Germania tra Prima e Seconda Guerra Mondiale

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Di Alberto Pierobon
Classe 5BE a.s. 1999/2000
Bassano del Grappa 15/06/2000
LA GERMANIA FRA LA PRIMA E LA SECONDA GUERRA MONDIALE
NEL CORSO DELLA PRIMA GUERRA MONDIALE 3
IL TRATTATO DI VERSAILLES E IL DIFFICILE DOPOGUERRA 4
DISARMO E RIPARAZIONI 5
MUTAMENTI TERRITORIALI 5
LA REPUBBLICA DI WEIMAR 6
I PROBLEMI POSTBELLICI 7
UN EQUILIBRIO PRECARIO 8
IL CROLLO 8
LA FIGURA DI HITLER 9
L'ASCESA POLITICA 9
LA FORMAZIONE DEL PARTITO NAZISTA 10
IL PUTSCH DI MONACO E IL MEIN KAMPF 10
LA CONQUISTA DEL POTERE 11
IL REGIME NAZISTA 11
IL RIARMO E LA POLITICA DI ESPANSIONE TERRITORIALE 12
LA SECONDA GUERRA MONDIALE 13
OCCUPAZIONE E DIVISIONE DALLA GERMANIA 13
LA PERSECUZIONE DEGLI EBREI TEDESCHI DURANTE IL NAZISMO 14
L'ARIANIZZAZIONE DELL'ECONOMIA 14
LA NOTTE DEI CRISTALLI 14
L'OCCUPAZIONE DELLA POLONIA 15
L'INVASIONE DELL'UNIONE SOVIETICA 15
LA "SOLUZIONE FINALE" 16
LE DEPORTAZIONI 16
I CAMPI DELLA MORTE 17
EFFETTI DELLA SHOAH 18
LA GERMANIA FRA LA PRIMA E LA SECONDA GUERRA MONDIALE
NEL CORSO DELLA PRIMA GUERRA MONDIALE
I timori nei confronti della nuova Germania (unificata di recente, di gran lunga la più popolosa e industrializzata nazione del continente europeo, imperialista in politica estera) fecero da sfondo agli avvenimenti che sfociarono nella prima guerra mondiale; del resto ognuna delle altre potenze avanzava rivendicazioni nei confronti dello stato tedesco: la Francia voleva riconquistare l'Alsazia-Lorena; l'Inghilterra si sentiva minacciata dall'espansionismo coloniale tedesco in Africa e dalla possibile rivalità con una forte marina militare voluta da Guglielmo II; l'Austria e la Russia ne temevano le intromissioni nella loro instabile situazione interna. Peraltro, la stessa Germania viveva sotto l'incubo di una guerra su due fronti.
Il delicato sistema d’alleanze contrapposte, ideato da Bismarck, si rivelò troppo difficile da mantenere; egli rifiutò così di rinnovare il trattato di controassicurazione firmato con la Russia nel 1887, rinnovando invece gli accordi della Triplice Alleanza (stipulata nel 1882) con Austria e Italia. Per tutta risposta la Russia strinse un'alleanza con la Francia (1894), che ebbe l'effetto di porre la Germania tra due fuochi, proprio nel momento in cui anche l'Inghilterra abbandonava la sua neutralità per realizzare prima l'Entente cordiale (1904) con la Francia, poi la Triplice Intesa (1907) con Francia e Russia.
L'intervento tedesco in Marocco (1905 e 1911) a difesa degli interessi della Germania in Africa e l'annessione delle province turche della Bosnia ed Erzegovina all'Austria a scapito della Serbia costituirono i segnali del conflitto imminente; l’occasione per l’esplosione della guerra la offrì l'attentato eseguito il 28 giugno 1914 a Sarajevo da un nazionalista serbo, in cui perse la vita all'arciduca austriaco Francesco Ferdinando.
I piani tedeschi di guerra prevedevano una rapida conquista della Francia, così da poter concentrare gli sforzi sul difficile fronte orientale; le armate imperiali trovarono però una resistenza maggiore del previsto nel Belgio neutrale, invaso con una violazione del diritto internazionale, che spinse l'Inghilterra a intervenire immediatamente nel conflitto alienando ogni simpatia agli Imperi Centrali.
Giunta alle porte di Parigi, l'offensiva tedesca si spense sulla Marna (tra il 6 e il 9 settembre 1914), seguita da quattro anni di terribile guerra di posizione. Nel frattempo, i russi avevano attaccato a est, determinando la situazione tanto temuta dalla Germania di due fronti di guerra contemporaneamente aperti.
Il blocco degli Alleati attorno alla Germania portò alla decisione da parte dei comandi tedeschi di lanciare una guerra sottomarina indiscriminata, che ebbe l'effetto di trascinare nella guerra anche la potenza statunitense (1917). L'anno successivo la Germania concludeva con la Russia bolscevica la pace di Brest-Litovsk, disimpegnando così il fronte orientale, ma la grande offensiva finale, subito dopo lanciata a occidente, non dette i risultati sperati. Riconoscendo la gravità della situazione, il comando supremo tedesco chiese all'imperatore di avviare trattative di pace, per le quali il presidente degli Stati Uniti Wilson era tuttavia disponibile solo a condizione di avere come interlocutore un governo eletto democraticamente. Mentre i combattimenti proseguivano in un crescendo di atti di insubordinazione nella marina e nell'esercito tedeschi, di scioperi indetti dalle organizzazioni socialiste, mentre si formavano Soviet di lavoratori e soldati, di tumulti sfociati in Baviera in una vera e propria rivoluzione, Guglielmo II finì per abdicare. Dalle ceneri del secondo Reich nasceva la nuova Repubblica di Weimar.
IL TRATTATO DI VERSAILLES E IL DIFFICILE DOPOGUERRA
Il trattato di Versailles fu negoziato alla conferenza di pace apertasi a Parigi il 18 gennaio 1919, cui parteciparono i delegati delle 27 nazioni vincitrici e in cui ebbero un ruolo preminente i rappresentanti di Stati Uniti, Inghilterra, Francia e Italia, mentre la Repubblica di Weimar rimase esclusa dalle trattative. La prima sezione del trattato finale conteneva anche il testo del patto costitutivo della Società delle Nazioni, prima istituzione internazionale finalizzata al mantenimento della pace, cui venne assegnata tra l'altro la responsabilità di rendere esecutivi i trattati seguiti al conflitto.
Il trattato fu firmato dagli stati dell'Intesa e dalla Germania il 28 giugno 1919. Non venne però ratificato dal Congresso degli Stati Uniti, che il 2 luglio 1921 firmarono a Berlino un trattato separato con la Germania.
DISARMO E RIPARAZIONI
Il trattato di Versailles impose alla Germania l'abolizione del servizio militare obbligatorio, la riduzione dell'esercito a 100.000 uomini, la smilitarizzazione dell'intera riva occidentale del Reno e per una fascia di 50 km di quella orientale, il divieto di produrre e commerciare armi, un limite massimo di 24 navi per la flotta militare, con nessun sottomarino, e di 15.000 marinai, nonché la rinuncia completa all'aviazione.
Ritenuta responsabile dei danni inflitti alle potenze alleate, la Germania avrebbe dovuto farsi carico di gran parte delle riparazioni necessarie, contribuendo con pagamenti in moneta, natura, strumentazione, impianti e prodotti industriali; l'organizzazione del sistema dei pagamenti risultò estremamente difficoltosa, richiedendo la riunione di un'apposita conferenza a Losanna nel 1932.
MUTAMENTI TERRITORIALI
La Germania dovette riconoscere l'incondizionata sovranità di Belgio, Polonia, Cecoslovacchia e Austria, rinunciando ai precedenti trattati di Brest-Litovsk e di Bucarest. Dovette inoltre cedere circa il 13% del suo territorio europeo, restituendo l'Alsazia-Lorena alla Francia e affidando la Saar alla gestione di una commissione della Società delle Nazioni per quindici anni; il Belgio ricevette i distretti di Eupen, Malmédy e Moresnet. In base all’esito di alcuni plebisciti tenutisi nel 1920 lo Schleswig settentrionale tornò alla Danimarca e quello centrale rimase alla Germania. Alla Polonia furono assegnate ampie zone della Posnania e della Prussia occidentale.
Come risultato di altri plebisciti la Prussia sudoccidentale e la regione di Marienwerder, nella Prussia occidentale, optarono per la Germania. La Slesia, che un ulteriore plebiscito avrebbe voluto tedesca, venne invece suddivisa fra Polonia e Cecoslovacchia per decisione del Consiglio della Società delle Nazioni. Il territorio di Memel fu ceduto agli Alleati, che lo concessero poi alla Lituania. Danzica fu riconosciuta città libera sotto l'amministrazione della Società delle Nazioni, ma sotto la giurisdizione polacca per quel che riguardava dogana e relazioni internazionali. La Germania, infine, fu privata delle colonie africane e oceaniche.
Le durissime condizioni di pace imposte ai tedeschi dal trattato di Versailles non facilitarono il processo di pacificazione, preparando anzi il clima per il futuro riarmo della Germania. Oltre all'obbligo di pagare ingentissime riparazioni di guerra, la Germania dovette cedere buona parte delle riserve di carbone, dei treni, delle navi mercantili e di quelle militari e tutte le colonie.
Il diffuso malcontento per le clausole della pace minò alla radice i rapporti del nuovo regime di Weimar con la comunità internazionale e con i vicini stati europei in particolare, mentre sul piano interno screditò in partenza il nuovo governo socialdemocratico agli occhi di una buona parte della popolazione, attratta dalla propaganda comunista e nazionalsocialista.
LA REPUBBLICA DI WEIMAR
Nella città di Weimar, in Turingia, si riunì l'Assemblea nazionale costituente incaricata di elaborare l'ordinamento costituzionale della Repubblica tedesca proclamata il 9 novembre 1918, dopo l'abdicazione dell'imperatore Guglielmo II. Insediata il 6 febbraio 1919, a poche settimane dal sanguinoso fallimento della rivolta degli spartachisti comunisti di Berlino guidati da Karl Liebknecht e Rosa Luxemburg; l'Assemblea risentì delle profonde lacerazioni prodotte nel paese dalla guerra, sforzandosi di risolverle sul piano giuridico attraverso un complesso bilanciamento tra i diversi poteri dello stato e i diritti dei cittadini.
Il risultato fu la Costituzione promulgata l'11 agosto, che faceva della Germania una Repubblica democratica federale, fondata su un delicato equilibrio di poteri non solo tra le camere del Parlamento, il Reichstag (l'assemblea dei deputati con funzioni legislative) e il Reichsrat (l'assemblea dei rappresentanti degli stati, con funzioni consultive e di controllo), ma anche tra questa e il capo dello stato, cui era riservata la facoltà di nominare il cancelliere (capo del governo) e di sciogliere il Parlamento. Primo presidente della neonata repubblica fu confermato il socialdemocratico Friederich Ebert, eletto dalla stessa Assemblea costituente come capo provvisorio dello stato fin dall'11 febbraio.
I PROBLEMI POSTBELLICI
Gli esordi della Repubblica di Weimar furono travagliati. Dalla fine della prima guerra mondiale la Germania si trovava a dover affrontare una serie di problemi di ordine economico, sociale e politico quasi insormontabili. Oltre che un'inflazione e un debito nazionale senza precedenti, sui tedeschi gravavano le dure condizioni di pace dettate dal trattato di Versailles: in particolare, il completo disarmo del paese e le ingenti riparazioni di guerra richieste dagli Alleati. Incapace di far fronte ai pagamenti, la Germania dovette effettuare ripetute svalutazioni del marco che polverizzarono il valore della moneta tedesca e inasprirono ulteriormente la crisi finanziaria del paese. Questo parve sul punto del collasso quando nel gennaio del 1923, truppe franco-belghe occuparono la ricca regione industriale tedesca della Ruhr, in seguito al ritardato pagamento delle riparazioni.
UN EQUILIBRIO PRECARIO
La situazione venne migliorando dopo l'avvento alla cancelleria del conservatore Gustav Stresemann, che nell'agosto del 1923 formò un governo di "grande coalizione" impegnato su un programma di risanamento economico e di stabilizzazione politica. Grazie a ciò la Repubblica di Weimar ottenne fin dal 1924 una consistente riduzione delle riparazioni con l'aiuto del Piano Dawes, mentre nel 1925 Stresemann avviò la normalizzazione delle relazioni internazionali del paese aderendo agli accordi di Locarno, che garantivano le frontiere occidentali dalla Germania e ne prepararono l'ingresso nella Società delle Nazioni (1926). Verso la fine del 1923, intanto, era stata emessa una nuova moneta, il Rentenmark (il marco-rendita), abbinata a controlli finanziari rigorosi: ciò aveva consentito una ripresa economica su vasta scala, che tuttavia non bastava a risolvere altri gravi e persistenti problemi. L'economia tedesca continuava, infatti, ancora a dipendere in gran parte dai prestiti stranieri, la spesa pubblica si manteneva attestata su livelli pericolosamente elevati e le imprese private soffrivano di margini di profitto troppo bassi. In tale contesto, nel 1925, avvenne l'elezione a presidente della repubblica del maresciallo Paul von Hindenburg, candidato dei nazionalisti.
IL CROLLO
I fragili equilibri appena raggiunti furono sconvolti dai contraccolpi della Grande Depressione economica mondiale del 1929, che produsse in Germania quasi sei milioni di disoccupati e radicalizzò la vita politica e sociale del paese. Nel 1930 Hindenburg nominò cancelliere l'esponente cattolico moderato Heinrich Brüning, che avviò una politica di drastici tagli alla spesa pubblica. Questa, mentre consentì di porre fine all'annosa questione delle riparazioni di guerra, inasprì la già grave crisi economica della Germania, creando, dopo le dimissioni di Brüning, nel 1932, una situazione politica fortemente instabile. Il principale beneficiario politico della crisi fu il Partito nazionalsocialista dei lavoratori tedeschi, guidato da Adolf Hitler, le cui posizioni ultranazionaliste e antisemite avevano raccolto il voto di protesta tanto dei gruppi d'ordine conservatori quanto dei ceti popolari colpiti dalla crisi, facendo dei nazisti sin dalle elezioni per il Reichstag del 1930 il secondo gruppo politico del paese. Incapace di formare governi di maggioranza, Hindenburg indisse nuove elezioni nel 1932, che decretarono la vittoria del Partito nazionalsocialista. Ciò aprì a Hitler la via al cancellierato, carica cui il capo nazista fu chiamato dallo stesso Hindenburg il 30 gennaio del 1933. Una volta al potere, Hitler abolì l'ufficio del presidente e si autoproclamò Führer (capo) del Terzo Reich, calando così il sipario sulla Repubblica di Weimar.
LA FIGURA DI HITLER
Una volta assunto il potere nel 1933, attuò una politica di riscatto della nazione tedesca in nome dei valori nazionalistici, sfociata nella rimilitarizzazione della Germania e nella revisione degli equilibri europei, processi, questi, che finirono per trascinare l'intera Europa nella seconda guerra mondiale. Dopo aver fatto della xenofobia, dell'antisemitismo e dell'espansionismo del popolo ariano i fondamenti della sua propaganda e della sua politica, tentò di imporre un "ordine nuovo" trasformando il Partito nazista nello strumento per abbattere il regime democratico in Germania e per dare una diffusione mondiale al movimento fascista.
L'ASCESA POLITICA
Figlio di un modesto funzionario delle dogane austriaco, fu uno studente mediocre e non portò mai a termine le scuole secondarie. Dopo aver tentato invano di essere ammesso all'Accademia di belle arti di Vienna, lavorò in questa città come decoratore e pittore, leggendo con voracità opere destinate ad alimentare le sue convinzioni antisemite e antidemocratiche, così come la sua ammirazione per l'individualismo e il disprezzo per le masse. Trasferitosi a Monaco, fu qui sorpreso dallo scoppio della prima guerra mondiale (1914) e si arruolò come volontario nell'esercito bavarese.
LA FORMAZIONE DEL PARTITO NAZISTA
Dopo la guerra tornò a Monaco e rimase nell'esercito fino al 1920; iscrittosi al Deutsche Arbeiterpartei (Partito tedesco dei lavoratori), di impronta nazionalista, ne divenne in breve il capo e, associandovi altri gruppi nazionalisti, lo rifondò con la denominazione di Nationalsozialistische Deutsche Arbeiterpartei (Partito nazionalsocialista tedesco dei lavoratori, abbreviato in Partito nazista), del quale fu eletto presidente con poteri dittatoriali; mentre diffondeva la sua ideologia incentrata sull'odio di razza e sul disprezzo per la democrazia, si legò ai gruppi squadristi paramilitari fondati dal maggiore Röhm, le SA (Sturmabteilungen, squadre d'assalto), avallandone le azioni di violenza contro uomini e sedi della sinistra socialdemocratica e comunista.
IL PUTSCH DI MONACO E IL MEIN KAMPF
Hitler incentrò la sua azione politica nell'attacco alla Repubblica di Weimar, accusata di tradimento e di cedimento agli stranieri, raccogliendo l'adesione di personaggi quali Rudolf Hess, Hermann Göring e Alfred Rosenberg. Nel novembre del 1923, in un momento di confusione e debolezza del governo del paese, fece la sua prima apparizione sulla scena politica tedesca guidando un tentativo di colpo di stato in Baviera, il Putsch di Monaco. L'esercito però non fu compatto nel sostenere l'operazione e il putsch fallì. Riconosciuto responsabile del complotto, Hitler venne condannato a cinque anni di reclusione, ridotti a otto mesi per un'amnistia generale. Durante la detenzione, dettò la sua autobiografia, Mein Kampf (La mia battaglia), nella quale espose i principi dell'ideologia nazista e della superiorità della razza ariana. Tornato in libertà (1924), ricostruì nel 1925 il partito senza che il governo, che pure aveva cercato di rovesciare, facesse nulla per impedirlo.
LA CONQUISTA DEL POTERE
Scoppiata nel 1929 la Grande Depressione, che portò al tracollo del marco e alla crescita della disoccupazione, Hitler seppe sfruttare il malcontento popolare guadagnando consensi al Partito nazista e assicurandosi l'appoggio dei settori di destra dell'alta finanza, della grande industria e dell'esercito; con la promessa di creare una Germania forte, ricca e potente attirò milioni di elettori. La sua capacità oratoria infiammava le masse: nelle elezioni del 1930 i seggi dei nazisti al Reichstag passarono dai dodici del 1928 a centosette; contemporaneamente rafforzò le strutture paramilitari del partito utilizzando le SA di Röhm e le SS, create da Himmler.
Durante i due anni seguenti il partito continuò a crescere, traendo vantaggio dalla forte disoccupazione, dalla paura del comunismo, dalla risolutezza di Hitler e dalla debolezza dei suoi rivali politici. Hitler riuscì ad accreditarsi come l'uomo forte, capace di far uscire il governo dall'immobilismo e dalle secche dei contrasti tra Parlamento e presidenza della Repubblica. Con il sostegno dei vertici militari ottenne dal presidente Paul von Hindenburg l'incarico di cancelliere (30 gennaio 1933). L'incendio del Reichstag nel mese seguente diede a Hitler il pretesto per mettere fuorilegge i comunisti. In marzo, un Reichstag rieletto dopo una campagna elettorale terroristica, diede pieni poteri a Hitler, che istituì, di fatto, un regime totalitario. Alla morte di Hindenburg (1934) riunì nella sua persona anche la carica di presidente, facendo ratificare questo atto con un plebiscito che gli attribuì il 90% dei consensi. A quel punto il suo progetto totalitario poté dispiegarsi senza ostacoli.
IL REGIME NAZISTA
Giunto al potere, Hitler si trasformò rapidamente in dittatore. Un Parlamento sottomesso gli concesse pieni poteri, così che egli fu in grado di asservire la burocrazia statale e il potere giudiziario alle esigenze del partito. Creò un sistema dittatoriale capace di controllare e dirigere ogni aspetto della vita del paese attraverso una serie di strumenti efficaci e perfettamente organizzati: l'indottrinamento e il reclutamento della gioventù hitleriana; una propaganda capillare affiancata dalla Gestapo, la polizia segreta; una vasta burocrazia con poteri militari e civili, le famigerate Shutzstaffeln (SS). I sindacati furono eliminati, migliaia di oppositori rinchiusi nei campi di concentramento e ogni minimo dissenso messo violentemente a tacere. L'organizzazione della polizia politica venne affidata a Himmler, il capo delle SS. Il 30 giugno 1934, nella "notte dei lunghi coltelli", Hitler si liberò degli elementi più critici e radicali presenti nel suo stesso partito e nelle SA. In breve tempo l'economia, i mezzi di comunicazione e tutte le attività culturali passarono sotto l'autorità nazista attraverso il controllo della lealtà politica di ogni cittadino esercitato dalla Gestapo.
IL RIARMO E LA POLITICA DI ESPANSIONE TERRITORIALE
Hitler si riservò come settore di sua esclusiva competenza la politica estera. Nel 1935 denunciò il trattato di Versailles del 1919, proclamando la sua ferma intenzione di riportare la Germania al rango di grande potenza militare e navale, e per cominciare, attraverso un plebiscito, riprese la regione della Saar, alla frontiera occidentale. Nel 1936 ritenne che i tempi fossero maturi per dare inizio alla sua politica d'espansione: inviò truppe nella Renania smilitarizzata, firmò con l'Italia fascista di Mussolini un'alleanza che prese il nome di Asse Roma-Berlino, e sottoscrisse con il Giappone il patto Anticomintern in funzione anticomunista e antisovietica. Nel 1938 venne dichiarato l'Anschluss (unione) con l'Austria; poco dopo, in una conferenza tenuta a Monaco, Inghilterra, Francia e Italia acconsentirono all'ennesima richiesta di Hitler (prospettata come l'ultima) di annettersi la regione cecoslovacca dei Sudeti e il conseguente smembramento della Cecoslovacchia, premessa della sua dissoluzione, avvenuta nel marzo 1939. In agosto il patto Molotov-Ribbentrop di non-aggressione stretto con l'URSS, comprendente clausole segrete per la spartizione della Polonia, costituì la premessa allo scoppio delle ostilità.
LA SECONDA GUERRA MONDIALE
La guerra scoppiò il primo settembre del 1939 con l'invasione della Polonia, che aveva stretto un'alleanza con l'Inghilterra. L'occupazione in rapida successione (Blitzkrieg) di Polonia, Danimarca, Norvegia, Paesi Bassi, Francia e Belgio, operata entro l'estate del 1940, portò a compimento la prima fase dei piani di guerra hitleriani. A questa seguì il fallito tentativo di piegare la resistenza inglese, e nel 1941 l'invio di forze in Nord Africa, Grecia e Iugoslavia a supporto dell'alleato italiano impegnato su quei fronti con scarsi risultati.
La seconda fase venne inaugurata dall'invasione dell'URSS nell'estate dello stesso anno. Per oltre un anno le truppe tedesche sembrarono non incontrare ostacoli, ma dal 1943 le operazioni condotte dagli Alleati e la Resistenza sviluppatasi in molti paesi iniziarono a prendere il sopravvento. Prima in URSS, poi in Nord Africa i tedeschi furono costretti a indietreggiare, mentre l'Italia veniva invasa e la stessa Germania veniva fatta oggetto di bombardamenti sistematici sempre più violenti. Nonostante lo sbarco alleato in Normandia nel 1944 e l'inizio dell'invasione del territorio tedesco da due fronti non lasciassero dubbi circa l'inevitabilità della sconfitta, Hitler rifiutò di arrendersi: si suicidò il 30 aprile del 1945, mentre i primi carri armati sovietici raggiungevano Berlino.
OCCUPAZIONE E DIVISIONE DALLA GERMANIA
La resa incondizionata della Germania pose fine al Terzo Reich. Gli Alleati riportarono la Germania entro i confini prebellici (conferenza di Potsdam, luglio-agosto 1945) e assegnarono una parte consistente dei territori tedesco-orientali alla Polonia. L'impossibilità di giungere ad un accordo tra i vincitori circa il futuro del paese, fece sì che questo fosse diviso in due: nella parte occidentale (occupata dalle forze militari di Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia) un governo liberal-democratico diede vita alla Repubblica federale tedesca, mentre in quella orientale (sotto l'occupazione sovietica) un regime comunista fondò la Repubblica democratica tedesca.
LA PERSECUZIONE DEGLI EBREI DURANTE IL NAZISMO
Come conseguenza delle idee nazionaliste e razziste proclamate da Hitler nel Mein Kampf, il regime nazista, sin dall'inizio, adottò contro gli ebrei misure di discriminazione sistematica, formalizzate in seguito nelle leggi di Norimberga (5 settembre 1935). Secondo l'ideologia antisemita e razzista del regime, ebreo era chiunque risultasse avere tre o quattro nonni osservanti della religione ebraica, indipendentemente dall’effettiva partecipazione alla vita della comunità ebraica; mezzo-ebreo era chi aveva due nonni osservanti o era sposato con un ebreo; chi aveva un solo nonno ebreo era designato come mischlinge (meticcio). Ebrei, mezzi ebrei e mischlinge, in quanto non ariani, erano soggetti a leggi e prescrizioni discriminatorie.
L'ARIANIZZAZIONE DELL'ECONOMIA
Dal 1933 al 1939 Partito nazista, enti governativi, banche e imprese private misero in atto un'azione comune volta ad emarginare gli ebrei dalla vita economica del paese. I non-ariani vennero licenziati dalla pubblica amministrazione; gli avvocati e i medici ebrei persero i clienti ariani; le ditte di proprietà ebraica furono liquidate o acquisite da non-ebrei a prezzi molto inferiori al valore reale; i ricavi ottenuti dal trasferimento delle imprese dagli ebrei ai nuovi proprietari (la cosiddetta "arianizzazione" dell'economia) furono assoggettati a speciali tassazioni; gli ebrei impiegati in ditte liquidate o arianizzate persero il lavoro.
LA NOTTE DEI CRISTALLI
Obiettivo dichiarato del regime nazista prima della seconda guerra mondiale era spingere gli ebrei all'emigrazione. Nella notte tra l'8 e il 9 novembre 1938 (la notte dei cristalli), come rappresaglia all'assassinio a Parigi di un diplomatico tedesco da parte di un giovane ebreo, in Germania furono incendiate tutte le sinagoghe e infrante le vetrine dei negozi di proprietà ebraica, mentre nei giorni successivi le SS arrestarono e deportarono migliaia di ebrei. Molti ebrei tedeschi e austriaci decisero di abbandonare il paese senza ulteriori indugi; centinaia di migliaia di persone trovarono rifugio all'estero, ma altrettante si videro costrette o scelsero di rimanere.
Nel 1938 anche il re d'Italia Vittorio Emanuele III ratificò leggi razziali antiebraiche, volute, sul modello di quelle tedesche, dal regime fascista di Mussolini. Ne conseguì un esodo, quantitativamente assai più modesto, di cittadini italiani di origine ebraica e di quanti, come il fisico Enrico Fermi, avevano un coniuge ebreo.
L'OCCUPAZIONE DELLA POLONIA
Allo scoppio della seconda guerra mondiale (settembre 1939) l'esercito tedesco occupò la Polonia occidentale, che contava tra gli abitanti due milioni di ebrei, i quali vennero sottoposti a restrizioni ancor più severe di quelle vigenti in Germania. Furono, infatti, costretti a trasferirsi in ghetti circondati da mura e filo spinato; ogni ghetto aveva il proprio consiglio ebraico cui era demandata la responsabilità degli alloggi (sovraffollati, con sei-sette persone per stanza), della sanità e della produzione. Quanto era prodotto al loro interno veniva scambiato con generi di prima necessità, come carbone e cibo in misura rigidamente razionata.
L'INVASIONE DELL'UNIONE SOVIETICA
Nel giugno del 1941, l'Ufficio centrale di sicurezza del Reich inviò, al seguito delle armate tedesche impegnate nell’invasione dell’Unione Sovietica, 3000 uomini organizzati in corpi speciali con il compito di individuare ed eliminare sul posto la popolazione ebraica dei territori occupati. La notizia dei massacri compiuti dagli Einsatzgruppen (squadre d'azione) si diffuse immediatamente nel mondo, ma fu rapidamente rimossa e non provocò alcuna iniziativa da parte dei governi democratici impegnati nel conflitto con la Germania.
LA "SOLUZIONE FINALE"
A un mese dall'inizio delle operazioni in Unione Sovietica, il numero due del Reich, Hermann Göring, inviò una direttiva al capo dei servizi di sicurezza, Reinhard Heydrich, incaricandolo di organizzare una "soluzione finale" della questione ebraica in tutta l'Europa occupata o controllata dalla Germania. Dal settembre 1941 gli ebrei tedeschi furono costretti a portare ben visibile, cucita sugli indumenti o su una fascia da tenere al braccio, una stella gialla; nei mesi seguenti decine di migliaia di ebrei furono deportate nei ghetti in Polonia e nelle città sovietiche occupate. Fu poi la volta delle deportazioni nei campi di concentramento (Lager), alcuni già esistenti (come Dachau), altri appositamente costruiti a partire dal 1941, soprattutto in Polonia, e adibiti alla funzione di campi di sterminio. Vi confluirono gli ebrei provenienti non solo dai ghetti vicini (300.000 dal solo ghetto di Varsavia), ma anche da tutti i paesi europei occupati dai nazisti. Bambini, vecchi e tutti gli inabili al lavoro venivano condotti direttamente nelle camere a gas; gli altri invece erano costretti a lavorare in officine private o interne ai campi e, una volta divenuti inadatti alla produzione per le terribili fatiche e privazioni subite, venivano eliminati.
La maggior parte delle deportazioni ebbe luogo tra l’estate e l’autunno del 1942, dopo che nel gennaio dello stesso anno erano stati precisati (nella conferenza di Wannsee, presso Berlino) i termini della soluzione finale. I casi di resistenza alle deportazioni furono rarissimi. Nell'aprile del 1943 gli ultimi 65.000 ebrei di Varsavia tentarono di opporsi alla polizia, entrata nel ghetto per la retata finale, ma vennero massacrati nel corso degli scontri, che si protrassero per tre settimane.
LE DEPORTAZIONI
Benché le deportazioni creassero problemi di ordine politico, amministrativo e logistico in tutta l’Europa, anche nei paesi governati da regimi collaborazionisti, come la Slovacchia e la Croazia, si procedette al rastrellamento degli ebrei da deportare nei campi di sterminio. Il governo collaborazionista francese di Vichy emanò direttive antisemite ancor prima che vi fosse una richiesta tedesca in tal senso. Una certa riluttanza a collaborare con i nazisti nella soluzione finale fu dimostrata dal governo ungherese e da quello rumeno, sino a quando godettero di un margine di autonomia (1944). La Bulgaria si rifiutò di consegnare i propri cittadini ebrei ai tedeschi. Nella Danimarca occupata, la popolazione si impegnò per mettere in salvo i compatrioti ebrei, imbarcandoli verso la neutrale Svezia e sottraendoli così alla morte.
In Italia il governo fascista, che pure aveva spontaneamente introdotto leggi "a difesa della razza", rifiutò di collaborare con l'alleato nazista fino al 1943, quando, dopo l’armistizio dell’8 settembre nell’Italia centrale e settentrionale occupata dai tedeschi si instaurò il governo della Repubblica sociale italiana. Molti ebrei italiani furono internati in centri di raccolta, come quello di Fòssoli, vicino Carpi, e poi avviati ai campi di sterminio: frequenti ma isolati furono gli episodi di resistenza civile o militare che ostacolarono l’attuazione delle direttive governative.
I beni dei deportati (conti bancari, proprietà immobiliari, mobili, oggetti personali) vennero sistematicamente confiscati dal governo tedesco.
I CAMPI DELLA MORTE
Il trasferimento nei campi di sterminio avveniva generalmente in treno. La polizia pagava alle ferrovie di stato un biglietto di sola andata di terza classe per ciascun deportato: se il carico superava le 1000 persone, veniva applicata una tariffa collettiva pari alla metà di quella normale. I treni, composti da vagoni merci sprovvisti di tutto, persino di prese d'aria, viaggiavano lentamente verso la destinazione e molti deportati morivano lungo il tragitto. Le destinazioni più tristemente famose, fra le tante, furono Buchenwald, Dachau, Bergen-Belsen, Flossenburg (in Germania), Mauthausen (in Austria), Treblinka, Birkenau, Auschwitz (in Polonia). Quest'ultimo era il più grande tra i campi di sterminio; vi trovarono la morte oltre un milione di ebrei, molti dei quali furono prima usati come cavie umane in esperimenti di ogni tipo. Per una rapida eliminazione dei cadaveri, nel campo vennero costruiti grandi forni crematori. Nel 1944 il campo fu fotografato da aerei da ricognizione alleati a caccia di obiettivi industriali; i successivi bombardamenti eliminarono le officine, ma non le camere a gas.
EFFETTI DELLA SHOAH
Al termine della guerra, si poté calcolare che nei campi di sterminio avevano trovato la morte più di sei milioni di ebrei, oltre a slavi, zingari, omosessuali, testimoni di Geova e comunisti. Nel dopoguerra il ricordo della Shoah ebbe un peso essenziale nella formazione di un ampio consenso, attorno al progetto di costituire in Palestina uno stato ebraico che potesse accogliere i sopravvissuti alla tragedia: il futuro stato di Israele.
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Esempio