Interventisti e neutralisti

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LO SCOPPIO DELLA PRIMA GUERRA MONDIALE APRE IN ITALIA IL CONFLITTO TRA INTERVENTISTI E NEUTRALISTI. SI TRACCI UN QUADRO DELLE MOTIVAZIONI CHE CARATTERIZZANO LE OPPOSTE TESI E I RIFLESSI SULLE POSIZIONI DEI PARTITI E DEI MOVIMENTI POLITICI.

L’Italia entra nel conflitto mondiale il 23 maggio 1915, a guerra iniziata già da dieci mesi, schierandosi a fianco dell’Intesa contro l’impero austro-ungarico fino allora suo alleato. Fu una scelta contrastata e sofferta che divise opinione pubblica e partiti in due fronti contrapposti: interventisti e neutralisti.
A guerra appena scoppiata, grazie ad un’interpretazione letterale degli accordi della Triplice Alleanza, il governo presieduto da Antonio Salandra aveva potuto rimanere neutrale: infatti, gli imperi centrali avevano violato il carattere difensivo dell’accordo e inoltre non avevano consultato l’Italia prima di entrare in guerra.
Questa decisione in un primo momento aveva trovato concordi tutte le forze politiche, contrarie ad intervenire a fianco degli imperi centrali. Successivamente s’insinuò un’altra ipotesi, quella di una guerra contro l’Austria che avrebbe completato il processo di unificazione italiano.
Nell’area interventista si schierarono i cosiddetti “interventisti democratici”: antichi radicali, repubblicani e irredentisti (come Cesare Battisti, fautori di una immediata cessione all’Italia del Trentino e di Trieste, terre non ancora redente). Ad essi si aggiunsero i socialisti riformisti (convinti che la vittoria delle grandi democrazie sugli imperi autoritari avrebbe portato all’affermazione degli ideali di democrazia e di indipendenza nazionale) e esponenti delle fasce estremiste del movimento operaio, tra i quali Filippo Corridoni, che vedevano una guerra “rivoluzionaria”, destinata a rovesciare non solo l’assetto internazionale, ma anche gli equilibri sociali interni dei paesi. Questa convinzione fu anche alla base del passaggio dal neutralismo all’interventismo più acceso di Benito Mussolini, che nel suo giornale l’”Avanti!” critica il neutralismo passivo del PSI (da cui peraltro viene immediatamente espulso).
Il movimento nazionalista era invece animato nella sua idea di intervento da ambizioni espansionistiche e anti-democraticismo e portato avanti da esponenti come Marinetti e D’Annunzio.
Più prudente e graduale fu l’adesione alla causa dell’interventismo da parte dei gruppi liberal-conservatori che, in quel momento, con Salandra, reggevano il governo. Questi temevano che una mancata partecipazione al conflitto avrebbe compromesso le sorti italiane in campo internazionale e il prestigio stesso della monarchia; una guerra vittoriosa avrebbe invece rafforzato le istituzioni e dato maggior stabilità al governo.
La maggioranza della classe dirigente liberale, quella che faceva capo a Giovanni Giolitti, era però schierata su una linea neutralista. Giolitti infatti intuiva che la guerra lampo fosse un’illusione e che il conflitto sarebbe durato almeno tre anni. Riteneva l’Italia non preparata per affrontare una situazione simile ed inoltre era convinto che “parecchio potesse ottenersi senza guerra”, come lui stesso scrive, ovvero che l’Italia avrebbe potuto ottenere dagli imperi centrali buona parte dei territori rivendicati come compenso alla sua neutralità (l’entrata del nostro paese avrebbe provocato l’apertura di un terzo fronte).
Fermamente contrario all’intervento era il mondo cattolico italiano. Il nuovo papa Benedetto XV espresse la sua posizione pacifista non solo prima dell’entrata in guerra, ma anche durante il conflitto continuò a cercare di persuadere gli stati belligeranti a propendere per la pace (nota del 1917). Questo atteggiamento da un lato interpretava i sentimenti prevalenti fra le masse cattoliche, dall’altro rispecchiava la preoccupazione per una guerra che vedesse l’Italia schierata a fianco della Francia repubblicana e anticlericale contro la cattolica Austria.
Rigorosamente neutralisti erano i socialisti, mossi da convinzioni pacifiste e da sentimenti di solidarietà internazionale dei lavoratori contro la guerra voluta dalle grandi potenze capitaliste.
Comunque ciò che decise l’esito di questo scontro fu l’atteggiamento del re e di Salandra, ovvero gli uomini cui spettava il potere decisionale in materia di alleanze internazionali.
L’inversione definitiva dell’orientamento politico interno del paese fu, infatti, imposto dal governo stesso grazie al sostegno del re, che ignorò completamente il parlamento. Salandra, il 26 aprile 1915, firmò il Patto di Londra con la Francia, l’Inghilterra e la Russia, del quale il parlamento e l’opinione pubblica rimasero all’oscuro fino al 1917. Nel momento in cui la maggioranza sembrava approvare pienamente la politica neutralista promossa dai liberali giolittiani, Salandra rassegnò le dimissioni. Tuttavia il rifiuto di tali dimissioni da parte del re (dovuto al fatto che Giolitti non aveva potuto accettare il ruolo in quanto non aveva elementi sufficienti per criticare apertamente la condotta del governo) e le imponenti manifestazioni di piazza del maggio 1915 costrinsero la camera ad approvare la concessioni di pieni poteri al governo.
Il 24 Maggio 1915 l’Italia dichiarò guerra all’Austria.

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