. Così, una sera all'improvviso, decise di fuggire per via mare, dal momento che aveva calcolato che da Cosenza a Gerusalemme per via terra non conveniva. Qualcuno ricordava di averla vista sull'ultima cremagliera serale diretta al lido di Paola. E difatti è là, in quei dintorni, che fu ritrovata. Nella folle decisione di andare da Cosenza a Gerusalemme, Nora traduce il suo desiderio di identità negata e di liberazione dalle paure che l'avevano sempre accompagnata e nella sua morte solitaria "in una bellissima notte, illune, quiete e stellata", "sul mantello di lana rustica marrone” sta il momento privilegiato della sua esistenza inquieta: la posa rilassata e naturale del suo corpo, la grazia dei suoi capelli zuppi d'acqua, sono il rovescio speculare dei mucchi di cadaveri ebrei che Useppe scoprirà sulle pagine dei giornali.
Nino
Nino, primogenito di Ida, seppur presente con discontinuità nel romanzo, è da considerare come uno dei personaggi principali. Sin dalle prime pagine, la narratrice mette in evidenza il carattere turbolento, passionale e volto all'avventura del giovane, che tenta in ogni modo di attirare su sé l'attenzione di quanti lo circondano. Egli viene descritto nel periodo più turbolento della sua vita, il passaggio dall'adolescenza all'età adulta, durante il quale il cambiamento improvviso del suo aspetto fisico gli dona fin troppa sicurezza. Questo sentimento si traduce in gesti e atteggiamento che esercitano un grande fascino su chi gli sta attorno: al suo ritorno in classe dopo ore trascorse a bighellonare per i corridoi della scuola, i compagni lo guardavano con occhiate colme di ammirazione e omertà; i suoi compagni della " Libera ", Quattropunte, Tartan, Decimo, ed anche Giuseppe Secondo, sottostavano alla sua autorità con orgoglio e piacere, per il coraggio dimostrato da Nino in molte azioni di guerriglia ad alto rischio.
L'animo impetuoso di Nino, unito all'eccessiva libertà concessagli, fa sì che egli quasi fugga da casa, ma soprattutto da Ida che aveva tentato in ogni modo di contenere il suo ardore adolescenziale, prima costringendolo a frequentare la scuola e, successivamente, cercando di impedire il suo arruolamento nell'esercito. Anche nel rapporto con Ida traspare il carisma e la strafottenza di Nino nei confronti della madre; prova ne sia che, durante le visite al ricovero di Pietralata, Nino diventa il protagonista, e poiché egli non presta attenzione alla presenza della madre, Ida retrocede a personaggio secondario, divenendo quasi un'ombra all'interno dello stanzone ove tutti, lei compresa, sono intenti ad ascoltare le eroiche gesta del partigiano Nino. Poche parole intercorrono tra Nino e la madre sul “grande segreto” di quest'ultima: « che tu SEI GIUDIA, è da mo’ che ce lo sapevo, a mà». Per Nino il fatto che la madre fosse ebrea non rappresenta un problema ma anzi un “onore”: « anche Carlo Marx era ebreo », afferma, e subito dopo tiene a sottolineare la condizione propria e di Useppe di non giudei. Analizzando più da vicino questa reazione di Nino, è possibile evidenziare un atteggiamento ambivalente: se dal punto di vista etico non rappresenta un problema l'appartenenza al ceppo ebraico, dal punto di vista pratico egli avverte il pericolo che tale condizione potrebbe arrecare e, per questa ragione, tiene a precisare che né lui né il fratellino sono ebrei, dato che Useppe è l'unica persona a cui realmente sia legato.
D'altra parte, anche i rapporti con Useppe appaiono ambigui. Anche se in certi momenti sembra essere palese l'affetto nei confronti del bambino, ad esempio durante le escursioni nel quartiere di San Lorenzo con Useppe e Bliz, o durante le visite al rifugio, altre volte sembra che Nino approfitti dell'ingenuità dei fratello facendogli promesse che sa di non poter mantenere. A parte il carattere uno dei fattori che maggiormente caratterizza questo personaggio è il cambiamento del suo orientamento politico: da fascista qual era egli diviene improvvisamente comunista. Tale atteggiamento appare del tutto destituito di fondamento ideologico, ed è piuttosto espressione di quel desiderio di avventura, trasgressione e insofferenza al conformismo, che sono propri dell'adolescenza di Nino. Diverse volte nel romanzo appaiono descrizioni che sono espressione evidente di questo atteggiamento: una volta aveva menato un suo coetaneo che aveva insultato il duce dicendo che “era un vecchietto di una sessantina di anni circa” ;durante una scorribanda notturna per la città, aveva tracciato sul muro di Palazzo Venezia, ove teneva ufficio il duce, “VIVA STALIN” e « si sarebbe divertito ugualmente a scrivere “VIVA HITLER” sulle mura del Cremlino ».Così partito per il Nord con cinturone e camicia nera, Nino torna cantando “Bandiera Rossa”, impavido e inafferrabile partigiano. Appare evidente il fatto che Nino sia entrato a far parte del gruppo partigiano della “Libera”, divenendone il leader, non spinto da effettive motivazioni ideologiche, ma poiché era un’occasione che gli dava l’opportunità di dimostrare il suo coraggio e, contemporaneamente, di soddisfare il suo desiderio di rivalsa nei confronti del mondo. Finirà bandito e contrabbandiere.
Useppe
Il piccolo Useppe è uno dei protagonisti de “La Storia” di Elsa Morante. Useppe non è solo un bambino, un bambino, per così dire “normale”: in quanto frutto di una violenza gratuita da parte del soldato tedesco Gunther nei confronti della maestrina Ida, è quindi anche frutto del caso.
Crescendo naturalmente senza padre, trova un punto di riferimento, per la verità non tanto stabile, in Nino, il fratello maggiore, per il quale nutre un profondo affetto e una sincera ammirazione, nonché un commovente senso di protezione.
Useppe non conosce la paura, ma un’unica, spontanea confidenza nei confronti delle persone che incontra nel suo destino di “fuggiasco” estraneo all Storia. La sua minuscola vita è sempre solitaria e isolata e spesso i suoi compagni di gioco sono gli animali, in particolari cani. Grazie alla sua straordinaria capacità di comunicazione, egli instaura uno strano rapporto di complicità e di amicizia con essi, che sembra quasi gli rispondano, e creano con lui perfino innumerevoli analogie di comportamento.
La sua tenera età è scandita dalla sua ingenuità illimitata malgrado le sue straordinarie precocità, fra le quali la più ammirata è la sua bravura sportiva. Una spensieratezza naturale dipinge il suo volto e descrive i gesti del piccolo Useppe, come se le atrocità che lo circondano non influenzino minimamente il suo carattere. L’estraneità alla Storia si manifesta anche attraverso le assenze dovute alla malattia di Useppe; i sintomi più gravi e convulsi dell’epilessia che lo ucciderà cominciano proprio quando gli orrori della Storia, a guerra finita, si rivelano inequivocabili agli occhi del bambino. Turbe notturne, mutamenti d’umore improvvisi, stato di salute instabile, e i conseguenti capricci, solitudini ed ire inconsuete lo rendono irriconoscibile, la sua vita diventa un susseguirsi di momenti di perdita totale della coscienza, sensazioni allucinatorie e voglie avventate di fuga. Il suo animo tormentato trova rifugio in una sorta di paradiso fuori dal tempo ai bordi del Tevere, tutto erba e acqua, cinguettii di uccelli e giochi di pirati. Qui Useppe trascorre le sue giornate in compagnia di una pastora maremmana ereditata dal fratello; qui fa nuove amicizie e scopre il mondo, “l’originale del mondo, di cui la Storia è solo una copia volgare”.
La realtà può essere letta attraverso le notizie che ci vengono dalla crescita di questo bambino, dai anni di vita di Useppe. Per tutta la durata del romanzo la percezioni che questo bambino ha del mondo sono di natura duplice: da una parte uno “stupore titubante, e ancora confuso” come se le scene di morte non influissero minimamente sulla sua psiche, dall’altra, in seguito alla vista di atroci fotografie, gli occhi di Useppe si velano di una sensazione di orrore, lo stesso orrore percepito alla vista di alcuni deportati alla Stazione Tiburtina. “…a mà, pecchè…” in questa bambinesca espressione si racchiudono tutti i perché del mondo di fronte all’orrore della guerra. Le sue favolose percezioni si sommano alle paure e ai sogni materni, alle percezioni limitate, ottuse, terra- terra di Ida, che involontariamente ne condiziona il modo di rapportarsi alla vita.
La Storia si presenta, dunque, incomprensibile alle diverse percezioni che ha un bambino. La guerra, ai suoi occhi, non è quella che appare agli adulti. Infatti una giornata ai Castelli con un gruppo di partigiani, la vita in un camerone infestato dagli odori di cani, di gatti, di canarini, topi, specie umana ed animale, possono essere fonte di gioia, un gioco. Ma la guerra finisce e, contraddittoriamente, una grande solitudine scende sui luoghi dove l’orrore, la speranza, l’inconscienza abitavano insieme.
Useppe muore, lasciando un vuoto incolmabile nel cuore della fragile Ida, che negli ultimi sei anni aveva trasferito tutte le sue ragioni di vita sul figlioletto. “Essa, in realtà, era morta insieme al suo pischelletto Useppe (al pari dell’altra madre di costui, la pastora maremmana). Con quel lunedì di giugno del 1947, la povera storia di Iduzza Ramundo era finita”.
Vilma
Vilma compare nella prima parte del romanzo, quando Ida si reca nel Ghetto. Vilma è una ragazza invecchiata; il suo corpo è sempre in movimento e i suoi occhi, spesso dallo sguardo assente, sono luminosi.
Era orfana e, per bisogno, si era adattata a fare ogni sorta di lavoro, specialmente quelli più pesanti e andava in giro mendicando.
Tutti nel Ghetto la consideravano pazza, specialmente da quando aveva incominciato a portare informazioni strane da un convento dove lavorava e da una casa signorile dove si ascoltavano radio proibite. Avvisava le donne di mettere in salvo i propri figli prima dell'arrivo dei tedeschi, i quali, una volta occupato un paese, ammassavano da una parte gli ebrei senza distinzioni e li conducevano al di fuori dei confini: la maggior parte moriva durante il tragitto, gli adulti più robusti lavoravano come schiavi e i bambini venivano massacrati e buttati nelle fosse comuni.
Nessuno, credeva a queste parole, considerate fantasie. L'unica che la ascoltava era Ida che vedeva in lei una sorta di profetessa. I suoi discorsi risuonavano, nella sua mente, come delle vere e proprie predizioni che prima o poi avrebbero colpito anche la sua famiglia.
Signora Di Segni
La signora Di Segni è un'ebrea del ghetto, moglie di un certo Settimio Di Segni, padrone di una compravendita di cose usate dove spesso Ida si recava.
Questa signora appare per la prima volta nel quarto capitolo, quando Ida la incontra. Ma più che di un incontro si tratta di un inseguimento: Ida le corre dietro invano, cercando di parlarle. Ma ella, quasi del tutto estraniata dalla realtà e concentrata solo nella sua ricerca, ignora la presenza e le parole di Ida che per la prima volta rivela a qualcuno di essere ebrea.
Arrivata alla stazione, continua a correre tra i vagoni in cerca dei propri familiari, catturati dalle SS, e una volta trovatili tenta di salire con loro sul treno. Ella non ha paura di rivelare la propria identità né si preoccupa di ciò che l'aspetta, l'unico suo pensiero è ritrovare i suoi cari e condividere con loro anche un destino avverso.
Sia Vilma che la signora Di Segni appartengono a quella folla di personaggi che concorrono tutti a documentare la storia con la s minuscola, di contro a quella dei grandi con la "S" maiuscola
Vilma è il più letterario dei personaggi del romanzo, affine com’è alla Cassandra di memoria omerica. Nell’opinione comune che ella sia una pazza, mentecatta, provocatoriamente la Morante connota la verità della Storia, tanto terribile da essere rifiutata dal senso comune, e presto dimenticata a guerra finita.
La signora Di Segni, potrebbe anch‘essa essere considerata folle nel suo desiderio di omologazione al destino dei suoi, ma ad una lettura attenta si rivela essere umanissima espressione del quotidiano, priva com'è la sua descrizione di ogni romanticheria: “Sudava (era piuttosto obesa) e i capelli tagliati corti, grigiastri e ingialliti, le si appiccicavano sulla fronte”.
L'impossibilità di esistere senza chi dà senso alla propria vita è urlata dalla signora Di Segni e rappresentata nel tentativo impossibile di forzare i vagoni piombati.
“Il misero vocio dei carri adescava” anche Ida "con una dolcezza struggente”. Ella infatti incominciava a ritrovare nella sua mente alcuni ricordi: le canzoni calabresi cantate da suo padre e la voce del suo violentatore che le sussurrava "carina carina”.
Ida Ramundo

La protagonista di questa storia, che si svolge a Roma sullo sfondo della grande Storia, negli anni della seconda guerra mondiale e dell’immediato dopoguerra. è: Ida Ramundo, vedova Mancuso, maestra elementare di mezza età tormentata da crisi epilettiche e angosciata a causa delle sue origini ebraiche.
Era figlia di due insegnanti, il padre Giuseppe Ramundo, di origini contadine e di ispirazione anarchica, la madre Eleonora Almagià, di origini ebrea. Nasce e vive in Calabria fino al matrimonio con Alfio Mancuso con cui si trasferisce a Roma e dove nasce il loro figlio Nino. Il rapporto con questo è piuttosto conflittuale: Ida rappresenta stabilità, paura, discrezione, debolezza; Nino, invece, anarchia, avventura, teppismo, esibizionismo, forza. Sono caratteri che emergono nel comportamento e nel linguaggio, laddove Ida tende all'eufemismo, al parlar italiano, e Nino alla volgarità, al dialetto e al gergo.
A Roma Ida mette al mondo un figlio dopo aver subito violenza da un soldato tedesco incontrato per caso nel quartiere di San Lorenzo “un giorno di gennaio dell'anno 1947”: nasce cosi Useppe.
Sullo sfondo della storia familiare di Ida si delineano i grandi avvenimenti della Storia con la S maiuscola quella che dà il nome al romanzo e viene definita “uno scandalo che dura da diecimila anni”. Il bombardamento di San Lorenzo, le persecuzioni e la deportazione degli ebrei, fuga dalla casa, la fame, la vita in comune con gli sfollati costituiscono le tappe fondamentali del romanzo e contribuiscono a segnare il carattere di Ida.
Espressione della mentalità piccolo- borghese Ida difende la sua dignità di maestra con l’orgoglio di chi vuole distinguersi da chi ella ritiene inferiore a sé; formale nei rapporti umani, è incapace di amicizia anche nei confronti di chi le mostra cordialità e calore: sospettava anche di Giuseppe Secondo che gentilmente si era offerto di aiutarla a portare Useppe, fino a Pietralata.
Prove terribili la costringono a situazioni che ledono la sua dimensione piccolo- borghese: più terribile dello stupro, che può essere celato agli altri, è la maternità illegittima nascosta con cura ossessiva; più terribile della fame cui la guerra stringe lei e Useppe, il furto che la allontana dal suo stato sociale.
Istruita quanto basta al suo ufficio di maestra, Ida è del tutto inadeguata a vivere la Storia con consapevolezza. Non seguiva le vicende della guerra se non attraverso gli annunci del figlio, Nino.
L'essere di madre ebrea avviliva il suo desiderio piccolo- borghese di essere "in regola con la legge "; neanche lontanamente sfiorata dal dubbio che la legge fosse ingiusta o illogica, Ida è ossessionata dal bisogno di quantificare la sua colpa a tal punto da tracciare l'albero genealogico di Nino, per essere certa che egli risulti ariano.
Solo nelle pagine conclusive del romanzo, nella condizione che i normali chiamano follia, “nella mente stolida e malcresciuta di quella donnetta, mentre correva a precipizio per il suo piccolo alloggio, ruotarono anche le scene della storia umana (la Storia) che ella percepì come le spire multiple di un assassinio interminabile. E oggi l'ultimo assassinato era il suo bastarduccio Useppe”. Ida muore in manicomio, nove anni dopo essere vissuta in uno stato di totale inconsapevolezza.
Giuseppe Ramundo
Padre di Ida e marito di Nora Almagià, proveniva da una famiglia di origine contadina, dell'estremo sud Calabrese. Di otto anni più giovane della moglie, era un uomo alto e corpulento, con le mani rozze e tozze, e la faccia grande, colorita e piena di simpatia. Da bambino per disgrazia, un colpo di zappa lo aveva ferito ad una gamba, lasciandolo leggermente storpiato per tutta la vita, sottolineando così quel senso di ingenuità fiduciosa che lui trasudava per natura. Appunto perché invalido per certi lavori di campagna, la sua famiglia di poveri dipendenti si era arrangiata a farlo studiare, mandandolo a istruirsi dai preti, con qualche aiuto del padrone terriero. Fu proprio questa esperienza, pretesca e padronale allo stesso tempo ad attizzare in lui, un certo bollore riposto; soprattutto su certi testi di Proudhon, Bakunin, Malatesta e altri anarchici, aveva fondato una sua fede ostinata, obbligata però a rimanere una sua propria eresia personale, dal momento che professarla gli era negato, sia tra le mura di casa che a scuola con i suoi alunni: era un maestro così come la moglie e la figlia.
Nora, la moglie, agli occhi di Giuseppe, rappresentava, nei suoi modi, nell'intelletto e nella forma, qualcosa di superiore e di delicato. Anche quando egli diventava l'oggetto naturale delle fissazioni inconsulte e vessatorie di Nora, le si avvicinava impietosito a consolarla esordendo magari con frasi del genere "Mattuzza, ... sei ... babbarella ... sei.." , e Nora se lo riguardava intontita, con gli occhi parlanti di infinito amore.
Giuseppe per il bene di Iduzza, aveva anche acconsentito, benché recalcitante, a battezzarla cattolica, e perfino a piegarsi durante la cerimonia, per gli occhi del mondo, a farsi in fretta e furia un gran segnaccio di croce, proprio lui che in privato, sul conto di Dio era solito a citare il detto "l'ipotesi Dio è inutile".
Aveva il vizio di bere e questo era, insieme alla identità ebrea di Nora e al male innominato di Ida, un altro grande segreto della famiglia Ramundo. Questa forse era l'unica colpa di quest'uomo ateo e senza malizia, il quale per tutta la vita, seguitò a spedire una gran parte del suo stipendio, e infine tutto nel periodo del dopoguerra, ai genitori e ai fratelli più poveri di lui, e ad amare più di tutto e tutti al mondo, Iduzza e Noruzza, fino al punto di scrivere per loro alcuni madrigali. Delle sue bevute egli non poteva fare a meno, e rinunciava visto il suo lavoro di maestro a frequentare le osterie, dedicandosi al suo vino in casa, la sera e specie il sabato.
Era soprattutto in questo stato, durante la sbronza, a sfogare spensierato i propri ideali clandestini che inevitabilmente sfociavano in alcuni soliloqui da vero attore protagonista, nel quale venivano sbandierati ai quattro venti parole come "ANARCHIA, TRADIMENTO, LIBERTA', RIVOLUZIONE". Era allora, che Nora cominciava a scongiurare quel silenzio desiderato così ardentemente perché tutti avrebbero potuto sapere quelle verità che lei nascondeva da diversi anni nella sua famiglia. Errava da un muro all'altro col fare di un'ossessa, chiudendo porte e finestre al fine di soffocare agli orecchi dei vicini o dei passanti simili proposizioni eversive, convinta che certe parole proferite nella casa di maestri di scuola scatenassero uno scandalo universale. Si dibatteva e si scatenava, sforzandosi di gridare a bassa voce per far ragionare il marito e infine stremata si accasciava sul divano dove prontamente le si avvicinava Giuseppe premuroso, scusandosi e baciandole, come a una nobildonna, le mani smagrite e quasi invecchiate dal troppo lavoro.
Dopo ogni sbronza Giuseppe si trasformava. Scioglieva in pieno il suo buon umore naturale e la sua cultura di contadino, parente antico degli animali e delle piante. E allora cominciava a raccontare fiabe calabresi, volgendole al comico quand'erano tragiche, poiché così le risate pazzarielle di Iduzza, si sarebbero perse come musica melodiosa nella stanza.
Erano piccoli e brevi momenti in cui la famiglia dimenticava quegli "indelebili" segreti di cui solo i componenti erano a conoscenza e quella triste e dura realtà esterna al focolare domestico.
La figura di Giuseppe rappresentava una sorta di carrozzella calda, luminosa e zoppicante, più inespugnabile di un carro armato agli occhi di Iduzza, che, accanto al padre, ma soprattutto davanti al suo viso rassicurante, perdeva ogni paura, così come le accadeva dopo ogni crisi, benché lei stessa non si rendesse conto di chi o di che cosa la portasse via da quella strana realtà di bambina che ancora viveva. Proprio riguardo queste crisi Giuseppe aveva delle proprie idee filosofiche - politiche che lo dipingevano come un positivista. Infatti, essendo uscito da quel cerchio magico della cultura contadina, era convinto che certi fenomeni morbosi non potevano derivare che da disfunzioni o infermità del corpo, e in proposito lo sgomentava il sospetto malcelato di essere stato lui stesso ad aver, a causa dell'alcool contaminato il sangue della figlia, sospetti che Nora ammoniva con una grinta fuori dal comune, infondendo nel marito un minimo barlume di saggezza e di buon senso riguardo alla faccenda. Alfio, il marito di Ida, somigliava molto a Giuseppe, fu per questo, forse, che Ida si affezionò presto al suo pretendente. Tutti e due nell'aspetto e nei modi erano simili a grossi cani da campagna, sempre pronti a far festa a qualsiasi favore della vita e fungevano da guardiani e da scudo contro le violenze esterne della loro Iduzza, e con il loro buon umore istintivo e il gusto ingenuo di pazziare, sostituivano per lei poco socievole per natura, la compagnia dei suoi coetanei e degli amici.
Giuseppe dopo il matrimonio della figlia, riuscì a sopportare con rassegnazione la grande mancanza, che da principio gli sembrò un furto, solo grazie alle visite estive di Iduzza e del figlio Ninarieddu, che ogni volta restituivano al suo viso ormai rugato dagli anni, quel brio di cane allegro. L'altro momento di svago era rappresentato da quella piccola osteriola che aveva cominciato a frequentare, e dove finalmente aveva potuto dare sfogo ai suoi pensieri anche se per poco tempo, perché l'osteria dovette chiudere, a causa di alcune denunce, e presto Giuseppe fu messo a riposo all'età di 54 anni. A gettarlo nella malinconia, non fu il fatto di non poter più insegnare, o che l'osteria venne chiusa o il non poter parlare con nessuno, nemmeno con la sua adorata Nora, ma il semplice pensiero che in uno di quei "fratelli" (così li chiamava), potesse nascondersi un "giuda", una spia insomma.
Nel vedere anche la moglie così logora e intristita, Giuseppe, diverse volte progettò di fare un viaggio per andare a trovare i suoi parenti ma in realtà si era ormai così infiacchito da quando aveva smesso di insegnare, che non aveva più la forza fisica di partire; non frequentava più nessuna osteria, e anche se per rispetto a Nora, a casa evitava di bere eccessivamente, e solo in qualche suo buio e remoto nascondiglio, doveva ancora saziare quella morbosa sete di alcool.
Fu ucciso da una cirrosi del fegato nel 1936.
Davide
…“ Lo Stato è l'autorità, il dominio e la forza organizzata delle classi proprietarie e sedicenti illuminate sulle masse. Esso garantisce sempre ciò che trova: agli uni la libertà fondata sulla proprietà, agli altri, la schiavitù, conseguenza fatale della loro miseria. Bakunin!”
...“Anarchia, al giorno d'oggi, è l'attacco, è la guerra ad ogni autorità, ad ogni potere, ad ogni Stato. Nella società futura l'anarchia sarà la difesa, l'impedimento opposto al ristabilimento di qualsiasi autorità, di qualsiasi potere, di qualsiasi Stato. Cafiero!”
…“Le libertà non vengono date. Si prendono. Kropotkin!”
…“Il rifiuto di obbedienza diventerà sempre più frequente; e allora non rimarrà che il ricordo della guerra e dell'esercito come attualmente si configurano. E questi tempi sono vicini. Tolstoi!”
...“Il popolo è sempre il mostro che ha bisogno della museruola, che va curato con la colonizzazione e la guerra e ricacciato fuori del diritto. Proudhon!”
In queste citazioni di Giuseppe Ramundo sta il quadro di riferimento dell'ideologia anarchica che, attraverso la sua elementare razionalità, nel romanzo fa da contrappunto all'irrazionalità della Storia.
L'anarchia è elemento qualificante di due personaggi, Giuseppe e Davide, che rispettivamente sono collocati l'uno all'inizio del romanzo, l'altro alla fine. Personaggi diversissimo l'uno tendenzialmente estroverso, l'altro disperatamente introverso, hanno in comune la consapevolezza d'essere destinati a rimanere inascoltate voci minoritarie in un mondo dominato dall'insensatezza, avvertita da Giuseppe come conseguenza della mancata rivoluzione da lui sognata, che lo faceva invecchiare peggio di una malattia (Vedere questa parodia cupa trionfare al posto dell'altra rivoluzione, per lui era come " masticare ogni giorno una poltiglia disgustosa, che gli voltava lo stomaco). Le terre occupate erano state ritolte ai contadini con brutalità definitiva, e restituite ai possidenti soddisfatti. I personaggi a lui più odiosi della città, adesso andavano in giro a pancia in fuori come sovrani reintegrati nel dominio. A scuola, a casa e fra le conoscenze cittadine, il maestro Ramundo tuttavia si sforzava a un conformismo di maniera, anche per non peggiorare con troppe ansie la salute di Nora che s'andava pian piano deteriorando. L’insensatezza della moglie era ora diventava più che mai “stizzosa, tormentosa e persino persecutoria”, riducendosi all'estremo logoramento dei nervi; ora avvertita da Davide come faciloneria con cui trattati i suoi discorsi all'osteria, quando, anche se a spezzoni e nella confusione generale con una specie di sorda fiducia, criticava quel sistema che, non cambiando mai e portando solo "false maschere" rendeva l'umanità materia inerte, la terra industria di sterminio e la guerra un capitolo chiuso e dimenticato, su cui dominava l'arroganza degli ignoranti che sanno solo di calcio (“e quale sarebbe, questa rivoluzione buona?” ... ”secondo me là il pasticcio l'aveva combinato l'arbitro ...”).
Alla Storia il buon Giuseppe opponeva l’intenso affetto dei suoi gesti per calmare Nora, mentre Davide opponeva la disperata, inascoltata, spiegazione storica delle regioni del suo credo: "Una storia con la S maiuscola, protagonista di fascismi, o fascismi protagonisti della storia, dove le pretese rivoluzioni si possono intendere solo nel senso astronomico della parola, “moto dei corpi intorno a un centro di gravità: il potere”, che cessando di fingere solo negli ultimi anni, con il suo pugno di ferro riporta tutto nell'ordine previsto"; il potere economico ("... al suo passaggio non lascia che una striscia bavosa repulsiva, un pus d'infezione e dove attacca, riduce ogni sostanza vitale e inanimata a necrosi e marciume
come fa la lebbra ... Si credono degli esseri interi, mentre sono solo dei monconi e la loro massima sventura è questa ignoranza ottusa, impenetrabile ... "); il potere politico e il potere della chiesa, hanno un unico antagonista: l'anarchia e la rivoluzione: (“Nessun potere, di nessun tipo, a nessuno, su nessuno... Potere e borghesia sono inseparabili poiché la simbiosi è ormai stabilita. Dovunque si trovino i poteri là ci cresce la borghesia, "come i parassiti nelle cloache ...”) e la rivoluzione è espressione della natura: ("La natura è di tutti i viventi era nata libera, aperta e loro l' hanno compressa e anchilosata per farsela entrare nelle loro tasche"... "Tutti i loro valori sono falsi essi campano di surrogati ... ” Si diagnosticava il male borghese come sintomatico di una classe, mentre invece il male borghese è la degenerazione cruciale, eruttiva, dell'eterna piaga maligna che infetta la storia ... . La borghesia segue la tattica della terra bruciata ...”).
Giuseppe mantiene, negli spazi del romanzo, una sua dimensione affettiva intensamente rappresentata nel rapporto con Nora, Iduzza e poi Alfio, Davide è personaggio più problematico e complesso: il primo vive ante rem, il secondo post rem. Davide risente, perciò, della violenza prodotta su di sé, la famiglia, la storia, in modo freddamente programmatico; una violenza che le coscienze della gente comune tende frettolosamente a dimenticare. “Io sono ebreo” l’affermazione carica di rabbia, impotenza e disperazione che Davide pronunzia con l'intento di spiegare tutto a chi è vicino a lui, cade nell'indifferenza più assoluta, insignificante per i più, accolta solo da pochi, più interessati a rimuoverne il significato e le implicazioni che una storia recente aveva prodotto, piuttosto che ad approfondirlo.

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