Italo Calvino

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Testo

PREMESSA
Chi l’avrebbe mai detto che relazionare un invito alla lettura di Calvino sarebbe stato un compito cosм lungo e arduo? Sicuramente non noi che in una mattinata agli inizi di marzo abbiamo timidamente alzato la mano per accettare l’incarico.
Pensavamo che relazionare un libro significasse riassumere schematicamente i paragrafi principali, cosa che non ci sembrava poi cosм impegnativa; senza contare che sarebbe stato sicuramente meglio cogliere l’occasione di approfondire un autore che giа conoscevamo e che ci era piaciuto abbastanza piuttosto che ricominciare da zero con uno scrittore sconosciuto.
Povere ingenue! Quando ci siamo accorte che forse la nostra relazione avrebbe avuto molto piщ l’aspetto di una tesi di esame che di una scarna schedina era ormai troppo tardi e non c’era neanche piщ il tempo di piangerci addosso.
I problemi erano molti: quando trovare il tempo di vederci, come strutturare il lavoro, quali argomenti privilegiare, ma la maggior difficoltа che abbiamo incontrato и stata quella di assemblare in un unico discorso tutte le notizie raccolte dai vari libri. Ed и proprio per rendere piщ omogenea questa rielaborazione che abbiamo deciso di lavorare insieme, collaborando e consultandoci praticamente su ogni virgola, discutendo all’infinito frasi e concetti.
E’ stata dura! Il risultato delle nostre fatiche и quello che state per leggere; lasciamo a voi, sventurati lettori, il compito di giudicarlo.

LA VITA
Italo Calvino nacque il 15 ottobre 1923 a Santiago de Las Vegas (Cuba), dove i genitori, Eva Mameli e Mario Calvino, risiedevano per lavoro. La madre era laureata in Scienze naturali; il padre, agronomo, era stato chiamato a Cuba per dirigere una scuola sperimentale di agricoltura e una scuola d’agraria.
“Tra i miei familiari solo gli studi scientifici erano in onore; un mio zio materno era chimico, professore universitario, sposato a una chimica; anzi ho avuto due zii chimici sposati a due zie chimiche [...] io sono la pecora nera, l’unico letterato della famiglia”
ricorderа Calvino.
Nel 1925 la famiglia tornт in Italia, a Sanremo, dove il padre era stato richiamato per dirigere la stazione sperimentale di floricoltura.
Nel 1927 nacque il fratello Floriano che proseguм la tradizione scientifica della famiglia diventando geologo di fama internazionale. Italo frequentт le scuole elementari valdesi, diventando balilla negli ultimi anni e piщ tardi, nel 1934, superт gli esami di ammissione del ginnasio-liceo “G. di Cassini” dove conseguм la licenza liceale nel 1941. In quell’anno venne rappresentato un suo testo teatrale satirico al Teatro Principe e si iscrisse alla Facoltа di Agraria dell’Universitа di Torino, ma non si inserм nella dimensione metropolitana e nell’ambiente universitario; infatti nel ‘43 si trasferм alla facoltа di Agraria e Forestale a Firenze. Nel ‘44, per non prestare servizio militare presso la Repubblica di Salт, venne presentato al Pci e col fratello Floriano si unм ai partigiani delle brigate di Garibaldi.
“La mia scelta del Comunismo non fu affatto sostenuta da motivazioni ideologiche. Sentivo la necessitа di partire da una “tabula rasa” e perciт mi ero definito anarchico [...] Ma soprattutto sentivo che in quel momento quello che contava era l’azione; e i comunisti erano la forza piщ attiva e organizzata”
L’esperienza della guerra partigiana, breve ma intensa, risultт decisiva per la sua formazione umana prima ancora che politica.
“La mia vita in quest’ultimo anno и stata un susseguirsi di peripezie [...] sono passato attraverso una inenarrabile serie di pericoli e di disagi; ho conosciuto la galera e la fuga, sono stato piщ volte sull’orlo della morte. Ma sono contento di tutto quello che ho fatto, del capitale di esperienze che ho accumulato, anzi avrei voluto pure di piщ.”
Dopo la Liberazione dell’8 settembre 1945 abbandonт gli studi scientifici e si iscrisse alla facoltа di lettere di Torino, dove si laureт due anni dopo con una tesi su Joseph Conrad.
Continuт in questo periodo ad essere attivo all’interno del Pci con la collaborazione a vari periodici tra cui il “Politecnico” e “L’Unitа”, dove pubblicт inchieste sindacali e articoli sugli scioperi e le occupazioni in fabbrica. Prese anche a frequentare il gruppo redazionale della casa editrice Einaudi, dove conobbe Vittorini e Pavese che ebbe un’influenza decisiva sulla sua formazione culturale e sulla sua carriera di scrittore. Fu proprio lui infatti a presentare a Giulio Einaudi Il sentiero dei nidi di ragno, primo e unico romanzo neorealista di Calvino, che, scartato ad un concorso della Mondadori, venne pubblicato e vinse il Premio Riccione.
Tematiche analoghe caratterizzarono la raccolta di testi brevi, giа comparsi su numerose riviste, Ultimo viene il corvo del ‘49, dove si raccontavano avventure di adolescenti ed episodi di vita partigiana.
Nel 1950 entrт stabilmente nella Einaudi per sostituire Pavese (morto suicida in quell’anno) nel lavoro di lettura e selezione dei testi da pubblicare. L’anno successivo assistette alla morte del padre e l’Istituto sperimentale di floricoltura passт sotto la direzione della madre, che mantenne l’incarico fino al ‘59.
Nel ‘52 uscм nella collana dei “Gettoni”, ideata e diretta da Vittorini, Il visconte dimezzato; tuttavia Calvino non abbandonт il filone realistico, che si arricchм, nel ‘54, di una raccolta di tre racconti, L’entrata in guerra, nei quali l’autore rimeditт momenti importanti della sua esperienza.
Nel 1956 dopo l’invasione dell’Ungheria da parte delle truppe sovietiche, Calvino e altri intellettuali uscirono dal Pci. Non abbandonт tuttavia il suo impegno di intellettuale militante, anche se la spaccatura tra politica e letteratura avrebbe ridotto progressivamente lo spazio d’intervento “diretto” degli scrittori.
Maturт in questi anni la propria idea di letteratura rispetto alle principali tendenze culturali del tempo; primo di una serie di impegnativi saggi fu Il midollo del leone, che apparve sul “Paragone.Letteratura”. Nello stesso periodo divenne condirettore con Vittorini della rivista “Il Menabт”, sulla quale comparvero Il mare dell’oggettivitа, La sfida al labirinto e L’antitesi operaia, lucide analisi e insieme nuove proposte della sua interpretazione di letteratura.
Il ‘56 fu anche l’anno in cui uscirono, presso l’Enaudi, le Fiabe Italiane, circa duecento, raccolte da Calvino dalla tradizione popolare e tradotte da lui stesso dai vari dialetti in italiano. Consigliato da Vittorini, dopo la prima esperienza nel mondo favolistico, continuт su questa strada; infatti poco dopo scrisse Il barone rampante, ricollegandosi alla fiaba allegorica del Visconte Dimezzato.
Contemporaneamente si interessт ai problemi connessi allo sviluppo industriale e alle trasformazioni sociali: emblematico il racconto che denunciava la devastazione urbanistica della Riviera Ligure, La speculazione edilizia (1957).
Nel 1958, per le edizioni di “Officina”, pubblicт a puntate I giovani del Po e, per l’Enaudi, I racconti.
Del ‘59 и il romanzo breve Il cavaliere inesistente, la terza delle fiabe allegoriche che concludeva la trilogia araldica, inserita l’anno seguente in un unico volume dal titolo I nostri antenati.
Dopo numerosi viaggi in Usa ed in Urss, nel ‘63 pubblicт La giornata di uno scrutatore ed i venti racconti di Marcovaldo ovvero le stagioni in cittа. Compм anche lunghi soggiorni in Francia e nel 1964, con la moglie Esther Judith Singer, si stabilм definitivamente a Parigi dove approfondм i rapporti con l’avanguardia francese con cui confrontт le proprie ipotesi sui rapporti tra letteratura e scienza. Negli anni successivi nacquero sulla spinta di queste nuove aperture culturali Le Cosmicomiche e Ti con zero.
Nelle ultime opere entrт in gioco l’interesse di Calvino per la scienza dei segni (la segnotica) che si rivelт ne Il castello dei destini incrociati (1963) e ne Le cittа invisibili (1972).
Nel 1979, con Se una notte d’inverno un viaggiatore, Calvino mise in crisi il tradizionale rapporto tra lettore e scrittore, scegliendo come protagonista il Lettore stesso.
Seguirono Palomar nell’83 e Collezione di sabbia nell’84, senza contare gli innumerevoli contributi che lasciт nell’ambito giornalistico, teatrale e musicale.
Nel settembre dell’85, a Castiglione della Pescaia, mentre rivedeva le Lezioni americane. Sei proposte per il prossimo millennio, fu colpito da una grave emorragia cerebrale e venne ricoverato all’ospedale Santa Maria della Scala di Siena dove morм nella notte tra il 18 e il 19.
Numerose opere, tra cui le sopracitate Lezioni americane, furono pubblicate postume.

CALVINO E IL NEOREALISMO
Calvino visse in un periodo caratterizzato da una profonda frattura storica causata, in particolare nella prima metа degli anni quaranta, dall’irrompere della seconda guerra mondiale che sconvolse tutta la societа italiana, sostituendo ad una lunga dittatura la libertа democratica.
I nuovi intellettuali, profondamente feriti da quest’esperienza, rifiutarono sia la tradizione letteraria immediatamente precedente accusandola di aver subito il fascismo, sia il Decadentismo per aver preparato il terreno alla dittatura. Si sviluppт cosм una nuova corrente letteraria, definita Neorealismo, che riprendeva la visione oggettiva della realtа tipica del Realismo ottocentesco. I “padri” di tale movimento, Cesare Pavese ed Elio Vittorini, cercarono di adottare una nuova visione della realtа, colta nei suoi aspetti piщ umili e immediati, ed un nuovo linguaggio per raffigurarla; a differenza dei Veristi, perт, si sforzarono di stabilire un rapporto piщ dialettico e problematico tra autore, narratore e attore.
I temi fondamentali del Neorealismo furono tutti suggeriti dal periodo storico in cui esso si era formato e riguardavano la lotta partigiana, la situazione di miseria e di sbandamento che segnт la guerra e il secondo dopoguerra e la testimonianza dai campi di concentramento.
A questa nuova corrente aderм anche Italo Calvino, influenzato dall’amicizia sia di Vittorini sia di Pavese, con cui collaborт in numerose riviste. Nella prefazione alla nuova edizione de Il sentiero dei nidi di ragno, che puт essere considerata una dichiarazione di poetica e nello stesso tempo una definizione di Neorealismo, Calvino affermт:
“Tutto il problema ci sembrava fosse di poetica, come trasformare in opera letteraria quel mondo che era per noi il mondo”
“Il linguaggio, lo stile, il ritmo avevano tanta importanza per noi, per questo nostro realismo che doveva essere il piщ possibile distante dal naturalismo [...]”
L’esigenza primaria dei Neorealisti era quindi quella di “esprimere”, cioи raccontare se stessi, comunicando agli altri un’esperienza cruciale, e non solamente quella di fornire un documento fotografico; quindi l’attenzione portata dallo scrittore alla realtа non trovava la propria realizzazione in una descrizione di stampo naturalistico (obbiettivo ed impersonale), in cui non si lasciava spazio alle vere emozioni dell’autore.
Calvino scelse dunque, con il suo primo romanzo, una via realistica diversa da quella proposta in tante pagine di quegli anni, una via fedele alla realtа, ma nella quale si potesse inserire una dimensione fantastica, che aprisse orizzonti piщ vasti.
Calvino sapeva bene che un altro problema dei racconti legati ad un’esperienza autobiografica, e quindi delimitati, era il rischio di rimanere chiusi nell’ambito della narrativa regionalistica propria del Verismo. Egli desiderava invece ritrovare nella realtа locale “tutto il vasto mondo”; ed и proprio per questo che si ispirт ai modelli rappresentati dagli scrittori nordamericani degli Anni Trenta.
“Ma non fu paesano nel senso del verismo regionale ottocentesco. La caratterizzazione locale voleva dare sapore di veritа a una rappresentazione in cui doveva riconoscersi tutto il vasto mondo: come la provincia americana in quegli scrittori degli Anni Trenta di cui tanti critici ci rimproveravano d’essere gli allievi diretti o indiretti”
In seguito a queste considerazioni sull’ambientazione, Calvino si concentrт sulla tematica della lotta partigiana e, non volendone esprimere un giudizio totalmente positivo o negativo, la scelta di un’ottica adolescenziale gli parve la piщ adeguata.
IDEOLOGIA
L’ideologia di Calvino non puт essere analizzata sotto un unico punto di vista poichй bisogna tenere conto delle diverse tendenze ed esperienze che hanno influenzato la sua produzione letteraria.
La prima e piщ importante di queste esperienze и, come abbiamo giа visto, quella della guerra che segna profondamente l’autore e il suo primo romanzo. La sua posizione nei confronti di questo tragico evento si puт intravedere nelle parole del commissario Kim, in cui Calvino si identifica nel nono capitolo de Il sentiero dei nidi di ragno; il suo discorso segna la presa di coscienza della guerra partigiana e del suo significato.
La violenza e l’odio esistono in entrambi i fronti, in quello partigiano e in quello fascista, ma Kim и certo che lui e i suoi combattano per costruire un’umanitа senza piщ rabbia, “serena, in cui si possa non essere cattivi”. Sono dalla parte della storia, del progresso. Negli altri - i fascisti - l’odio, il furore, perfino gli “ideali” non sono molto dissimili, biologicamente, da quelli dei partigiani, ma c’и una differenza decisiva: i fascisti combattono per “perpetuare quel furore e quell’odio”, per ribadire il loro sistema mentale e politico fondato sul dominio brutale dell’uomo sull’uomo”. Questo и il vero significato della lotta - pensa Kim - il significato vero, totale, al di lа dei vari significati ufficiali”.
Conclusa l’esperienza neorealista, Calvino, ne Il midollo del leone, riflette sulla posizione dell’intellettuale moderno e ne difende la condizione, sentendola come necessaria per intervenire attivamente nella storia futura, che deve essere costruzione intellettualmente guidata:
“Noi crediamo che l’impegno politico, il parteggiare, il compromettersi, sia, ancor piщ che dovere, necessitа naturale dello scrittore d’oggi e prima ancora dello scrittore dell’uomo d’oggi”
Inoltre la letteratura ha una sua moralitа che и, afferma Calvino con una forte metafora, “il midollo del leone”, con cui il centauro Chirone nutriva Achille:
“In ogni poesia vera esiste un midollo di leone, un nutrimento per una morale rigorosa, per una padronanza della storia”
E’ il Calvino filosofo che parla, l’autore che ha la volontа di esplorare razionalmente il reale nella sua negativitа per individuarne possibili terapie, un progetto illuministico perfettamente conforme alla dichiarata predilezione dello scrittore per il secolo dei lumi.
Questa stessa concezione ideologica и al centro anche di un altro saggio, La sfida al labirinto, nato in risposta a un dibattito dal tema “Letteratura e industria” che Vittorini lanciт nel ‘62 sul “Menabт”. In esso si cerca di rappresentare l’intellettuale contemporaneo, logorato dalle incertezze e dalle contraddizioni del mondo dominato dall’industria, e di descrivere il “labirinto” in cui egli si muove, il groviglio dei problemi a cui non sa dare una risposta sicura, e la sua volontа di continuare a pensare e a lottare per uscirne.
Ma la letteratura и anche, secondo Calvino, “un esercizio di fantasia espresso in forma di parole”: cosм, con l’attitudine razionale, interagisce quella fantastica che rappresenta non tanto la realtа quanto le prove che in essa l’uomo и chiamato a superare; inclinazione dichiarata dallo stesso scrittore:
“I romanzi che ci piacerebbe di scrivere o di leggere sono romanzi d’azione [...]: ciт che ci interessa sopra ogni altra cosa sono le prove che l’uomo attraversa e il modo con cui egli le supera. Lo stampo delle favole piщ remote: il bambino abbandonato nel bosco, il cavaliere che deve superare incontri con belve e incantesimi resta lo schema insostituibile di tutte le storie umane, resta il disegno dei grandi romanzi esemplari in cui una personalitа morale si realizza muovendosi in una natura o in una societа spietate”
Nascono nel contesto di queste affermazioni i romanzi della trilogia I nostri antenati, i cui personaggi fantastici introducono numerose riflessioni sull’esistenza umana. Bisogna comunque notare che la scelta del romanzo fantastico ha alle spalle un importante antecedente, molto amato dallo scrittore: l’Orlando furioso di Ludovico Ariosto.
Tuttavia, parallelamente a questa produzione allegorico-simbolica, di prevalente matrice fantastica, Calvino, in questi medesimi anni, persegue altre strade ed essenzialmente quella di una narrativa che assume piщ direttamente come suo oggetto di rappresentazione la realtа presente, sia pur con atteggiamenti assai diversi; ora “con ironia e distacco” e magari anche con “una sfumatura di indulgenza, di compatimento e di nostalgia (Marcovaldo), ora viceversa con una piщ profonda e oggettiva mimesi della realtа negativa (La speculazione edilizia).
Durante la sua permanenza a Parigi, Calvino si apre ad una stagione narrativa nuova per motivi, forme espressive e influssi culturali. Dato immediatamente percepibile и la presenza sempre piщ fitta di elementi di molteplici discipline scientifiche. E’ opportuno perт puntualizzare che tutte le materie a cui Calvino mostra di essersi accostato lasciano tracce anche vistose nella sua opera narrativa, ma incidono sul suo orientamento ideologico e culturale forse non cosм in profonditа come si potrebbe pensare.
Calvino amplia le sue prospettive ma per molti versi si mostra anche fedele ai problemi di sempre. Ha scritto il critico Roscioni: “Non credo che Calvino si sia mai molto interessato alla scienza in sй [...]. Il suo problema era come utilizzare i metodi e i linguaggi della scienza, come tradurli in letteratura”.
E’ la cosiddetta fase “fantascientifica”, sul tipo delle Cosmicomiche e di Ti con zero, in cui il ricorso alle suggestioni scientifiche costituisce un’alternativa alla via fantastica per giungere allo stesso obbiettivo (riproposto fin dall’inizio della sua indagine conoscitiva) di dare un senso all’esistere. Tutta questa stagione narrativa, con i suoi temi e motivi, appare dominata dall’ossessione per il significato e il valore dell’azione che si accumula in una ripetizione di varianti sull’ansia di possedere la realtа. L’ansia и sistematicamente frustrata, la risposta ai quesiti и in sostanza sempre negativa, ma la ricerca non si interrompe.
Molte opere successive e l’evoluzione stessa dell’ideologia di Calvino fanno pensare a una sorta di ripiegamento e progressiva rinuncia alla speranza di trovare una risposta definitiva al quesito di fondo. Palomar и l’ultimo componimento che si cimenta in quest’indagine conoscitiva e anch’esso si chiude con un’amara conclusione che sembra perт richiamarsi all’ottimismo illuministico di chi non rinuncia all’esercizio della propria ragione:
“Il signor Palomar и tutt’altro che sicuro di riuscirci, ma, se non altro, continua a cercare una strada”.
OPERE
Il sentiero dei nidi di ragno
Nel 1947, dopo marginali esperimenti in periodici, Calvino superт la prima vera prova di scrittore pubblicando con l’Einaudi il suo primo libro, Il sentiero dei nidi di ragno, romanzo-documento sulla guerra partigiana: quindi, di stretta attualitа tematica. Ma in un momento in cui si tende a scrivere per vere nei documenti anche le imprese sognate, perchй in un’Italia prostrata e sconfitta soltanto i partigiani possono cantare vittoria, Italo Calvino sfuma il realismo di tutta la vicenda in toni favolistici, anticipando alcune delle note dominanti la sua produzione degli anni ‘50.
Mentre i romanzi della Resistenza e sulla Resistenza cominciavano in genere con la presentazione di eroi positivi impegnati a combattere il nazifascismo, Calvino inizia il suo romanzo presentando un personaggio negativo, per di piщ tratto dall’ambiente della malavita. Giа la scelta di questo protagonista fornisce una particolare angolazione a tutto il racconto: Pin si muove tra gli adulti e maneggia pistole, va in prigione ed evade, viene picchiato dai tedeschi e non parla, и un ragazzino che la vita ha reso adulto anzitempo, lasciandogli tuttavia l’aria baldanzosa, scanzonata ed irriverente della fanciullezza. Attraverso questo filtro, inusuale in un contesto bellico, ma tragicamente possibile nell’efferata lotta civile, si snoda la vicenda: orfano di entrambi i genitori, Pin fa l’apprendista ciabattino, la sorella con cui vive esercita il meretricio e il loro mondo и incentrato nel nativo vicolo, con i suoi lezzi e l’osteria, popolata di miserabili che hanno conosciuto la galera, perdigiorno, disponibili a divertirsi per le scurrilitа che Pin pronuncia per farsi accettare dai grandi, visto che non и inserito fra i coetanei.
“Pin и l’amico dei grandi, Pin sa dire ai grandi cose che li fanno ridere ed arrabbiare [...]. Pin alle volte vorrebbe mettersi con i ragazzi della sua etа, chiedere che lo lascino giocare a testa e pila, e che gli spieghino la via per un sotterraneo che arriva fino in piazza mercato, ma i ragazzi lo lasciano a parte, e a un certo punto si mettono a picchiarlo; perchй Pin ha due braccine smilze smilze ed и il piщ debole di tutti”.[F1]1
Proprio per mantenere e accrescere la propria immagine Pin va a cacciarsi nei guai: ruba ad un tedesco cliente della sorella una pistola (che rappresenta - nello schema della fiaba - l’oggetto favoloso che dа potere e potenza), imboccando una strada che lo conduce alla macchia, dove per solitudine e disperazione si aggrega ad un gruppo di balordi che combattono contro tedeschi e fascisti. Anche in questo contesto Pin si sente solo ed incompreso, la sua unica sicurezza и di sapere che la sua pistola и nascosta “nel suo regno, il fossato, nel suo posto magico dove fanno il nido i ragni”. Questo luogo misterioso e segreto che conosce lui solo e che non ha mai mostrato a nessuno и simbolo della sua evasione e nello stesso tempo della sua solitudine: Pin non si puт fidare di nessuno perchй sia i giovani sia gli adulti gli voltano le spalle, ma non per questo perde la speranza di trovare qualcuno che lo capisca.
“Pin va per i sentieri che girano intorno al torrente, posti scoscesi dove nessuno coltiva. Ci sono strade che lui solo conosce e che gli altri ragazzi si struggerebbero di sapere: un posto, c’и, dove fanno il nido i ragni, e solo Pin lo sa ed и l’unico in tutta la vallata, forse in tutta la regione: mai nessun ragazzo ha saputo di ragni che facciano il nido, tranne Pin.
Forse un giorno Pin troverа un amico, un vero amico, che capisca e che si possa capire, e allora a quello, solo a quello, mostrerа il posto delle tane dei ragni”.2
Questa persona si rivelerа essere Cugino, un “omone con la faccia camusa come un mascherone da fontana [e ...] un paio di baffi spioventi e pochi denti in bocca”. La sua tendenza ad isolarsi ed il suo profondo odio per le donne lo accomunano al giovane protagonista, con cui condivide anche l’adorazione verso la figura materna. Ma mentre quest’ultima rappresenta un qualcosa di ideale e lontano, il personaggio femminile negativo и sempre presente, infatti sia Giglia che Rina sono delle traditrici, donne di facili costumi che Pin odia, non sopporta la loro ipocrisia, ma usa tutto ciт che и legato a loro e alla sfera sessuale come pretesto per entrare nel mondo dei grandi.
Un personaggio che invece adora questo tipo di donna и Pelle, un partigiano che per seguire questa sua passione, unita a quella delle armi, tradisce tutti i suoi compagni scegliendo la militanza nelle brigate fasciste.
“Pelle ha due passioni che lo divorano: le armi e le donne. Ha ottenuto l’ammirazione di Pin discutendo con competenza di tutte le prostitute della cittа e facendo degli apprezzamenti su sua sorella la Nera che facevano capire che conosceva bene anche lei. Pin ha un’attrazione mista a repulsione per lui, cosм gracile e sempre raffreddato, che racconta sempre storie di ragazzine prese a tradimento per i capelli e coricate nei prati, o storie di armi nuove e complicate che ha in dotazione la brigata nera”.3
Verso la fine del romanzo Pin sospetta che Pelle gli abbia rubato la pistola; corre verso il sentiero dei nidi di ragno e si accorge che quell’angolo di paradiso che aveva scoperto e si era tenuto per sй, come l’unica cosa buona rimasta al mondo, и stato devastato dal traditore nell’affannosa ricerca dell’arma. Perduto il paradiso, privo dell’oggetto magico, Pin piange “a testa tra le mani. Nessuno gli ridarа piщ la sua pistola”. Per la prima volta in tutto il romanzo piange lacrime vere sia perchй gli hanno rubato una pistola, un’arma costruita per uccidere, un giocattolo magico, sia perchй и l’unico amarissimo strumento di un possibile riscatto, benchй il ragazzo non ne abbia la minima coscienza.
Nonostante nel romanzo vengano descritti personaggi cosм diversi, Calvino vuole indicare non tanto una realtа sociale quanto la complessitа della vita nella quale si alternano momenti di gioia e di dolore, di sfiducia e di disperazione, di amore e di odio, di coraggio e di paura. L’autore, peraltro, contrariamente a molti scrittori del neorealismo, non esprime un giudizio esplicito in prima persona, ma delega il compito a Kim, che attraverso i suoi pensieri, ne fa trasparire la posizione nel nono capitolo. Secondo lui gli uomini combattono tutti con lo stesso furore, non importa da quale parte sono schierati, poichй in realtа combattono solo per se stessi, spinti da motivi personali.
“Pin […] dicono sia fratello di una prostituta. Perchй combatte? Non sa che combatte per non essere piщ fratello di una prostituta. E quei quattro cognati terroni combattono per non essere piщ dei terroni, poveri emigrati, guardati come estranei. E quel carabiniere combatte per non sentirsi piщ carabiniere, sbirro alle costole dei suoi simili. Poi Cugino, il gigantesco, buono e spietato Cugino…. dicono che vuole vendicarsi d’una donna che l’ha tradito… Tutti abbiamo una ferita segreta per riscattare la quale combattiamo”.4
La guerra partigiana ha dato a Pin un barlume di coscienza di classe, ma solo un barlume, che subito si spegne quando ritorna sul sentiero dei nidi di ragno a mostrare all’unico amico che gli sia rimasto, Cugino, il suo paradiso, il regno della natura distrutto da “quel fascista di Pelle”. Ed entrambi si augurano che il regno si ricostruisca a poco a poco da sй, che la natura torni a vincere sull’ira cieca e brutale degli uomini.
I nostri antenati
“Non per niente avevo cominciato con delle storie di partigiani: venivano bene perchй erano storie avventurose, tutte movimento, tutte spari, un po’ crudeli e un po’ spaccone come nello spirito dei tempi, e con la suspense che nella narrativa и come il sale. Anche un breve romanzo avevo scritto, nel ‘46, Il sentiero dei nidi di ragno, in cui ci davo dentro a tutto spiano con la brutalitа neorealista e invece i critici cominciarono a dire che ero favoloso. Io stavo al gioco: capivo benissimo che il pregio и d’essere favolosi quando si parla di proletariato e di fattacci di cronaca, mentre a esserlo parlando di castelli e di cigni non c’и nessuna bravura”.5
Il visconte dimezzato, Il barone rampante, e Il cavaliere inesistente sono i tre romanzi brevi o racconti lunghi che costituiscono la “trilogia araldica” dei Nostri antenati, pubblicata nel 1960 con una prefazione critico-teorica dell’autore. Scritta in anni diversi, la trilogia nasce da un’unica sollecitazione morale; infatti I nostri antenati non sono svincolati da ogni riferimento diretto alla realtа sociale del proprio tempo, ma ribadiscono che ogni qualvolta Calvino dа l’impressione di evadere, o di retrocedere addirittura in epoche ormai tramontate da un pezzo, il suo intento и di afferrare, da un punto di vista privilegiato (quello dell’osservatore che sta in alto), tutta la complessitа dei rapporti sociali, politici, e infine morali della realtа che gli sta intorno.
Anche se Calvino stesso dichiara nella prefazione di non avere “ nessun proposito di sostenere una poetica piuttosto che un’altra, nй alcuna intenzione d’allegoria moralistica o, meno che mai, politica in senso stretto”, in realtа, continuando il discorso, chiarisce l’interpretazione simbolica dei vari personaggi.
I tre improbabili protagonisti vengono indicati come i “nostri antenati” perchй la trilogia и “una specie di arabescato albero genealogico dell’uomo contemporaneo”, con i suoi vizi e le sue virtщ, con le sue idealitа e le sue sconfitte; и la proposta inconsueta di modelli di comportamento che svelano le difficoltа, sia per il personaggio che -allegoricamente - per l’uomo d’oggi, di confrontarsi con se stesso e con la realtа.
Le tre storie si presentano “aperte e si svolgono in una analoga dimensione mitico-fantastica, resa leggera da un’ironia di sapore ariostesco; sono idealmente parallele sottointendendo la medesima istanza morale, ma seguono prospettive contenutistiche e formali differenti. Gli aspetti comuni rinviano a una comune funzione: quella conoscitiva, educativa ed insieme di divertimento”(F. Di Carlo).
Calvino, infatti, ha voluto fare una trilogia di esperienze sul “come realizzarsi esseri umani”: Il cavaliere inesistente rappresenta il primo grado di approccio alla libertа, che и la conquista dell’essere; Il visconte dimezzato esprime l’aspirazione alla completezza, al di lа delle mutilazioni inflitte dalla societа; Il barone rampante и simbolo della volontа di distacco dalla societа per cercare di realizzare se stessi, guardando il mondo da un’altra prospettiva.
Queste storie non devono comunque rimanere vincolate a tali interpretazioni, ma lasciare libero il lettore di porsi domande e risposte secondo la sua sensibilitа.
“Siete padroni di interpretare come volete queste tre storie, e non dovete sentirvi vincolati affatto dalla deposizione che ora ho reso sulla loro genesi. [...]Vorrei che potessero essere guardate come un albero genealogico degli antenati dell’uomo contemporaneo, in cui ogni volto cela qualche tratto delle persone che ci sono intorno, di voi, di me stesso.”6
Il visconte dimezzato
Il visconte dimezzato, nato da un momento di tedio e di sconforto, и la piщ esile delle tre favole; scritta come per passatempo privato, ha piщ sostanzialmente della confessione, sia pure fantastica e volta a divertire il lettore, che del romanzo. L’autore infatti proietta i propri dubbi morali e ideologici sul protagonista, personaggio dimidiato per eccellenza, il visconte Medardo di Terralba spaccato in due da una cannonata turca durante la guerra tra Austria e Turchia. In questo si identifica e contemporaneamente si nasconde, facendosi raccontare da un altro personaggio (un bambino nipote del visconte), per potersi leggere come proiettato su uno schermo, fuori di sй. Questo particolare artificio si ispira all’Ariosto, verso il quale aveva sempre confessato la sua ammirazione, non generica per un “grande” ormai consacrato, ma fondata su una profonda analogia nel concepire ed esprimere la creativitа fantastica. Per entrambi gli scrittori, infatti, la creativitа rappresenta l’infinita ed inesauribile possibilitа di interpretare e reinterpretare, sotto angoli di visuale sempre nuovi, il giа conosciuto, il giа definito, il patrimonio rigorosamente strutturato del nostro pensiero.
Il racconto assume dei toni verosimili anche se le vicende narrate sono irreali: le due metа del visconte Medardo sopravvivono autonomamente, avendo trattenuto una ogni inclinazione al male, l’altra al bene, finchй un sanguinoso duello fra i due mezzi consente a un chirurgo, il dottor Trelawney, di operare la ricongiunzione.
Il contenuto della storia non и per niente allegro, malgrado il tono fabulatorio, infatti giа il primo capitolo si apre con la descrizione del terreno di guerra ed и intriso di immagini mortuarie: cavalli uccisi e sventrati, uomini mutilati, la peste che non risparmia neppure gli avvoltoi. Continua su questo tono anche la narrazione della vita in Terralba; il Gramo, signore di quelle terre, и l’incarnazione della crudeltа pura che, in un crescendo drammatico, assomma gli aspetti piщ spietati della nostra epoca: la perfezione della tecnica come strumento di morte e distruzione, la violenza sulla natura e sul prossimo, l’inconciliabilitа dei rapporti politico-religiosi. Il Buono, altra metа del visconte, giunge a Terralba in un secondo momento e tenta di rimediare ai disastri causati dal Gramo, senza rendersi conto di provocarne altri non meno gravi. Queste due antitetiche metа sono perт accomunate dalla bizzarra condizione che permette loro di conoscere meglio la realtа che li circonda. Il Gramo si trova in una sorta di perfida potenza e parlando col nipote afferma:
“Ero intero e tutte le cose erano per me naturali e confuse, stupide come l’aria; credevo di vedere tutto e non era che la scorza. Se mai tu diventerai metа di te stesso […] capirai cose al di lа della comune intelligenza dei cervelli interi. Avrai perso metа di te e del mondo, ma la metа rimasta sarа mille volte piщ profonda e preziosa. E tu pure vorrai che tutto sia dimezzato e straziato a tua immagine, perchй bellezza e sapienza e giustizia ci sono solo in ciт che и fatto a brani”.7
Anche il Buono dopo la divisione si sente piщ sapiente e dotato di poteri prima ignoti, come confessa a Pamela:
“[…] questo и il bene dell’essere dimezzato: il capire di ogni persona e cosa al mondo la pena che ognuno e ognuna ha per la propria incompletezza. Io ero intero e non capivo, e mi muovevo sordo e incomunicabile tra i dolori e le ferite seminanti dovunque, lа dove meno da intero uno osa credere. Non io solo, Pamela, sono un essere spaccato e divelto, ma tu pure e tutti. Ecco ora io ho una fraternitа che prima, da intero, non conoscevo: quella con tutte le mutilazioni e le mancanze del mondo. Se verrai con me, Pamela, imparerai a soffrire dei mali di ciascuno e a curare i tuoi curando i loro”.8
In realtа tanto la parte buona di Medardo che la sua parte cattiva non riescono a capire tutta la miseria del mondo, la sua complessitа storica ed etica, perchй sono incomplete.
Parallelamente alla partizione del visconte esiste nel romanzo una partizione sociale: nei pressi di Terralba, esistono due insediamenti umani “alternativi”; uno и il villaggio dei lebbrosi, emblema di una societа profondamente malata ma ampiamente trasgressiva e quindi paradossalmente divertente, l’altra и la comunitа degli Ugonotti, ivi rifugiatisi per sfuggire alle persecuzioni dovute alle loro scelte religiose, in nome delle quali (o, meglio, in memoria - dato che la lettera del primitivo messaggio и andata dispersa) conducono una vita dalle regole severe. La descrizione delle due comunitа и intrisa di contraddizioni: cosм appare assurdo che i lebbrosi, da teoricamente confinati, vivano tenendo in realtа gli altri a distanza, e siano liberi persino dall’onere del lavoro e che la macerazione della carne divenga il trionfo della stessa; parimenti il villaggio degli Ugonotti ha rinunciato all’apostolato (rifiuta la conversione del Gramo) e le loro stesse regole morali sono solamente forme vuote.
Calvino sottolinea questo tema del doppio, inteso come sintomatico dell’uomo contemporaneo, poichй tutti in qualche modo si sentono incompleti e realizzano solo una parte di se stessi e non l’altra.
“A me importava il problema dell’uomo contemporaneo (dell’intellettuale, per essere piщ precisi) dimezzato, cioи incompleto, “alienato”. Se ho scelto di dimezzare il mio personaggio secondo la linea di frattura “bene-male”, l’ho fatto perchй ciт mi permetteva una maggiore evidenza d’immagini contrapposte, e si legava a una tradizione letteraria giа classica (per esempio Stevenson) cosicchй potevo giocarci senza preoccupazioni. Mentre i miei ammicchi moralistici, chiamiamoli cosм, erano indirizzati non tanto al visconte quanto ai personaggi di cornice, che sono le vere esemplificazioni del mio assunto: i lebbrosi (cioи gli artisti decadenti), il dottore e il carpentiere (la scienza e la tecnica staccate dall’umanitа) e quegli ugonotti, visti un po’ con simpatia e un po’ con ironia (che sono un po’ la mia allegoria autobiografico-familiare, una specie di epopea genealogica immaginaria della mia famiglia) ”.9
L’unico personaggio “intero” per eccellenza e quindi disposto al compromesso и la donna, qui identificata nella pastorella Pamela, amata sia dal Gramo che dal Buono e sposata dal visconte riunito; aggirando le scelleratezze dell’uno e le sdolcinatezze dell’altro, riesce sempre a salvaguardare la propria indipendenza sentimentale e decisionale.
Calvino conclude la vicenda senza lasciare che l'egoismo prevalga sull'altruismo, la logica sul sentimento, il sadismo sul sacrificio di sй, la distruzione sul risanamento o l’assolutezza sul compromesso, ma favorendo la sintesi tra gli opposti; certamente non bastava un visconte completo a far diventare completo tutto il mondo, ma l’esperienza dell’una e dell’altra metа rifuse insieme poteva offrire qualche garanzia, se non di felicitа, almeno di saggezza.
Il barone rampante

Il romanzo, pubblicato nel 1957, и, da alcuni critici, considerato il migliore della “Trilogia”. La fantastica storia di un adolescente, Cosimo Piovasco di Rondт viene raccontata dal fratello minore Biagio che ha la delega di personaggio narratore-commentatore, assai simile, come caratteristiche ideologico-culturali, al lettore implicito.
Un giorno, il 15 giugno 1767, il protagonista, non volendo mangiare un piatto di lumache, decide di salire su un albero per protesta. Il gesto, che poteva essere momentaneo, si trasforma in una scelta radicale: Cosimo non metterа piщ piede sulla terra, ma ne seguirа le vicende a distanza partecipando anche alla vita degli altri.
La vita “arborea” di Cosimo non si sviluppa certo a causa di quel rifiuto: per Calvino и soltanto uno spunto narrativo che gli permette di far salire il suo eroe tra le piante. Davanti a una societа corrotta, o meglio a una civiltа che si avvia verso la Rivoluzione francese, il protagonista sceglie di stare al di fuori della mischia e al tempo stesso di misurarsi con essa e con la natura. Questa scelta viene apprezzata ed approvata anche da Voltaire che compare come personaggio all’interno del romanzo:
“- Mais c’est pour approcher du ciel, que votre frиre reste lа-haut?
- Mio fratello sostiene, - risposi, - che chi vuol guardare bene la terra deve tenersi alla distanza necessaria, - e il Voltaire apprezzт molto la risposta.
- Jadis, c’йtait seulement la Nature qui crйait des phйnomиnes vivants; - concluse, - maintenant c’est la Raison -.10
Il grande filosofo chiarisce due aspetti essenziali di questa presa di posizione: la possibilitа di conoscere meglio il mondo non essendovi integrato e la volontа di porre la Ragione sopra tutto. Con il primo di questi due punti si collega l’impostazione sociale della vita di Cosimo di Rondт sulle piante, capace di legare, anzi di imporsi alle bande di coetanei quando и ragazzo, di rieducare il piщ noto bandito, di capeggiare, ben al di lа di quanto gli avrebbe di fatto consentito il suo titolo nobiliare, gruppi di conterranei, ottenendo il rispetto anche di persone immigrate che vivono ai margini della legalitа e la curiosa ammirazione di ogni invasore. Quanto al secondo punto posto in luce dalla risposta di Voltaire, letture, scelte politiche, adesione alla massoneria sono inequivoci segni della determinazione di Cosimo, che, pur originata da un moto irrazionale, diventa paradossalmente scelta di volontа e di pensiero, per la quale non riconosce sentimento e rinuncia a ogni affetto. L’unica persona che riesce a far risaltare le contraddizioni di un tale atteggiamento и Viola, simile eppure opposta a Cosimo, destinata quindi a farlo innamorare ben di piщ della spagnola Ursula che pure era disposta a rimanere sugli alberi per lui; le trovate di Viola rispecchiano certamente i gusti dell’inquieta ragazza, ma mirano a superare la barriera di razionalitа che si frappone fra lei e Cosimo, come del resto emerge dalle loro dispute verbali:
“- Tu ragioni troppo. Perchй mai l’amore va ragionato?
- Per amarti di piщ. Ogni cosa, farla ragionando, aumenta il suo potere.
- Vivi sugli alberi e hai la mentalitа d’un notaio con la gotta.
- Le imprese piщ ardite vanno vissute con l’animo piщ semplice”.11
Questa necessitа di Ragione rispecchia l’ideologia tipica del secolo dei Lumi, quella dell’Illuminismo, basata sull’esaltazione della sfera razionale dell’individuo. Lo stesso Cosimo si prefigge di riorganizzare il mondo secondo questa mentalitа, scrivendo un Progetto di Costituzione d’uno Stato ideale fondato sopra gli alberi, un esempio di sapere di stampo enciclopedico, ripreso da Diderot e D’Alembert.
Calvino esprime attraverso la presa di posizione del protagonista la sua idea di intellettuale: come Cosimo, attivo nella vita pubblica pur rimanendo sugli alberi, l’intellettuale deve stare con gli altri e nello stesso tempo conservare la propria singolaritа, anche a prezzo della solitudine. Cosimo sa che, se si realizzasse la sua ideale Repubblica d’Arborea e tutti gli uomini salissero sugli alberi, a lui toccherebbe scendere a terra per continuare a godere di quel distacco che ogni ruolo critico richiede. Questo atteggiamento и stato definito da Cesare Cases “pathos della distanza” per indicare la tendenza di Calvino a sentire come necessario e giusto il distacco dai suoi personaggi per meglio osservarli; ma nell’istante esatto in cui prende la dovute distanze, avverte come un rimorso, una nostalgia di non poter condividere fino in fondo le loro avventure esistenziali.
Anche nella religiositа si afferma questo bisogno di seguire un percorso razionale che si manifesta nell’inimicizia con il Cattolicesimo, impersonato dalla settecentesca Compagnia di Gesщ, e piщ precisamente da Don Sulpicio de Guadalete, armato contro le idee nuove anche dopo l’ordine di scioglimento del Papa. Cosimo si batte con lui ad armi pari due volte, sul terreno dialettico e poi con la spada; uccide in lui un simbolo combattuto con accanimento in ogni particolare. Dall’inizio alla fine del libro si contrappongono la falsitа e l’oscurantismo, rappresentati dall’Inquisizione e dalla sorella “monaca” e sadica, alla libertа, di cui Calvino vede (pur fra gli uomini di Chiesa) qualche campione, anche se scadente e perseguitato per la scarsa ortodossia, come l’abate Fauchelafleur, alla fine incarcerato e tormentato.
“Finchй non morм, senza aver capito, dopo una vita intera dedicata alla fede, in che cosa mai credesse, ma cercando di credervi fermamente fino all’ultimo”.12
Quindi Il Barone rampante come gli altri testi della Trilogia, dovrebbe essere definito, piщ che romanzo, un conte philosophique, cioи un racconto filosofico, genere letterario tra i piщ diffusi all’epoca.
Il cavaliere inesistente
Con questo romanzo, pubblicato nel 1959, si chiude cronologicamente la “trilogia araldica”. Lo sfondo storico и quello medievale, epoca di contraddizioni e cambiamenti, dove in un mondo ancora confuso le cose cominciavano a prendere forma (un’epoca in cui si puт vedere riflessa allegoricamente la caotica realtа d’oggi); l’ambiente и il campo di Carlo Magno, mitico imperatore dei cristiani, in guerra contro gli infedeli. Calvino, affascinato dal mondo ariostesco, si avventura nell’invenzione ironico-fantastica di storie cavalleresche, che si rifanno alla tradizione dei cantori e dei poemi.
Ma ogni tono epico и annullato dallo sguardo ironico dell’autore che demitizza scherzosamente e intelligentemente i temi fondamentali del poema cavalleresco: le vendette sono regolate da una Sovrintendenza ai Duelli, alle Vendette e alle Macchie dell’Onore; le battaglie avvengono secondo uno schema che prevede il posto di ogni combattente e che non risulta quasi mai esatto; i dialoghi concitati fra i duellanti sono resi possibili da un gran numero di interpreti che corrono su cavalcature leggere a tradurre le frasi piщ o meno minacciose dei contendenti. I personaggi stessi, a cominciare da Carlo Magno, sono spogliati della loro aureola leggendaria per diventare realisticamente litigiosi, dissacratori o, a volte, sciocchi e puntigliosi.
Il protagonista di questa vicenda и Agilulfo, cavaliere inesistente, in quanto effettivamente sprovvisto di un corpo, eppure in servizio combattente per fede e forza di volontа, con nome, casato, grado e mansioni militari, nonchй un’armatura luccicante e vuota; l’eloquente stemma disegnato sullo scudo fra due lembi d’un manto drappeggiato contiene altri due lembi di manto con in mezzo uno stemma piщ piccolo, contenente un altro stemma ammantato piщ piccolo ancora e cosм via fino ai limiti del possibile, a simboleggiare la tendenza, all’infinito, di confondere l’essere con il non essere. Qualcosa del genere rappresenta il modo di stare a tavola di Agilulfo che, non avendo bisogno di mangiare, taglia, affetta, sminuzza, ripartisce, suddivide, sbriciola, rivelando la sua caratteristica fondamentale: la perfezione. Tutta la vita di Agilulfo и perfetta, precisa, ogni suo movimento и prevedibile e netto; nessuno и in grado di raggiungere il suo livello di freddezza e di equipararlo nelle imprese militari e di destrezza.
“Lentamente Agilulfo s’avvicinт, prese l’arco, si scrollт indietro il mantello, puntт i piedi uno avanti uno indietro, e mosse avanti braccia e arco. I suoi movimenti non erano quelli dei muscoli e dei nervi che cercano d’approssimarsi ad una mira: egli metteva a loro posto delle forze in un ordine voluto, fermava la punta della freccia nella linea invisibile del bersaglio, muoveva l’arco quel tanto e non di piщ, e scoccava. La freccia non poteva che andare a segno. [...] - Chi mai, chi mai altro potrа tirare d’arco con tanta nettezza? Chi potrа essere preciso e assoluto in ogni atto come lui?”,13
Come ogni stravaganza nata dalla fantasia di Calvino, anche per il cavaliere inesistente non manca una sorta di spiegazione del fenomeno, tanto per dargli una sistemazione logica piuttosto che per dare un’impressione di convincere:
“Era un’epoca in cui la volontа e l’ostinazione d’esserci [...] non veniva usata interamente, dato che molti non se ne facevano nulla [...] e quindi una certa quantitа ne andava persa nel vuoto. Poteva pure darsi allora che in un punto questa volontа e coscienza di sй, cosм diluita, si condensasse, facesse grumo [...] e s’imbattesse in un nome e in un casato” 14
Agilulfo, forma senza sostanza, и emblema di un mondo che, ritualizzando la realtа, ha poi perso questa e mantenuto solo i riti, sempre piщ particolareggiati e complicati, del tutto inutili; per questo il protagonista и attento controllatore dell’osservanza delle forme ed esperto in regolamenti.
La funzione esercitata a prescindere dalla sua inutilitа и, quindi, la ragion d’essere di Agilulfo, che non puт permettersi di dormire perchй l’inazione comporterebbe automaticamente la sua dissoluzione; per questo motivo nei momenti “in cui le cose perdono la consistenza d’ombra che le ha accompagnate nella notte e riacquistano a poco a poco i colori” e in cui nessuno и sicuro “dell’esistenza del mondo”, il cavaliere trova impegni simbolici contando foglie, pietre, lance, pigne, qualsiasi cosa abbia davanti e le ordina in figure geometriche regolari.
Il protagonista и destinato comunque a dissolversi, nel momento in cui cade la sua unica certezza, cioи quando scopre che il suo titolo di cavaliere avrebbe potuto non essere piщ valido.
Agilulfo, in quanto cavaliere privo di un corpo, и il simbolo dell’uomo “robotizzato”, che compie gesti burocratici con incoscienza quasi assoluta; egli che si identifica totalmente con la sua armatura и l’uomo contemporaneo che si identifica con la sua funzione, cioи con quello che fa, senza cercare di uscire da un pensiero e da un’attivitа unidimensionali.
In contrapposizione all’assoluto non esistere o all’assoluto non essere che и Agilulfo, Calvino mette in campo l’ortolano Gurdulщ “che esiste fisicamente, ma non ne ha coscienza e si confonde con la natura bruta” (Germana Pescio Bottino). Egli и “uno che c’и ma non sa d’esserci”, incapace di distinguere il proprio corpo dal resto. In realtа la pura forma dell’uno e la cieca materialitа dell’altro finiscono con l’equivalersi:
“Agilulfo cammina avanti, diritto, seguendo il suo cammino. Ogni tanto gli itinerari fuori strada di Gurdulщ coincidono con invisibili scorciatoie [...] e dopo giri e giri di vagabondo si ritrova a fianco del padrone sulla strada maestra”15
Diversi sono i personaggi di Rambaldo, che combatte per vendicare la morte del padre e Torrismondo, cadetto dei duchi di Cornovaglia; essi hanno una parvenza di umanitа, infatti il primo cerca di possedere la realtа in tutte le sue manifestazioni, mentre il secondo desidera riconciliarsi con la sua infanzia di figlio bastardo.
Torrismondo, che come tutti i paladini mal sopportava Agilulfo, intuisce che il cavaliere inesistente poteva essere sconfitto solamente troncandone le radici e riesce a pensare ciт perchй ha una sue idea del sistema, essendo figlio non di un uomo, ma di un’istituzione, l’Ordine del S. Graal, nel quale ripone ciecamente ogni fiducia. Alla prova dei fatti Torrismondo si trova a contribuire in modo determinante ad abbattere la supremazia dei Cavalieri del Graal in Curvaldia.
L’ereditа di Agilulfo и invece raccolta da Rambaldo: a lui lascia la propria armatura e, grazie a questa, Rambaldo puт unirsi per la prima volta con Bradamante, che lo crede Agilulfo.
Secondo Calvino tutti questi personaggi erano necessari per iniziare una storia che si sarebbe portata avanti da sй. L’autore stesso dichiara anche di non volersi immedesimare troppo nel protagonista, in modo tale che il romanzo risulti piщ divertente per il lettore.
“Pensai allora di estrapolare questo mio sforzo dello scrivere facendone un personaggio: e feci la monaca scrivana, come se fosse lei a narrare, e questo serviva a darmi delle spinte piщ riposate e spontanee e mandava avanti il resto”.16
La monaca Teodora, presentata nel capitolo V, si rivelerа con un colpo di scena, essere l’amazzone Bradamante; costei и una donna desiderosa di ordine e rigore morale e insieme sciattona, disponibile a curare solo l’esterioritа, in amore capricciosa, dai forti appetiti, ma senza costanza, innamorata di Agilulfo per ciт che rappresenta, ma soprattutto per la sua irraggiungibilitа.
Suor Teodora stende il suo racconto per la madre Badessa che svolge la parte del destinatario tirannico. Non entra in scena, non dialoga; ma и pur sempre lei ad aver messo all’opera la redattrice, a commissionare il racconto. Ne attende la copia: pertanto la sua parte assomiglierebbe piuttosto a quella della casa editrice. Teodora и stata messa in penitenza: in quanto destinata alla scrittura del libro e alla “ricerca della veritа”, essa prova di volta in volta esaltazione e melanconia. Melanconia, quando il filo dell’intreccio si ingarbuglia, quando le parole escono dalla penna come cenere, mentre la vera vita, fuori del libro, fa sentire il suo rumore gioioso. Il libro viene abbandonato quando il racconto, ritornato alla descrizione dell’atto di scrivere, ha potuto designare una morte della parola che corrisponde all’inizio d’un avvenire amoroso. Nel silenzio imminente della storia ultimata la narratrice rivela che lei stessa и la guerriera Bradamante che, dentro il racconto, viveva e galoppava e soffriva per una passione frustrata. La felicitа balenata nell’ultimo istante abolisce insieme la narrazione e la penitenza melanconica. Il racconto termina quando viene meno lo scarto tra l’attivitа della scrittura e la “vita reale”, lo scarto tra il desiderio amoroso e l’oggetto d’amore. Suor Teodora quindi и la figura alla quale Calvino ha delegato la propria parte di scrittore ed и lui a immedesimarsi nelle disperazioni e nelle esultanze della suora. (Jean Starobinski)
BILANCIO CRITICO
Probabilmente per la vicinanza temporale, Calvino non и, o non и ancora diventato, un “caso”, come per l’Ottocento и Verga o per il Novecento Svevo. Seguito con attenzione fin dai suoi esordi, lo scrittore sanremese ha visto crescere sotto i propri occhi una serie pressochй infinita di interventi sui testi che man mano andava componendo: elogi, dubbi, condanne permeano alternativamente recensioni occasionali o piщ meditate, dando luogo a grafici contraddittori in cui gli stessi scrittori che attaccavano alcune scelte poetiche, in una valutazione piщ generale finivano per giustificarle, inserendole in una visione del mondo piщ complessa.
Giа l’uscita del Sentiero dei nidi di ragno suscita un immediato interesse nei critici: in particolare Cesare Pavese (in una recensione del 1947 poi raccolta nella Letteratura americana e altri saggi) individua i “maestri” del nuovo scrittore e indica nomi lontani dalla cultura del neorealismo trionfante all’epoca; dietro la “fiaba” di Pin si cela infatti un “sapore ariostesco”, e ci sono i nomi dei grandi narratori ottocenteschi: gli inglesi Stevenson e Dickens, e poi Ippolito Nievo, l’autore delle Confessioni di un italiano.
L’acuta sensibilitа di Pavese rivela giа la strada sulla quale si muove Calvino, ma i successivi romanzi non sempre hanno trovato critici altrettanto pronti a coglierne i caratteri nuovi: Il visconte dimezzato, Il barone rampante, Il cavaliere inesistente suscitano infatti la perplessitа dei critici piщ tradizionali, che condannano l’eccesso di progettualitа della narrazione, e quella dei critici di impostazione marxista che cercano palesi o nascosti intenti politici, smentiti puntualmente dallo stesso scrittore.
E’ invece Cesare Cases, in un importante intervento del 1958 (ora in Patrie lettere, 1974), Calvino e il “pathos” della distanza, a riprendere il motivo dell’influenza ariostesca grazie alla quale viene focalizzata la difficoltа del singolo individuo di porsi in rapporto armonico con la societа che lo circonda.
Piщ che le prove di una narrativa realisticamente impegnata (dalla Speculazione edilizia alla Nuvola di smog alla Giornata di uno scrutatore), che alimentano nella critica l’idea di una doppiezza tra il registro fiabesco e quello realistico, sono i nuovi testi narrativi degli anni ‘60 ad attirare l’attenzione critica sull’opera di Calvino. Giа a partire dalle Cosmicomiche si registrano giudizi molto diversi e a volte apertamente polemici. Le accuse piщ severe provengono dall’ambito della neoavanguardia: Renato Barilli, in particolare, parlando della Giornata di uno scrutatore e dei testi delle Cosmicomiche e di Ti con zero (in pagine ora raccolte nella Barriera del naturalismo, 1964 e poi 1969, con aggiunte che riguardano proprio Calvino), indica i limiti della narrativa calviniana nell’incapacitа di perseguire una strada davvero nuova. Anche a proposito di un testo sperimentale come Le cosmicomiche, Barilli scrive che solo la designazione del protagonista “и avveniristica”, mentre il contenuto “appare molto piщ tradizionale”. Insomma quello che la neoavanguardia non perdona a Calvino и la sua volontа, pur avendo individuato i mali incurabili di cui soffre la societа planetaria nel suo complesso, di opporre una resistenza giudicata velleitariamente “moralistica”.
Anche la critica marxista esprime un giudizio negativo sulle scelte che Calvino intraprende con le Cosmicomiche e con Ti con zero, accusandolo di aver abbandonato una narrativa impegnata nei confronti della storia, a favore di una narrativa fondata sull’evasione.
A poco a poco tuttavia le riserve sulla doppiezza del registro stilistico (“il realismo a carica fiabesca e la fiaba a carica realistica” come diceva Vittorini), vengono assorbite in una lettura che, sbollite le polemiche ideologiche degli anni ‘60, preferisce porsi al di sopra delle parti.
Tra la fine degli anni ‘60 e i primi anni ‘80 infatti, incominciano ad essere pubblicate alcune monografie su Calvino, come quella di G. Pescio Bottini (1967) e di Giuseppe Bonura (1972), che mettono in evidenza la continuitа di una produzione varia e articolata. Ne viene fuori il profilo di uno scrittore non tanto “politico”, quanto piuttosto impegnato a far rivivere nella pagina le tensioni ancestrali dell’umanitа.
Nei primi anni ‘70 Claudio Calligaris, adottando nella sua monografia (Italo Calvino, 1973) lo strutturalismo di Lucienne Goldmann (che individua nelle strutture letterarie una visione ideologica), evidenzia nell’opera di Calvino la presenza di un costante interrogativo tra il soggetto, la natura e la storia.
Ha inizio cosм, pur tra alcuni dissensi, un periodo di generosi riconoscimenti per la complessitа delle problematiche esistenziali e politiche affrontate nel corso di una lunga carriera.
Successivamente, anche in coincidenza di un minore interesse generale per le metodologie di stampo strutturalista, escono interessanti contributi che indagano nella narrativa di Calvino, mettendone in risalto una particolare attenzione agli elementi stilistici, come in un ampio saggio monografico di Sergio Pautasso (1980).
Siamo cosм alle ultime battute di un’analisi che in questi anni ‘80 colloca Calvino su uno dei piani piщ alti della produzione letteraria del Novecento.
Gli studi su Calvino conoscono un nuovo impulso tra gli anni ‘80 e gli anni ‘90, con la pubblicazione di molti saggi in rivista e l’organizzazione di numerosi convegni, sia di carattere generale, sia su argomenti specifici, per sancire, dopo la morte, la sua grandezza, o anche per segnalare attivitа finora trascurate dalla critica ma fondamentali per capire a fondo il suo ruolo in questa seconda parte del secolo ventesimo. Solo quando tutta la sua sterminata produzione di saggista, di critico, di giornalista sarа portata alla luce, e quando i suoi testi saranno indagati anche in rapporto a problemi che coinvolgono l’interesse di una comunitа sempre piщ internazionale, quando cioи il prossimo millennio avrа selezionato i suoi temi, allora i tempi per un dibattito vero e proprio su Calvino saranno veramente maturi.
BIBLIOGRAFIA
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Benussi, Introduzione a Calvino, Laterza, Bari, 1991
Bonura, Invito alla lettura di Calvino, Mursia, Milano, 1972
Cadioli - Di Alesio - Esposito - Vincenzi, La letteratura e i suoi classici, vol. 7, Archimede, Milano, 1997
Calvino, Il sentiero dei nidi di ragno, Mondadori, Milano, 1993
Calvino, Il visconte dimezzato, Mondadori, Milano, 1993
Calvino, Il barone rampante, Mondadori, Milano, 1993
Calvino, Il cavaliere inesistente, Mondadori, Milano, 1993
Calvino, I nostri antenati, Einaudi, Torino, 1960
Gavino Olivieri, Libro aperto, Principato, Milano, 1995
Guglielmino, Guida al novecento, Principato, Milano, 1971
Guglielmino - Grosser, Il sistema letterario, Principato, Milano, 1994
Minoia, Italo Calvino racconta l’Orlando furioso, Einaudi Scuola, Torino, 1990
Pescio Bottino, Calvino, La Nuova Italia, Firenze, 1973
Trerй - Gallegati, Nuovi itinerari nella comunicazione letteraria, Bulgarini, Firenze, 1985
Salinari - Ricci, Storia della letteratura italiana. Il Novecento, Laterza, Bari, 1995
INDICE
Premessa pag.1
La vita pag.2
Calvino e il neorealismo pag.6
Ideologia pag.8
Opere
Il sentiero dei nidi di ragno pag.11
I nostri antenati pag.15
Il visconte dimezzato pag.17
Il barone rampante pag.20
Il cavaliere inesistente pag.23
Bilancio critico pag.27
Bibliografia pag.30

1da Il sentiero dei nidi di ragno, 1947, capitolo I
2da Il sentiero dei nidi di ragno, 1947, capitolo II
3da Il sentiero dei nidi di ragno, 1947, capitolo VI
4 da Il sentiero dei nidi di ragno, 1947, capitolo IX
5dall’introduzione a I nostri antenati, 1960
6dall’introduzione a I nostri antenati, 1960
7 da Il visconte dimezzato, 1952, capitolo V
8 da Il visconte dimezzato, 1952, capitolo VII
9 dalla lettera a C. Salinari, 7 agosto 1952
10da Il barone rampante, 1957, capitolo XX
11 da Il barone rampante, 1957, capitolo XXIII
12 da Il barone rampante, 1957, capitolo XIII
13da Il cavaliere inesistente, 1959, capitolo VI
14da Il cavaliere inesistente, 1959, capitolo IV
15da Il cavaliere inesistente, 1959, capitolo VIII
16dall’introduzione a I nostri antenati, 1960
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