Il franchising

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CAPITOLO PRIMO
ORIGINE E DEFINIZIONE DEL FRANCHISING




1.1 LE ORIGINI DEL TERMINE
L’origine del termine "franchising" è da far risalire alla parola francese "franchise" (franchigia), che nel Medio Evo indicava la concessione di un privilegio concesso dal Re o dal Signore, con il quale si rendevano autonomi sia gli Stati sia i cittadini.
Anche oggi la parola franchigia indica una situazione d’esonero da tasse o da tributi oppure di libertà commerciale.
La parola "franchising" che deriva dal verbo inglese "to franchisie" attualmente non ha il significato originario e sta ad indicare un contratto per mezzo del quale un imprenditore, detto "franchisor", concede ad un altro imprenditore, denominato "franchisee", il diritto di esercitare un’attività di prestazione di servizi, produzione di beni o rivendita di prodotti, utilizzando il marchio e l’insegna del frachisor stesso.
Il problema principale che si incontra nello studio del franchising relativamente all’Italia è quello della ricerca delle fonti normative alle quali far riferimento, per inquadrare in maniera corretta il fenomeno.
Questa difficoltà cresce, se si pensa che una delle peculiarità che determinano il successo della formula sta proprio nella sua "flessibilità" capace di comprendere vari aspetti e momenti che riguardano i problemi distributivi, così dibattuti e attuali in questo periodo.
Prima di addentrarci nell’analisi è però opportuno tracciare alcune coordinate storiche, che possono servire per seguire una linea coerente per lo sviluppo della trattazione.
Bisogna chiarire subito che il tentativo di dare una definizione chiara ed esaustiva di quella che propriamente si configura come una strategia distributiva, non è estremamente semplice, proprio a causa della sua formula flessibile e dinamica.
In Italia è prassi usare il termine di "affiliazione" per definire il franchising e, di conseguenza, "affiliante" ed "affiliato" possono essere utilizzati rispettivamente per indicare il franchisor ed il franchisee.
1.1.1 IL FRANCHISING NEGLI STATI UNITI
L’origine del franchising come tecnica distributiva può essere fatta risalire agli anni ‘30 negli Stati uniti allorché l’industria automobilistica dovette affrontare la legislazione anti-trust appena imposta, che proibiva un’integrazione verticale.
Grandi compagnie come la General Motors, la Singer ed altre cercarono di sfruttare questa tecnica che permetteva loro di coprire grandi aree commerciali ancora libere a costi relativamente bassi, in maniera più rapida ed efficace, contrastando inoltre il dilagare delle grandi imprese a succursali.
Successivamente questo sistema si estese ad altri settori per commercializzare altri prodotti (tessili, articoli per la casa, ecc.) e servizi (autonoleggio, lavaggio rapido, alberghi, consulenze amministrativo-fiscali, ecc.).
Lo sviluppo vero e proprio del franchising si è però avuto dopo la seconda guerra mondiale, tanto da poter parlare di un vero e proprio "franchise boom".
Si può dire, analizzando i dati riferiti al franchising, che esso ha giocato e gioca tuttora negli Stati Uniti un ruolo molto importante nell’economia.
Secondo i dati ricavati dall’indagine annuale condotta dal Dipartimento del Commercio degli USA si evidenzia un costante aumento del numero dei franchisor e dei franchisee negli anni dal 1972 al 1991; nel 1991, il valore delle vendite dei franchisee aveva raggiunto la cifra di oltre 232 miliardi di dollari, con un numero di punti vendita di 408.000 unità.
Negli anni recenti si è assistito all’esportazione, da parte dei franchisor americani, dei loro sistemi soprattutto verso il Canada, l’Europa e l’Australia. Nel 1988, 354 franchisor americani operavano nei mercati mondiali attraverso 31.626 franchisees.

1.1.2 ORIGINI DEL FRANCHISING IN ITALIA
Vediamo ora di accennare alle origini che il franchising ha avuto nel nostro paese.La data di nascita, se così si può definire è quella del 18 settembre 1970, quando un’azienda della grande distribuzione, la Gamma d.i., poi assorbita dalla Standa, inaugura a Fiorenzuola il primo di 55 punti vendita gestiti direttamente da una decina d’affiliati.
La Gamma d.i. offriva ai propri affiliati una serie di servizi: sopralluogo da parte dei propri funzionari; progettazione ed assistenza tecnica per l’allestimento del magazzino, istruzioni per il personale direttivo e per quello di vendita, allestimento commerciale dell’unità di vendita, assistenza per il lancio di apertura e l’inaugurazione dell’unità.
Per contro al potenziale affiliato si richiedeva una superficie di vendita di almeno 350 mq, di una licenza di magazzino a Prezzo Unico e di un capitale di 25/30 milioni.
Nella descrizione delle sue caratteristiche principali rimane il dubbio che questo tipo di contratto potrebbe rientrare nelle definizioni moderne di franchising, dove si parla di "immagine di marca" di "know-how"e di formule commerciali che sono già state sperimentate, però è certamente qualcosa di nuovo nello scenario della distribuzione in Italia.
La prima differenza che si può notare, almeno all’origine del fenomeno, tra gli Stati Uniti e l’Italia è che nel nostro paese furono le imprese della grande distribuzione a tentare lo sviluppo di questa nuova formula, mentre oltreoceano furono le grandi imprese industriali ad utilizzarlo.
Questo fenomeno può essere spiegato con i problemi relativi ad un’eccessiva "polverizzazione" dell’apparato distributivo al dettaglio che ha storicamente favorito l’industria e le imprese industriali.
L’anomalia in Italia ha ostacolato lo sviluppo delle tipologie commerciale di grande dimensione e anche alle varie forme di commercio a base succursalistica e anche a base associativa.Attualmente, in mancanza di una legislazione chiara in materia, si sta rischiando una troppo brusca inversione di tendenza a favore della grande distribuzione.
Nella fase attuale di sviluppo del franchising si scopre che esso è utilizzato soprattutto da imprese industriali e dei servizi; inoltre nel nostro paese sono sempre un maggior numero di aziende di piccole e medie dimensioni che si interessano a questa tecnica e che si affacciano nel mercato con nuovi sistemi di franchising.
Il settore della moda è particolarmente attivo su questo fronte, infatti, sono sempre più numerose le aziende Italiane che utilizzano questo strumento strategico per la conquista di nuovi mercati all’estero.


CAPITOLO SECONDO
NOZIONE GIURIDICA DEL FRANCHISING





2.1 RICERCA DELLE FONTI
Per configurare in maniera corretta, sul piano giuridico, la tecnica di espansione imprenditoriale denominata con il termine franchising, si dovrebbe ricorrere alla ricerca di fonti di origine legislativa o, talvolta, di origine giurisprudenziale.
Parallelamente all’affermarsi del franchising, in Europa e in Italia, non ha fatto riscontro un recepimento, sul piano della legislazione positiva, della formulazione negoziale in cui i rapporti di franchising devono necessariamente tradursi. E’ da rilevare che neppure negli USA è dato rinvenire una definizione destinata a valere in termini generali, nonostante l’alluvionale produzione legislativa, federale e statale. Si è proceduto in due direzioni: da un lato sono state prodotte varie discipline settoriali (franchising nel settore automobilistico, nel settore dei prodotti petroliferi, ecc..), dall’altro a regolare particolari aspetti del rapporto (obblighi preventivi di disclosure, condizioni per la cessazione od il rinnovo, disciplina degli investimenti).1
Comunque, la carenza normativa riscontrabile in quasi tutti i paesi Europei (fanno eccezione la Francia con l’emanazione della l. 31 dicembre 1989, n.89-1008, denominata "Loi Doubin" e la Spagna con la legge n.7/1996, che introduce due importanti previsioni di diritto positivo: la previsione di un registro degli operatori in franchising, obblighi di disclosure a carico del franchisor analogo in parte a quello previsto in Francia), compreso il nostro, ha consentito al franchising di espandersi grazie proprio alla maggiore duttilità negoziale derivante dalla inesistenza di schemi di contratto rigidamente predeterminati da legislazioni positive nazionali.
Per contro esistono più elevati margini di incertezza in relazione alle formulazioni negoziali che possono condurre al pericolo di far insorgere elementi di conflittualità tra le parti, specie in presenza di una crescente serie di casi di degenerazioni che tendono ad attribuire l’etichetta di franchising anche a forme di accordo, in alcuni casi addirittura truffaldine, che poco hanno da condividere con il vero franchising.
Da qui la necessità di una redazione contrattuale che sia al tempo stesso dettagliata e rigorosa sotto il profilo della individuazione delle obbligazioni delle parti.2


2. DEFINIZIONE GIURIDICA DEL CONTRATTO DI FRANCHISING OPERATA A LIVELLO COMUNITARIO. REG.4087/88.
La continua espansione degli accordi di franchising in Europa e il moltiplicarsi degli accordi e delle esperienze contrattuali ha progressivamente attenuato i margini di incertezza giuridica ed ha portato ad individuare schemi negoziali e clausole ricorrenti sul piano della prassi operativa, per raggiungere livelli di "sicurezza" contrattuale ed evitare l’insorgere di situazioni di conflitto tra affiliante e affiliati.
E’ possibile ritenere che anche in Europa il rapporto di franchising sia ormai pervenuto ad un livello di "tipicizzazione", anche in assenza di interventi specifici dei legislatori nazionali. Ciò’ è dovuto all’utilizzo di schemi negoziali già ben rodati sul piano giuridico, maturati dall’esperienza normativa e giurisprudenziale statunitense. Inoltre, la creazione di Associazioni Europee e Nazionali, di imprenditori interessati ad applicare la tecnica del franchising, ha permesso l’elaborazione di "codici deontologici", di regolamenti Associativi, (come in Italia quello dell’Assofranchising), che hanno avuto un notevole effetto sull’adozione degli schemi negoziali applicati in concreto dagli associati e in via indiretta su quelli non associati.
Infatti, le previsioni di tali regolamenti possono assurgere a criterio interpretativo per qualsiasi giudice civile o penale, di che cosa sia il franchising e di che cosa sia la "buona fede", che il nostro codice civile richiede sia nella fase delle trattative iniziali, che nell’esecuzione ed interpretazione del contratto.
Infine la legislazione comunitaria si è interessata ai rapporti di franchising, sia pure sotto il profilo degli accordi tra imprese restrittivi della concorrenza, previsti dall’art.85 del trattato CE, con conseguenti interventi dei competenti uffici della Commissione Europea dopo la prima sentenza della Corte di Giustizia Europea (28 gennaio 1986, causa 161/84, pronuptia de Paris), in materia di franchising, resa nel caso Pronuptia, attraverso cinque decisioni della Commissione Europea d’autorizzazione di reti di accordi di franchising (Pronuntia, Rocher, Computerland, Service Master e Cherles Jourdan) e l’elaborazione di un regolamento comunitario di esenzione di categoria (reg.4087/88) degli accordi di franchising dai menzionati divieti contenuti sempre nell’art.85 del trattato CE.
Occorre dunque precisare che gli interventi comunitari non riguardano direttamente la disciplina del contratto di franchising nella sua generalità ma tendono ad esaminare tali accordi sotto il profilo della loro compatibilità con la normativa comunitaria di concorrenza e con la possibilità di esenzione di alcune clausole contrattuali che pur essendo pregiudizievoli della concorrenza, siano giustificabili, in virtù del 3° comma dello stesso art. 85, per i vantaggi recati al mercato nel suo insieme e, in particolare, ai consumatori. Un’altra carenza degli interventi comunitari è data dalla prevalente attenzione nei confronti del c.d. franchising di distribuzione, mettendo in secondo piano l’analisi nei confronti del franchising di servizi e di quello di produzione. Queste carenze non dovrebbero inficiare la validità dei contributi comunitari alla "tipicizzazione" di fatto dei rapporti contrattuali di franchising.3
Gli elementi degli interventi comunitari possono essere raggruppati in due nuclei che sono peraltro strettamente connessi:
1. Il primo nucleo di contributi è rappresentato dagli apporti aventi carattere definitori del contratto di franchising e che sono ricavabili dagli interventi di soggetti facenti parte delle istituzioni comunitarie e precisamente:
a. l’intervento degli uffici della Commissione Europea nella redazione del codice Europeo di deontologia del franchising che contiene nella premessa una sintesi degli elementi caratterizzanti ed aventi anche rilevanza sul piano giuridico;
b. l’analisi svolta dalla Commissione Europea in occasione del caso Pronuptia pendente davanti alla corte di giustizia Europea risoltosi con la sentenza della Corte del 28 gennaio 1986;
c. le conclusioni dell’Avv. Generale della Corte di Giustizia Europea, Pieter Verloren Van Themaat, sempre sul caso Pronuptia;
d. la sentenza della Corte di Giustizia Europea nel caso Pronuptia che contiene una definizione di franchising che appare accettabile come definizione giuridica di validità generale: "Nell’ambito di un siffatto sistema di franchising in materia di distribuzione, l’impresa che si sia stabilita su di un mercato come distributore e che abbia così potuto mettere a punto un insieme di metodi commerciali concede, dietro corrispettivo, a dei commercianti indipendenti, la possibilità di stabilirsi su altri mercati usando la sua insegna ed i metodi commerciali che le hanno garantito il successo. Più che di un metodo di distribuzione si tratta, per l’impresa, di un modo di sfruttare economicamente, senza investire propri capitali, un patrimonio di cognizioni. D’altro canto, detto sistema consente ai commercianti sprovvisti dell’esperienza necessaria di avvalersi di metodi che essi avrebbero potuto acquisire solo dopo una lunga e laboriosa ricerca e di giovarsi della reputazione del segno distintivo del concedente";
e. i contenuti definitori del franchising delle Decisioni della Commissione Europea autorizzativi delle reti di franchising Pronuptia, Rocher, Computerland, MasterService e Charles Jourdan;

f. l’art. 1, comma due, lettere a) e b) del Regolamento CEE della Commissione n. 4087/88 del 30 novembre 1988, concernente l’applicazione dell’art.85, 3° paragrafo del Trattato CE a categorie di accordi di franchising che definisce sia il franchising in sé considerato come "un insieme di diritti di proprietà industriale o intellettuale relativi a marchi, denominazioni commerciali, insegne, modelli di utilità, disegni, diritti d’autore, know-how o brevetti da utilizzare per la rivendita di beni o per la prestazione di servizi ad utilizzatori finali" e sia l’accordo di franchising definito come " un accordo con il quale un’impresa, l’affiliante, concede ad un’altra, l’affiliato, dietro corrispettivo finanziario diretto o indiretto, il diritto di sfruttare un franchising allo scopo di commercializzare determinati beni e/o servizi; esso comprende almeno gli obblighi connessi: 4
• all’uso di una denominazione o di un’insegna commerciale comune e di una presentazione uniforme della sede e/o dei mezzi di trasporto oggetto del contratto,
• alla comunicazione da parte dell’affiliante all’affiliato di un know-how,
• alla presentazione permanente, da parte dell’affiliante all’affiliato, di un’assistenza in campo commerciale o tecnico per la durata dell’accordo".
2. Il secondo nucleo di apporti comunitari in materia di rapporto di franchising riguarda invece l’individuazione delle clausole che caratterizzano in modo significativo il contenuto negoziale di maggior rilievo del contratto e che sono ricavabili sempre dai contenuti del Regolamento CEE n. 4087/88.
L’importanza di questa analisi dei contenuti contrattuali, oltre alle considerazioni di carattere economico che ne giustificano la legittimità sotto il profilo della concorrenza, forniscono un contributo considerevole anche in chiave di disciplina sostanziale del rapporto per l’individuazione della causa negoziale del franchising, in rapporto con i singoli ordinamenti giuridici nazionali cui sono sottoposte le singole reti di accordi.

2. IL CONTRATTO DI FRANCHISING NELL’ORDINAMENTO GIURIDICO ITALIANO
CAPITOLO TERZO
IL CONTRATTO DI FRANCHISING





3.1 PECULIARITA’ DEL CONTRATTO
La natura multiforme dei rapporti di franchising, che deriva dalle varie forme che può assumere il vantaggio di mercato, che l’affiliante intende trasferire all’affiliato, richiede la ricerca di una formula contrattuale specifica che deve essere in grado di "fotografare" tutti gli elementi di successo che esistono a monte della scelta strategica di operare in franchising e delle modalità tecniche con cui questa scelta si concretizza traducendosi in conferimenti e impegni operativi di entrambi i contraenti che si tradurranno in vantaggio per l’intera rete.1
Per questo motivo il contratto rappresenta una garanzia della validità dell’iniziativa e della correttezza comportamentale dell’affiliante e degli impegni che si assume l’affiliato che si devono tradurre in previsioni generali e clausole negoziali specifiche per ciascun accordo e che si riferisce ad un insieme di impegni particolari.
Di conseguenza è impensabile tentare di predisporre un contratto "tipo" di franchising, che vada bene per tutti i rapporti, anche se si provasse a renderlo il più minuzioso possibile, in quanto quello che può essere utile per un rapporto potrebbe non esserlo per un altro.
Nel caso Italiano, come nella stragrande maggioranza dei paesi Europei, il legislatore non ha predisposto un contenuto minimo del contratto, per questo motivo i codici di autodisciplina predisposti dagli operatori del settore (in Italia l’Assofranchising) tendono a consigliarne uno.
Il codice deontologico Europeo delinea i principi ai quali deve ispirarsi la redazione di un contratto di franchising; il codice stabilisce poi che il contenuto minimo essenziale del contratto è il seguente:
• diritti conferiti al franchisee;
• beni e/o servizi da fornire al franchisee;
• obbligazioni del franchisor;
• obbligazioni del franchisee;
• durata del contratto e condizioni per il rinnovo;
• condizioni alle quali il franchisee può cedere o trasferire l’attività in franchising;
• disposizioni importanti circa l’uso dei segni distintivi del franchisor;
• disposizioni relative allo scioglimento del contratto.2
Nel regolamento Assofranchising nell’art.5 è previsto l’obbligo da parte dell’affiliante di consegnare all’affiliato, oltre che una cospicua documentazione (copia del suo bilancio degli ultimi tre anni, lista degli affiliati che operano all’interno della rete, un’ipotesi di rendiconto economico dell’affiliato, …ecc..), anche la copia del contratto almeno 15 giorni prima della firma.
Naturalmente, trattandosi di norme deontologiche, non vincolano legalmente i contraenti, ma in ogni caso possono essere utilizzate come parametro comportamentale di correttezza e buona fede. Se l’affiliato ha una conoscenza preventiva del contratto può valutare al meglio la validità della proposta, senza correre il rischio che eventuali carenze di natura giuridico-contrattuale servano ad occultare abilmente le deficienze dell’iniziativa.
Al contrario, anche un contratto, pensato e realizzato nei minimi particolari non è garanzia di successo o di assenza di rischi.
Occorre tenere conto del fatto che non è pensabile mettere "tutto" in un testo contrattuale, soprattutto se si considerano la complessità dei rapporti che si vengono ad instaurare tra le parti. A questo proposito esiste il "Manuale operativo" che integra il contratto e che ad esso deve essere strettamente legato e connesso e che può essere anche modificabile dall’affiliante, per venire incontro alle esigenze della rete, sempre nei limiti della previsione contrattuale.
In questo modo, accanto ad un elemento che può garantire un certo margine di flessibilità operativa, indispensabile nel franchising, abbiamo pur sempre nel contratto quegli elementi sostanziali dei rapporti economici tra affiliante e affiliati, la cui mancanza darebbe luogo a nullità dello stesso art. 1418 C.C.3
Infine, in riferimento alla forma del contratto, nell’art.6 del Regolamento dell’Assofranchising viene indicato che "il contratto dovrà essere redatto per iscritto, in modo chiaro ed esauriente".

3.2 CONTENUTI BASILARI DI UN CONTRATTO DI FRANCHISING
Il fatto che il franchising non sia un contratto tipico, non vuol dire che le parti abbiano assoluta libertà nell’ambito della regolazione dei rispettivi obblighi, ma esse devono rispettare tutte le norme generali relative alle obbligazioni e in particolare per i contratti, l’esistenza dei requisiti previsti dall’art.1325 C.C. che concernono la presenza e la rappresentazione nel testo del contratto di taluni elementi essenziali quali "l’accordo delle parti", "la causa" e "l’oggetto".
Le norme del codice civile che si riferiscono all’accordo delle parti (artt.1326-1342 C.C.) hanno rilievo sia per quanto riguarda la corretta formazione del contratto, sia in riferimento al comportamento dei contraenti nella fase di formazione del rapporto e che possono dar luogo all’insorgere di eventuali responsabilità pre-contrattuali.
Hanno rilievo, per il franchising, la norma contenuta nell’art.1339 C.C. riguardante l’inserimento automatico di clausole imposte dalla legge, oppure quella riguardante le clausole d’uso, art.1340 C.C., che potrebbero riferirsi alle zone di protezione territoriale, oppure le c.d. "clausole vessatorie" previste dagli artt.1341 e 1342 C.C. sulle condizioni generali di contratto e sui contratti conclusi sulla base di moduli o formulari già pronti, che richiedono la doppia sottoscrizione del contraente "debole" e che necessitano di molta attenzione e riflessione nei contratti di franchising.
La "causa" può essere definita come la funzione economica-sociale del contratto stesso, nel caso del franchising deve rinvenirsi nel reciproco vantaggio che hanno i due imprenditori; l’affiliante a concedere la propria posizione di vantaggio sul mercato (immagine, konw-how), e l’affiliato di riceverla per migliorare il proprio livello di competitività imprenditoriale contro il pagamento di royalties periodiche e di limitazioni operative che risultano necessarie per mantenere costante l’uniformità e l’efficienza complessiva della rete. In mancanza di queste reciproche posizioni di vantaggio o di un’equa ripartizione delle stesse, peraltro sempre di difficile valutazione nei casi pratici, si parlerà di causa inesistente o illecita e provocherà dichiarazione di nullità ex art.1418 C.C.
L’oggetto, che secondo l’art.1346 C.C. deve essere "possibile", "lecito", "determinato" o "determinabile", riveste una particolare importanza nell’ambito del franchising, poiché, a causa del diverso combinarsi di prestazioni dei contraenti, esso è di difficile identificazione.
Per non ricadere nel caso di non "realità" dell’oggetto del contratto è necessario che esista la concessione a titolo oneroso di proprie prestazioni attive da parte dell’affiliante, in altri termini "un fascio di rapporti ed il trasferimento di un fascio di diritti", finalizzata alla prestazione dell’attività in franchising.
La descrizione dell’oggetto, in un contratto atipico come il franchising, non può limitarsi ad una formula generica o tautologica, ma deve identificare un complesso di beni (franchising di distribuzione) o dei servizi da prestare (franchising di servizi), in maniera dettagliata. Questa specificazione servirà a qualificare esattamente le prestazioni dell’affiliante, in riferimento al vantaggio di mercato che esso trasmette, e di conseguenza delimitare l’ambito essenziale della prestazione in franchising dell’affiliato, in modo da far scattare i connessi obblighi di non concorrenza o di approvvigionamento esclusivo. Questo non significa che nel contratto debbano essere elencati tutti i beni o tutti i servizi che l’affiliato deve prestare, in quanto tali elementi potranno avere più ampia specificazione nel " Manuale operativo" predisposto dall’affiliante.3
A questo proposito, facendo riferimento all’art. 3 del Regolamento Assofranchising si legge che " l’Affiliante dovrà essere titolare di un diritto valido ed incontestato, all’uso esclusivo dei marchi commerciali nell’ambito della rete di franchising. Tali marchi dovranno essere regolarmente registrati, o comunque depositati in conformità alla normativa vigente. Nel contratto di Franchising dovranno essere specificatamente indicati gli estremi della registrazione e del deposito dei marchi.."4
Assumono particolare importanza le disposizioni civilistiche che riguardano l’interpretazione del contratto secondo buona fede, ex art. 1366 C.C.; oltre all’interpretazione coordinata delle vari clausole in cui si concretizza il contratto, ex art 1363, che assume rilievo nel franchising, perché esiste una notevole eterogeneità delle clausole potenzialmente inseribili con la conseguente difficoltà di risalire all’effettiva volontà delle parti.
Infine si deve menzionare anche l’art.1370 C.C., per quanto riguarda l’interpretazione contro il proponente delle clausole nel caso di incertezza interpretativa.
A completare le norme sulla carenza o l’illiceità dell’oggetto e della causa sono le disposizioni sulla nullità del contratto (art. 1418-1424 C.C.) e quelle in tema di annullabilità del contratto in relazione ai c.d. "vizi di volontà" cioè a dire per "errore", "violenza" o "dolo" (artt.1427-1440).
Nell’ambito del contratto di franchising, l’errore e il dolo possono concernere molteplici aspetti e, in particolare, sull’entità della prestazione, sul volume dei ricavi ipotizzato dall’affiliante etc., tenendo presente che l’errore deve riferirsi ad un elemento essenziale del contratto e deve essere riconoscibile dall’altra parte e viceversa il dolo è proprio del comportamento di una delle parti e assume rilevanza ai fini dell’annullabilità solo se l’altra parte riesce a dimostrare che senza quegli elementi di raggiro, non avrebbe sottoscritto il contratto.
Occorre considerare, in conclusione, le disposizioni che riguardano il recesso unilaterale (art.1373 C.C.) e le altre disposizioni sulla risoluzione (artt.1453-1469) in base alle quali è necessario individuare anche nel contratto di franchising le clausole risolutive espresse; esse assumono importanza per l’affiliante, perché taluni comportamenti che in generale non rappresentano un inadempimento grave, in relazione alla disciplina generale, possono costituire per l’affiliante un danno grave.5

3.3 IL CONTRATTO PRELIMINARE DI FRANCHISING
CAPITOLO QUARTO
IL CONTROLLO DEL FRANCHISING






4.1 PREMESSA
Il franchising ha ormai raggiunto anche in Italia, uno sviluppo sostenuto, seppure non ancora paragonabile ad altri paesi europei. Questo fatto impone la necessità della ricerca, da parte del nostro ordinamento giuridico, di una disciplina applicabile, con lo scopo di tutelare gli interessi interni delle parti che sono direttamente coinvolte e per la tutela di interessi generali ed indisponibili, affinché il fenomeno cessi di essere un fatto privato ed assuma una valenza che travalichi la sfera privata.

4.2 TUTELA DEI DIRITTI DELLE PARTI
In assenza di un’integrale e diretta regolamentazione normativa, in considerazione del fatto che il fenomeno Franchising ha raggiunto un livello di sviluppo notevole, è necessario, per evitare problemi giuridici, arrivare ad una corretta individuazione dei diritti delle parti al di là del contratto stesso, anche per la tutela di interessi generali ed indisponibili, in particolare di quelli dei consumatori.
Occorre ribadire che nella regolamentazione del contratto "atipico" di franchising, bisogna considerare oltre alle disposizioni concrete che riguardano i contratti sottoscritti tra le parti, anche tutte le previsioni legislative che interessano i contratti in generale (Titoli I e II del IV libro del C.C.), e le norme che pur riferendosi ai contratti "tipici", presentano effetti anche nei confronti dei rapporti di Franchising, come ad esempio le norme dettate in materia di concorrenza.
Nel momento genetico del rapporto, occorre considerare l’effettiva consistenza ed esplicitazione di quegli elementi che costituiscono la base del successo commerciale dell’affiliante, (marchi, know-how…), e che costituiscono il vero oggetto del Franchising, per evitare i casi della "vendita di fumo". La valutazione corretta di questi elementi, consente di giustificare le restrizioni operative (patti di non concorrenza) ed inoltre l’esecuzione degli accordi secondo buona fede.
E’ importante sottolineare che il complesso di clausole che caratterizzano la fattispecie negoziale del franchising, devono stabilire un equilibrio delle prestazioni reciproche tra affiliante e affiliato che rappresenta, al tempo stesso, il successo della formula ed un’equa ripartizione dei vantaggi tra le parti.1

4.3 GLI OBBLIGHI DI NON CONCORRENZA
Le clausole riguardanti i patti di non concorrenza, possono essere giustificate guardando al complesso del rapporto tra affiliante e affiliato, in relazione al vantaggio bilaterale delle parti, tenendo conto degli interessi dei consumatori e facendo riferimento alla normativa antitrust.
La clausola che assegna a ciascun affiliato una propria zona di esclusiva, nella quale esso non abbia a temere la concorrenza di altri affiliati, rappresenta sicuramente la garanzia per procedere agli investimenti necessari per la realizzazione dell’impresa godendo di un mercato protetto dalla concorrenza diretta dell’affiliante e degli altri affiliati.
Esistono delle clausole negoziali che disciplinano il comportamento delle parti dopo la conclusione del rapporto, attraverso obblighi di non concorrenza e di cessazione dell’uso di elementi del "conferimento" dell’affiliante coperti da diritti di proprietà immateriale e che, una volta venuto meno il rapporto di franchising, non possono essere utilizzati dall'affiliato. I problemi sorgono invece per il Know-how, per il quale non esiste un diritto di privativa chiaro e tutelabile e di conseguenza esso potrebbe essere utilizzato dall’ex-affiliato.
Esistono delle clausole di non-concorrenza post contrattuali che possono apparire addirittura in contrasto con l’art.41 della Costituzione, come ad esempio le clausole che si estendono all’attività merceologica svolta dall’affiliato antecedentemente al rapporto di franchising e che lo costringerebbe, per rimanere sul mercato, a riconvertire la propria attività originaria.
Un’altra clausola altrettanto dibattuta riguarda la legittimità di far valere le limitazioni alla concorrenza oltre i limiti territoriali della zona di esclusiva assegnata in contratto, e che impedisce all’affiliato di svolgere l’attività oggetto del franchising, tanto nella zona di propria competenza che in quelle di pertinenza di altri affiliati. La validità di tali clausole è stata affermata sia dalla Corte di Giustizia Europea, con la sentenza del 28 gennaio 1986, nel caso Pronuptia, che dalla Commissione Europea. Anche il Regolamento 4087/88 all’art.3, lett. c stabilisce un obbligo di non concorrenza post-contratto per l’affiliato "per un periodo di tempo ragionevole, non superiore ad un anno, nel territorio in cui ha sfruttato il franchising". Tuttavia la questione dell’extraterritorialità dei divieti è ancora aperta, e le tesi che propendono per questa soluzione fanno riferimento all’esigenza della "rete" di conservare nei confronti della generalità dei concorrenti quel margine di vantaggio di mercato che costituisce l’aspetto centrale del franchising.2
In conclusione è da ritenere che l’esistenza di una sfera di esclusiva a favore dell’affiliato è uno degli elementi caratteristici del rapporto di franchising e l’assenza di menzione di queste clausole nel contratto, deve avere un’esplicita previsione e deve essere giustificata, nei casi concreti, dall’equilibrio di vantaggi tra affilianti e affiliati. In assenza di una chiaro riferimento legislativo, rimandando alle varie decisioni giurisprudenziali, si riporta in proposito la previsione dell’Art.9 del Regolamento Assofranchising: "Nel contratto di franchising dovrà essere indicata esattamente la portata dell’esclusiva, concessa dall’Affiliante all’Affiliato. L’esistenza di un’esclusiva, il cui ambito territoriale deve essere precisato dalle parti, è ritenuta essenziale per un chiaro, corretto e proficuo svolgimento del rapporto, a meno che non esistano obiettive e specifiche ragioni ostative alla concessione della stessa".3

4.4 OBBLIGHI DI APPROVIGIONAMENTO ESCLUSIVO



CAPITOLO QUINTO
FRANCHISING : DISCIPLINA EUROPEA E ITALIANA A TUTELA DELLA CONCORRENZA




5.1 EFFETTI DELLA NORMATIVA COMUNITARIA A TUTELA
DELLA CONCORRENZA
Anche negli USA, la patria del Franchising, la conformità delle clausole contrattuali con la disciplina antitrust, ha dato luogo a grandi dibattiti giudiziari e dottrinali. In Europa, la commissione CEE, che fino al 1986 non aveva ancora preso nessuna decisione individuale per l’applicazione delle regole di concorrenza in riferimento al Franchising, nel rispondere a diverse domande scritte, aveva espresso l’avviso secondo il quale, eventuali restrizioni alla concorrenza non devono essere regolate tenendo conto del nome che si da al contratto, ma piuttosto alla sua natura.
Si può affermare che i contratti di Franchising non sfuggono, come tali, alle norme antitrust, ma anche che non sono soggetti, per se stessi, all’art.85 del Trattato, in quanto la nozione generalmente accettata di Franchising, può abbracciare situazioni molto diverse tra loro.
Il problema che si pone, dal punto di vista della concorrenza, è di sapere se l’integrazione tra Franchisor e Franchisee, è spinta fino al punto di dar luogo ad una unità dal punto di vista economico, oppure se siamo sempre in presenza di imprese completamente autonome anche sul piano economico.1
Gli accordi di franchising possono costituire delle fattispecie negoziali che possono contenere delle clausole restrittive della concorrenza, sia a livello della normativa Nazionale che di quella Comunitaria. Le norme antitrust, dettate a livello comunitario, si riferiscono ai già menzionati artt.85 e 86 del trattato CE, i relativi regolamenti applicativi (Reg.4087/88) e le varie sentenze della Corte di Giustizia Europea su quest’argomento. Per quanto riguarda il nostro ordinamento, oltre alle disposizioni Comunitarie già viste, occorre riferirsi alla disciplina prevista dalla l.n.287/90.
Occorre prima di tutto fare riferimento ai limiti e alle condizioni d’applicazione della normativa Comunitaria, che è stata dettata per tutelare "il commercio negli Stati membri". Questo non significa che eventuali restrizioni alla concorrenza, che si verificano in uno Stato, non possano avere degli effetti negativi e rilevanti anche negli altri Stati e, di conseguenza, imporre l’applicazione delle regole comunitarie anche in questi ultimi. La Corte di Giustizia è intervenuta varie volte per accordi intercorrenti tra imprese aventi sede nello stesso Stato membro. 2
Dopo aver visto l’ambito d’applicazione territoriale della normativa sulla concorrenza, occorre vedere come le disposizioni degli artt. 85 e 86 del trattato, possano avere rilevanza per gli accordi di franchising. L’art. 85 vieta "tutti gli accordi tra imprese, le decisioni di associazioni d’impresa e le pratiche concordate", mentre l’art.86 vieta "lo sfruttamento abusivo da parte di una o più imprese di una posizione dominante". Per ricadere nell’ambito dei divieti contenuti nell’art.85, le intese devono avere "per oggetto e per effetto di impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza all’interno del "Mercato comune" ed inoltre devono poste in essere esclusivamente tra imprese (e questo è il caso del franchising).
Il significato di "impedire", "restringere" e "falsare", è indicato semplificatamente con riferimento a:
a. fissare direttamente o indirettamente i prezzi d’acquisto o di vendita ovvero altre condizioni di transazione;
b. limitare o controllare la produzione, gli sbocchi, lo sviluppo tecnico o gli investimenti;
c. ripartire i mercati o le fonti di approvvigionamento;
d. applicare, nei rapporti commerciali con gli altri contraenti, condizioni dissimili per prestazioni equivalenti, così da determinare per questi ultimi uno svantaggio nella concorrenza.1
Per quanto riguarda l’art.86, per parlare di sfruttamento abusivo di posizione dominante si deve fare riferimento, secondo la giurisprudenza e la dottrina comunitarie, ad un determinato ambito, inteso in senso geografico e merceologico, il c.d. revelant market.
Continuando nell’esame dell’art. 85, esso prevede al terzo comma che le intese vietate ai sensi delle disposizioni precedenti, possano essere esentate dai divieti, con un’autorizzazione che le dichiari inapplicabili nel caso in cui rispettino determinate condizioni, tra cui l’esistenza, per effetto dell’intesa, di miglioramenti della produzione, o dei sistemi distributivi, ovvero la promozione del progresso tecnico ed economico, senza per questo creare delle restrizioni che non siano indispensabili al conseguimento degli effetti positivi.
Proprio questo è avvenuto con l’emanazione del Regolamento 30 novembre 1988, n.4087/88 che riguarda gli accordi di franchising e che prevede un’esenzione collettiva di questi accordi, aventi particolari caratteristiche, che non fa scattare la normativa antitrust comunitaria.
C’è stato indubbiamente un favore, prima sociologico, ma poi economico e legislativo, che ha favorito il franchising, rispetto agli altri contratti di distribuzione, e questo trovava la sua fonte nel fatto che questa nuova tecnica era ideale per i piccoli dettaglianti, la cui unica soluzione era di chiudere bottega di fronte all’invadenza dei grandi gruppi, e di conseguenza, un’eccessiva rigidità nell’applicazione delle norme restrittive della concorrenza poteva compromettere lo sviluppo futuro di questa iniziativa.
Prima della Regolamentazione avvenuta con l’approvazione del Reg.4087/88, c’era stato il tentativo di applicazione analogica al franchising delle norme dettate per l’esenzione per categoria degli accordi di distribuzione esclusiva, oppure l’applicazione al franchising di divieti specifici che riguardano i contratti di distribuzione.3

5.2 LA SENTENZA DELLA CORTE DI GIUSTIZIA EUROPEA
SUL CASO PRONUPTIA
La sentenza della Corte di Giustizia Europea del 28 gennaio1986 sul caso Pronuptia, ha contribuito in modo determinante ad affermare la specificità e l’autonomia dei contratti di franchising, rispetto ad altri tipi di accordi sottoposti alle norme comunitarie di concorrenza, in quanto ha preceduto qualsiasi intervento amministrativo o normativo della Commissione Europea ed ha dato la spinta decisiva per la successiva formazione di una disciplina positiva della materia con il Regolamento 4087/88.
La vicenda può essere brevemente riassunta. Una nota casa Parigina di abiti da sposa Pronuptia si era estesa sul mercato tedesco attraverso dei contratti di franchising. Un franchisee, per non pagare le royalties convenute, aveva sollevato l’eccezione di incompatibilità con le regole della concorrenza CEE di alcune clausole contrattuali, precisamente: l’obbligo di non fare pubblicità, se non dietro approvazione del franchisor, gli obblighi relativi all’allestimento e all’immagine del punto di vendita ed alla sua localizzazione, l’obbligo di approvvigionamento esclusivo presso la casa madre.
La Corte nella sua sentenza dopo aver affermato che "la compatibilità dei contratti di franchising di distribuzione con l’art.85, paragrafo uno, è funzione delle clausole contenute in questi contratti e del contesto economico nel quale s’inseriscono", crea una distinzione tra le clausole indispensabili a connaturare l’accordo come franchising (per impedire che i concorrenti si giovino del patrimonio di cognizioni e di tecnica forniti dall’affiliante, per tutelare l’identità e la reputazione della rete di distribuzione), e le altre clausole che sono considerate aggiuntive rispetto all’accordo, ma che possono venire esentate in forza delle disposizioni del successivo paragrafo n.3 dell’art.85.
Senza analizzare dettagliatamente tutte le clausole che la Corte dichiara non in contrasto con il disposto dell’art.85 del Trattato CE, e delle quali abbiamo già parlato nell’analisi del contratto, come ad esempio la c.d. location clause, che impedisce al franchisee di trasferire il punto di vendita senza l’assenso preventivo del franchisor; il divieto imposto all’affiliato di trasferire i diritti e gli obblighi derivanti dal contratto senza il consenso del franchisor, oppure l’obbligo del franchisee di "vendere le merci oggetto del contratto solo in locali allestiti e decorati in base alle istruzioni del franchisor, etc..4

5.2.1 LE CLAUSOLE CHE NON COSTITUISCONO RESTRIZIONE
DELLA CONCORRENZA
Le clausole di un accordo di Franchising, che in base alla sentenza Pronuptia, sono considerate non in contrasto con l’Art. 85 paragrafo uno del Trattato di Roma, sono:
A. sotto il profilo della tutela della segretezza del patrimonio di conoscenze trasmesse dall’Affiliante all’Affiliato:
• gli obblighi imposti dall’Affiliato di non aprire "durante il contratto o in un periodo ragionevole dopo la scadenza dello stesso, un punto di vendita avente oggetto identico o simile, in zone nelle quali egli possa trovarsi in concorrenza con commercianti appartenenti alla rete di distribuzione";
• gli obblighi imposti all’affiliato "di non cedere il negozio senza l’accordo preventivo dell’affiliante".
A. Sotto il profilo della tutela dell’identità e reputazione della rete distributiva creata dall’affiliante:
• l’obbligo imposto all’affiliato "di applicare i metodi commerciali elaborati dall’affiliante" e di "avvalersi del patrimonio di cognizioni tecniche fornitogli";
• l’obbligo dell’affiliato di "vendere le merci oggetto del contratto, solo in locali allestiti e decorati in base alle istruzioni dell’affiliante", al fine di garantire "l’aspetto uniforme di tutti i punti vendita della rete, per determinare la pronta e positiva riconoscibilità da parte della clientela";
• gli obblighi imposti all’affiliato in ordine all’ubicazione del negozio (non trasferibile senza il consenso dell’affiliante), al fine di salvaguardare la "reputazione" della rete, sotto il profilo di una collocazione che rispetti le esigenze di centralità e accessibilità della rete;
• il divieto imposto all’affiliato "di trasferire i diritti e gli obblighi derivanti dal contratto, senza il consenso dell’affiliante";
• l’obbligo imposto all’affiliato di vendere solo merci fornite dall’affiliante o da altri fornitori scelti dallo stesso;
• la subordinazione di qualsiasi forma di pubblicità da parte dell’affiliato al consenso dell’affiliante.5
Come abbiamo già visto, l’esperienza maturata dalla Commissione Europea sulla scorta dei principi fissati dalla Corte di Giustizia CE, nel caso Pronuptia, ha trovato sbocco sistematico a livello comunitario, con l’emanazione del Regolamento di esenzione collettiva di categorie di accordi di Franchising, 30 novembre 1988 N°4087/88, che in mancanza di apporti positivi delle legislazioni nazionali europee, ha assunto anche un carattere definitorio del fenomeno Franchising.6
Sotto il profilo della normativa antitrust, che si sta esaminando, il combinato disposto dall’art.1 numeri 1e2, e del successivo art.2 del Regolamento, determina l’ambito diretto entro cui opera l’esenzione per categoria di accordi e, individua le clausole considerabili quali restrittive della concorrenza ai sensi dell’art.85 N.1 del Trattato CE, ma esentabili in forza del successivo paragrafo tre, sulla base di una valutazione automatica dei relativi requisiti.
L’esenzione riguarda, tanto i casi di Franchising diretto, quanto quelli di Master Franchising, e riguarda una serie di clausole che sostanzialmente ricalcano quelle indicate dalla Corte di Giustizia, e si riferiscono:
a. l’obbligo imposto all’affiliante, entro il territorio oggetto del contratto di Franchising, di non:
• trasferire in tutto o in parte il diritto di sfruttare il Franchising;
• sfruttare direttamente il Franchising, o fornire direttamente, i beni o i servizi oggetto del contratto, ricorrendo ad una formula simile;
• fornire direttamente i beni dell’affiliante a terzi.
a. obbligo imposto all’affiliato principale di non stipulare accordi di Franchising con affiliati fuori dal territorio oggetto del contratto;
b. obbligo imposto all’affiliato di sfruttare il Franchising solo operando dalla sede oggetto del contratto;
c. obbligo imposto all’affiliato di astenersi dalla ricerca di clienti, al di fuori del territorio concessogli;
d. obbligo imposto all’affiliato di non produrre, vendere, utilizzare, nella prestazione di servizi, prodotti concorrenti, unitamente ai prodotti dell’affiliante che formano oggetto del contratto.

5.3 L’AMBITO DI ESENZIONE POTENZIALE: LA WHITE LIST

Dopo aver visto le clausole che ricadono nell’ambito dell’esenzione diretta, contenute negli artt.1 e 2 del Reg.4087/88, vediamo ora quelle contenute nell’art.3, che la Corte prima, e la Commissione Europea dopo, avevano riconosciuto come non restrittive della concorrenza, in quanto necessarie per tutelare la segretezza del Know-how, l’identità e il buon nome della rete.7
Tali clausole, non essendo restrittive della concorrenza, non necessiterebbero di esenzione e quindi di menzione nel suddetto Regolamento, ma vengono inserite per fornire un apporto alla determinazione delle caratteristiche più ricorrenti nei contratti di Franchising. L’elenco di queste clausole non ha natura tassativa e comprende:
1. vendere o usare, per la prestazione di servizi, soltanto beni che soddisfano le specifiche minime oggettive di qualità, stabilite dall’affiliante;
2. vendere o usare, per la prestazione di servizi, dei beni prodotti esclusivamente dall’affiliante o da terzi da lui designati, nel caso in cui manchi la possibilità pratica, vista la natura dei beni oggetto del franchising, di applicare specificazioni oggettive di qualità;
3. non impegnarsi direttamente o indirettamente in attività simili, in un territorio nel quale farebbe concorrenza ad un membro della rete; l’affiliato potrebbe essere vincolato da quest’obbligo, anche dopo la scadenza del contratto, per un periodo di tempo comunque non superiore ad un anno;
4. non acquisire partecipazioni al capitale di imprese concorrenti;
5. vendere prodotti che formano oggetto del franchising soltanto ad utilizzatori finali o ad altri affiliati, e venderli ad altri circuiti soltanto con il consenso del fabbricante;
6. usare la massima diligenza nella vendita e nella prestazione dei servizi oggetto del franchising, offrire una gamma minima di prodotti, realizzare un fatturato minimo, programmare in anticipo le ordinazioni, mantenere un minimo di scorte e fornire alla clientela un adeguato servizio di assistenza post-vendita;
7. l’affiliato deve corrispondere all’affiliante una percentuale adeguata dei suoi proventi per le spese pubblicitarie, e procedere all’eventuale pubblicità locale, soltanto con il preventivo assenso dell’affiliato;
8. non comunicare a terzi il know-how conferito dall’affiliante; tale obbligo può sussistere anche dopo la scadenza del contratto;
9. comunicare all’affiliante l’esperienza ottenuta sfruttando il franchising;
10. non utilizzare il know-how concesso in licenza dall’affiliante. Per scopi diversi da quelli previsti in contratto;
11. frequentare i corsi di formazione organizzati dall’affiliante;
12. uniformarsi ai criteri stabiliti dall’affiliante per il lay-out del punto vendita;
13. autorizzare l’affiliante ad effettuare i controlli nel p.v. e sui mezzi di trasporto oggetto del contratto, compresi i prodotti venduti e i servizi prestati.8

5.4 LE CLAUSOLE RESTRITTIVE DELLA CONCORRENZA: LA



CAPITOLO SESTO
CENNI SUGLI ASPETTI DI MARKETING






6.1 LA SCELTA STRATEGICA DI OPERARE IN FRANCHISING
L’impresa moderna, nel porre in atto le sue strategie, intese come l’insieme delle azioni di fondo per raggiungere degli obiettivi di lungo periodo e per differenziarsi dai concorrenti per soddisfare al meglio i bisogni della clientela, non può fare a meno di considerare i vincoli imposti dalla crescente complessità ambientale e deve dunque essere "orientata al mercato".
All’inizio della rivoluzione industriale, i problemi fondamentali che un’impresa era chiamata ad affrontare riguardavano soprattutto l’attività tecnico produttiva. Erano importanti le capacità di ridurre i costi di produzione attraverso la migliore combinazione dei fattori, cercando di sfruttare al massimo le economie di scala che quindi presupponevano e teorizzavano l’impresa di grandi dimensioni, integrata verticalmente e gerarchicamente. L’organizzazione del sistema produttivo si basava sui principi del "Taylorismo", che ipotizzava l’impresa di grandi dimensioni che razionalizzava al meglio le risorse al proprio interno per la produzione di massa. Non esistevano problemi dal lato della domanda e il "mercato" era considerato un elemento esterno, l’impresa era dunque production-oriented.
Dopo la seconda guerra mondiale, a causa dell’enorme sviluppo scientifico e tecnologico, che ha risolto i problemi tecnico produttivi, e in conseguenza anche di una certa saturazione del mercato dovuta alla concorrenza tra imprese dello stesso settore e al processo di internazionalizzazione dell’economia, le imprese hanno dovuto "fare i conti" con il mercato, che diventava il punto fondamentale nell’orientare le decisioni strategiche delle imprese in riferimento alle capacità delle stesse di relazionarsi con esso per acquisire la capacità di spendita del consumatore.1
La funzione di marketing, risulta a questo proposito fondamentale per creare e mantenere le relazioni tra l’impresa ed il mercato, funzionando in pratica da "connettore intersistemico", tra il sistema impresa e l’ambiente, in modo da far passare tutte le informazioni che sono necessarie all’impresa per posizionarsi al meglio sul mercato e per soddisfare meglio delle altre il consumatore.2
Si realizza in pratica un orientamento al marketing, per la scelta degli obiettivi e delle vie gestionali ritenute ottimali, facendo in pratica assumere alla funzione di distribuzione una priorità logica e temporale sulle varie funzioni dell’impresa.
In un ambiente sempre più dinamico e competitivo, in un’economia che si definisce globale, la risposta delle imprese è quella di un crescente dinamismo delle forme organizzative e dei rapporti tra gli agenti economici e tra queste, quella che viene definita impresa-rete, di cui i sistemi di franchising costituiscono un’articolazione, rappresenta senza dubbio un mix tra collaborazione ed integrazione che può sicuramente rappresentare una risposta adeguata alla sfida della complessità dei mercati.
Le forme di organizzazione delle imprese devono essere veramente efficienti e flessibili per fronteggiare le nuove dimensioni della concorrenza, la pervasività delle tecnologie, il controllo dei mercati di sbocco. Nasce l’esigenza di una "cooperazione-interazione" tra imprese, in cui ciascun soggetto deve apportare know-how, capacità e competenze distintive, per sviluppare sinergie e creare uno scambio di informazioni e conoscenze che sono necessarie per il successo competitivo. In presenza di una forte variabilità ambientale, l’impresa deve essere in grado di assorbire gradualmente le inversioni di tendenza per trovare sempre nuovi equilibri con il contesto esterno.
La capacità di un’impresa di creare conoscenza e informazioni per diffonderle nelle proprie organizzazioni facendole condividere da tutti i suoi membri, (economie di apprendimento), assume notevole importanza in un mondo caratterizzato dall’incertezza.
Il franchising, come le altre forme di accordo tra imprese, possiede essenzialmente le caratteristiche di opportunità strategica di sviluppo, per ridurre l’incertezza dell’ambiente i margini generali di rischio, e promuovere al tempo stesso la competitività delle imprese all’interno del mercato.3

6.2 CENNI SUL CONCETTO DI "RETE" NELL’ORGANIZZAZIONE
TRA IMPRESE
Abbiamo più volte parlato, riferendoci al franchising, di una particolare forma di collaborazione tra imprese, che nel loro insieme formano una "rete". A questo proposito è bene chiarire, cosa si intende per rete, nel suo significato di categoria organizzativa pura. Con il termine "rete" si intende una specifica modalità organizzativa delle forze produttive (risorse e capacità, soprattutto immateriali), caratterizzata, rispetto alle altre forme organizzative (gerarchia, mercato dei fattori), da connessioni interattive, basate su "linguaggi" condivisi, codificati e specialistici.
Quindi ciò che caratterizza la "rete" rispetto ad altre forme di organizzazioni è la circolazione delle informazioni e delle conoscenze fra le diverse imprese autonome, che si può raggiungere soltanto attraverso l’uso di linguaggi condivisi e la realizzazione di relazioni di tipo interattivo tra le parti, che presuppongono la volontà di coloro che appartengono alla rete di contribuire, con il loro apporto specifico, al perseguimento di obiettivi convergenti; obiettivi non perseguibili con l’uso di strutture e procedure di tipo gerarchico e centralizzato. La rete viene considerata come un nuovo principio di organizzazione, che si pone sullo stesso piano del mercato e della gerarchia.4
Con l’accentuarsi della competizione innovativa a livello globale, viene sollecitata la necessità dello sviluppo di rapporti di tipo cooperativo fra imprese, rappresentato dalle forme organizzative a "rete", per difendere ed acquisire le capacità innovative richieste nelle situazioni di concorrenza dinamica nelle quali ci troviamo. Il franchising in questo contesto si caratterizza per la sua duttilità, sia perché presente, con forme diverse, nella generalità delle attività economiche, facendo riferimento al franchising di produzione, a quello di distribuzione ed a quello di servizi; sia perché risulta strumento per attuare percorsi strategici diversi per lo sviluppo di una "business idea".




6.3 OBIETTIVI STRATEGICI DELL’AFFILIANTE
L’impresa che intende proporsi sul mercato sfruttando le proprie capacità distintive, in una prospettiva di crescita, oppure quelle imprese che stanno attraversando un periodo di crisi ed intendono uscirne, trovano nel franchising una alternativa rapida e conveniente.
Occorre prima di tutto distinguere queste potenzialità esaminandole da due angolature diverse: quella dell’affiliante e quella dell’affiliato. Il franchisor è un imprenditore che ha raggiunto il successo con una sua business idea difficilmente imitabile e caratterizzata da una forte specificità. Il suo marchio e la sua immagine hanno però una valenza circoscritta in senso territoriale e di conseguenza egli desidera espandersi su tutto il territorio nazionale ed anche oltre. Per attuare una strategia di espansione, occorre avere una certa capacità finanziaria che a volte l’impresa non possiede. Con il franchising, l’affiliante riesce a conquistare o a mantenere la sua quota di mercato, facendo sostenere all’affiliato il carico dell’investimento in immobilizzazioni e stocks, realizzando un risparmio sull’investimento pubblicitario che dovrebbe sostenere, ottenendo allo stesso tempo quel controllo sul canale realizzabile soltanto con l’integrazione verticale. 5
I vantaggi economici dipendono poi dal successo del "business" (in termini di ROI), che farà aumentare il fatturato dell’affiliato, rafforzerà il marchio facendo lievitare i diritti di entrata e le royalties, oltre che determinare una più rapida espansione dell’intera rete.
Nello schema del modello di Ansoff, si osservano le varie possibilità di espansione che l’impresa può realizzare:6



CAPITOLO SETTIMO
I DATI DEL FRANCHISING IN ITALIA







7.1 ANALISI STATISTICA
7.1.1 PREMESSA SUI DATI
Per conoscere l’attuale struttura e le tendenze evolutive del Franchising, nel nostro paese, si devono superare non poche difficoltà che discendono dal fatto che questo tipo di contratto non è "definito" dal nostro ordinamento giuridico, e di conseguenza i confini con altri tipi di accordi, come la concessione a vendere, il multi-level marketing, etc., sono molto labili.
La base si partenza per conoscere il fenomeno, è data da chi dichiara apertamente di utilizzare la formula del franchising per la propria strategia distributiva, con le varie differenze tra le diverse tipologie, stando bene attenti a coloro che cercano di "dissimulare", attraverso il Franchising, delle vere e proprie truffe. Le indagini svolte sono quindi di tipo diretto, attraverso l’invio di questionari, ad integrare le notizie raccolte attraverso la stampa specializzata e non specializzata.
Le Camere di Commercio, che attraverso società che elaborano dati riguardanti l’intero territorio nazionale, come la CERVED, l’INFOCAMERE, MOVIMPRESE, non possiedono dei dati disaggregati sul Franchising, in quanto non si ha conoscenza del contratto al momento dell’iscrizione nel registro delle imprese poiché le varie unità locali che operano in qualità di Affiliati, sono registrate con il loro nome e Ragione sociale, e non con il marchio dell’Affiliante.
Il primo tentativo condotto in Italia per cercare di conoscere meglio il "fenomeno" è stato fatto nel 1984/1985 da CESDIT, un Ente di ricerca dell’Unione Commercio di Milano. Anche se si trattava di un’indagine a campione, essa ha avuto il merito di porre il problema della necessità di fornire migliori dati ed informazioni dagli ambienti ufficiali Italiani. Il CESDIT ha censito 62 imprese Affilianti, operanti in 13 settori di attività ed ha analizzato a fondo il "caso" di 23 Affilianti.1
Da molti anni, la SISIM, una società di consulenza per lo sviluppo di reti distributive, pubblica periodicamente "L'Annuario Reti Dirette e Franchising", giunto all’ottava edizione e che nel 1996 ha censito 393 Reti in Franchising, con circa 25.000 Affiliati. Purtroppo, per la 9° edizione, che si sarebbe dovuta riferire ai dati del 1997, non è prevista la pubblicazione.
Un ulteriore passo in avanti, sul piano della conoscenza, è stato compiuto dalla Horwath Italia, che da alcuni anni sta conducendo una ricerca dettagliata sul Franchising, i cui risultati sono raccolti dall’"Annuario Assofranchising", la cui prima edizione è stata pubblicata nel 1993.
Nel 1994 L’Annuario rilevava 361 Franchisor che gestivano 17.500 Franchisee.
I dati contenuti in questa tesi si riferiscono all’"Annuario Assofranchising ‘98" e sono elaborati su un campione costituito da circa il 50% delle insegne presenti in Italia. Le tabelle allegate sono il risultato dell’elaborazione dei dati raccolti tramite il questionario inviato a circa 1000 operatori in Italia, ritenuti Franchisors. Hanno risposto Franchisors rappresentanti di oltre 350 insegne. Le risposte limitate nel numero rispetto ai questionari inviati, sono state in ogni caso considerate valide per le elaborazioni effettuate e costituiscono un campione più che rappresentativo degli operatori con il sistema del Franchising, infatti, le stime indicano in oltre 450, gli operatori effettivi in Italia.2
Occorre precisare che i questionari ritornati dai 461 Franchisor censiti nell’"Annuario Assofranchising ‘98", non sono completi di tutte le risposte poste dal questionario stesso. Questo comporta che il totale che si riferisce ai dati di ciascuna tabella, che riguarda i vari aspetti del franchising (superficie media, investimento iniziale, fatturato, etc.), è dato dai Franchisor che hanno dato delle risposte con riferimento a quel particolare aspetto, senza considerare, invece, chi non ha dato delle indicazioni a proposito.
Facendo riferimento ai dati che riguardano il bacino d’utenza, la superficie di vendita, l’investimento iniziale e il fatturato medio annuo, spesso i Franchisor hanno risposto indicando una forbice di dati, di conseguenza per le elaborazioni delle tabelle, si è fatto ricorso al valore intermedio che scaturisce dalle risposte.
Il settore dell’industria non è stato considerato rilevante per le nostre elaborazioni, in quanto le uniche due insegne operanti in Italia con la tipologia del Franchising industriale, non hanno fornito alcun dato che riguarda la loro attività.
Per quanto riguarda le tabelle che si riferiscono ai Franchisor Italiani che operano all’estero, e alle reti straniere presenti in Italia, i dati si riferiscono al 1996 e sono un’elaborazione della società Quadrante S.r.l., su fonte degli Annuari Assofranchising, integrati dai dati forniti dalla Europe Service e da notizie pubblicate dalla stampa specializzata.
Per concludere, occorre ricordare, che il successo della formula del Franchising è dovuto all’estrema flessibilità che caratterizza questo tipo di strategia distributiva, e di conseguenza, le richieste degli Affilianti, riguardanti la superficie di vendita, l’investimento iniziale, le Royalties periodiche, possono variare e sono di difficile confronto, perché dipendono e cercano di adattarsi al contesto nel quale l’Affiliato opera, al fine di poter cogliere e sfruttare al massimo le opportunità locali.

7.2 ANALISI DEI DATI
7.2.1 IL QUADRO CONGIUNTURALE DELL’ITALIA NEL 1997
Nel corso del 1997 si è assistito ad un ripresa dei livelli produttivi, rispetto all’anno precedente, il 1996, caratterizzato da una fase di incertezza e di stagnazione economica. Nel 1997 il PIL è cresciuto in termini reali dell’1.5%, trascinato prevalentemente dalla componente interna, rispetto al 1996, quando la componente estera della domanda aveva contribuito in misura maggiore a sostenere il PIL.
I consumi dei beni durevoli da parte delle famiglie è aumentato a causa dell’incentivazione all’acquisto di autoveicoli, mentre per i consumi dei beni non durevoli e semidurevoli, che avevano manifestato una ripresa nel corso del 1996, hanno registrato una diminuzione nella seconda parte del 1997, contribuendo a determinare una flessione congiunturale dello 0.2% per il complesso dei consumi nell’ultimo trimestre. Questa flessione è stata limitata dai consumi dei servizi che, seppure in decelerazione, hanno mostrato una variazione positiva nell’ultima parte dell’anno. 3
Nonostante la difficile congiuntura che sta vivendo il dettaglio tradizionale, il trend positivo del Franchising in Italia è proseguito anche nel 1997.

7.3 IL FRANCHISING IN ITALIA NEL 1997
Prima di addentrarci nello studio dei vari aspetti del Franchising, diamo uno sguardo d’insieme ai dati che lo riguardano. Innanzi tutto occorre dire che negli ultimi anni esso è in costante anche se leggero aumento. La mancanza di una legislazione nazionale (anche se pare vicinissima una regolamentazione del settore), ne frena sicuramente lo sviluppo.
Risulta difficile, fornire una chiave di lettura dei dati unitaria, in grado da far emergere delle tendenze strutturali comuni, in considerazione della varietà dei settori coinvolti, molto diversi tra di loro, a anche della flessibilità di questa formula che comprende una gamma di situazioni tra di loro diverse.
Quello che si può dire è nel nostro paese le iniziative di franchising sono realizzate da piccole medie imprese che risultano all’avanguardia in alcuni settori merceologici.
La conferma si può avere dal fatto che il 76.9% dei negozi Affiliati ha una superficie inferiore ai 100 mq, e l’investimento medio richiesto dal Franchisor per iniziare l’attività è di 95.7 milioni.
Analizzando da vicino i vari settori, iniziamo da quello che negli ultimi anni ha avuto lo sviluppo maggiore : i servizi(v.tab.n.1). Negli ultimi 5 anni esso ha avuto l’incremento maggiore, infatti, ben il 70.8% dei Franchisor ha iniziato la propria attività in questo periodo di tempo. All’interno del settore abbiamo una varietà di situazioni; si va dai Servizi ai privati ai Centri di Estetica, dai Parrucchieri alle Lavanderie e tintorie e al Noleggio e vendita di telefoni. All’interno del settore, l’attività in Franchising che ha fatto registrare un vero e proprio "boom" è quella dell’ Intermediazione immobiliare, con quasi 30 Franchisor che operano in questo Business.
Nel settore dei servizi la superficie media richiesta per diventare Affiliato è di 70.9 mq. e l’investimento medio per iniziare l’attività è di 59 milioni. Il fatturato medio previsto è di 340 milioni. Si può notare che gli esercizi hanno una piccola dimensione e per i potenziali Franchisee non sono richiesti investimenti eccessivi.
Il settore al secondo posto per diffusione nel nostro paese è quello degli articoli per la persona(v.tab.n.1). L’abbigliamento uomo- donna utilizza da tempo la Formula del Franchising per la distribuzione dei propri prodotti, essendo particolarmente idonea alla diffusione di "marchi" che hanno raggiunto una certa notorietà a livello nazionale e che vogliono trovare nuovi mercati anche all’estero.
La superficie media di un p.v. è di 78.1 mq., l’investimento medio è superiore a quello dei servizi e sale a 130 milioni, ed il fatturato medio annuo è anch’esso superiore con una media di 627 milioni.
Una buona tenuta si conferma anche per il settore dell’"altro commercio specializzato", al terzo posto con una percentuale del 15%.(v.tab.1) All’interno di questo settore è da rilevare l’apporto dato dalla diffusine di catene per la vendita di Prodotti informatici, che in questi ultimi anni hanno avuto un notevole sviluppo.
La superficie media di un punto vendita che opera in questo settore è di 95.8 mq., leggermente superiore a quello di quelli visti in precedenza; l’investimento medio richiesto per l’inizio dell’attività è di 68.9 milioni, leggermente superiore a quello richiesto per i servizi. Il fatturato annuo è in media di 565 milioni.
Analizziamo più dettagliatamente gli aspetti più importanti che caratterizzano il Franchising.

7.4 I FRANCHISOR
Sulla base delle informazioni disponibili nell’Annuario Assofranchising ’98, alla fine del 1997, risultano attive 461 reti in Franchising. L’incremento dei Franchisor, dal 1996 al 1997, è stato di 41 unità, pari ad un +9.8%. (v.tab.n.1).
Si consolida il "sorpasso" del settore "servizi", nei confronti di quello degli "articoli per la persona". Il primo ha una percentuale del 37.1%, con un incremento del 22.1%, rispetto l’anno precedente, mentre il settore degli "articoli per la persona" (dove è compreso l’abbigliamento e quindi il settore moda), si conferma al 2° posto, con una percentuale del 24.3%, sul totale delle reti, registrando un incremento dell’3.7%, rispetto al ’96.L’ "Altro commercio specializzato " con il 15% si conferma al terzo posto con un incremento del 13,1% rispetto all’anno precedente. In flessione il settore "alberghi e ristorazione", che si attesta al 5.2%.
Il settore dei "servizi" è stato quello più dinamico negli ultimi anni ed è previsto in ulteriore crescita.

7.4.1 LA CONCENTRAZIONE DELLE RETI IN FRANCHISING
Negli ultimi anni si è assistito ad un aumento della concentrazione dei punti di vendita affiliati, in un relativo piccolo numero di Franchisor.
Nel 1997, le prime quattro insegne, operano con reti cui fanno parte più di 1000 Franchisee. In particolare, i primi cinque Affilianti, gestiscono 6816 punti vendita Affiliati, che rappresentano il 30.7 % degli Affiliati Italiani.
I primi 20 Franchisors, concentrano più della metà, cioè il 50.3 %, degli Affiliati Italiani. (v.tabella.n.35)
Analizzando la tabella n.3, che si riferisce alla distribuzione dei Franchisor per settore al variare della dimensione della rete si scopre, per contro, che esistono numerose reti di piccole dimensioni, sia di recente introduzione, che di scarsa diffusione, come le reti che coprono soltanto il territorio regionale. Basti pensare che 232 Affilianti, gestiscono reti che hanno da 0 a 20 Affiliati, e 62 controllano reti da 20-40 Affiliati.
E’ il settore dei "servizi" che conta il maggior numero di reti di piccole dimensioni, con il 75.6% di esse, con un numero di p.v. inferiore alle 20 unità, seguito dal settore degli "articoli per la persona" con il 55%. (v.tabella.n.3)
Il numero medio dei p.v. Affiliati nel settore dei "servizi" è di 55.1, mentre nell’"altro commercio specializzato", le reti hanno una dimensione media pari a 76 p.v.
La media generale dei punti vendita per ciascun Franchisor è di 39.7. (v.tabella n.3)

7.4.2 TIPOLOGIE DI FRANCHISING

Esempio