Guerra del Kossovo

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Testo

Cerchiamo di capire i motivi del conflitto
Il Kosovo è una regione della Jugoslavia, confinante a sud con la Macedonia,
ad ovest con l'Albania ed il Montenegro, a nord e ad Est con la Serbia.
E' abitata da circa 2 milioni di persone, di cui 90% albanesi, 8% serbi e 2% turchi,
macedoni e rom. La guerra in atto tra Serbi e Albanesi, che,
anche se non è esplosa in un conflitto aperto è presente sotto forma di occupazione
militare-poliziesca della zona da parte dei Serbi (secondo gli albanesi si tratterebbe
di circa 60.000 unità tra gli uni e gli altri, ma nei momenti più caldi anche 100.000),
ha alle sue radici anche una diversa visione della storia. Secondo i serbi questa zona
sarebbe tradizionalmente slava, ed alcune delle più belle cattedrali greco-ortodosse e
alcune delle opere più importanti della cultura religiosa ortodossa si trovano
in questa zona.
Secondo gli albanesi che invece adducono come prove la toponomastica ed i pochi
scavi archeologici fatti (ma secondo loro poi nascosti dai serbi), gli albanesi sono
la popolazione autoctona della zona in quanto discendenti dagli illiri (una delle cui
tribù si chiamava appunto "albanoi") che abitavano questa area fin dai tempi dell'antica
Grecia, per cui anche personaggi importanti di questo periodo, come Alessandro Magno e
l'imperatore Costantino, sarebbero di origine albanese, e provenienti da quest'area.
L'Europa cristiana, alla sconfitta dell'impero ottomano, ha voluto evitare che ci
fosse in questa area un "avamposto mussulmano", ed ha preferito perciò dividere la
popolazione albanese tra lo stato dell'Albania, riconosciuto nel 1913 anche grazie al
contributo degli albanesi alla caduta dell'impero turco, ed una parte di quella che
poi verrà costituire, nel 1919, la Jugoslavia (in particolare nel Kosovo - che nel
1912 viene a far parte del Regno Serbo - in Macedonia, e nel Montenegro) ed infine
nella Grecia. Questo ha fatto nascere tra la popolazione albanese la sensazione di
essere stata trattata ingiustamente, ed il desiderio di riunificarsi nello stesso stato,
il che avvenne, almeno per gli albanesi del Kosovo, solo per pochi anni,
(dal 1941 al 1944) sotto l'occupazione fascista prima e nazista dopo.
Un'altra fondamentale causa del conflitto é stata la Costituzione del 1974, quella
che qualcuno ha definito il "capolavoro" di Tito, e che è sicuramente servita a far
coesistere per molti anni, almeno fino alla morte di questo dirigente politico,
gruppi etnici, popolazioni e religioni diverse. Questa riconosce, come membri costituenti
della Federazione Iugoslava, sei stati (Serbia, Croazia, Slovenia, Bosnia,
Macedonia, Montenegro) e le due provincie autonome della Serbia (Kosovo, Voivodina).
A queste ultime viene riconosciuto quello che è stato definito lo status di "uno stato
nello stato". Hanno cioè diritto a partecipare alla Presidenza della Federazione, e ad
essere eletti, a turno, Presidenti della medesima. Hanno un numero fisso, solo
leggermente inferiore a quello degli stati (20 invece di 30), di posti nell'Assemblea
Federale. Ed hanno il diritto di veto per tutti i problemi che riguardano il loro territorio.
Questa situazione ambigua, di regione-stato, sarà una delle fonti principali dell'attuale
conflitto, acuitosi dopo la morte di Tito. Infatti la popolazione albanese del Kosovo,
basandosi sul fatto che numericamente era la terza etnia della Jugoslavia (dopo i serbi
ed i croati) chiederà ripetutamente di diventare uno stato nel pieno senso della parola,
e di essere riconosciuto come la settima repubblica. Le manifestazioni più rilevanti
in questo senso si sono svolte, poco dopo la morte di Tito (1980),
nel 1981. La presenza, tra i manifestanti, di gruppi minoritari, ma molto combattivi,
di sostenitori dell'unificazione del Kosovo con l'Albania, verrà utilizzata dai serbi
per presentare le manifestazioni come "secessioniste", e convincere le altre Repubbliche
ad accettare lo "stato di emergenza", dichiarato dal governo serbo, ed una feroce
repressione militare che ha portato a varie vittime tra i manifestanti ed
all'imprigionamento ed alla condanna di molti intellettuali che avevano partecipato
alle dimostrazioni.
Il governo serbo, che durante la vita di Tito aveva subìto suo malgrado la
Costituzione Federale, dopo la sua morte cercherà di modificarla per riportare il Kosovo
e la Voivodina allo stato di Regioni, definite ancora "autonome", togliendo loro però
quel carattere di costituente Federale e tutte le prerogative a questa connesse.
Questo movimento contro la Costituzione del '74 si sviluppa non tanto e non solo a
livello legislativo, ma prima attraverso manifestazioni di piazza organizzate da
Slobodan Milosevic - Segretario della Lega dei Comunisti della Serbia, divenuta
poi il Partito Socialista Serbo - e dai suoi sostenitori. A Belgrado ci sarà grande
dimostrazione (19 novembre 1988) cui partecipano circa un milione di serbi. Le parole
d'ordine principali erano contro la Costituzione del '74 che riconosceva a tutti i
popoli una rappresentanza uguale mentre i serbi, più numerosi, ne venivano svantaggiati.
Questa "acredine" verso gli altri popoli costituenti era particolarmente grande contro
gli albanesi. Molti slogan si riferivano a loro: " basta con gli albanesi, i 'traditori'
del Kosovo: 'Idemo na Kosovo', 'andiamo nel Kosovo' urla la folla, le braccia al cielo".
- scrive un giornalista italiano testimone dell'avvenimento. Secondo la maggior parte degli
studiosi delle recenti guerre iugoslave questo episodio rappresenta l'inizio del recente
conflitto iugoslavo, che si tradurrà, non molto tempo dopo, in un conflitto armato tra i
più feroci di questo secolo. La prima occasione del conflitto è stato appunto il Kosovo.
Gli altri stati costituenti hanno infatti accettato ed anche partecipato alle feroci
repressioni del 1989 in questa regione. Ma quando si sono accorti che la Serbia voleva
rimettere in discussione la Costituzione del 1974 non solo nei riguardi del Kosovo
(e della Voivodina, altra regione-stato) ma anche verso di loro, e che il movimento per
la "Grande Serbia" (lanciato da Milosevic alla manifestazione di Belgrado, e poi, con
maggiore chiarezza, a quella della pianura del merli nel Kosovo - in questa infatti,
del 28 giugno 1989, Milosevic "parla di unità di tutti i serbi, e di confini nuovi, perché
'ove vive un serbo, ivi è Serbia'") - minacciava la loro stessa esistenza come stati perché
in ognuno di questi esistevano enclaves o aree composte in prevalenza da serbi, hanno
optato per l'indipendenza e per lo scioglimento dalla Federazione che, del resto,
era già stata resa inoperante con lo scioglimento, con la forza, del Parlamento del Kosovo.
Da qui il detto, molto diffuso, con riferimento alla guerra iugoslava :
"Tutto è cominciato con il Kosovo, tutto finirà con il Kosovo".
Come primo atto della riconquista del Kosovo da lui promessa alla manifestazione di
Belgrado Milosevic fa arrestare, con l'accusa di "cospirazione contro lo stato",
E. Vllasi, Segretario generale del partito Comunista del Kosovo, albanese, che si oppone
vivamente a questo attacco alla Costituzione di Tito e lotta per il mantenimento
dell'autonomia della Regione. Lo stesso avviene per altri leaders albanesi considerati
dei "controrivoluzionari". La reazione degli albanesi non tarda. Marce e manifestazioni
(novembre 1988). Scioperi. Tra questi il più importante è quello dei minatori di Trepça
(febbraio 1989): 1300 minatori di una delle più grandi miniere del Kosovo, vicino a Mitroviça,
proclamano un digiuno totale e si rinchiudono nelle gallerie della miniera: tra le
richieste la difesa dell'autonomia della Regione, e la liberazione dei dirigenti comunisti.
Dopo otto giorni usciranno dalla miniera in pessime condizioni; alcuni di loro dovranno
essere ricoverati con urgenza in ospedale. Ma la resistenza nonviolenta è ormai scattata:
marce da Trepça e da Peja a Pristina che vedono centinaia di migliaia di albanesi sfilare
per la difesa dell'autonomia; frequenti manifestazioni di piazza per protestare contro
l'attacco a queste prerogative; abbandono in massa del partito Comunista che non rispetta
i diritti della popolazione, sono tutti esempi di questa lotta che, inizialmente in modo
spontaneo, più tardi in modo dichiarato, sarà esplicitamente "nonviolenta".
Ma a queste manifestazioni nonviolente il governo federale risponde con altri arresti,
e con quella che un giornalista italiano definirà: "la più violenta repressione messa
in atto nella moderna Jugoslavia. Sugli alberi della strada principale di Pristina
fogli listati a lutto ricordano i nomi dei caduti negli scontri con la polizia. Ma non tutti.
Molti sono stati seppelliti di nascosto, per tutelare le loro famiglie". Viene in seguito
proclamato lo "stato di emergenza" (marzo 90) per rendere impossibili i rassembramenti
nelle strade, e si instaura il coprifuoco dopo le nove di sera. Gli albanesi firmano,
in massa, una petizione per la richiesta di democrazia e contro la violenza, e si riuniscono,
in centinaia di migliaia, nelle strade delle città, per cinque minuti di ricordo
per i loro morti. Molti di loro, la sera all'ora del coprifuoco, spengono le luci,
vanno nei terrazzi od alle finestre e sbattono le chiavi contro delle lattine per farsi
sentire ed esprimere il fatto, che malgrado lo stato di emergenza, "le chiavi del problema
sono in mano loro", perché sono la maggioranza della popolazione del Kosovo. Lo scontro
tra gli albanesi e il governo serbo si fa sempre più duro, alle proclamazioni di
indipendenza degli uni, ed alle loro manifestazioni di protesta contro l'eliminazione
delle loro autonomie, il governo serbo rincara la dose riducendole sempre più, togliendo
il diritto di veto e sciogliendo il Parlamento e il Governo del Kosovo (5 luglio 1990).
Non molto dopo i parlamentari albanesi, dell'Assemblea disciolta, rispondono autoconvocandosi
clandestinamente a Kaçanic (7 settembre 1990) e proclamando la "Costituzione" della
Repubblica del Kosovo. Il Governo Serbo approva una nuova Costituzione della Serbia
(28 settembre 1990) che toglie il diritto di veto delle assemblee elettive delle Provincie
autonome, e ne svuota quasi completamente la precedente autonomia. Il Kosovo vive,
dall'inizio dello stato di emergenza, in stato di occupazione. La non esplosione del
conflitto è dovuto, in gran parte, alla scelta nonviolenta degli albanesi. Scrive S. Maliqi,
giornalista albanese del Kosovo: "La scelta dei soggetti politici albanesi per una
resistenza nonviolenta, come pure altre circostanze specifiche, prima fra tutte la
concorrenza delle guerre in Croazia ed in Bosnia-Erzegovina, che hanno impegnato quasi
al completo l'intero potenziale militare serbo, hanno fino ad ora prevenuto l'esplosione
della guerra nel Kosovo. Ma, essenzialmente, è stata solo postposta, dato che nulla è stato
fatto realmente per prevenirla. Il conflitto etnico nel Kosovo ha da allora assunto la
forma di una intensa guerra di nervi, nella quale una parte non si fa fermare da nulla
nella sua brutale violazione dei diritti umani e delle libertà, indifferente alle forti
proteste di organizzazioni internazionali che hanno le loro missioni nel Kosovo per 'monitorare'
la violazione dei diritti umani, mentre l'altra parte soffre umiliazioni e si trattiene,
accumulando una sempre maggiore disperazione, ma anche rabbia ed odio che minacciano di
esplodere".
Negli anni 90 e 91 l'occupazione militare del Kosovo si estende alle fabbriche, ai giornali,
all'Università ed a tutti i luoghi pubblici, ed a tutte le cariche, politiche, giuridiche
ed amministrative, dalle quali vengono licenziati gli albanesi e che sono poi ricoperte
quasi esclusivamente da serbi. Agli operai delle fabbriche ed agli insegnanti di tutti
gli ordini e gradi viene chiesto di firmare una dichiarazione di fedeltà al governo .
Se non firmano vengono licenziati. Secondo la parte albanese i licenziati dai vari settori,
scuole, fabbriche, uffici postali, banche, ecc. ecc. sono circa 150.000. Drammatico ciò
che é avvenuto nelle scuole. Nel settembre-ottobre 1991 ai docenti di lingua e storia
albanese di ogni ordine e grado viene richiesto di insegnare in lingua serba, e secondo
le direttive del Ministro dell'Istruzione del Governo Serbo. Agli insegnanti, quasi tutti,
che si rifiutano, viene tolto lo stipendio. Nell'ottobre del 1991 gli studenti
ed i professori organizzano una protesta, ma vengono malmenati dalla polizia.
Per qualche mese gli altri docenti albanesi, di tutte le materie, anche quelle scientifiche,
si autotassano e dividono il loro stipendio con i colleghi. Ma non molto dopo vengono
licenziati tutti, e viene proibito l'accesso all'Università agli studenti albanesi.
Lo stesso avviene nei livelli inferiori di insegnamento.
Nel settembre 1992 migliaia di studenti e di professori sfilano per le vie di Pristina
chiedendo la riapertura delle scuole agli studenti albanesi , e cercano di rientrare
nell'Università e nelle scuole secondarie, ma la Polizia glielo impedisce.
Dopo qualche mese di vuoto scolastico gli albanesi decidono di dar vita a delle loro
istituzioni scolastiche chiedendo ai cittadini di offrire locali nelle loro abitazioni private.
Comincia così un sistema scolastico parallelo che continua tuttora. L'Albania ed alcuni paesi
europei, come la Germania, l'Austria e la Danimarca, riconoscono, almeno in parte, i titoli
presi in queste scuole ed in queste università. Solo qualche anno dopo, dietro pressioni
internazionali, gli allievi delle scuole elementari parallele, in particolare del livello
dell'obbligo scolastico, vengono in parte riaccettati nei locali delle scuole pubbliche,
ma con grossi squilibri, dato che viene data la precedenza e maggior spazio agli studenti serbi.
Quelli albanesi sono costretti a fare dei turni pesanti (anche quattro o cinque turni al giorno
che finiscono, spesso, alle 8 di sera), e non raramente in locali non riscaldati. Gli insegnanti
albanesi, anche per la scuola dell'obbligo, vengono pagati dal governo parallelo e non dallo
Stato Serbo.
Anche nel campo assistenziale e sanitario si dà vita ad un embrione di un sistema parallelo
assistenziale-sanitario grazie ad una organizzazione volontaria che si ispira alla vita
di Madre Teresa, di origine albanese e kosovara. La resistenza nonviolenta del popolo albanese
nei cinque anni di occupazione sarebbe sicuramente stata impossibile senza l'esistenza di
queste istituzioni parallele e senza la solidarietà familiare tipica all'interno delle famiglie
albanesi e senza il sistema di tassazione parallelo proposto dal Governo Parallelo Albanese
(il 3% fino a non molto fa) cui aderisce circa il 75% degli albanesi occupati nel Kosovo
stesso e all'estero, e che è stato, perciò, un elemento importante che ha reso possibile
la resistenza.
Un altro momento fondamentale di questa resistenza è stata l'indizione di un referendum
(settembre 1991) nel quale si chiedeva alla popolazione del Kosovo se desiderava restare
con la Serbia, come regione autonoma, oppure voleva l'indipendenza. La stragrande
maggioranza degli albanesi ha votato a favore di quest'ultima. Sono state poi indette
delle elezioni clandestine (24 maggio 1992), cui hanno presenziato alcune delegazioni
straniere, che hanno portato alla nomina di un nuovo Parlamento ed alla proclamazione
alla presidenza della Repubblica del Kosovo di I. Rugova, uno studioso albanese kosovaro
molto apprezzato, allora Presidente dell'Associazione degli Scrittori Albanesi e leader
della Lega Democratica per il Kosovo. In quello stesso periodo viene indetta a Pristina
una grande manifestazione nonviolenta detta il "funerale della violenza", cui partecipano
circa 200.000 persone, portata avanti nelle forme di un funerale tradizionale, con una
bara rappresentante appunto la violenza che viene simbolicamente seppellita.
Malgrado persecuzioni continue cui vengono sottoposti i cittadini albanesi
(arresti arbitrari, malversazioni, uccisioni, ecc.), e le atrocità commesse delle forze
paramilitari del famigerato Arcan - un criminale di guerra - la parola d'ordine del
governo parallelo albanese di non accettare provocazioni e di non rispondere alla
violenza serba con altra violenza è stata sostanzialmente mantenuta. Ed è questo che
ha permesso finora che non esplodesse la violenza e che la guerra latente non si
trasformasse in un conflitto armato. Ma la situazione è sempre molto tesa.
In una intervista rilasciata l'11 marzo 1999 dal leader della Lega Democratica
Rugova: "L'unica soluzione accettabile per il Kosovo è l'indipendenza". Indipendenza,
dunque, e non autonomia. "Noi continuiamo a lavorare per l'indipendenza, come è stato
deciso nel referendum del 1992, non sappiamo che tipo di dialogo intenda avviare Belgrado",
ha proseguito il leader dell'Ldk, sottolineando di non aver ricevuto ancora alcuna
offerta di trattativa da parte dei serbi. Secondo Rugova "l'autonomia non risolverebbe
il problema del Kosovo: solo l'indipendenza calmerà gli animi. Con l'autonomia ci
saranno ancora conflitti, per questo abbiamo chiesto un protettorato internazionale
per la prima fase".

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