Il commercio elettronico

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Testo


IL COMMERCIO ELETTRONICO: UN NUOVO CANALE DI VENDITA

Definizioni di commercio elettronico
Del Commercio Elettronico si possono dare una e mille definizioni, poiché la neonata letteratura in materia fornisce interpretazioni molto eterogenee circa le realtà che caratterizzano il nuovo canale di vendita.
Uno dei maggiori esperti, R. Kalakota, definisce il commercio elettronico come "[...] una metodologia di business che si presta ad utenti, commercianti e organizzazioni per ridurre i costi, migliorare la qualità dei prodotti e dei servizi e contemporaneamente ridurre i tempi di consegna. Questo si presta anche per ricercare e trovare efficacemente informazioni in risposta a qualsiasi domanda ed in supporto ad ogni decisione manageriale e aziendale ".
Per Pier Luigi Bersani, ministero dell'industria, del commercio e dell'artigianato, che ha recentemente presentato un documento intitolato "Linee di politica industriale per il Commercio Elettronico", l'e-commerce "consiste nello svolgimento di attività commerciali e di transazioni per via elettronica e comprende attività diverse quali: la commercializzazione di beni e servizi per via elettronica; la distribuzione on-line di contenuti digitali, l'effettuazione per via elettronica di operazioni finanziarie e di borsa, gli appalti pubblici per via elettronica ed altre procedure di tipo transattivo della Pubblica Amministrazione".
Www.ispo.cec.be/ecommerce, sito dedicato alle iniziative lanciate dall'Unione Europea per promuovere il commercio online, considera Commercio Elettronico "qualsiasi forma di transazione economica nella quale le parti, avvalendosi di reti di telecomunicazione, interagiscono elettronicamente piuttosto che attraverso un diretto contatto fisico".
Ai fini del mio lavoro, comunque, quello che più interessa è cercare di capire i meccanismi che regolano il fenomeno, le reali opportunità che offre questo nuovo canale di vendita, le strategie di marketing che è indispensabile porre in essere. Solo in tal modo sarà possibile applicare i suggerimenti offerti dalla dottrina e i modelli analizzati.

Principali tipologie
Il Commercio Elettronico viene distinto in due principali categorie:
A. Business to Business (B-to-B)
B. Business to Consumer
Tali tipologie differiscono tra loro, oltre che per il tipo di soggetti coinvolti (solo aziende nel primo caso, aziende e consumatori nel secondo), anche e soprattutto per le diverse dimensioni che i due fenomeni assumono. Si stima che il B-to-B superi il business diretto ai consumatori:
@ di quattro volte in termini di fatturato in rete,
@ di due ordini di grandezza in termini di volume di scambi.
Fonti più precise (IDC) permettono di capire meglio il divario esistente, in termini di fatturato, tra le due tipologie in esame (si veda il grafico 1.1).
Fonte: IDC, 1998
Grafico 1.1 fatturato annuale da commercio elettronico
Interessante, infine, rilevare lo studio condotto da IBM e "Economist Intelligence Unit ", secondo il quale le due tipologie di commercio elettronico divergono anche in termini temporali di redditività: nel breve periodo, le maggiori opportunità sui ritorni degli investimenti sono legate al mercato B-to-B; nel lungo termine, viceversa, sarà il B-to-consumer ad offrire più elevate possibilità di guadagno. La ricerca, datata Settembre 1998, evidenzia anche una differenza tra Europa e Usa, nell'utilizzo del nuovo strumento commerciale. Negli Stati Uniti, a dimostrazione della maturità raggiunta dal fenomeno, il modello che va per la maggiore è il B-to-consumer. Nel vecchio continente, invece, è più diffuso il B-to-B, come affermare che le aziende sono più propense a sperimentare il commercio elettronico rispetto ai cyber-consumatori, poiché vedono in tale fenomeno un nuovo e vantaggioso canale commerciale.
a Business to Business
Nella categoria B-to-B rientrano quindi tutte quelle transazioni nelle quali i soggetti coinvolti siano due o più aziende.
Potenzialmente un'impresa potrebbe utilizzare la rete per inoltrare ordini ai propri fornitori, acquisire documentazione sui prodotti e sui servizi ad essi collegati, coordinare le operazioni di acquisto e di vendita, studiare le mosse della concorrenza. Il commercio elettronico B-to-B, infatti, può essere inteso come gestione della cosiddetta catena degli approvvigionamenti sia a monte (impresa acquirente di beni e servizi) sia a valle dell'attività di produzione (impresa fornitrice di beni e servizi a clienti business). Gli obiettivi di tale management (diminuzione dei tempi di turn-over del ciclo produttivo, riduzione dei costi d'impresa) sono resi possibili dalla maggior disponibilità e certezza delle informazioni, che vengono elaborate in tempo reale. L'utilizzo di Internet, quindi, presuppone che vengano costruiti online i tre sistemi basilari nella catena degli approvvigionamenti :
a. il sistema di pianificazione operativa, che deve soddisfare rapidamente le necessità di modo, tempo e luogo del singolo cliente.
b. il sistema esecutivo, che gestisce i flussi di prodotti, servizi ed informazioni lungo la catena.
c. Il sistema di quantificazione delle performance, che trasmette alle aree funzionali di controllo e finanziarie i dati relativi alle singole attività intraprese; tale flusso di dati viene gestito spesso sulle cosiddette reti Intranet (reti aziendali che usano la tecnologia Internet, ma che sono inaccessibili da terzi al fine di proteggere la segretezza dei dati comunicati).
La tipologia di commercio elettronico B-to-B è quella che esiste da più anni, poiché si è sviluppata grazie all'EDI . Con l'esplosione del fenomeno Internet, oggi le imprese possono meglio sfruttare i vantaggi offerti dall'EDI, poiché operano in un mercato di dimensioni planetarie e in un ambiente multimediale che accentua enormemente l'importanza della competitività e quindi l'efficienza aziendale.
Interessante poi, specie per la composizione del tessuto industriale italiano, è che ottime opportunità si aprono anche per la PMI, struttura portante della nostra economia. I costi ridotti per aprire un sito, specialmente se si pensa che l'attività in rete sostituisce completamente anche la costosa comunicazione via telefono e via fax, hanno permesso anche a piccole società di raggiungere risultati ragguardevoli.
Emblematico è il caso, ad esempio, di una piccola società di Modena, la Logos, che fornisce servizi di traduzione; tale società, attraverso l'uso della rete, ha virtualizzato l'intero ciclo delle attività, dalla fase di acquisizione del materiale dal cliente, alla distribuzione del prodotto finito (la traduzione), all'assistenza da un capo ad un altro del mondo. Oggi, grazie ad Internet, il gruppo Logos è tra le prime cinque aziende nel mondo nel suo settore, con solo 120 addetti nella sede di Modena e altri 1200 specialisti sparsi per il mondo e gode di un portafoglio clienti di tutto rispetto (Microsoft, IBM, AT&T, Ferrari, Fiat, Mercedes, Volksvagen, Toyota, Mitsubishi).
b Business to Consumer
A differenza del B-to-B, la categoria Business to Consumer comprende i processi di vendita al dettaglio, che vanno dalla presentazione del prodotto-servizio in rete, alla gestione dell'ordine del consumatore, al customer service, fino a giungere a volte al pagamento online (nel qual caso si parla di commercio elettronico in senso stretto) e alle operazioni di consegna del bene fisico .
L'esplosione di questa tipologia di Commercio Elettronico ha coinciso con la capillare diffusione di Internet negli uffici, nelle case, nelle scuole. I dati parlano chiaro: il numero degli "host" computer, cioè i computer collegati in modo permanente alla rete, sta crescendo a tassi spettacolari; all'inizio del 1998 erano più di 30 milioni i computer collegati nel mondo contro gli appena 5 milioni del 1995.
Fonte: "Commercio online", Il Sole 24 Ore, 24/10/98
Grafico 1.2 Host computer nel mondo (dati in milioni)
Fonte: Nua, 1998
Grafico 1.3 Gli utenti Internet nel mondo

Se, da un lato, questo nuovo media ha permesso ad aziende di tutto il mondo di entrare in contatto diretto con consumatori altrimenti difficilmente raggiungibili, dall'altro, per i consumatori stessi, si è aperta la possibilità di avere accesso ad un'offerta illimitata di prodotti, stando comodamente seduti davanti al proprio computer.
Uno dei casi di maggior successo preso ad esempio, è quello di Amazon (www.amazon.com), una vera e propria libreria virtuale che mette a disposizione dell'utente una scelta di oltre 2.500.000 di titoli. Il consumatore può acquistare anche il libro più raro, beneficiando di sconti notevoli sul prezzo di copertina, della possibilità di ottenere informazioni utili da lettori di tutto il mondo, della possibilità di farselo recapitare anche in meno di 48 ore, sostenendo solo le spese di consegna.
Questo ed altri esempi possono far comprendere come cresceranno le aspettative degli utenti, destinati a diventare sempre più esigenti, forti del fatto che il costo per trovare un altro fornitore (il cosiddetto Switching Cost ) sarà sempre minore.

3. Dimensioni, stime e proiezioni del fenomeno
I dati che riguardano il mercato di Internet ed il commercio elettronico in particolare, sono spesso diversi e contrastanti tra loro: "le stime effettuate in rete sono, nel migliore dei casi, discipline appartenenti al campo delle arti inesatte", come ironicamente affermano gli analisti della NUA (www.nua.ie), centro di ricerca irlandese sul commercio elettronico. A volte ciò dipende da metodologie di indagine statisticamente non corrette (perché effettuate su campioni non rappresentativi della popolazione); altre volte semplicemente perché si utilizzano diverse unità di misura del mercato per descrivere lo stesso fenomeno. In effetti, come abbiamo visto, è la stessa definizione di commercio elettronico a non essere univoca, altrimenti non si spiegherebbero valori di mercato a dir poco divergenti tra i principali istituti di ricerca a livello mondiale, come Activmedia, Forrester, IDC (International Data Corporation).
Ad esempio, nella sua definizione molto allargata di commercio elettronico, Activmedia (www.activemedia.com), include qualunque operazione online che avvii una transazione, anche se poi la conclusione della stessa avviene successivamente offline, cioè con un mezzo di comunicazione diverso dal Web ; inoltre, il fatto di considerare "e-commerce" anche il reddito prodotto dal risparmio generato dalle attività online, spiega le enormi divergenze quantitative rispetto, ad esempio, all'istituto di ricerca Forrester (www.forrester.com), che non include nella definizione né le operazioni B-to-B, né quelle di supporto alle attività di rete.
Diamo qualche numero a titolo esemplificativo. Secondo Activmedia il business generato online a livello mondiale è stato di 2.7 miliardi di dollari nel 1996, 22 miliardi nel 1997, 74 nel 1998. Le previsioni stimano la crescita in 300 miliardi di dollari entro il 2000 e di 1200 miliardi di dollari per il 2002. Si avranno 1.6 milioni di siti Web commerciali, contro i 414.000 del 1997 e i 193.000 di un anno prima. Attualmente, secondo l'istituto di ricerca americano sono 4 su 10 le aziende che vendono online (in senso lato), con un fatturato medio (per quelle medio-grandi) di 32.000 dollari mensili contro i soli 1.700 dollari medi mensili dell'intero mercato. Interessante osservare come, secondo Activmedia, tre siti Web su cinque con almeno tre anni di vita dichiarano di produrre profitto; tale rapporto scende a due su cinque per i siti Web più "giovani". Nel 1996, inoltre, su 110 iniziative commerciali online indagate, il 31% chiuderà l'esercizio finanziario in attivo, il 28% chiuderà in rosso ma con buone speranze di arrivare al pareggio entro 12/24 mesi, mentre il 41% non vede all'orizzonte prospettive di ritorno dell'investimento. Lo scenario, almeno a breve termine, è quindi incerto per una parte rilevante di queste iniziative, anche se è rassicurante il dato relativo agli utili generati o prospettati, in cosi' breve tempo, da quasi il 60% degli operatori commerciali.
Secondo Forrester, invece, il commercio elettronico (relativo, ricordiamo, solo al business-to-consumer) ha generato 2 miliardi di dollari nel 1997 e raggiungerà quota 17 miliardi di dollari nel 2001.
Una posizione intermedia è assunta da IDC, la cui definizione di commercio elettronico è vicina a quella di Activmedia: i 21 miliardi di dollari del 1997 diventeranno 117 nel 2000 e circa 420 nel 2002. Secondo IDC, inoltre, la percentuale di utenti che acquisteranno sul Web crescerà modestamente (39% nel 2001 contro il 25% del 1197)
Tabella 1.1 Stime di fatturato da commercio elettronico nel mondo
I dati mostrano quanto sia importante la trasparenza sulle definizioni e l'uso coerente dei risultati disponibili. Infatti, più che il dato preciso, ciò che serve è saper osservare attentamente il trend di crescita del fenomeno e le variabili che lo influenzano; solo in tal modo si potrà trarre beneficio dall'analisi dei dati di mercato e sfruttare maggiormente questo nuovo settore di attività.
4. La realtà italiana: utopia o mercato del 3° millennio?
I dati fin qui riportati, pur considerando il fenomeno a livello globale, riguardano prevalentemente la realtà americana. Infatti, anche se il commercio elettronico si sta diffondendo pressoché ovunque, gran parte del business viene sviluppato in Usa (86%), terra d'origine, e solo marginalmente in Europa (5%) , come mostra il grafico 1.4.
L'arretratezza tecnologica e culturale dell'Europa, e dell'Italia in particolare, potrebbe essere vista anche come un enorme vantaggio competitivo, in cui gli ultimi arrivati possono beneficiare a costi irrisori degli sforzi compiuti dai pionieri. Le barriere d'entrata non sono insormontabili neppure per le imprese di minori dimensioni, a patto che si riesca ad adattare alla realtà locale un fenomeno di dimensioni globali.
In ogni modo, aldilà di tutte le esagerazioni e fantasie, che abbondano anche oltre oceano, e della non poca confusione che circonda un fenomeno ancora nuovo, sembra che la rete stia cominciando ad entrare nella vita quotidiana di un gran numero di persone, anche in Italia. "L'esperienza americana è un punto di riferimento di cui occorre tenere conto; ma, secondo me, con molta cautela ".
Fonte: "Commercio online", Il Sole 24 Ore
Grafico 1.4 Il commercio elettronico nel mondo
Se è giusto trarre lezioni dall'esperienza dei paesi più avanzati, può risultare pericoloso cercare di copiare passivamente il loro percorso. Questo per vari motivi:
@ Prima di tutto, c'è un fatto quantitativo. Non solo il numero di persone, imprese e organizzazioni in rete è enormemente più grande, ma è anche maggiore la quantità di denaro che si muove; chi opera nella "periferia" del sistema si muove, non solo su quantità diverse, ma su situazioni strutturalmente diverse da quelle del "centro".
@ Ci sono differenze strutturali nel mercato, e nelle abitudini, che precedono lo sviluppo della rete. Da moltissimo tempo negli Stati Uniti è diffuso l'acquisto su catalogo o comunque per posta: il "commercio elettronico", in una realtà come quella americana, è solo una variante, più pratica ed efficiente, di pratiche abituali e consolidate.
@ C'è un uso tradizionale e abituale delle carte di credito, anche per gli acquisti più semplici. Ci sono anche in America fenomeni di diffidenza, per il diffuso timore che qualcuno riesca ad intercettare i numeri delle carte; ma sono assai più facilmente superabili in un contesto in cui l'uso della "moneta plastica" è un'abitudine quotidiana per molti.
@ C'è un livello di "informatizzazione", cioè di uso abituale del computer per ogni sorta di attività professionali e personali, enormemente superiore al nostro. Ad esempio, l'abitudine di mandare i figli in scuole residenziali lontane dalla famiglia, determina un assiduo ricorso alla posta elettronica come strumento privilegiato di contatto e ciò determina una crescita più veloce che da noi della cultura della rete.
@ Infine, in molte attività la normativa italiana pone sentieri burocratici, che non sempre è facile superare. Problemi del genere ci sono in tutto il mondo, ma sappiamo che da noi sono particolarmente difficili e complessi.
Questi sono solo alcuni dei motivi per cui la situazione americana è profondamente diversa dalla nostra. Nonostante le differenze non siano superabili nel breve periodo, possibilità di successo ci sono anche per imprese italiane, anche se, per ottenere buoni risultati, gli sforzi dovranno seguire tre principali direzioni:
1. Adattare la realtà americana al nostro contesto socioculturale e approfittare delle occasioni. In pochissimi paesi si concentrano oggi otto o nove decimi delle possibilità concrete di vendere prodotti o servizi; un mercato grande ma ferocemente competitivo, in cui è necessario trovare una nicchia in cui essere efficienti o comunque un'identità precisa e qualificata. Cosa che molti sono riusciti a fare anche senza la rete, e che con la rete si può fare ancora meglio.
2. Capire quali opportunità si possono trovare in un mercato come quello italiano, diversissimo dai mercati "avanzati", ma non per questo impercorribile. Si tratta di identificare metodi nuovi e originali, che possano aprire utili sentieri là dove non ci sono affollate autostrade.
3. Capire gli altri mercati nella loro individualità, da quelli a più forte diffusione della rete, fino a quelli ancora più arretrati del nostro, dove può diventare interessante assumere il ruolo di "pionieri".
Insomma l'arretratezza italiana può essere vista in due modi contrapposti: come un problema difficilmente sormontabile, o come un'occasione per aprire nuove strade. Le possibilità ci sono, e sono interessanti. Ma la via del successo non è basata su formule generiche o modelli ripetitivi, ma su creatività, flessibilità e pazienza, continua esplorazione del mercato e verifica dei risultati ottenuti.
5. Dimensioni e previsioni del fenomeno in Italia
Nonostante le vistose divergenze in termini quantitativi fra i vari istituti di ricerca (Osservatorio SDA Bocconi, Databank Consulting, Assintel), il dato interessante, che emerge dall'analisi, è che numerose sono le attenzioni rivolte anche in Italia al nuovo fenomeno; ciò fa presagire un'esplosione delle transazioni online e quindi un incremento degli investimenti a breve termine, al fine di ridurre il divario che il nostro paese ha nei confronti, non solo degli Usa, ma anche di Germania, Inghilterra, Francia, Danimarca, Finlandia.
Da un'analisi di IDC, condotta nel maggio del 1998 su un campione di famiglie europee, emerge, infatti, che l'Italia è pesantemente in ritardo nei confronti degli altri partner europei non solo in relazione al numero di utenti Internet (si veda la tabella 1.2), ma anche e soprattutto per ciò che riguarda il commercio in rete: sono solo 128.000 (su circa 2.6 milioni di utenti) gli italiani che hanno acquistato almeno una volta un bene o un servizio in rete, una percentuale (4.9%) addirittura di circa 1/4 rispetto ai tedeschi (19%) , cui spetta il primato di maggiori acquirenti online e comunque troppo inferiore alla media europea, che è del 12%.
Fonte: EITO,1997
Tabella 1.2 Gli utenti Internet in Europa (in migliaia)
Anche se ultimamente la crescita di Internet in Italia è molto più vivace che in passato, il divario da colmare è notevole: l'Italia rappresenta il 4% dell'economia mondiale, ma solo l'1% della rete; rappresenta il 12% del PIL europeo, il 14% di automobili, il 20% e forse più di telefoni cellulari, ma solo il 5% della rete in Europa . Per essere competitivi con le maggiori economie europee e per far si che il commercio elettronico possa svilupparsi dovremmo almeno triplicare la nostra quota di presenza in Internet.
Fonte: nostra elaborazione da fonti diverse
Grafico 1.5 Quote di presenza dell'Italia in Europa (in percentuale)
Sempre secondo IDC, le aziende italiane collegate alla rete erano circa 160.000 nel 1997 e si prevede saranno 220.000 nel 2000.
Fonte: IDC, Il Sole 24 Ore, 17 aprile 1998
Grafico 1.6 Imprese italiane in rete
Le aziende medio grandi difficilmente ormai riescono a fare a meno della rete: 3 su 4 sono connesse, 2 su 3 hanno un sito Web, anche se per ora neppure 4 su 100 effettuano transazioni online.
Fonte IDC, da "Il Sole 24 Ore" aprile '98
Grafico 1.7 Imprese italiane medio-grandi (prime 2000 per fatturato)
Tornando a focalizzare l'attenzione sul commercio elettronico, interessante è lo studio effettuato da Databank Consulting, che ha effettuato un'articolata previsione del fenomeno per l'anno 2000 . Secondo l'istituto di ricerca, si verificherà la cosiddetta "soluzione dell'uno per cento": per ogni cento euro di fatturato, uno sarà ricavato dalla vendita online a consumatori finali. Naturalmente si parla di prodotti che già hanno dimostrato una buona propensione alla distribuzione via Internet: informativi (banche-dati, pubblicità, editoria), informatici (PC, software), per il tempo libero (musica, viaggi).
Fonte: Databank Consulting
Tabella 1.3 Commercio elettronico in Italia nel 2000 (miliardi di lire)
Databank Consulting ritiene che il mercato business to consumer raggiungerà in valore assoluto i 1.450 miliardi di lire: una cifra irrisoria rispetto al colosso Usa, ma pur sempre solo di poco minore al giro d'affari complessivo delle attuali vendite dirette via posta. Inoltre, sempre secondo Databank, importante rilevare come il commercio in rete tra aziende continuerà a prevalere: si stima un valore delle transazioni di 2000 miliardi di lire per il 1999 e di 6000 miliardi per il 2000. La divaricazione tra tassi di crescita del fenomeno commerciale in azienda e in ambiente domestico rispecchia una tendenza globale, dovuta al fatto che anche in Italia il mercato residenziale è caratterizzato da andamenti "asincroni" che non gli consentiranno, almeno nel breve periodo, di diventare il baricentro delle iniziative di commercio elettronico.
Aldilà del cronico ritardo che il nostro paese è chiamato a ridurre, oggi numerosi sono gli elementi che inducono ad essere ottimisti e a giustificare le previsioni di crescita anche per il nostro mercato.
Primo motivo di ottimismo è che sia la Comunità Europea che il Governo Italiano hanno avviato una serie di iniziative volte a promuovere la crescita del Commercio Elettronico. L'intenzione è di colmare la lacuna di una normativa in materia e di rendere noti i risultati di alcuni progetti pilota di Commercio Elettronico, al fine di diffondere i migliori modelli strategici ed operativi.
Inoltre, gli standard più affidabili nel campo dei pagamenti online avranno una diffusione sempre più ampia e di questo beneficerà sia il commercio tra aziende e consumatori sia quello tra sole aziende.
Terza ed ultima indicazione incoraggiante viene dalle numerose ricerche, che registrano in Italia una notevole crescita delle connessioni a Internet anche nelle PMI. E' ragionevole ritenere che nel momento in cui anche questi soggetti avranno sperimentato le potenzialità del Commercio Elettronico, il fenomeno aumenterà di dimensione in modo esponenziale, soprattutto in considerazione del peso notevole che la PMI ha nel tessuto produttivo nazionale.
Fonte: Gemini Consulting,
Grafico 1.8 Evoluzione del commercio elettronico in Italia (volumi di scambio in miliardi di lire)





IL COMMERCIO ELETTRONICO: UN NUOVO CANALE DI VENDITA

Definizioni di commercio elettronico
Del Commercio Elettronico si possono dare una e mille definizioni, poiché la neonata letteratura in materia fornisce interpretazioni molto eterogenee circa le realtà che caratterizzano il nuovo canale di vendita.
Uno dei maggiori esperti, R. Kalakota, definisce il commercio elettronico come "[...] una metodologia di business che si presta ad utenti, commercianti e organizzazioni per ridurre i costi, migliorare la qualità dei prodotti e dei servizi e contemporaneamente ridurre i tempi di consegna. Questo si presta anche per ricercare e trovare efficacemente informazioni in risposta a qualsiasi domanda ed in supporto ad ogni decisione manageriale e aziendale ".
Per Pier Luigi Bersani, ministero dell'industria, del commercio e dell'artigianato, che ha recentemente presentato un documento intitolato "Linee di politica industriale per il Commercio Elettronico", l'e-commerce "consiste nello svolgimento di attività commerciali e di transazioni per via elettronica e comprende attività diverse quali: la commercializzazione di beni e servizi per via elettronica; la distribuzione on-line di contenuti digitali, l'effettuazione per via elettronica di operazioni finanziarie e di borsa, gli appalti pubblici per via elettronica ed altre procedure di tipo transattivo della Pubblica Amministrazione".
Www.ispo.cec.be/ecommerce, sito dedicato alle iniziative lanciate dall'Unione Europea per promuovere il commercio online, considera Commercio Elettronico "qualsiasi forma di transazione economica nella quale le parti, avvalendosi di reti di telecomunicazione, interagiscono elettronicamente piuttosto che attraverso un diretto contatto fisico".
Ai fini del mio lavoro, comunque, quello che più interessa è cercare di capire i meccanismi che regolano il fenomeno, le reali opportunità che offre questo nuovo canale di vendita, le strategie di marketing che è indispensabile porre in essere. Solo in tal modo sarà possibile applicare i suggerimenti offerti dalla dottrina e i modelli analizzati.

Principali tipologie
Il Commercio Elettronico viene distinto in due principali categorie:
A. Business to Business (B-to-B)
B. Business to Consumer
Tali tipologie differiscono tra loro, oltre che per il tipo di soggetti coinvolti (solo aziende nel primo caso, aziende e consumatori nel secondo), anche e soprattutto per le diverse dimensioni che i due fenomeni assumono. Si stima che il B-to-B superi il business diretto ai consumatori:
@ di quattro volte in termini di fatturato in rete,
@ di due ordini di grandezza in termini di volume di scambi.
Fonti più precise (IDC) permettono di capire meglio il divario esistente, in termini di fatturato, tra le due tipologie in esame (si veda il grafico 1.1).
Fonte: IDC, 1998
Grafico 1.1 fatturato annuale da commercio elettronico
Interessante, infine, rilevare lo studio condotto da IBM e "Economist Intelligence Unit ", secondo il quale le due tipologie di commercio elettronico divergono anche in termini temporali di redditività: nel breve periodo, le maggiori opportunità sui ritorni degli investimenti sono legate al mercato B-to-B; nel lungo termine, viceversa, sarà il B-to-consumer ad offrire più elevate possibilità di guadagno. La ricerca, datata Settembre 1998, evidenzia anche una differenza tra Europa e Usa, nell'utilizzo del nuovo strumento commerciale. Negli Stati Uniti, a dimostrazione della maturità raggiunta dal fenomeno, il modello che va per la maggiore è il B-to-consumer. Nel vecchio continente, invece, è più diffuso il B-to-B, come affermare che le aziende sono più propense a sperimentare il commercio elettronico rispetto ai cyber-consumatori, poiché vedono in tale fenomeno un nuovo e vantaggioso canale commerciale.
a Business to Business
Nella categoria B-to-B rientrano quindi tutte quelle transazioni nelle quali i soggetti coinvolti siano due o più aziende.
Potenzialmente un'impresa potrebbe utilizzare la rete per inoltrare ordini ai propri fornitori, acquisire documentazione sui prodotti e sui servizi ad essi collegati, coordinare le operazioni di acquisto e di vendita, studiare le mosse della concorrenza. Il commercio elettronico B-to-B, infatti, può essere inteso come gestione della cosiddetta catena degli approvvigionamenti sia a monte (impresa acquirente di beni e servizi) sia a valle dell'attività di produzione (impresa fornitrice di beni e servizi a clienti business). Gli obiettivi di tale management (diminuzione dei tempi di turn-over del ciclo produttivo, riduzione dei costi d'impresa) sono resi possibili dalla maggior disponibilità e certezza delle informazioni, che vengono elaborate in tempo reale. L'utilizzo di Internet, quindi, presuppone che vengano costruiti online i tre sistemi basilari nella catena degli approvvigionamenti :
a. il sistema di pianificazione operativa, che deve soddisfare rapidamente le necessità di modo, tempo e luogo del singolo cliente.
b. il sistema esecutivo, che gestisce i flussi di prodotti, servizi ed informazioni lungo la catena.
c. Il sistema di quantificazione delle performance, che trasmette alle aree funzionali di controllo e finanziarie i dati relativi alle singole attività intraprese; tale flusso di dati viene gestito spesso sulle cosiddette reti Intranet (reti aziendali che usano la tecnologia Internet, ma che sono inaccessibili da terzi al fine di proteggere la segretezza dei dati comunicati).
La tipologia di commercio elettronico B-to-B è quella che esiste da più anni, poiché si è sviluppata grazie all'EDI . Con l'esplosione del fenomeno Internet, oggi le imprese possono meglio sfruttare i vantaggi offerti dall'EDI, poiché operano in un mercato di dimensioni planetarie e in un ambiente multimediale che accentua enormemente l'importanza della competitività e quindi l'efficienza aziendale.
Interessante poi, specie per la composizione del tessuto industriale italiano, è che ottime opportunità si aprono anche per la PMI, struttura portante della nostra economia. I costi ridotti per aprire un sito, specialmente se si pensa che l'attività in rete sostituisce completamente anche la costosa comunicazione via telefono e via fax, hanno permesso anche a piccole società di raggiungere risultati ragguardevoli.
Emblematico è il caso, ad esempio, di una piccola società di Modena, la Logos, che fornisce servizi di traduzione; tale società, attraverso l'uso della rete, ha virtualizzato l'intero ciclo delle attività, dalla fase di acquisizione del materiale dal cliente, alla distribuzione del prodotto finito (la traduzione), all'assistenza da un capo ad un altro del mondo. Oggi, grazie ad Internet, il gruppo Logos è tra le prime cinque aziende nel mondo nel suo settore, con solo 120 addetti nella sede di Modena e altri 1200 specialisti sparsi per il mondo e gode di un portafoglio clienti di tutto rispetto (Microsoft, IBM, AT&T, Ferrari, Fiat, Mercedes, Volksvagen, Toyota, Mitsubishi).
b Business to Consumer
A differenza del B-to-B, la categoria Business to Consumer comprende i processi di vendita al dettaglio, che vanno dalla presentazione del prodotto-servizio in rete, alla gestione dell'ordine del consumatore, al customer service, fino a giungere a volte al pagamento online (nel qual caso si parla di commercio elettronico in senso stretto) e alle operazioni di consegna del bene fisico .
L'esplosione di questa tipologia di Commercio Elettronico ha coinciso con la capillare diffusione di Internet negli uffici, nelle case, nelle scuole. I dati parlano chiaro: il numero degli "host" computer, cioè i computer collegati in modo permanente alla rete, sta crescendo a tassi spettacolari; all'inizio del 1998 erano più di 30 milioni i computer collegati nel mondo contro gli appena 5 milioni del 1995.
Fonte: "Commercio online", Il Sole 24 Ore, 24/10/98
Grafico 1.2 Host computer nel mondo (dati in milioni)
Fonte: Nua, 1998
Grafico 1.3 Gli utenti Internet nel mondo

Se, da un lato, questo nuovo media ha permesso ad aziende di tutto il mondo di entrare in contatto diretto con consumatori altrimenti difficilmente raggiungibili, dall'altro, per i consumatori stessi, si è aperta la possibilità di avere accesso ad un'offerta illimitata di prodotti, stando comodamente seduti davanti al proprio computer.
Uno dei casi di maggior successo preso ad esempio, è quello di Amazon (www.amazon.com), una vera e propria libreria virtuale che mette a disposizione dell'utente una scelta di oltre 2.500.000 di titoli. Il consumatore può acquistare anche il libro più raro, beneficiando di sconti notevoli sul prezzo di copertina, della possibilità di ottenere informazioni utili da lettori di tutto il mondo, della possibilità di farselo recapitare anche in meno di 48 ore, sostenendo solo le spese di consegna.
Questo ed altri esempi possono far comprendere come cresceranno le aspettative degli utenti, destinati a diventare sempre più esigenti, forti del fatto che il costo per trovare un altro fornitore (il cosiddetto Switching Cost ) sarà sempre minore.

3. Dimensioni, stime e proiezioni del fenomeno
I dati che riguardano il mercato di Internet ed il commercio elettronico in particolare, sono spesso diversi e contrastanti tra loro: "le stime effettuate in rete sono, nel migliore dei casi, discipline appartenenti al campo delle arti inesatte", come ironicamente affermano gli analisti della NUA (www.nua.ie), centro di ricerca irlandese sul commercio elettronico. A volte ciò dipende da metodologie di indagine statisticamente non corrette (perché effettuate su campioni non rappresentativi della popolazione); altre volte semplicemente perché si utilizzano diverse unità di misura del mercato per descrivere lo stesso fenomeno. In effetti, come abbiamo visto, è la stessa definizione di commercio elettronico a non essere univoca, altrimenti non si spiegherebbero valori di mercato a dir poco divergenti tra i principali istituti di ricerca a livello mondiale, come Activmedia, Forrester, IDC (International Data Corporation).
Ad esempio, nella sua definizione molto allargata di commercio elettronico, Activmedia (www.activemedia.com), include qualunque operazione online che avvii una transazione, anche se poi la conclusione della stessa avviene successivamente offline, cioè con un mezzo di comunicazione diverso dal Web ; inoltre, il fatto di considerare "e-commerce" anche il reddito prodotto dal risparmio generato dalle attività online, spiega le enormi divergenze quantitative rispetto, ad esempio, all'istituto di ricerca Forrester (www.forrester.com), che non include nella definizione né le operazioni B-to-B, né quelle di supporto alle attività di rete.
Diamo qualche numero a titolo esemplificativo. Secondo Activmedia il business generato online a livello mondiale è stato di 2.7 miliardi di dollari nel 1996, 22 miliardi nel 1997, 74 nel 1998. Le previsioni stimano la crescita in 300 miliardi di dollari entro il 2000 e di 1200 miliardi di dollari per il 2002. Si avranno 1.6 milioni di siti Web commerciali, contro i 414.000 del 1997 e i 193.000 di un anno prima. Attualmente, secondo l'istituto di ricerca americano sono 4 su 10 le aziende che vendono online (in senso lato), con un fatturato medio (per quelle medio-grandi) di 32.000 dollari mensili contro i soli 1.700 dollari medi mensili dell'intero mercato. Interessante osservare come, secondo Activmedia, tre siti Web su cinque con almeno tre anni di vita dichiarano di produrre profitto; tale rapporto scende a due su cinque per i siti Web più "giovani". Nel 1996, inoltre, su 110 iniziative commerciali online indagate, il 31% chiuderà l'esercizio finanziario in attivo, il 28% chiuderà in rosso ma con buone speranze di arrivare al pareggio entro 12/24 mesi, mentre il 41% non vede all'orizzonte prospettive di ritorno dell'investimento. Lo scenario, almeno a breve termine, è quindi incerto per una parte rilevante di queste iniziative, anche se è rassicurante il dato relativo agli utili generati o prospettati, in cosi' breve tempo, da quasi il 60% degli operatori commerciali.
Secondo Forrester, invece, il commercio elettronico (relativo, ricordiamo, solo al business-to-consumer) ha generato 2 miliardi di dollari nel 1997 e raggiungerà quota 17 miliardi di dollari nel 2001.
Una posizione intermedia è assunta da IDC, la cui definizione di commercio elettronico è vicina a quella di Activmedia: i 21 miliardi di dollari del 1997 diventeranno 117 nel 2000 e circa 420 nel 2002. Secondo IDC, inoltre, la percentuale di utenti che acquisteranno sul Web crescerà modestamente (39% nel 2001 contro il 25% del 1197)
Tabella 1.1 Stime di fatturato da commercio elettronico nel mondo
I dati mostrano quanto sia importante la trasparenza sulle definizioni e l'uso coerente dei risultati disponibili. Infatti, più che il dato preciso, ciò che serve è saper osservare attentamente il trend di crescita del fenomeno e le variabili che lo influenzano; solo in tal modo si potrà trarre beneficio dall'analisi dei dati di mercato e sfruttare maggiormente questo nuovo settore di attività.
4. La realtà italiana: utopia o mercato del 3° millennio?
I dati fin qui riportati, pur considerando il fenomeno a livello globale, riguardano prevalentemente la realtà americana. Infatti, anche se il commercio elettronico si sta diffondendo pressoché ovunque, gran parte del business viene sviluppato in Usa (86%), terra d'origine, e solo marginalmente in Europa (5%) , come mostra il grafico 1.4.
L'arretratezza tecnologica e culturale dell'Europa, e dell'Italia in particolare, potrebbe essere vista anche come un enorme vantaggio competitivo, in cui gli ultimi arrivati possono beneficiare a costi irrisori degli sforzi compiuti dai pionieri. Le barriere d'entrata non sono insormontabili neppure per le imprese di minori dimensioni, a patto che si riesca ad adattare alla realtà locale un fenomeno di dimensioni globali.
In ogni modo, aldilà di tutte le esagerazioni e fantasie, che abbondano anche oltre oceano, e della non poca confusione che circonda un fenomeno ancora nuovo, sembra che la rete stia cominciando ad entrare nella vita quotidiana di un gran numero di persone, anche in Italia. "L'esperienza americana è un punto di riferimento di cui occorre tenere conto; ma, secondo me, con molta cautela ".
Fonte: "Commercio online", Il Sole 24 Ore
Grafico 1.4 Il commercio elettronico nel mondo
Se è giusto trarre lezioni dall'esperienza dei paesi più avanzati, può risultare pericoloso cercare di copiare passivamente il loro percorso. Questo per vari motivi:
@ Prima di tutto, c'è un fatto quantitativo. Non solo il numero di persone, imprese e organizzazioni in rete è enormemente più grande, ma è anche maggiore la quantità di denaro che si muove; chi opera nella "periferia" del sistema si muove, non solo su quantità diverse, ma su situazioni strutturalmente diverse da quelle del "centro".
@ Ci sono differenze strutturali nel mercato, e nelle abitudini, che precedono lo sviluppo della rete. Da moltissimo tempo negli Stati Uniti è diffuso l'acquisto su catalogo o comunque per posta: il "commercio elettronico", in una realtà come quella americana, è solo una variante, più pratica ed efficiente, di pratiche abituali e consolidate.
@ C'è un uso tradizionale e abituale delle carte di credito, anche per gli acquisti più semplici. Ci sono anche in America fenomeni di diffidenza, per il diffuso timore che qualcuno riesca ad intercettare i numeri delle carte; ma sono assai più facilmente superabili in un contesto in cui l'uso della "moneta plastica" è un'abitudine quotidiana per molti.
@ C'è un livello di "informatizzazione", cioè di uso abituale del computer per ogni sorta di attività professionali e personali, enormemente superiore al nostro. Ad esempio, l'abitudine di mandare i figli in scuole residenziali lontane dalla famiglia, determina un assiduo ricorso alla posta elettronica come strumento privilegiato di contatto e ciò determina una crescita più veloce che da noi della cultura della rete.
@ Infine, in molte attività la normativa italiana pone sentieri burocratici, che non sempre è facile superare. Problemi del genere ci sono in tutto il mondo, ma sappiamo che da noi sono particolarmente difficili e complessi.
Questi sono solo alcuni dei motivi per cui la situazione americana è profondamente diversa dalla nostra. Nonostante le differenze non siano superabili nel breve periodo, possibilità di successo ci sono anche per imprese italiane, anche se, per ottenere buoni risultati, gli sforzi dovranno seguire tre principali direzioni:
1. Adattare la realtà americana al nostro contesto socioculturale e approfittare delle occasioni. In pochissimi paesi si concentrano oggi otto o nove decimi delle possibilità concrete di vendere prodotti o servizi; un mercato grande ma ferocemente competitivo, in cui è necessario trovare una nicchia in cui essere efficienti o comunque un'identità precisa e qualificata. Cosa che molti sono riusciti a fare anche senza la rete, e che con la rete si può fare ancora meglio.
2. Capire quali opportunità si possono trovare in un mercato come quello italiano, diversissimo dai mercati "avanzati", ma non per questo impercorribile. Si tratta di identificare metodi nuovi e originali, che possano aprire utili sentieri là dove non ci sono affollate autostrade.
3. Capire gli altri mercati nella loro individualità, da quelli a più forte diffusione della rete, fino a quelli ancora più arretrati del nostro, dove può diventare interessante assumere il ruolo di "pionieri".
Insomma l'arretratezza italiana può essere vista in due modi contrapposti: come un problema difficilmente sormontabile, o come un'occasione per aprire nuove strade. Le possibilità ci sono, e sono interessanti. Ma la via del successo non è basata su formule generiche o modelli ripetitivi, ma su creatività, flessibilità e pazienza, continua esplorazione del mercato e verifica dei risultati ottenuti.
5. Dimensioni e previsioni del fenomeno in Italia
Nonostante le vistose divergenze in termini quantitativi fra i vari istituti di ricerca (Osservatorio SDA Bocconi, Databank Consulting, Assintel), il dato interessante, che emerge dall'analisi, è che numerose sono le attenzioni rivolte anche in Italia al nuovo fenomeno; ciò fa presagire un'esplosione delle transazioni online e quindi un incremento degli investimenti a breve termine, al fine di ridurre il divario che il nostro paese ha nei confronti, non solo degli Usa, ma anche di Germania, Inghilterra, Francia, Danimarca, Finlandia.
Da un'analisi di IDC, condotta nel maggio del 1998 su un campione di famiglie europee, emerge, infatti, che l'Italia è pesantemente in ritardo nei confronti degli altri partner europei non solo in relazione al numero di utenti Internet (si veda la tabella 1.2), ma anche e soprattutto per ciò che riguarda il commercio in rete: sono solo 128.000 (su circa 2.6 milioni di utenti) gli italiani che hanno acquistato almeno una volta un bene o un servizio in rete, una percentuale (4.9%) addirittura di circa 1/4 rispetto ai tedeschi (19%) , cui spetta il primato di maggiori acquirenti online e comunque troppo inferiore alla media europea, che è del 12%.
Fonte: EITO,1997
Tabella 1.2 Gli utenti Internet in Europa (in migliaia)
Anche se ultimamente la crescita di Internet in Italia è molto più vivace che in passato, il divario da colmare è notevole: l'Italia rappresenta il 4% dell'economia mondiale, ma solo l'1% della rete; rappresenta il 12% del PIL europeo, il 14% di automobili, il 20% e forse più di telefoni cellulari, ma solo il 5% della rete in Europa . Per essere competitivi con le maggiori economie europee e per far si che il commercio elettronico possa svilupparsi dovremmo almeno triplicare la nostra quota di presenza in Internet.
Fonte: nostra elaborazione da fonti diverse
Grafico 1.5 Quote di presenza dell'Italia in Europa (in percentuale)
Sempre secondo IDC, le aziende italiane collegate alla rete erano circa 160.000 nel 1997 e si prevede saranno 220.000 nel 2000.
Fonte: IDC, Il Sole 24 Ore, 17 aprile 1998
Grafico 1.6 Imprese italiane in rete
Le aziende medio grandi difficilmente ormai riescono a fare a meno della rete: 3 su 4 sono connesse, 2 su 3 hanno un sito Web, anche se per ora neppure 4 su 100 effettuano transazioni online.
Fonte IDC, da "Il Sole 24 Ore" aprile '98
Grafico 1.7 Imprese italiane medio-grandi (prime 2000 per fatturato)
Tornando a focalizzare l'attenzione sul commercio elettronico, interessante è lo studio effettuato da Databank Consulting, che ha effettuato un'articolata previsione del fenomeno per l'anno 2000 . Secondo l'istituto di ricerca, si verificherà la cosiddetta "soluzione dell'uno per cento": per ogni cento euro di fatturato, uno sarà ricavato dalla vendita online a consumatori finali. Naturalmente si parla di prodotti che già hanno dimostrato una buona propensione alla distribuzione via Internet: informativi (banche-dati, pubblicità, editoria), informatici (PC, software), per il tempo libero (musica, viaggi).
Fonte: Databank Consulting
Tabella 1.3 Commercio elettronico in Italia nel 2000 (miliardi di lire)
Databank Consulting ritiene che il mercato business to consumer raggiungerà in valore assoluto i 1.450 miliardi di lire: una cifra irrisoria rispetto al colosso Usa, ma pur sempre solo di poco minore al giro d'affari complessivo delle attuali vendite dirette via posta. Inoltre, sempre secondo Databank, importante rilevare come il commercio in rete tra aziende continuerà a prevalere: si stima un valore delle transazioni di 2000 miliardi di lire per il 1999 e di 6000 miliardi per il 2000. La divaricazione tra tassi di crescita del fenomeno commerciale in azienda e in ambiente domestico rispecchia una tendenza globale, dovuta al fatto che anche in Italia il mercato residenziale è caratterizzato da andamenti "asincroni" che non gli consentiranno, almeno nel breve periodo, di diventare il baricentro delle iniziative di commercio elettronico.
Aldilà del cronico ritardo che il nostro paese è chiamato a ridurre, oggi numerosi sono gli elementi che inducono ad essere ottimisti e a giustificare le previsioni di crescita anche per il nostro mercato.
Primo motivo di ottimismo è che sia la Comunità Europea che il Governo Italiano hanno avviato una serie di iniziative volte a promuovere la crescita del Commercio Elettronico. L'intenzione è di colmare la lacuna di una normativa in materia e di rendere noti i risultati di alcuni progetti pilota di Commercio Elettronico, al fine di diffondere i migliori modelli strategici ed operativi.
Inoltre, gli standard più affidabili nel campo dei pagamenti online avranno una diffusione sempre più ampia e di questo beneficerà sia il commercio tra aziende e consumatori sia quello tra sole aziende.
Terza ed ultima indicazione incoraggiante viene dalle numerose ricerche, che registrano in Italia una notevole crescita delle connessioni a Internet anche nelle PMI. E' ragionevole ritenere che nel momento in cui anche questi soggetti avranno sperimentato le potenzialità del Commercio Elettronico, il fenomeno aumenterà di dimensione in modo esponenziale, soprattutto in considerazione del peso notevole che la PMI ha nel tessuto produttivo nazionale.
Fonte: Gemini Consulting,
Grafico 1.8 Evoluzione del commercio elettronico in Italia (volumi di scambio in miliardi di lire)






IL COMMERCIO ELETTRONICO: UN NUOVO CANALE DI VENDITA

Definizioni di commercio elettronico
Del Commercio Elettronico si possono dare una e mille definizioni, poiché la neonata letteratura in materia fornisce interpretazioni molto eterogenee circa le realtà che caratterizzano il nuovo canale di vendita.
Uno dei maggiori esperti, R. Kalakota, definisce il commercio elettronico come "[...] una metodologia di business che si presta ad utenti, commercianti e organizzazioni per ridurre i costi, migliorare la qualità dei prodotti e dei servizi e contemporaneamente ridurre i tempi di consegna. Questo si presta anche per ricercare e trovare efficacemente informazioni in risposta a qualsiasi domanda ed in supporto ad ogni decisione manageriale e aziendale ".
Per Pier Luigi Bersani, ministero dell'industria, del commercio e dell'artigianato, che ha recentemente presentato un documento intitolato "Linee di politica industriale per il Commercio Elettronico", l'e-commerce "consiste nello svolgimento di attività commerciali e di transazioni per via elettronica e comprende attività diverse quali: la commercializzazione di beni e servizi per via elettronica; la distribuzione on-line di contenuti digitali, l'effettuazione per via elettronica di operazioni finanziarie e di borsa, gli appalti pubblici per via elettronica ed altre procedure di tipo transattivo della Pubblica Amministrazione".
Www.ispo.cec.be/ecommerce, sito dedicato alle iniziative lanciate dall'Unione Europea per promuovere il commercio online, considera Commercio Elettronico "qualsiasi forma di transazione economica nella quale le parti, avvalendosi di reti di telecomunicazione, interagiscono elettronicamente piuttosto che attraverso un diretto contatto fisico".
Ai fini del mio lavoro, comunque, quello che più interessa è cercare di capire i meccanismi che regolano il fenomeno, le reali opportunità che offre questo nuovo canale di vendita, le strategie di marketing che è indispensabile porre in essere. Solo in tal modo sarà possibile applicare i suggerimenti offerti dalla dottrina e i modelli analizzati.

Principali tipologie
Il Commercio Elettronico viene distinto in due principali categorie:
A. Business to Business (B-to-B)
B. Business to Consumer
Tali tipologie differiscono tra loro, oltre che per il tipo di soggetti coinvolti (solo aziende nel primo caso, aziende e consumatori nel secondo), anche e soprattutto per le diverse dimensioni che i due fenomeni assumono. Si stima che il B-to-B superi il business diretto ai consumatori:
@ di quattro volte in termini di fatturato in rete,
@ di due ordini di grandezza in termini di volume di scambi.
Fonti più precise (IDC) permettono di capire meglio il divario esistente, in termini di fatturato, tra le due tipologie in esame (si veda il grafico 1.1).
Fonte: IDC, 1998
Grafico 1.1 fatturato annuale da commercio elettronico
Interessante, infine, rilevare lo studio condotto da IBM e "Economist Intelligence Unit ", secondo il quale le due tipologie di commercio elettronico divergono anche in termini temporali di redditività: nel breve periodo, le maggiori opportunità sui ritorni degli investimenti sono legate al mercato B-to-B; nel lungo termine, viceversa, sarà il B-to-consumer ad offrire più elevate possibilità di guadagno. La ricerca, datata Settembre 1998, evidenzia anche una differenza tra Europa e Usa, nell'utilizzo del nuovo strumento commerciale. Negli Stati Uniti, a dimostrazione della maturità raggiunta dal fenomeno, il modello che va per la maggiore è il B-to-consumer. Nel vecchio continente, invece, è più diffuso il B-to-B, come affermare che le aziende sono più propense a sperimentare il commercio elettronico rispetto ai cyber-consumatori, poiché vedono in tale fenomeno un nuovo e vantaggioso canale commerciale.
a Business to Business
Nella categoria B-to-B rientrano quindi tutte quelle transazioni nelle quali i soggetti coinvolti siano due o più aziende.
Potenzialmente un'impresa potrebbe utilizzare la rete per inoltrare ordini ai propri fornitori, acquisire documentazione sui prodotti e sui servizi ad essi collegati, coordinare le operazioni di acquisto e di vendita, studiare le mosse della concorrenza. Il commercio elettronico B-to-B, infatti, può essere inteso come gestione della cosiddetta catena degli approvvigionamenti sia a monte (impresa acquirente di beni e servizi) sia a valle dell'attività di produzione (impresa fornitrice di beni e servizi a clienti business). Gli obiettivi di tale management (diminuzione dei tempi di turn-over del ciclo produttivo, riduzione dei costi d'impresa) sono resi possibili dalla maggior disponibilità e certezza delle informazioni, che vengono elaborate in tempo reale. L'utilizzo di Internet, quindi, presuppone che vengano costruiti online i tre sistemi basilari nella catena degli approvvigionamenti :
a. il sistema di pianificazione operativa, che deve soddisfare rapidamente le necessità di modo, tempo e luogo del singolo cliente.
b. il sistema esecutivo, che gestisce i flussi di prodotti, servizi ed informazioni lungo la catena.
c. Il sistema di quantificazione delle performance, che trasmette alle aree funzionali di controllo e finanziarie i dati relativi alle singole attività intraprese; tale flusso di dati viene gestito spesso sulle cosiddette reti Intranet (reti aziendali che usano la tecnologia Internet, ma che sono inaccessibili da terzi al fine di proteggere la segretezza dei dati comunicati).
La tipologia di commercio elettronico B-to-B è quella che esiste da più anni, poiché si è sviluppata grazie all'EDI . Con l'esplosione del fenomeno Internet, oggi le imprese possono meglio sfruttare i vantaggi offerti dall'EDI, poiché operano in un mercato di dimensioni planetarie e in un ambiente multimediale che accentua enormemente l'importanza della competitività e quindi l'efficienza aziendale.
Interessante poi, specie per la composizione del tessuto industriale italiano, è che ottime opportunità si aprono anche per la PMI, struttura portante della nostra economia. I costi ridotti per aprire un sito, specialmente se si pensa che l'attività in rete sostituisce completamente anche la costosa comunicazione via telefono e via fax, hanno permesso anche a piccole società di raggiungere risultati ragguardevoli.
Emblematico è il caso, ad esempio, di una piccola società di Modena, la Logos, che fornisce servizi di traduzione; tale società, attraverso l'uso della rete, ha virtualizzato l'intero ciclo delle attività, dalla fase di acquisizione del materiale dal cliente, alla distribuzione del prodotto finito (la traduzione), all'assistenza da un capo ad un altro del mondo. Oggi, grazie ad Internet, il gruppo Logos è tra le prime cinque aziende nel mondo nel suo settore, con solo 120 addetti nella sede di Modena e altri 1200 specialisti sparsi per il mondo e gode di un portafoglio clienti di tutto rispetto (Microsoft, IBM, AT&T, Ferrari, Fiat, Mercedes, Volksvagen, Toyota, Mitsubishi).
b Business to Consumer
A differenza del B-to-B, la categoria Business to Consumer comprende i processi di vendita al dettaglio, che vanno dalla presentazione del prodotto-servizio in rete, alla gestione dell'ordine del consumatore, al customer service, fino a giungere a volte al pagamento online (nel qual caso si parla di commercio elettronico in senso stretto) e alle operazioni di consegna del bene fisico .
L'esplosione di questa tipologia di Commercio Elettronico ha coinciso con la capillare diffusione di Internet negli uffici, nelle case, nelle scuole. I dati parlano chiaro: il numero degli "host" computer, cioè i computer collegati in modo permanente alla rete, sta crescendo a tassi spettacolari; all'inizio del 1998 erano più di 30 milioni i computer collegati nel mondo contro gli appena 5 milioni del 1995.
Fonte: "Commercio online", Il Sole 24 Ore, 24/10/98
Grafico 1.2 Host computer nel mondo (dati in milioni)
Fonte: Nua, 1998
Grafico 1.3 Gli utenti Internet nel mondo

Se, da un lato, questo nuovo media ha permesso ad aziende di tutto il mondo di entrare in contatto diretto con consumatori altrimenti difficilmente raggiungibili, dall'altro, per i consumatori stessi, si è aperta la possibilità di avere accesso ad un'offerta illimitata di prodotti, stando comodamente seduti davanti al proprio computer.
Uno dei casi di maggior successo preso ad esempio, è quello di Amazon (www.amazon.com), una vera e propria libreria virtuale che mette a disposizione dell'utente una scelta di oltre 2.500.000 di titoli. Il consumatore può acquistare anche il libro più raro, beneficiando di sconti notevoli sul prezzo di copertina, della possibilità di ottenere informazioni utili da lettori di tutto il mondo, della possibilità di farselo recapitare anche in meno di 48 ore, sostenendo solo le spese di consegna.
Questo ed altri esempi possono far comprendere come cresceranno le aspettative degli utenti, destinati a diventare sempre più esigenti, forti del fatto che il costo per trovare un altro fornitore (il cosiddetto Switching Cost ) sarà sempre minore.

3. Dimensioni, stime e proiezioni del fenomeno
I dati che riguardano il mercato di Internet ed il commercio elettronico in particolare, sono spesso diversi e contrastanti tra loro: "le stime effettuate in rete sono, nel migliore dei casi, discipline appartenenti al campo delle arti inesatte", come ironicamente affermano gli analisti della NUA (www.nua.ie), centro di ricerca irlandese sul commercio elettronico. A volte ciò dipende da metodologie di indagine statisticamente non corrette (perché effettuate su campioni non rappresentativi della popolazione); altre volte semplicemente perché si utilizzano diverse unità di misura del mercato per descrivere lo stesso fenomeno. In effetti, come abbiamo visto, è la stessa definizione di commercio elettronico a non essere univoca, altrimenti non si spiegherebbero valori di mercato a dir poco divergenti tra i principali istituti di ricerca a livello mondiale, come Activmedia, Forrester, IDC (International Data Corporation).
Ad esempio, nella sua definizione molto allargata di commercio elettronico, Activmedia (www.activemedia.com), include qualunque operazione online che avvii una transazione, anche se poi la conclusione della stessa avviene successivamente offline, cioè con un mezzo di comunicazione diverso dal Web ; inoltre, il fatto di considerare "e-commerce" anche il reddito prodotto dal risparmio generato dalle attività online, spiega le enormi divergenze quantitative rispetto, ad esempio, all'istituto di ricerca Forrester (www.forrester.com), che non include nella definizione né le operazioni B-to-B, né quelle di supporto alle attività di rete.
Diamo qualche numero a titolo esemplificativo. Secondo Activmedia il business generato online a livello mondiale è stato di 2.7 miliardi di dollari nel 1996, 22 miliardi nel 1997, 74 nel 1998. Le previsioni stimano la crescita in 300 miliardi di dollari entro il 2000 e di 1200 miliardi di dollari per il 2002. Si avranno 1.6 milioni di siti Web commerciali, contro i 414.000 del 1997 e i 193.000 di un anno prima. Attualmente, secondo l'istituto di ricerca americano sono 4 su 10 le aziende che vendono online (in senso lato), con un fatturato medio (per quelle medio-grandi) di 32.000 dollari mensili contro i soli 1.700 dollari medi mensili dell'intero mercato. Interessante osservare come, secondo Activmedia, tre siti Web su cinque con almeno tre anni di vita dichiarano di produrre profitto; tale rapporto scende a due su cinque per i siti Web più "giovani". Nel 1996, inoltre, su 110 iniziative commerciali online indagate, il 31% chiuderà l'esercizio finanziario in attivo, il 28% chiuderà in rosso ma con buone speranze di arrivare al pareggio entro 12/24 mesi, mentre il 41% non vede all'orizzonte prospettive di ritorno dell'investimento. Lo scenario, almeno a breve termine, è quindi incerto per una parte rilevante di queste iniziative, anche se è rassicurante il dato relativo agli utili generati o prospettati, in cosi' breve tempo, da quasi il 60% degli operatori commerciali.
Secondo Forrester, invece, il commercio elettronico (relativo, ricordiamo, solo al business-to-consumer) ha generato 2 miliardi di dollari nel 1997 e raggiungerà quota 17 miliardi di dollari nel 2001.
Una posizione intermedia è assunta da IDC, la cui definizione di commercio elettronico è vicina a quella di Activmedia: i 21 miliardi di dollari del 1997 diventeranno 117 nel 2000 e circa 420 nel 2002. Secondo IDC, inoltre, la percentuale di utenti che acquisteranno sul Web crescerà modestamente (39% nel 2001 contro il 25% del 1197)
Tabella 1.1 Stime di fatturato da commercio elettronico nel mondo
I dati mostrano quanto sia importante la trasparenza sulle definizioni e l'uso coerente dei risultati disponibili. Infatti, più che il dato preciso, ciò che serve è saper osservare attentamente il trend di crescita del fenomeno e le variabili che lo influenzano; solo in tal modo si potrà trarre beneficio dall'analisi dei dati di mercato e sfruttare maggiormente questo nuovo settore di attività.
4. La realtà italiana: utopia o mercato del 3° millennio?
I dati fin qui riportati, pur considerando il fenomeno a livello globale, riguardano prevalentemente la realtà americana. Infatti, anche se il commercio elettronico si sta diffondendo pressoché ovunque, gran parte del business viene sviluppato in Usa (86%), terra d'origine, e solo marginalmente in Europa (5%) , come mostra il grafico 1.4.
L'arretratezza tecnologica e culturale dell'Europa, e dell'Italia in particolare, potrebbe essere vista anche come un enorme vantaggio competitivo, in cui gli ultimi arrivati possono beneficiare a costi irrisori degli sforzi compiuti dai pionieri. Le barriere d'entrata non sono insormontabili neppure per le imprese di minori dimensioni, a patto che si riesca ad adattare alla realtà locale un fenomeno di dimensioni globali.
In ogni modo, aldilà di tutte le esagerazioni e fantasie, che abbondano anche oltre oceano, e della non poca confusione che circonda un fenomeno ancora nuovo, sembra che la rete stia cominciando ad entrare nella vita quotidiana di un gran numero di persone, anche in Italia. "L'esperienza americana è un punto di riferimento di cui occorre tenere conto; ma, secondo me, con molta cautela ".
Fonte: "Commercio online", Il Sole 24 Ore
Grafico 1.4 Il commercio elettronico nel mondo
Se è giusto trarre lezioni dall'esperienza dei paesi più avanzati, può risultare pericoloso cercare di copiare passivamente il loro percorso. Questo per vari motivi:
@ Prima di tutto, c'è un fatto quantitativo. Non solo il numero di persone, imprese e organizzazioni in rete è enormemente più grande, ma è anche maggiore la quantità di denaro che si muove; chi opera nella "periferia" del sistema si muove, non solo su quantità diverse, ma su situazioni strutturalmente diverse da quelle del "centro".
@ Ci sono differenze strutturali nel mercato, e nelle abitudini, che precedono lo sviluppo della rete. Da moltissimo tempo negli Stati Uniti è diffuso l'acquisto su catalogo o comunque per posta: il "commercio elettronico", in una realtà come quella americana, è solo una variante, più pratica ed efficiente, di pratiche abituali e consolidate.
@ C'è un uso tradizionale e abituale delle carte di credito, anche per gli acquisti più semplici. Ci sono anche in America fenomeni di diffidenza, per il diffuso timore che qualcuno riesca ad intercettare i numeri delle carte; ma sono assai più facilmente superabili in un contesto in cui l'uso della "moneta plastica" è un'abitudine quotidiana per molti.
@ C'è un livello di "informatizzazione", cioè di uso abituale del computer per ogni sorta di attività professionali e personali, enormemente superiore al nostro. Ad esempio, l'abitudine di mandare i figli in scuole residenziali lontane dalla famiglia, determina un assiduo ricorso alla posta elettronica come strumento privilegiato di contatto e ciò determina una crescita più veloce che da noi della cultura della rete.
@ Infine, in molte attività la normativa italiana pone sentieri burocratici, che non sempre è facile superare. Problemi del genere ci sono in tutto il mondo, ma sappiamo che da noi sono particolarmente difficili e complessi.
Questi sono solo alcuni dei motivi per cui la situazione americana è profondamente diversa dalla nostra. Nonostante le differenze non siano superabili nel breve periodo, possibilità di successo ci sono anche per imprese italiane, anche se, per ottenere buoni risultati, gli sforzi dovranno seguire tre principali direzioni:
1. Adattare la realtà americana al nostro contesto socioculturale e approfittare delle occasioni. In pochissimi paesi si concentrano oggi otto o nove decimi delle possibilità concrete di vendere prodotti o servizi; un mercato grande ma ferocemente competitivo, in cui è necessario trovare una nicchia in cui essere efficienti o comunque un'identità precisa e qualificata. Cosa che molti sono riusciti a fare anche senza la rete, e che con la rete si può fare ancora meglio.
2. Capire quali opportunità si possono trovare in un mercato come quello italiano, diversissimo dai mercati "avanzati", ma non per questo impercorribile. Si tratta di identificare metodi nuovi e originali, che possano aprire utili sentieri là dove non ci sono affollate autostrade.
3. Capire gli altri mercati nella loro individualità, da quelli a più forte diffusione della rete, fino a quelli ancora più arretrati del nostro, dove può diventare interessante assumere il ruolo di "pionieri".
Insomma l'arretratezza italiana può essere vista in due modi contrapposti: come un problema difficilmente sormontabile, o come un'occasione per aprire nuove strade. Le possibilità ci sono, e sono interessanti. Ma la via del successo non è basata su formule generiche o modelli ripetitivi, ma su creatività, flessibilità e pazienza, continua esplorazione del mercato e verifica dei risultati ottenuti.
5. Dimensioni e previsioni del fenomeno in Italia
Nonostante le vistose divergenze in termini quantitativi fra i vari istituti di ricerca (Osservatorio SDA Bocconi, Databank Consulting, Assintel), il dato interessante, che emerge dall'analisi, è che numerose sono le attenzioni rivolte anche in Italia al nuovo fenomeno; ciò fa presagire un'esplosione delle transazioni online e quindi un incremento degli investimenti a breve termine, al fine di ridurre il divario che il nostro paese ha nei confronti, non solo degli Usa, ma anche di Germania, Inghilterra, Francia, Danimarca, Finlandia.
Da un'analisi di IDC, condotta nel maggio del 1998 su un campione di famiglie europee, emerge, infatti, che l'Italia è pesantemente in ritardo nei confronti degli altri partner europei non solo in relazione al numero di utenti Internet (si veda la tabella 1.2), ma anche e soprattutto per ciò che riguarda il commercio in rete: sono solo 128.000 (su circa 2.6 milioni di utenti) gli italiani che hanno acquistato almeno una volta un bene o un servizio in rete, una percentuale (4.9%) addirittura di circa 1/4 rispetto ai tedeschi (19%) , cui spetta il primato di maggiori acquirenti online e comunque troppo inferiore alla media europea, che è del 12%.
Fonte: EITO,1997
Tabella 1.2 Gli utenti Internet in Europa (in migliaia)
Anche se ultimamente la crescita di Internet in Italia è molto più vivace che in passato, il divario da colmare è notevole: l'Italia rappresenta il 4% dell'economia mondiale, ma solo l'1% della rete; rappresenta il 12% del PIL europeo, il 14% di automobili, il 20% e forse più di telefoni cellulari, ma solo il 5% della rete in Europa . Per essere competitivi con le maggiori economie europee e per far si che il commercio elettronico possa svilupparsi dovremmo almeno triplicare la nostra quota di presenza in Internet.
Fonte: nostra elaborazione da fonti diverse
Grafico 1.5 Quote di presenza dell'Italia in Europa (in percentuale)
Sempre secondo IDC, le aziende italiane collegate alla rete erano circa 160.000 nel 1997 e si prevede saranno 220.000 nel 2000.
Fonte: IDC, Il Sole 24 Ore, 17 aprile 1998
Grafico 1.6 Imprese italiane in rete
Le aziende medio grandi difficilmente ormai riescono a fare a meno della rete: 3 su 4 sono connesse, 2 su 3 hanno un sito Web, anche se per ora neppure 4 su 100 effettuano transazioni online.
Fonte IDC, da "Il Sole 24 Ore" aprile '98
Grafico 1.7 Imprese italiane medio-grandi (prime 2000 per fatturato)
Tornando a focalizzare l'attenzione sul commercio elettronico, interessante è lo studio effettuato da Databank Consulting, che ha effettuato un'articolata previsione del fenomeno per l'anno 2000 . Secondo l'istituto di ricerca, si verificherà la cosiddetta "soluzione dell'uno per cento": per ogni cento euro di fatturato, uno sarà ricavato dalla vendita online a consumatori finali. Naturalmente si parla di prodotti che già hanno dimostrato una buona propensione alla distribuzione via Internet: informativi (banche-dati, pubblicità, editoria), informatici (PC, software), per il tempo libero (musica, viaggi).
Fonte: Databank Consulting
Tabella 1.3 Commercio elettronico in Italia nel 2000 (miliardi di lire)
Databank Consulting ritiene che il mercato business to consumer raggiungerà in valore assoluto i 1.450 miliardi di lire: una cifra irrisoria rispetto al colosso Usa, ma pur sempre solo di poco minore al giro d'affari complessivo delle attuali vendite dirette via posta. Inoltre, sempre secondo Databank, importante rilevare come il commercio in rete tra aziende continuerà a prevalere: si stima un valore delle transazioni di 2000 miliardi di lire per il 1999 e di 6000 miliardi per il 2000. La divaricazione tra tassi di crescita del fenomeno commerciale in azienda e in ambiente domestico rispecchia una tendenza globale, dovuta al fatto che anche in Italia il mercato residenziale è caratterizzato da andamenti "asincroni" che non gli consentiranno, almeno nel breve periodo, di diventare il baricentro delle iniziative di commercio elettronico.
Aldilà del cronico ritardo che il nostro paese è chiamato a ridurre, oggi numerosi sono gli elementi che inducono ad essere ottimisti e a giustificare le previsioni di crescita anche per il nostro mercato.
Primo motivo di ottimismo è che sia la Comunità Europea che il Governo Italiano hanno avviato una serie di iniziative volte a promuovere la crescita del Commercio Elettronico. L'intenzione è di colmare la lacuna di una normativa in materia e di rendere noti i risultati di alcuni progetti pilota di Commercio Elettronico, al fine di diffondere i migliori modelli strategici ed operativi.
Inoltre, gli standard più affidabili nel campo dei pagamenti online avranno una diffusione sempre più ampia e di questo beneficerà sia il commercio tra aziende e consumatori sia quello tra sole aziende.
Terza ed ultima indicazione incoraggiante viene dalle numerose ricerche, che registrano in Italia una notevole crescita delle connessioni a Internet anche nelle PMI. E' ragionevole ritenere che nel momento in cui anche questi soggetti avranno sperimentato le potenzialità del Commercio Elettronico, il fenomeno aumenterà di dimensione in modo esponenziale, soprattutto in considerazione del peso notevole che la PMI ha nel tessuto produttivo nazionale.
Fonte: Gemini Consulting,
Grafico 1.8 Evoluzione del commercio elettronico in Italia (volumi di scambio in miliardi di lire)






IL COMMERCIO ELETTRONICO: UN NUOVO CANALE DI VENDITA

Definizioni di commercio elettronico
Del Commercio Elettronico si possono dare una e mille definizioni, poiché la neonata letteratura in materia fornisce interpretazioni molto eterogenee circa le realtà che caratterizzano il nuovo canale di vendita.
Uno dei maggiori esperti, R. Kalakota, definisce il commercio elettronico come "[...] una metodologia di business che si presta ad utenti, commercianti e organizzazioni per ridurre i costi, migliorare la qualità dei prodotti e dei servizi e contemporaneamente ridurre i tempi di consegna. Questo si presta anche per ricercare e trovare efficacemente informazioni in risposta a qualsiasi domanda ed in supporto ad ogni decisione manageriale e aziendale ".
Per Pier Luigi Bersani, ministero dell'industria, del commercio e dell'artigianato, che ha recentemente presentato un documento intitolato "Linee di politica industriale per il Commercio Elettronico", l'e-commerce "consiste nello svolgimento di attività commerciali e di transazioni per via elettronica e comprende attività diverse quali: la commercializzazione di beni e servizi per via elettronica; la distribuzione on-line di contenuti digitali, l'effettuazione per via elettronica di operazioni finanziarie e di borsa, gli appalti pubblici per via elettronica ed altre procedure di tipo transattivo della Pubblica Amministrazione".
Www.ispo.cec.be/ecommerce, sito dedicato alle iniziative lanciate dall'Unione Europea per promuovere il commercio online, considera Commercio Elettronico "qualsiasi forma di transazione economica nella quale le parti, avvalendosi di reti di telecomunicazione, interagiscono elettronicamente piuttosto che attraverso un diretto contatto fisico".
Ai fini del mio lavoro, comunque, quello che più interessa è cercare di capire i meccanismi che regolano il fenomeno, le reali opportunità che offre questo nuovo canale di vendita, le strategie di marketing che è indispensabile porre in essere. Solo in tal modo sarà possibile applicare i suggerimenti offerti dalla dottrina e i modelli analizzati.

Principali tipologie
Il Commercio Elettronico viene distinto in due principali categorie:
A. Business to Business (B-to-B)
B. Business to Consumer
Tali tipologie differiscono tra loro, oltre che per il tipo di soggetti coinvolti (solo aziende nel primo caso, aziende e consumatori nel secondo), anche e soprattutto per le diverse dimensioni che i due fenomeni assumono. Si stima che il B-to-B superi il business diretto ai consumatori:
@ di quattro volte in termini di fatturato in rete,
@ di due ordini di grandezza in termini di volume di scambi.
Fonti più precise (IDC) permettono di capire meglio il divario esistente, in termini di fatturato, tra le due tipologie in esame (si veda il grafico 1.1).
Fonte: IDC, 1998
Grafico 1.1 fatturato annuale da commercio elettronico
Interessante, infine, rilevare lo studio condotto da IBM e "Economist Intelligence Unit ", secondo il quale le due tipologie di commercio elettronico divergono anche in termini temporali di redditività: nel breve periodo, le maggiori opportunità sui ritorni degli investimenti sono legate al mercato B-to-B; nel lungo termine, viceversa, sarà il B-to-consumer ad offrire più elevate possibilità di guadagno. La ricerca, datata Settembre 1998, evidenzia anche una differenza tra Europa e Usa, nell'utilizzo del nuovo strumento commerciale. Negli Stati Uniti, a dimostrazione della maturità raggiunta dal fenomeno, il modello che va per la maggiore è il B-to-consumer. Nel vecchio continente, invece, è più diffuso il B-to-B, come affermare che le aziende sono più propense a sperimentare il commercio elettronico rispetto ai cyber-consumatori, poiché vedono in tale fenomeno un nuovo e vantaggioso canale commerciale.
a Business to Business
Nella categoria B-to-B rientrano quindi tutte quelle transazioni nelle quali i soggetti coinvolti siano due o più aziende.
Potenzialmente un'impresa potrebbe utilizzare la rete per inoltrare ordini ai propri fornitori, acquisire documentazione sui prodotti e sui servizi ad essi collegati, coordinare le operazioni di acquisto e di vendita, studiare le mosse della concorrenza. Il commercio elettronico B-to-B, infatti, può essere inteso come gestione della cosiddetta catena degli approvvigionamenti sia a monte (impresa acquirente di beni e servizi) sia a valle dell'attività di produzione (impresa fornitrice di beni e servizi a clienti business). Gli obiettivi di tale management (diminuzione dei tempi di turn-over del ciclo produttivo, riduzione dei costi d'impresa) sono resi possibili dalla maggior disponibilità e certezza delle informazioni, che vengono elaborate in tempo reale. L'utilizzo di Internet, quindi, presuppone che vengano costruiti online i tre sistemi basilari nella catena degli approvvigionamenti :
a. il sistema di pianificazione operativa, che deve soddisfare rapidamente le necessità di modo, tempo e luogo del singolo cliente.
b. il sistema esecutivo, che gestisce i flussi di prodotti, servizi ed informazioni lungo la catena.
c. Il sistema di quantificazione delle performance, che trasmette alle aree funzionali di controllo e finanziarie i dati relativi alle singole attività intraprese; tale flusso di dati viene gestito spesso sulle cosiddette reti Intranet (reti aziendali che usano la tecnologia Internet, ma che sono inaccessibili da terzi al fine di proteggere la segretezza dei dati comunicati).
La tipologia di commercio elettronico B-to-B è quella che esiste da più anni, poiché si è sviluppata grazie all'EDI . Con l'esplosione del fenomeno Internet, oggi le imprese possono meglio sfruttare i vantaggi offerti dall'EDI, poiché operano in un mercato di dimensioni planetarie e in un ambiente multimediale che accentua enormemente l'importanza della competitività e quindi l'efficienza aziendale.
Interessante poi, specie per la composizione del tessuto industriale italiano, è che ottime opportunità si aprono anche per la PMI, struttura portante della nostra economia. I costi ridotti per aprire un sito, specialmente se si pensa che l'attività in rete sostituisce completamente anche la costosa comunicazione via telefono e via fax, hanno permesso anche a piccole società di raggiungere risultati ragguardevoli.
Emblematico è il caso, ad esempio, di una piccola società di Modena, la Logos, che fornisce servizi di traduzione; tale società, attraverso l'uso della rete, ha virtualizzato l'intero ciclo delle attività, dalla fase di acquisizione del materiale dal cliente, alla distribuzione del prodotto finito (la traduzione), all'assistenza da un capo ad un altro del mondo. Oggi, grazie ad Internet, il gruppo Logos è tra le prime cinque aziende nel mondo nel suo settore, con solo 120 addetti nella sede di Modena e altri 1200 specialisti sparsi per il mondo e gode di un portafoglio clienti di tutto rispetto (Microsoft, IBM, AT&T, Ferrari, Fiat, Mercedes, Volksvagen, Toyota, Mitsubishi).
b Business to Consumer
A differenza del B-to-B, la categoria Business to Consumer comprende i processi di vendita al dettaglio, che vanno dalla presentazione del prodotto-servizio in rete, alla gestione dell'ordine del consumatore, al customer service, fino a giungere a volte al pagamento online (nel qual caso si parla di commercio elettronico in senso stretto) e alle operazioni di consegna del bene fisico .
L'esplosione di questa tipologia di Commercio Elettronico ha coinciso con la capillare diffusione di Internet negli uffici, nelle case, nelle scuole. I dati parlano chiaro: il numero degli "host" computer, cioè i computer collegati in modo permanente alla rete, sta crescendo a tassi spettacolari; all'inizio del 1998 erano più di 30 milioni i computer collegati nel mondo contro gli appena 5 milioni del 1995.
Fonte: "Commercio online", Il Sole 24 Ore, 24/10/98
Grafico 1.2 Host computer nel mondo (dati in milioni)
Fonte: Nua, 1998
Grafico 1.3 Gli utenti Internet nel mondo

Se, da un lato, questo nuovo media ha permesso ad aziende di tutto il mondo di entrare in contatto diretto con consumatori altrimenti difficilmente raggiungibili, dall'altro, per i consumatori stessi, si è aperta la possibilità di avere accesso ad un'offerta illimitata di prodotti, stando comodamente seduti davanti al proprio computer.
Uno dei casi di maggior successo preso ad esempio, è quello di Amazon (www.amazon.com), una vera e propria libreria virtuale che mette a disposizione dell'utente una scelta di oltre 2.500.000 di titoli. Il consumatore può acquistare anche il libro più raro, beneficiando di sconti notevoli sul prezzo di copertina, della possibilità di ottenere informazioni utili da lettori di tutto il mondo, della possibilità di farselo recapitare anche in meno di 48 ore, sostenendo solo le spese di consegna.
Questo ed altri esempi possono far comprendere come cresceranno le aspettative degli utenti, destinati a diventare sempre più esigenti, forti del fatto che il costo per trovare un altro fornitore (il cosiddetto Switching Cost ) sarà sempre minore.

3. Dimensioni, stime e proiezioni del fenomeno
I dati che riguardano il mercato di Internet ed il commercio elettronico in particolare, sono spesso diversi e contrastanti tra loro: "le stime effettuate in rete sono, nel migliore dei casi, discipline appartenenti al campo delle arti inesatte", come ironicamente affermano gli analisti della NUA (www.nua.ie), centro di ricerca irlandese sul commercio elettronico. A volte ciò dipende da metodologie di indagine statisticamente non corrette (perché effettuate su campioni non rappresentativi della popolazione); altre volte semplicemente perché si utilizzano diverse unità di misura del mercato per descrivere lo stesso fenomeno. In effetti, come abbiamo visto, è la stessa definizione di commercio elettronico a non essere univoca, altrimenti non si spiegherebbero valori di mercato a dir poco divergenti tra i principali istituti di ricerca a livello mondiale, come Activmedia, Forrester, IDC (International Data Corporation).
Ad esempio, nella sua definizione molto allargata di commercio elettronico, Activmedia (www.activemedia.com), include qualunque operazione online che avvii una transazione, anche se poi la conclusione della stessa avviene successivamente offline, cioè con un mezzo di comunicazione diverso dal Web ; inoltre, il fatto di considerare "e-commerce" anche il reddito prodotto dal risparmio generato dalle attività online, spiega le enormi divergenze quantitative rispetto, ad esempio, all'istituto di ricerca Forrester (www.forrester.com), che non include nella definizione né le operazioni B-to-B, né quelle di supporto alle attività di rete.
Diamo qualche numero a titolo esemplificativo. Secondo Activmedia il business generato online a livello mondiale è stato di 2.7 miliardi di dollari nel 1996, 22 miliardi nel 1997, 74 nel 1998. Le previsioni stimano la crescita in 300 miliardi di dollari entro il 2000 e di 1200 miliardi di dollari per il 2002. Si avranno 1.6 milioni di siti Web commerciali, contro i 414.000 del 1997 e i 193.000 di un anno prima. Attualmente, secondo l'istituto di ricerca americano sono 4 su 10 le aziende che vendono online (in senso lato), con un fatturato medio (per quelle medio-grandi) di 32.000 dollari mensili contro i soli 1.700 dollari medi mensili dell'intero mercato. Interessante osservare come, secondo Activmedia, tre siti Web su cinque con almeno tre anni di vita dichiarano di produrre profitto; tale rapporto scende a due su cinque per i siti Web più "giovani". Nel 1996, inoltre, su 110 iniziative commerciali online indagate, il 31% chiuderà l'esercizio finanziario in attivo, il 28% chiuderà in rosso ma con buone speranze di arrivare al pareggio entro 12/24 mesi, mentre il 41% non vede all'orizzonte prospettive di ritorno dell'investimento. Lo scenario, almeno a breve termine, è quindi incerto per una parte rilevante di queste iniziative, anche se è rassicurante il dato relativo agli utili generati o prospettati, in cosi' breve tempo, da quasi il 60% degli operatori commerciali.
Secondo Forrester, invece, il commercio elettronico (relativo, ricordiamo, solo al business-to-consumer) ha generato 2 miliardi di dollari nel 1997 e raggiungerà quota 17 miliardi di dollari nel 2001.
Una posizione intermedia è assunta da IDC, la cui definizione di commercio elettronico è vicina a quella di Activmedia: i 21 miliardi di dollari del 1997 diventeranno 117 nel 2000 e circa 420 nel 2002. Secondo IDC, inoltre, la percentuale di utenti che acquisteranno sul Web crescerà modestamente (39% nel 2001 contro il 25% del 1197)
Tabella 1.1 Stime di fatturato da commercio elettronico nel mondo
I dati mostrano quanto sia importante la trasparenza sulle definizioni e l'uso coerente dei risultati disponibili. Infatti, più che il dato preciso, ciò che serve è saper osservare attentamente il trend di crescita del fenomeno e le variabili che lo influenzano; solo in tal modo si potrà trarre beneficio dall'analisi dei dati di mercato e sfruttare maggiormente questo nuovo settore di attività.
4. La realtà italiana: utopia o mercato del 3° millennio?
I dati fin qui riportati, pur considerando il fenomeno a livello globale, riguardano prevalentemente la realtà americana. Infatti, anche se il commercio elettronico si sta diffondendo pressoché ovunque, gran parte del business viene sviluppato in Usa (86%), terra d'origine, e solo marginalmente in Europa (5%) , come mostra il grafico 1.4.
L'arretratezza tecnologica e culturale dell'Europa, e dell'Italia in particolare, potrebbe essere vista anche come un enorme vantaggio competitivo, in cui gli ultimi arrivati possono beneficiare a costi irrisori degli sforzi compiuti dai pionieri. Le barriere d'entrata non sono insormontabili neppure per le imprese di minori dimensioni, a patto che si riesca ad adattare alla realtà locale un fenomeno di dimensioni globali.
In ogni modo, aldilà di tutte le esagerazioni e fantasie, che abbondano anche oltre oceano, e della non poca confusione che circonda un fenomeno ancora nuovo, sembra che la rete stia cominciando ad entrare nella vita quotidiana di un gran numero di persone, anche in Italia. "L'esperienza americana è un punto di riferimento di cui occorre tenere conto; ma, secondo me, con molta cautela ".
Fonte: "Commercio online", Il Sole 24 Ore
Grafico 1.4 Il commercio elettronico nel mondo
Se è giusto trarre lezioni dall'esperienza dei paesi più avanzati, può risultare pericoloso cercare di copiare passivamente il loro percorso. Questo per vari motivi:
@ Prima di tutto, c'è un fatto quantitativo. Non solo il numero di persone, imprese e organizzazioni in rete è enormemente più grande, ma è anche maggiore la quantità di denaro che si muove; chi opera nella "periferia" del sistema si muove, non solo su quantità diverse, ma su situazioni strutturalmente diverse da quelle del "centro".
@ Ci sono differenze strutturali nel mercato, e nelle abitudini, che precedono lo sviluppo della rete. Da moltissimo tempo negli Stati Uniti è diffuso l'acquisto su catalogo o comunque per posta: il "commercio elettronico", in una realtà come quella americana, è solo una variante, più pratica ed efficiente, di pratiche abituali e consolidate.
@ C'è un uso tradizionale e abituale delle carte di credito, anche per gli acquisti più semplici. Ci sono anche in America fenomeni di diffidenza, per il diffuso timore che qualcuno riesca ad intercettare i numeri delle carte; ma sono assai più facilmente superabili in un contesto in cui l'uso della "moneta plastica" è un'abitudine quotidiana per molti.
@ C'è un livello di "informatizzazione", cioè di uso abituale del computer per ogni sorta di attività professionali e personali, enormemente superiore al nostro. Ad esempio, l'abitudine di mandare i figli in scuole residenziali lontane dalla famiglia, determina un assiduo ricorso alla posta elettronica come strumento privilegiato di contatto e ciò determina una crescita più veloce che da noi della cultura della rete.
@ Infine, in molte attività la normativa italiana pone sentieri burocratici, che non sempre è facile superare. Problemi del genere ci sono in tutto il mondo, ma sappiamo che da noi sono particolarmente difficili e complessi.
Questi sono solo alcuni dei motivi per cui la situazione americana è profondamente diversa dalla nostra. Nonostante le differenze non siano superabili nel breve periodo, possibilità di successo ci sono anche per imprese italiane, anche se, per ottenere buoni risultati, gli sforzi dovranno seguire tre principali direzioni:
1. Adattare la realtà americana al nostro contesto socioculturale e approfittare delle occasioni. In pochissimi paesi si concentrano oggi otto o nove decimi delle possibilità concrete di vendere prodotti o servizi; un mercato grande ma ferocemente competitivo, in cui è necessario trovare una nicchia in cui essere efficienti o comunque un'identità precisa e qualificata. Cosa che molti sono riusciti a fare anche senza la rete, e che con la rete si può fare ancora meglio.
2. Capire quali opportunità si possono trovare in un mercato come quello italiano, diversissimo dai mercati "avanzati", ma non per questo impercorribile. Si tratta di identificare metodi nuovi e originali, che possano aprire utili sentieri là dove non ci sono affollate autostrade.
3. Capire gli altri mercati nella loro individualità, da quelli a più forte diffusione della rete, fino a quelli ancora più arretrati del nostro, dove può diventare interessante assumere il ruolo di "pionieri".
Insomma l'arretratezza italiana può essere vista in due modi contrapposti: come un problema difficilmente sormontabile, o come un'occasione per aprire nuove strade. Le possibilità ci sono, e sono interessanti. Ma la via del successo non è basata su formule generiche o modelli ripetitivi, ma su creatività, flessibilità e pazienza, continua esplorazione del mercato e verifica dei risultati ottenuti.
5. Dimensioni e previsioni del fenomeno in Italia
Nonostante le vistose divergenze in termini quantitativi fra i vari istituti di ricerca (Osservatorio SDA Bocconi, Databank Consulting, Assintel), il dato interessante, che emerge dall'analisi, è che numerose sono le attenzioni rivolte anche in Italia al nuovo fenomeno; ciò fa presagire un'esplosione delle transazioni online e quindi un incremento degli investimenti a breve termine, al fine di ridurre il divario che il nostro paese ha nei confronti, non solo degli Usa, ma anche di Germania, Inghilterra, Francia, Danimarca, Finlandia.
Da un'analisi di IDC, condotta nel maggio del 1998 su un campione di famiglie europee, emerge, infatti, che l'Italia è pesantemente in ritardo nei confronti degli altri partner europei non solo in relazione al numero di utenti Internet (si veda la tabella 1.2), ma anche e soprattutto per ciò che riguarda il commercio in rete: sono solo 128.000 (su circa 2.6 milioni di utenti) gli italiani che hanno acquistato almeno una volta un bene o un servizio in rete, una percentuale (4.9%) addirittura di circa 1/4 rispetto ai tedeschi (19%) , cui spetta il primato di maggiori acquirenti online e comunque troppo inferiore alla media europea, che è del 12%.
Fonte: EITO,1997
Tabella 1.2 Gli utenti Internet in Europa (in migliaia)
Anche se ultimamente la crescita di Internet in Italia è molto più vivace che in passato, il divario da colmare è notevole: l'Italia rappresenta il 4% dell'economia mondiale, ma solo l'1% della rete; rappresenta il 12% del PIL europeo, il 14% di automobili, il 20% e forse più di telefoni cellulari, ma solo il 5% della rete in Europa . Per essere competitivi con le maggiori economie europee e per far si che il commercio elettronico possa svilupparsi dovremmo almeno triplicare la nostra quota di presenza in Internet.
Fonte: nostra elaborazione da fonti diverse
Grafico 1.5 Quote di presenza dell'Italia in Europa (in percentuale)
Sempre secondo IDC, le aziende italiane collegate alla rete erano circa 160.000 nel 1997 e si prevede saranno 220.000 nel 2000.
Fonte: IDC, Il Sole 24 Ore, 17 aprile 1998
Grafico 1.6 Imprese italiane in rete
Le aziende medio grandi difficilmente ormai riescono a fare a meno della rete: 3 su 4 sono connesse, 2 su 3 hanno un sito Web, anche se per ora neppure 4 su 100 effettuano transazioni online.
Fonte IDC, da "Il Sole 24 Ore" aprile '98
Grafico 1.7 Imprese italiane medio-grandi (prime 2000 per fatturato)
Tornando a focalizzare l'attenzione sul commercio elettronico, interessante è lo studio effettuato da Databank Consulting, che ha effettuato un'articolata previsione del fenomeno per l'anno 2000 . Secondo l'istituto di ricerca, si verificherà la cosiddetta "soluzione dell'uno per cento": per ogni cento euro di fatturato, uno sarà ricavato dalla vendita online a consumatori finali. Naturalmente si parla di prodotti che già hanno dimostrato una buona propensione alla distribuzione via Internet: informativi (banche-dati, pubblicità, editoria), informatici (PC, software), per il tempo libero (musica, viaggi).
Fonte: Databank Consulting
Tabella 1.3 Commercio elettronico in Italia nel 2000 (miliardi di lire)
Databank Consulting ritiene che il mercato business to consumer raggiungerà in valore assoluto i 1.450 miliardi di lire: una cifra irrisoria rispetto al colosso Usa, ma pur sempre solo di poco minore al giro d'affari complessivo delle attuali vendite dirette via posta. Inoltre, sempre secondo Databank, importante rilevare come il commercio in rete tra aziende continuerà a prevalere: si stima un valore delle transazioni di 2000 miliardi di lire per il 1999 e di 6000 miliardi per il 2000. La divaricazione tra tassi di crescita del fenomeno commerciale in azienda e in ambiente domestico rispecchia una tendenza globale, dovuta al fatto che anche in Italia il mercato residenziale è caratterizzato da andamenti "asincroni" che non gli consentiranno, almeno nel breve periodo, di diventare il baricentro delle iniziative di commercio elettronico.
Aldilà del cronico ritardo che il nostro paese è chiamato a ridurre, oggi numerosi sono gli elementi che inducono ad essere ottimisti e a giustificare le previsioni di crescita anche per il nostro mercato.
Primo motivo di ottimismo è che sia la Comunità Europea che il Governo Italiano hanno avviato una serie di iniziative volte a promuovere la crescita del Commercio Elettronico. L'intenzione è di colmare la lacuna di una normativa in materia e di rendere noti i risultati di alcuni progetti pilota di Commercio Elettronico, al fine di diffondere i migliori modelli strategici ed operativi.
Inoltre, gli standard più affidabili nel campo dei pagamenti online avranno una diffusione sempre più ampia e di questo beneficerà sia il commercio tra aziende e consumatori sia quello tra sole aziende.
Terza ed ultima indicazione incoraggiante viene dalle numerose ricerche, che registrano in Italia una notevole crescita delle connessioni a Internet anche nelle PMI. E' ragionevole ritenere che nel momento in cui anche questi soggetti avranno sperimentato le potenzialità del Commercio Elettronico, il fenomeno aumenterà di dimensione in modo esponenziale, soprattutto in considerazione del peso notevole che la PMI ha nel tessuto produttivo nazionale.
Fonte: Gemini Consulting,
Grafico 1.8 Evoluzione del commercio elettronico in Italia (volumi di scambio in miliardi di lire)











IL COMMERCIO ELETTRONICO: UN NUOVO CANALE DI VENDITA

Definizioni di commercio elettronico
Del Commercio Elettronico si possono dare una e mille definizioni, poiché la neonata letteratura in materia fornisce interpretazioni molto eterogenee circa le realtà che caratterizzano il nuovo canale di vendita.
Uno dei maggiori esperti, R. Kalakota, definisce il commercio elettronico come "[...] una metodologia di business che si presta ad utenti, commercianti e organizzazioni per ridurre i costi, migliorare la qualità dei prodotti e dei servizi e contemporaneamente ridurre i tempi di consegna. Questo si presta anche per ricercare e trovare efficacemente informazioni in risposta a qualsiasi domanda ed in supporto ad ogni decisione manageriale e aziendale ".
Per Pier Luigi Bersani, ministero dell'industria, del commercio e dell'artigianato, che ha recentemente presentato un documento intitolato "Linee di politica industriale per il Commercio Elettronico", l'e-commerce "consiste nello svolgimento di attività commerciali e di transazioni per via elettronica e comprende attività diverse quali: la commercializzazione di beni e servizi per via elettronica; la distribuzione on-line di contenuti digitali, l'effettuazione per via elettronica di operazioni finanziarie e di borsa, gli appalti pubblici per via elettronica ed altre procedure di tipo transattivo della Pubblica Amministrazione".
Www.ispo.cec.be/ecommerce, sito dedicato alle iniziative lanciate dall'Unione Europea per promuovere il commercio online, considera Commercio Elettronico "qualsiasi forma di transazione economica nella quale le parti, avvalendosi di reti di telecomunicazione, interagiscono elettronicamente piuttosto che attraverso un diretto contatto fisico".
Ai fini del mio lavoro, comunque, quello che più interessa è cercare di capire i meccanismi che regolano il fenomeno, le reali opportunità che offre questo nuovo canale di vendita, le strategie di marketing che è indispensabile porre in essere. Solo in tal modo sarà possibile applicare i suggerimenti offerti dalla dottrina e i modelli analizzati.

Principali tipologie
Il Commercio Elettronico viene distinto in due principali categorie:
A. Business to Business (B-to-B)
B. Business to Consumer
Tali tipologie differiscono tra loro, oltre che per il tipo di soggetti coinvolti (solo aziende nel primo caso, aziende e consumatori nel secondo), anche e soprattutto per le diverse dimensioni che i due fenomeni assumono. Si stima che il B-to-B superi il business diretto ai consumatori:
@ di quattro volte in termini di fatturato in rete,
@ di due ordini di grandezza in termini di volume di scambi.
Fonti più precise (IDC) permettono di capire meglio il divario esistente, in termini di fatturato, tra le due tipologie in esame (si veda il grafico 1.1).
Fonte: IDC, 1998
Grafico 1.1 fatturato annuale da commercio elettronico
Interessante, infine, rilevare lo studio condotto da IBM e "Economist Intelligence Unit ", secondo il quale le due tipologie di commercio elettronico divergono anche in termini temporali di redditività: nel breve periodo, le maggiori opportunità sui ritorni degli investimenti sono legate al mercato B-to-B; nel lungo termine, viceversa, sarà il B-to-consumer ad offrire più elevate possibilità di guadagno. La ricerca, datata Settembre 1998, evidenzia anche una differenza tra Europa e Usa, nell'utilizzo del nuovo strumento commerciale. Negli Stati Uniti, a dimostrazione della maturità raggiunta dal fenomeno, il modello che va per la maggiore è il B-to-consumer. Nel vecchio continente, invece, è più diffuso il B-to-B, come affermare che le aziende sono più propense a sperimentare il commercio elettronico rispetto ai cyber-consumatori, poiché vedono in tale fenomeno un nuovo e vantaggioso canale commerciale.
a Business to Business
Nella categoria B-to-B rientrano quindi tutte quelle transazioni nelle quali i soggetti coinvolti siano due o più aziende.
Potenzialmente un'impresa potrebbe utilizzare la rete per inoltrare ordini ai propri fornitori, acquisire documentazione sui prodotti e sui servizi ad essi collegati, coordinare le operazioni di acquisto e di vendita, studiare le mosse della concorrenza. Il commercio elettronico B-to-B, infatti, può essere inteso come gestione della cosiddetta catena degli approvvigionamenti sia a monte (impresa acquirente di beni e servizi) sia a valle dell'attività di produzione (impresa fornitrice di beni e servizi a clienti business). Gli obiettivi di tale management (diminuzione dei tempi di turn-over del ciclo produttivo, riduzione dei costi d'impresa) sono resi possibili dalla maggior disponibilità e certezza delle informazioni, che vengono elaborate in tempo reale. L'utilizzo di Internet, quindi, presuppone che vengano costruiti online i tre sistemi basilari nella catena degli approvvigionamenti :
a. il sistema di pianificazione operativa, che deve soddisfare rapidamente le necessità di modo, tempo e luogo del singolo cliente.
b. il sistema esecutivo, che gestisce i flussi di prodotti, servizi ed informazioni lungo la catena.
c. Il sistema di quantificazione delle performance, che trasmette alle aree funzionali di controllo e finanziarie i dati relativi alle singole attività intraprese; tale flusso di dati viene gestito spesso sulle cosiddette reti Intranet (reti aziendali che usano la tecnologia Internet, ma che sono inaccessibili da terzi al fine di proteggere la segretezza dei dati comunicati).
La tipologia di commercio elettronico B-to-B è quella che esiste da più anni, poiché si è sviluppata grazie all'EDI . Con l'esplosione del fenomeno Internet, oggi le imprese possono meglio sfruttare i vantaggi offerti dall'EDI, poiché operano in un mercato di dimensioni planetarie e in un ambiente multimediale che accentua enormemente l'importanza della competitività e quindi l'efficienza aziendale.
Interessante poi, specie per la composizione del tessuto industriale italiano, è che ottime opportunità si aprono anche per la PMI, struttura portante della nostra economia. I costi ridotti per aprire un sito, specialmente se si pensa che l'attività in rete sostituisce completamente anche la costosa comunicazione via telefono e via fax, hanno permesso anche a piccole società di raggiungere risultati ragguardevoli.
Emblematico è il caso, ad esempio, di una piccola società di Modena, la Logos, che fornisce servizi di traduzione; tale società, attraverso l'uso della rete, ha virtualizzato l'intero ciclo delle attività, dalla fase di acquisizione del materiale dal cliente, alla distribuzione del prodotto finito (la traduzione), all'assistenza da un capo ad un altro del mondo. Oggi, grazie ad Internet, il gruppo Logos è tra le prime cinque aziende nel mondo nel suo settore, con solo 120 addetti nella sede di Modena e altri 1200 specialisti sparsi per il mondo e gode di un portafoglio clienti di tutto rispetto (Microsoft, IBM, AT&T, Ferrari, Fiat, Mercedes, Volksvagen, Toyota, Mitsubishi).
b Business to Consumer
A differenza del B-to-B, la categoria Business to Consumer comprende i processi di vendita al dettaglio, che vanno dalla presentazione del prodotto-servizio in rete, alla gestione dell'ordine del consumatore, al customer service, fino a giungere a volte al pagamento online (nel qual caso si parla di commercio elettronico in senso stretto) e alle operazioni di consegna del bene fisico .
L'esplosione di questa tipologia di Commercio Elettronico ha coinciso con la capillare diffusione di Internet negli uffici, nelle case, nelle scuole. I dati parlano chiaro: il numero degli "host" computer, cioè i computer collegati in modo permanente alla rete, sta crescendo a tassi spettacolari; all'inizio del 1998 erano più di 30 milioni i computer collegati nel mondo contro gli appena 5 milioni del 1995.
Fonte: "Commercio online", Il Sole 24 Ore, 24/10/98
Grafico 1.2 Host computer nel mondo (dati in milioni)
Fonte: Nua, 1998
Grafico 1.3 Gli utenti Internet nel mondo

Se, da un lato, questo nuovo media ha permesso ad aziende di tutto il mondo di entrare in contatto diretto con consumatori altrimenti difficilmente raggiungibili, dall'altro, per i consumatori stessi, si è aperta la possibilità di avere accesso ad un'offerta illimitata di prodotti, stando comodamente seduti davanti al proprio computer.
Uno dei casi di maggior successo preso ad esempio, è quello di Amazon (www.amazon.com), una vera e propria libreria virtuale che mette a disposizione dell'utente una scelta di oltre 2.500.000 di titoli. Il consumatore può acquistare anche il libro più raro, beneficiando di sconti notevoli sul prezzo di copertina, della possibilità di ottenere informazioni utili da lettori di tutto il mondo, della possibilità di farselo recapitare anche in meno di 48 ore, sostenendo solo le spese di consegna.
Questo ed altri esempi possono far comprendere come cresceranno le aspettative degli utenti, destinati a diventare sempre più esigenti, forti del fatto che il costo per trovare un altro fornitore (il cosiddetto Switching Cost ) sarà sempre minore.

3. Dimensioni, stime e proiezioni del fenomeno
I dati che riguardano il mercato di Internet ed il commercio elettronico in particolare, sono spesso diversi e contrastanti tra loro: "le stime effettuate in rete sono, nel migliore dei casi, discipline appartenenti al campo delle arti inesatte", come ironicamente affermano gli analisti della NUA (www.nua.ie), centro di ricerca irlandese sul commercio elettronico. A volte ciò dipende da metodologie di indagine statisticamente non corrette (perché effettuate su campioni non rappresentativi della popolazione); altre volte semplicemente perché si utilizzano diverse unità di misura del mercato per descrivere lo stesso fenomeno. In effetti, come abbiamo visto, è la stessa definizione di commercio elettronico a non essere univoca, altrimenti non si spiegherebbero valori di mercato a dir poco divergenti tra i principali istituti di ricerca a livello mondiale, come Activmedia, Forrester, IDC (International Data Corporation).
Ad esempio, nella sua definizione molto allargata di commercio elettronico, Activmedia (www.activemedia.com), include qualunque operazione online che avvii una transazione, anche se poi la conclusione della stessa avviene successivamente offline, cioè con un mezzo di comunicazione diverso dal Web ; inoltre, il fatto di considerare "e-commerce" anche il reddito prodotto dal risparmio generato dalle attività online, spiega le enormi divergenze quantitative rispetto, ad esempio, all'istituto di ricerca Forrester (www.forrester.com), che non include nella definizione né le operazioni B-to-B, né quelle di supporto alle attività di rete.
Diamo qualche numero a titolo esemplificativo. Secondo Activmedia il business generato online a livello mondiale è stato di 2.7 miliardi di dollari nel 1996, 22 miliardi nel 1997, 74 nel 1998. Le previsioni stimano la crescita in 300 miliardi di dollari entro il 2000 e di 1200 miliardi di dollari per il 2002. Si avranno 1.6 milioni di siti Web commerciali, contro i 414.000 del 1997 e i 193.000 di un anno prima. Attualmente, secondo l'istituto di ricerca americano sono 4 su 10 le aziende che vendono online (in senso lato), con un fatturato medio (per quelle medio-grandi) di 32.000 dollari mensili contro i soli 1.700 dollari medi mensili dell'intero mercato. Interessante osservare come, secondo Activmedia, tre siti Web su cinque con almeno tre anni di vita dichiarano di produrre profitto; tale rapporto scende a due su cinque per i siti Web più "giovani". Nel 1996, inoltre, su 110 iniziative commerciali online indagate, il 31% chiuderà l'esercizio finanziario in attivo, il 28% chiuderà in rosso ma con buone speranze di arrivare al pareggio entro 12/24 mesi, mentre il 41% non vede all'orizzonte prospettive di ritorno dell'investimento. Lo scenario, almeno a breve termine, è quindi incerto per una parte rilevante di queste iniziative, anche se è rassicurante il dato relativo agli utili generati o prospettati, in cosi' breve tempo, da quasi il 60% degli operatori commerciali.
Secondo Forrester, invece, il commercio elettronico (relativo, ricordiamo, solo al business-to-consumer) ha generato 2 miliardi di dollari nel 1997 e raggiungerà quota 17 miliardi di dollari nel 2001.
Una posizione intermedia è assunta da IDC, la cui definizione di commercio elettronico è vicina a quella di Activmedia: i 21 miliardi di dollari del 1997 diventeranno 117 nel 2000 e circa 420 nel 2002. Secondo IDC, inoltre, la percentuale di utenti che acquisteranno sul Web crescerà modestamente (39% nel 2001 contro il 25% del 1197)
Tabella 1.1 Stime di fatturato da commercio elettronico nel mondo
I dati mostrano quanto sia importante la trasparenza sulle definizioni e l'uso coerente dei risultati disponibili. Infatti, più che il dato preciso, ciò che serve è saper osservare attentamente il trend di crescita del fenomeno e le variabili che lo influenzano; solo in tal modo si potrà trarre beneficio dall'analisi dei dati di mercato e sfruttare maggiormente questo nuovo settore di attività.
4. La realtà italiana: utopia o mercato del 3° millennio?
I dati fin qui riportati, pur considerando il fenomeno a livello globale, riguardano prevalentemente la realtà americana. Infatti, anche se il commercio elettronico si sta diffondendo pressoché ovunque, gran parte del business viene sviluppato in Usa (86%), terra d'origine, e solo marginalmente in Europa (5%) , come mostra il grafico 1.4.
L'arretratezza tecnologica e culturale dell'Europa, e dell'Italia in particolare, potrebbe essere vista anche come un enorme vantaggio competitivo, in cui gli ultimi arrivati possono beneficiare a costi irrisori degli sforzi compiuti dai pionieri. Le barriere d'entrata non sono insormontabili neppure per le imprese di minori dimensioni, a patto che si riesca ad adattare alla realtà locale un fenomeno di dimensioni globali.
In ogni modo, aldilà di tutte le esagerazioni e fantasie, che abbondano anche oltre oceano, e della non poca confusione che circonda un fenomeno ancora nuovo, sembra che la rete stia cominciando ad entrare nella vita quotidiana di un gran numero di persone, anche in Italia. "L'esperienza americana è un punto di riferimento di cui occorre tenere conto; ma, secondo me, con molta cautela ".
Fonte: "Commercio online", Il Sole 24 Ore
Grafico 1.4 Il commercio elettronico nel mondo
Se è giusto trarre lezioni dall'esperienza dei paesi più avanzati, può risultare pericoloso cercare di copiare passivamente il loro percorso. Questo per vari motivi:
@ Prima di tutto, c'è un fatto quantitativo. Non solo il numero di persone, imprese e organizzazioni in rete è enormemente più grande, ma è anche maggiore la quantità di denaro che si muove; chi opera nella "periferia" del sistema si muove, non solo su quantità diverse, ma su situazioni strutturalmente diverse da quelle del "centro".
@ Ci sono differenze strutturali nel mercato, e nelle abitudini, che precedono lo sviluppo della rete. Da moltissimo tempo negli Stati Uniti è diffuso l'acquisto su catalogo o comunque per posta: il "commercio elettronico", in una realtà come quella americana, è solo una variante, più pratica ed efficiente, di pratiche abituali e consolidate.
@ C'è un uso tradizionale e abituale delle carte di credito, anche per gli acquisti più semplici. Ci sono anche in America fenomeni di diffidenza, per il diffuso timore che qualcuno riesca ad intercettare i numeri delle carte; ma sono assai più facilmente superabili in un contesto in cui l'uso della "moneta plastica" è un'abitudine quotidiana per molti.
@ C'è un livello di "informatizzazione", cioè di uso abituale del computer per ogni sorta di attività professionali e personali, enormemente superiore al nostro. Ad esempio, l'abitudine di mandare i figli in scuole residenziali lontane dalla famiglia, determina un assiduo ricorso alla posta elettronica come strumento privilegiato di contatto e ciò determina una crescita più veloce che da noi della cultura della rete.
@ Infine, in molte attività la normativa italiana pone sentieri burocratici, che non sempre è facile superare. Problemi del genere ci sono in tutto il mondo, ma sappiamo che da noi sono particolarmente difficili e complessi.
Questi sono solo alcuni dei motivi per cui la situazione americana è profondamente diversa dalla nostra. Nonostante le differenze non siano superabili nel breve periodo, possibilità di successo ci sono anche per imprese italiane, anche se, per ottenere buoni risultati, gli sforzi dovranno seguire tre principali direzioni:
1. Adattare la realtà americana al nostro contesto socioculturale e approfittare delle occasioni. In pochissimi paesi si concentrano oggi otto o nove decimi delle possibilità concrete di vendere prodotti o servizi; un mercato grande ma ferocemente competitivo, in cui è necessario trovare una nicchia in cui essere efficienti o comunque un'identità precisa e qualificata. Cosa che molti sono riusciti a fare anche senza la rete, e che con la rete si può fare ancora meglio.
2. Capire quali opportunità si possono trovare in un mercato come quello italiano, diversissimo dai mercati "avanzati", ma non per questo impercorribile. Si tratta di identificare metodi nuovi e originali, che possano aprire utili sentieri là dove non ci sono affollate autostrade.
3. Capire gli altri mercati nella loro individualità, da quelli a più forte diffusione della rete, fino a quelli ancora più arretrati del nostro, dove può diventare interessante assumere il ruolo di "pionieri".
Insomma l'arretratezza italiana può essere vista in due modi contrapposti: come un problema difficilmente sormontabile, o come un'occasione per aprire nuove strade. Le possibilità ci sono, e sono interessanti. Ma la via del successo non è basata su formule generiche o modelli ripetitivi, ma su creatività, flessibilità e pazienza, continua esplorazione del mercato e verifica dei risultati ottenuti.
5. Dimensioni e previsioni del fenomeno in Italia
Nonostante le vistose divergenze in termini quantitativi fra i vari istituti di ricerca (Osservatorio SDA Bocconi, Databank Consulting, Assintel), il dato interessante, che emerge dall'analisi, è che numerose sono le attenzioni rivolte anche in Italia al nuovo fenomeno; ciò fa presagire un'esplosione delle transazioni online e quindi un incremento degli investimenti a breve termine, al fine di ridurre il divario che il nostro paese ha nei confronti, non solo degli Usa, ma anche di Germania, Inghilterra, Francia, Danimarca, Finlandia.
Da un'analisi di IDC, condotta nel maggio del 1998 su un campione di famiglie europee, emerge, infatti, che l'Italia è pesantemente in ritardo nei confronti degli altri partner europei non solo in relazione al numero di utenti Internet (si veda la tabella 1.2), ma anche e soprattutto per ciò che riguarda il commercio in rete: sono solo 128.000 (su circa 2.6 milioni di utenti) gli italiani che hanno acquistato almeno una volta un bene o un servizio in rete, una percentuale (4.9%) addirittura di circa 1/4 rispetto ai tedeschi (19%) , cui spetta il primato di maggiori acquirenti online e comunque troppo inferiore alla media europea, che è del 12%.
Fonte: EITO,1997
Tabella 1.2 Gli utenti Internet in Europa (in migliaia)
Anche se ultimamente la crescita di Internet in Italia è molto più vivace che in passato, il divario da colmare è notevole: l'Italia rappresenta il 4% dell'economia mondiale, ma solo l'1% della rete; rappresenta il 12% del PIL europeo, il 14% di automobili, il 20% e forse più di telefoni cellulari, ma solo il 5% della rete in Europa . Per essere competitivi con le maggiori economie europee e per far si che il commercio elettronico possa svilupparsi dovremmo almeno triplicare la nostra quota di presenza in Internet.
Fonte: nostra elaborazione da fonti diverse
Grafico 1.5 Quote di presenza dell'Italia in Europa (in percentuale)
Sempre secondo IDC, le aziende italiane collegate alla rete erano circa 160.000 nel 1997 e si prevede saranno 220.000 nel 2000.
Fonte: IDC, Il Sole 24 Ore, 17 aprile 1998
Grafico 1.6 Imprese italiane in rete
Le aziende medio grandi difficilmente ormai riescono a fare a meno della rete: 3 su 4 sono connesse, 2 su 3 hanno un sito Web, anche se per ora neppure 4 su 100 effettuano transazioni online.
Fonte IDC, da "Il Sole 24 Ore" aprile '98
Grafico 1.7 Imprese italiane medio-grandi (prime 2000 per fatturato)
Tornando a focalizzare l'attenzione sul commercio elettronico, interessante è lo studio effettuato da Databank Consulting, che ha effettuato un'articolata previsione del fenomeno per l'anno 2000 . Secondo l'istituto di ricerca, si verificherà la cosiddetta "soluzione dell'uno per cento": per ogni cento euro di fatturato, uno sarà ricavato dalla vendita online a consumatori finali. Naturalmente si parla di prodotti che già hanno dimostrato una buona propensione alla distribuzione via Internet: informativi (banche-dati, pubblicità, editoria), informatici (PC, software), per il tempo libero (musica, viaggi).
Fonte: Databank Consulting
Tabella 1.3 Commercio elettronico in Italia nel 2000 (miliardi di lire)
Databank Consulting ritiene che il mercato business to consumer raggiungerà in valore assoluto i 1.450 miliardi di lire: una cifra irrisoria rispetto al colosso Usa, ma pur sempre solo di poco minore al giro d'affari complessivo delle attuali vendite dirette via posta. Inoltre, sempre secondo Databank, importante rilevare come il commercio in rete tra aziende continuerà a prevalere: si stima un valore delle transazioni di 2000 miliardi di lire per il 1999 e di 6000 miliardi per il 2000. La divaricazione tra tassi di crescita del fenomeno commerciale in azienda e in ambiente domestico rispecchia una tendenza globale, dovuta al fatto che anche in Italia il mercato residenziale è caratterizzato da andamenti "asincroni" che non gli consentiranno, almeno nel breve periodo, di diventare il baricentro delle iniziative di commercio elettronico.
Aldilà del cronico ritardo che il nostro paese è chiamato a ridurre, oggi numerosi sono gli elementi che inducono ad essere ottimisti e a giustificare le previsioni di crescita anche per il nostro mercato.
Primo motivo di ottimismo è che sia la Comunità Europea che il Governo Italiano hanno avviato una serie di iniziative volte a promuovere la crescita del Commercio Elettronico. L'intenzione è di colmare la lacuna di una normativa in materia e di rendere noti i risultati di alcuni progetti pilota di Commercio Elettronico, al fine di diffondere i migliori modelli strategici ed operativi.
Inoltre, gli standard più affidabili nel campo dei pagamenti online avranno una diffusione sempre più ampia e di questo beneficerà sia il commercio tra aziende e consumatori sia quello tra sole aziende.
Terza ed ultima indicazione incoraggiante viene dalle numerose ricerche, che registrano in Italia una notevole crescita delle connessioni a Internet anche nelle PMI. E' ragionevole ritenere che nel momento in cui anche questi soggetti avranno sperimentato le potenzialità del Commercio Elettronico, il fenomeno aumenterà di dimensione in modo esponenziale, soprattutto in considerazione del peso notevole che la PMI ha nel tessuto produttivo nazionale.
Fonte: Gemini Consulting,
Grafico 1.8 Evoluzione del commercio elettronico in Italia (volumi di scambio in miliardi di lire)









IL COMMERCIO ELETTRONICO: UN NUOVO CANALE DI VENDITA
Iniziative dei governi europei
Gli Stati appartenenti alla Comunità Economica Europea, per far fronte alle problematiche specifiche del commercio elettronico e colmare il divario con il mercato americano, hanno da tempo approntato una serie di misure, intese ad incoraggiare un vigoroso sviluppo del fenomeno in Europa.
Due sono i documenti significativi da consultare per capire quali siano le iniziative già varate e quelle in agenda per i prossimi mesi.
Il primo è una comunicazione della Commissione Europea del 15 Aprile 1997 intitolata: "Un'iniziativa europea in materia di Commercio Elettronico". Il secondo è a cura del MICA, Ministero dell'Industria, del Commercio e dell'Artigianato e risale a luglio 1998. Il suo titolo è: "Linee di politica industriale per il Commercio Elettronico".
a "Un'iniziativa europea in materia di Commercio Elettronico "
L'obiettivo di questo primo scritto è quello di definire "un quadro coerente di politiche per la futura azione comunitaria, in materia di commercio elettronico e mira a delineare una posizione europea comune, per conseguire più efficacemente un consenso globale, in sede di negoziati internazionali".
L'iniziativa è suddivisa in quattro parti:
I. La prima esprime la consapevolezza della Commissione Europea sulle reali potenzialità del commercio in rete per i consumatori finali, le imprese ed in particolare per le PMI. All'orizzonte si possono vedere già ottimi segnali, poiché il commercio su Internet sta rapidamente guadagnando terreno in vari stati membri dell'Unione Europea. È interessante osservare come la commissione europea abbia inserito, nella lista delle priorità per la diffusione del commercio elettronico, il problema "euro", affermando che "l'impiego della moneta unica nel più grande mercato unico mondiale rappresenterà un potente incentivo all'adozione del Commercio Elettronico in Europa, mentre il commercio elettronico può contribuire all'accettabilità dell'euro". E anche se la migrazione verso la nuova moneta unica da parte dei negozi virtuali è ancora all'inizio , è certo che la sua adozione contribuirà a ridurre ulteriormente il divario con gli Usa, da sempre caratterizzati, rispetto al "vecchio continente", da unità culturale e monetaria.
II. La seconda parte affronta il tema delle infrastrutture tecnologiche. Fattore positivo, in quest'ambito, è la liberalizzazione del settore delle telecomunicazioni, con il conseguente aumento della concorrenza e, quindi, con le diminuzioni dei prezzi fissi e di connessione alla rete, che oggi vincolano gli utenti europei .
III. La terza parte si occupa dell'esigenza di creare un quadro normativo favorevole allo sviluppo del fenomeno commerciale. Le attività per cui si auspica una regolamentazione sono la creazione d'impresa, la promozione e la diffusione del commercio elettronico, la conclusione di contratti e l'effettuazione di pagamenti per via elettronica.
IV. La quarta ed ultima parte prende in considerazione la necessità di promuovere un contesto commerciale tale sensibilizzare maggiormente i consumatori e aumentarne la fiducia verso il commercio elettronico. Molto rilevante è altresì il compito di incoraggiare le prassi ottimali (le Best Practices) nelle imprese europee grazie a programmi per le PMI, ad azioni di supporto e di ricerca e sviluppo, nonché a progetti pilota.
"Le politiche della Commissione sono intese a realizzare tale quadro coerente di azioni di tipo tecnologico, regolamentare e di sostegno con urgenza ed entro l'anno 2000".

b "Linee di politica industriale per il Commercio Elettronico"
Il documento, presentato a fine luglio dal MICA è il frutto di una tavola rotonda tra esponenti del governo e autorevoli rappresentanti di società di ricerca, imprese del settore, associazioni pubbliche e private coinvolte nel Commercio Elettronico. Il risultato ottenuto rappresenta uno spaccato dello stato dell'arte in Italia da analizzare attentamente, al fine di far chiarezza sulle linee di condotta del nostro Governo nei confronti del commercio elettronico.
Il MICA fa subito chiarezza sul suo ruolo, affermando che "il commercio elettronico rientra a pieno titolo nella categoria dei servizi che si affermano sulla base delle spinte del mercato ed è necessario che l'azione del Governo incida nel motivare sia la domanda, sia l'offerta coinvolte da tale applicazione".
Dopo questa importante precisazione, viene delineato un quadro d'insieme degli interventi che il Governo intende porre in essere:
@ sviluppare un sistema dei pagamenti online efficiente e sicuro e promuovere la moneta elettronica quale strumento principale di pagamento.
@ diffondere nuovi processi di Commercio Elettronico e creare nuove attività imprenditoriali, nonché nuove figure professionali.
@ ridurre progressivamente i costi dei servizi di telecomunicazione, a seguito del nuovo regime di concorrenza del settore;
@ avviare adeguati programmi di formazione, in ragione soprattutto del basso livello di alfabetizzazione informatica del settore, particolarmente accentuata tra le PMI.
@ definire un trattamento fiscale non penalizzante per i beni, tangibili e non, scambiati sul Web.
Per dare più concretezza a queste affermazioni e imprimere una certa urgenza ai provvedimenti, il MICA ha poi stilato un vero proprio calendario, a testimonianza dell'approccio sistematico seguito nel raggiungere gli obiettivi prefissati.
Tra le azioni particolarmente apprezzabili è opportuno ricordare l'istituzione, presso il MICA, di un "Osservatorio permanente per il commercio elettronico" (decreto legge 27 Nov. 1998), che ha la funzione principale di "trattare ed approfondire organicamente le politiche ed i temi della Società dell'Informazione e del commercio elettronico, monitorando lo sviluppo delle diverse iniziative attivate ed individuando le occasioni/opportunità di trasferimento ad altri contesti delle esperienze man mano acquisite" (art.1) .
Il documento in esame, il cosiddetto "pacchetto Bersani", è disponibile sul sito del MICA all'indirizzo:
http://www.minindustria.it/Osservatorio/Pol_CE/Pol_CE_ita.htm.
A questo punto è bene approfondire alcuni tra i più importanti aspetti del fenomeno, indicati dal documento stesso.

L'aspetto fiscale
Le fonti normative, che allo stato attuale interessano il commercio elettronico, sono in continua evoluzione anche in Italia, dove il fenomeno sta compiendo i primi, importanti passi. Oltre al già citato pacchetto Bersani, che prevede agevolazioni fiscali soprattutto in materia di I.V.A., un'altra importante fonte da ricordare è il DL 31 marzo 1998 n.114, in cui la novità più interessante è il riconoscimento normativo, dettato dall'articolo 21, del "commercio elettronico". La norma riconoscere al MICA (e non al ministero delle Finanze) la funzione di garante della partecipazione dell'Italia al processo di cooperazione internazionale, per lo sviluppo del commercio elettronico.
Figura 1.1 Principali fonti normative italiane relative all'E-commerce
A livello mondiale, numerose sono le iniziative, i convegni, le fonti di discussione con le quali si cerca di uniformare le molteplici e differenti giurisdizioni nazionali. Anche l'OCSE , recentemente, ha ribadito l'incidenza del fenomeno sugli attuali sistemi d'imposizione fiscale, con particolare riguardo alla tassazione sui consumi a livello nazionale ed internazionale, all'imposizione sui redditi, alle norme doganali.
La necessità di standardizzare il sistema fiscale nelle transazioni online è manifestata anche da una dichiarazione congiunta Usa - UE del dicembre 1997 , che ha stabilito quanto segue:
@ necessità di predisporre una legislazione comune, basata su imposte "neutrali, chiare, coerenti e non discriminatorie", evitando possibilmente di introdurre nuove forme di tassazione sul commercio elettronico,
@ eliminazione di inutili barriere normative esistenti,
@ stretta cooperazione e mutua assistenza tra le amministrazioni finanziarie, al fine di assicurare un effettivo controllo fiscale e combattere efficacemente le attività illegali in rete (evasione, elusione),
@ rispetto dei principi esistenti in tema di tassazione internazionale ed esclusione della doppia imposizione.
Aldilà di quelle che possono essere le prospettive future, allo stato attuale il commercio elettronico interessa, sotto l'aspetto fiscale, soprattutto ai fini dell'I.V.A., dell'imposta doganale, della tassazione sui redditi .
L'I.V.A. si applica sulle cessioni di beni materiali (recapitati fisicamente con i mezzi tradizionali) ed immateriali (software, brani musicali) e sulle prestazioni di servizi (forniture di dati ed informazioni) . Per ciò che riguarda in particolare le cessioni di beni occorre, però, effettuare una distinzione: se le cessioni sono effettuate nei confronti o da operatori residenti nei Paesi dell'Unione Europea si applicano le norme comunitarie (Direttiva CEE n. 91/680 e legge 29/10/1993, n. 427); altrimenti si applicano le normative dei rispettivi Stati (extracomunitari) interessati, in cui i soggetti della transazione hanno residenza. Per le prestazioni di servizi valgono le stesse regole, con la differenza che le prestazioni di servizi accessori agli scambi intracomunitari (intermediazione, trasporto, movimentazione merci) sono imponibili nello Stato in cui vengono concluse se il committente non è soggetto d'I.V.A., mentre sono imponibili nello Stato di residenza del committente se questo è soggetto d'imposta. In generale, dunque, il problema maggiore in tema di I.V.A. riguarda la valutazione del requisito territoriale di imponibilità, per il quale bisogna fare riferimento all'oggetto della prestazione, alla residenza o domicilio del prestatore, a quella del committente e al luogo in cui si utilizzano i servizi, con tutta una serie di "variabili" che ne rendono difficile l'inquadramento.
L'imposta doganale, costituita da un insieme di diritti (diritti di confine e altri diritti doganali) e riscossa dalle dogane in forza di apposite leggi, è un'imposta pagata da colui che importa o esporta determinate merci da destinare al consumo, rispettivamente, all'interno dello Stato o in altri Paesi. E' interessante sottolineare come l'imposta in esame è dovuta solo se si tratta di transazioni aventi ad oggetto beni tangibili, ordinati via Internet e consegnati con i mezzi tradizionali (posta, corrieri); i relativi controlli si effettuano in dogana al momento del passaggio della frontiera (per i beni destinati a paesi extracomunitari) oppure al momento dell'immissione in consumo e cioè presso le imprese importatrici (se si tratta di beni comunitari), essendo state soppresse le barriere doganali tra Paesi comunitari. Per ciò che riguarda i beni immateriali, infatti, essendo questi considerati alla stregua delle prestazioni di servizi, le quali non sono soggette alle norme doganali, non sono gravati dall'imposta in esame.
Per ciò che riguarda l'imposizione sui redditi, questa interessa il commercio elettronico poiché costituiscono certamente reddito imponibile, ai fini IRPEF ed IRPEG, gli utili derivanti dalle transazioni effettuate in rete. Prima di addentrarci nell'analisi dettagliata dei vari casi possibili, è però opportuno ricordare brevemente alcune nozioni basilari in materia di imposte indirette, per meglio verificare l'applicabilità delle norme nel contesto del commercio elettronico . Le principali fonti del diritto fiscale internazionale (disposizioni fiscali nazionali e convenzioni bilaterali) sono fondate sui concetti basilari di "fonte" (luogo di produzione del reddito) e "residenza"(luogo in cui si trovano gli "interessi vitali" del beneficiario del reddito). Le legislazioni fiscali nazionali dei maggiori Paesi industrializzati, compresa quella italiana, adottano il criterio di tassare i redditi dei propri residenti ovunque vengano prodotti, mentre, per quanto riguarda i non residenti, si limitano a tassare i soli redditi prodotti all'interno dello Stato. Il problema in sé non sussisterebbe se non fosse che le varie amministrazioni finanziarie incontrano non poche difficoltà nell'applicare le norme fiscali vigenti per evitare frodi, vista la difficoltà per il Fisco di identificare il proprietario di un sito Web che effettua transazioni in rete. Ma anche dove sia possibile la sua identificazione, resta sempre la difficoltà di decifrare documenti e pagamenti effettuati in forma digitale e crittografica.
Comunque, al di là delle difficoltà pratiche, è interessante sottolineare la prassi seguita dalle maggiori autorità internazionali:
@ Se oggetto del contratto è un bene materiale, l'azienda fornitrice sarà assoggettata all'imposta sugli utili d'impresa, nel paese in cui ha sede, salvo che il reddito non possa essere imputato ad una sua "stabile organizzazione ", situata nel Paese dell'acquirente o altrove (art. 20 TUIR) . E' il nocciolo del problema: se è vero che un Paese può tassare i profitti di un'impresa quando essi sono attribuibili ad una stabile organizzazione (a prescindere dove è posta la sede legale dell'impresa), nel caso del commercio elettronico la difficoltà sta nello stabilire se il concetto di stabile organizzazione può essere soddisfatto dal "Web server" (macchina su cui è fisicamente istallato il sito Web, che potrebbe stare in qualsiasi parte del mondo) o dal "server provider", cioè dal computer del provider, con cui l'utente interagisce per lo scambio di dati e che in genere è fisicamente vicinissimo a quest'ultimo (si veda la figura 1.2).
figura 1.2 Schema ultrasemplificato del funzionamento della rete
@ Se il bene oggetto del contratto è immateriale, bisogna distinguere il caso in cui avviene un passaggio di proprietà (acquisto di software standard ad uso personale, nel qual caso vale il punto precedente), dal caso in cui vi sia solo un parziale trasferimento di diritti (in tal caso i redditi prodotti sono tassati come royalties) per lo sfruttamento del software.
È evidente, quindi come il problema immediato consista nella difficoltà di definire un quadro di riferimento uniforme cui i contribuenti siano tenuti a conformarsi, anche in vista del fatto che l'attuale sistema fiscale, preso nella sua globalità, offre numerose possibilità di distorsioni tra gli operatori comunitari ed extracomunitari. Le amministrazioni finanziarie e con esse le organizzazioni internazionali, stanno moltiplicando i loro sforzi per far fronte alle esigenze che la nuova realtà determina, proponendo addirittura forme di tassazione forfetaria degli scambi informatici, indipendentemente dal contenuto commerciale dell'emissione. Si tratta della cosiddetta "bit-tax", una forma straordinaria d'imposizione del commercio elettronico, anche se la sua introduzione è stata prontamente smentita dal nostro commissario europeo Mario Monti .

La sicurezza dei pagamenti online
Alcuni autorevoli istituti di ricerca sostengono che, in Italia, il commercio elettronico costituirà un fenomeno rilevante, in termini quantitativi, solo fra due, tre anni; allo stato attuale, molti sono gli ostacoli che è necessario sormontare prima di tale data (standardizzazione delle transazioni, superamento della diffidenza culturale, penetrazione dei PC all'interno delle famiglie, efficienza della rete in termini di velocità e di costi di connessione). Ma il reale problema che potrebbe ritardare il suo sviluppo, e non solo in Italia, è la creazione di un sistema dei pagamenti per le transazioni online, che sia efficiente ed efficace e che replichi quello oggi utilizzato nell'economia reale. Gli sforzi compiuti in tale direzione sono notevoli, come dimostra il forte sviluppo delle tecnologie che garantiscono la riservatezza dei dati scambiati nelle transazioni, specialmente quelli relativi alla carta di credito degli acquirenti.
In effetti, numerose indagini confermano che l'elemento ritenuto fondamentale dai consumatori per effettuare transazioni in rete è rappresentato dal fattore "sicurezza".
Fonte: Osservatorio Smau Ict, 1998
Grafico 1.9 Aspetti importanti nello sviluppo del commercio elettronico
Sempre secondo l'Osservatorio Internet Italia SDA Bocconi, infatti, il 19% dell'utenza Internet afferma di non effettuare transazioni online per la percezione d'insicurezza dei sistemi di pagamento online.
Le statistiche però affermano che sulla rete si "perde" per truffa, in media, un dollaro ogni mille , quindi una percentuale molto bassa. Verrebbe da chiedersi perché non ci si fida ad inserire i propri dati della carta di credito in un server sicuro, mentre, poi, si affida la stessa carta ad un cameriere in un ristorante.
In effetti, la sottrazione di carte di credito è oggi un business più da "ladruncoli" che da esperti professionisti del crimine. Al convegno sul commercio elettronico, organizzato nel maggio 1996 da AIS a Milano , Steve Mott di MasterCard ha confermato che il fenomeno delle truffe via rete è di entità trascurabile, ma ha anche ribadito che gli operatori finanziari hanno investito una gran quantità di risorse per risolvere questo problema, perché ritenuto fondamentale per rimuovere eventuali freni psicologici della domanda.
In effetti, il margine di profitto derivante dal furto delle carte di credito si è ormai ridotto a causa:
@ della sicurezza crescente del sistema dei pagamenti,
@ delle ridotte cifre prelevabili,
@ della crescente attenzione di chi usa la carta di credito.
La necessità di venire incontro alle esigenze dei consumatori più esigenti in fatto di sicurezza resta comunque prioritaria; dissipare i dubbi dei consumatori effettivi e (soprattutto) potenziali, resta il passo evolutivo più importante da compiere se si vuole abbattere il principale ostacolo per la diffusione del commercio elettronico in senso stretto (in cui anche il pagamento avviene in rete).
Oggi esistono due categorie di strumenti di pagamento elettronici utilizzabili in rete :
@ una basata su soluzioni di tipo hardware; riconducibile ai sistemi di pagamento basati su carte prepagate, rappresenta un'estensione del modello di pagamento basato su carta di credito;
@ un'altra basata su soluzioni di tipo software; implica la disponibilità di un computer e di un software specifico, che abilita l'utente all'uso di particolari servizi di pagamento tramite una rete di computer (Internet). Comprende tre tipologie di sistemi di pagamento:
a. i debit based, sistemi basati sull'impiego di assegni elettronici, cioè da assegni sottoscritti tramite firma elettronica "crittografata" e caratterizzati da una procedura di funzionamento analoga a quella relativa agli assegni cartacei (anche se per la complessità e l'onerosità della procedura, non sono indicati per pagamenti di modesto ammontare);
b. i taken based, sistemi idonei per pagamenti di piccolo importo, basati sulla creazione di moneta virtuale (e-cash). Si tratta di una forma di moneta che replica in forma elettronica le garanzie (tramite dati crittografati), le funzioni e i servizi della moneta cartacea. Tale sistema, ancora in fase sperimentale, si basa sull'utilizzo di un borsellino elettronico, rilasciato dalla banca dietro versamento di moneta reale, che ha la stessa funzione di un normale portafogli. Secondo gli esperti , rappresenta una forma evolutiva di pagamento di grande importanza, che sostituirà la moneta reale in un futuro non lontano;
c. i credit based, sistemi basati sull'utilizzo di carte di credito, utilizzati per importi medio-alti, in cui l'acquirente invia, tramite rete, il proprio numero di carta di credito. Al fine di proteggere lo scambio di informazioni (in tal caso il numero della carta), si ricorre a tecniche di criptazione dei dati, tramite la creazione di specifici protocolli di sicurezza. Tra i più utilizzati c'è sicuramente il sistema SET (Security electronic transaction), nato appositamente per sviluppare il commercio elettronico, in virtù degli sforzi congiunti di Microsoft, Netscape, VISA, Mastercard e altri ancora. Ma vediamo brevemente come funziona il meccanismo in esame :
Fonte: Carnegie Mellon University
Figura 1.3 Lo standard di sicurezza SET
Il sistema di pagamento SET è uno standard industriale, che garantisce un alto grado di sicurezza nelle transazioni che comportano l'uso della carta di credito, in quanto solo il titolare e la banca del cliente sono a conoscenza del numero di carta di credito. Infatti, invece di trasmettere il proprio codice di carta al venditore, l'acquirente stabilisce un rapporto con un intermediario (la banca), a cui comunica (offline) il proprio numero e da cui riceve un codice segreto personalizzato e criptato. In caso di transazione (online), solo dopo la conferma di accettazione dell'acquirente (fase 3), e della verifica degli estremi di pagamento del cliente (fase 6), il venditore ottiene dalla banca l'invio dei relativi fondi (fase 8). Oltre ad un sistema di criptazione dei dati, SET consente anche di apporre la firma digitale, un ulteriore elemento di sicurezza per l'azienda, perché il compratore non ha più nessuna possibilità di recedere dall'acquisto.
Il sistema in esame si distingue da un'altra modalità di pagamento, anch'essa molto diffusa, il sistema Telepay; si tratta di una soluzione che consente l'uso di più modalità di pagamento (carta di credito, Bancomat, addebito in conto corrente) ed è stata sviluppata nel 1996 dalla SSB (Società per i servizi bancari), società creata da 200 banche italiane, per fornire servizi informatici al sistema bancario. Rispetto a tale sistema, il SET presenta indubbi vantaggi:
@ è un sistema valido in tutto il mondo (infatti, con Telepay il venditore deve essere necessariamente convenzionato con una banca italiana o comunque con una sede estera di un istituto di credito italiano);
@ è un sistema più conveniente per il venditore (le commissioni sono più basse);
@ evita che il commerciante possa leggere e registrare il codice della carta di credito dell'acquirente.
La sicurezza del commercio in rete (quella relativa ai pagamenti elettronici ne rappresenta solo un aspetto, anche se il più importante) è, quindi, prerequisito fondamentale per lo sviluppo del fenomeno commerciale, dato che senza di essa nessun attore (acquirente, venditore, banca) accetterebbe di effettuare transazioni che comportano trasferimenti di beni e di denaro. Ciascuno deve ricevere dal sistema garanzie reali e convincenti, al fine di risolvere positivamente il proprio processo decisionale cosi' articolato :
@ Identificazione del business più conveniente (business need)
@ Calcolo prudenziale del rischio (risk acceptance)
@ Acquisizione della consapevolezza che la convenienza è maggiore del rischio percepito (user awareness).
È chiaro che una sicurezza in senso assoluto oltre ad essere eccessivamente costosa, ha anche delle controindicazioni, come l'impossibilità di identificare eventuali attentatori alla sicurezza nazionale. Per questo ha più senso parlare di livello di sicurezza ottimale, tale da creare, da un lato, fiducia negli attori sopra menzionati e dall'altro, sicurezza delle istituzioni finanziarie e governative.

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