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Categoria: | Italiano |
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Data: | 07.12.2005 |
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Testo
Tra le cause della prima guerra mondiale, un ruolo non secondario hanno avuto quelle culturali - pubblicistiche. Esponile evidenziandone la consistenza ed incidenza ed istituendo un sobrio confronto con la situazione presente alla vigilia della guerra in Iraq
Determinante nell’ambito della prima guerra mondiale furono, a detta di numerosi storici, le cause culturali e pubblicistiche. Innanzitutto lo scontro tra interventisti e neutralisti non fu un fenomeno elitario ma trovò un vasto, e non sottovalutabile, appoggio popolare. Nell’abito dell’interventismo una componente fondamentale è rappresentata dal nazionalismo favorevole all’entrata in guerra affinché l’Italia (restiamo, ora, nel nostro Paese) potesse affermare la sua vocazione di grande potenza imperialistica. E proprio tra gli interventisti spiccano nomi di grande prestigio come Giovani Gentile, Luigi Einaudi, Gaetano Salvemini e, soprattutto, Gabriele D’Annunzio che, da scrittore raffinato e personaggio eccentrico si improvvisò per l’occasione “capopolo”ed ebbe un ruolo di rilievo nelle manifestazioni di piazza a favore dell’intervento. Secondo alcuni storici, tra i quali ricordiamo l’inglese Joll,, un fattore che contribuì notevolmente alla nascita di questo dilagante nazionalismo fu la cattiva interpretazione delle teorie darwiniane: “se anche nel mondo degli stati, come in quello della natura, ogni essere ubbidisce al principio della lotta per la sopravivenza, allora prepararsi a quella lotta doveva essere il primo dovere dei governi…”
Ma, come abbiamo precedentemente accennato, non è assolutamente trascurabile il ruolo giocato in questo conflitto dalle masse popolari e soprattutto dai giovani. Lo storico Marc Ferro afferma, infatti: “i giovani fanno eco alle parole dei grandi: - l’esistenza che conduciamo non ci soddisfa perché se possediamo tutti gli elementi di una vita bella non possiamo fruirne con un’azione immediata […]. Un solo avvenimento ci permetterà questa azione: la guerra-“. Questi ragazzi dunque partivano per la guerra felici di poter cambiare il proprio modo di vivere e ben lungi dal pensare che, magari, non sarebbero mai tornati a casa per assaporare questa nuova vita. Proprio come accade ora in Iraq dove centinaia di giovani americani, ma anche europei, sperano di poter porre le basi economiche per una vita migliore. È’, pertanto, errato affermare che la Grande Guerra è stata subita dalla popolazione dalla quale, invece, fu accolta con sconcertante entusiasmo. Sempre in ambito culturale, importante, ai fini della guerra, fu l’atteggiamento assunto da alcuni giornali come il “Corriere Della Sera” che erano di impostazione smaccatamente interventista. Ma, dinanzi alla prosa poetica degli inviati speciali, contrariata fu la reazione dei combattenti e delle loro famiglie inaspriti soprattutto dalla “Falsificazione della loro psicologia, come di gente che in guerra si divertisse e ci pigliasse gusto, né più né meno, che ad uno sport”. E percorrendo il viale delle peggiori guerre intraprese sin ad ora dall’umanità, si giunge a qualche anno fa quando gli Stati Uniti d’America hanno intrapreso una guerra dapprima in Afganistan e successivamente in Iraq. Le motivazioni ufficiali, quelle che ci sono giunte attraverso i media “Ufficiali” –giornali, televisione ma anche studiosi, esperti ecc…- sono veramente varie: armi di distruzione di massa nelle mani di Saddam Hussein, lotta contro il terrorismo di Al Quaeda, fervore democratico degli USA e via dicendo. Lo stesso Bush si è autonominato garante della democrazia assumendosi l’onere di liberare gli Irakeni dal regime dittatoriale ignorando, forse, quello che già Erodono, il primo storico della letteratura greca, intuì e cioè che è assurdo imporre i propri usi ad un altro popolo in quanto questo è sinceramente convinto che le proprie usanze le siano le migliori in assoluto e non sarebbe quindi disposto a cambiarle con quelle di nessun altro Stato. Sempre Bush, probabilmente ignorava anche quello che un altro grande filosofo disse a proposito della democrazia imposta su un altro stato, parlo di Hegel per il quale la costituzione di un popolo non nasce da una meditazione a tavolino o da alcuni accordi della classe dirigente, bensì essa nasce dalla dialettica di un popolo, dal suo naturale sviluppo ed è pertanto inutile imporre la propria costituzione ad un’altra popolazione. Ma mentre in America il presidente continuava a fare appelli alla sensibilità dei cittadini, invitandoli a riflettere sullo stato di sottomissione in cui vivono gli Irakeni, in Europa un’altra verità si andava diffondendo, quella verità tenuta nascosta dai mezzi di informazione che precedentemente abbiamo definito ufficiali, e cioè che le reali motivazioni che hanno spinto l’America ed affrontare questa guerra siano state di tipo economico.
La storia ci insegna che nessuna guerra è stata mai intrapresa per un senso di solidarietà e poche volte per motivazioni patriottiche; esattamente come recita la frase scritta sul muro di una casa al confine franco-tedesco al termine della Grande Guerra:”On croit mourir pour la Patrie, et on meurt pour les capitalistes!” Proprio durante il primo conflitto mondiale la politica del presidente Wilson era inizialmente di neutralità, poi, però, sopraggiunse il grave problema del collasso russo che metteva a rischio la vittoria dell’Intesa e, dunque, il pagamento del saldo ch’essa doveva agli USA; al pacifista Wilson non rimase altro che entrare in guerra e aiutare l’Intesa a risolvere il conflitto. Nel dopoguerra gli Usa concessero, poi, generosi prestiti alla Germania: in tal modo essa poteva pagare ad Inghilterra e Francia le riparazioni di guerra e queste, a loro volta, saldare i propri debiti con gli USA. Alla base di tutto, dunque, solo motivazioni economiche e secondo l’insegnamento di Vico la storia non può che ripetersi proprio come ha fatto con la guerra in Iraq. Dietro, infatti, alla falsa difesa della democrazia vi era la necessità di porre fine alla grave crisi economica che aveva portato l’inflazione a crescere del 5,1% e la disoccupazione a toccare picchi del 5,6%. Naturalmente l’unica soluzione possibile, secondo il complesso pensiero americano, era quella di intraprendere una guerra; e quale bersaglio più facile dell’Iraq ormai prostrato dall’onerosa guerra in Iran?!? Bush intraprese dunque la sua guerra e urlando al mondo intero di voler democratizzare l’Iraq portò nelle casse americane ben undici miliardi di dollari.
In entrambe le guerre, a cui abbiamo fatto riferimento, un ruolo fondamentale è stato assunto dai mezzi di propaganda che, soffermandosi maggiormente su alcuni e aspetti e tralasciandone altri, hanno portato l’opnione pubblica se non a condividere per lo meno a giustificare due guerre che, a conti fatti, hanno solo causato la morte di migliaia di persone ed un ulteriore arricchimento e potenziamento di alcuni stati tra i quali primeggiano, naturalmente, gli Stati Uniti d’America.