Guerra del Vietnam

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Guerra del Vietnam

Conflitto scoppiato in Vietnam nel 1959 e durato fino al 1975. Iniziato come tentativo da parte della guerriglia comunista (Vedi Vietcong) di rovesciare il governo del Vietnam del Sud, degenerò nel conflitto tra il Vietnam del Sud e il Vietnam del Nord, il primo appoggiato dagli Stati Uniti, il secondo dall'Unione Sovietica e dalla Repubblica Popolare Cinese. Il conflitto si estese anche al Laos (dove i comunisti del Pathet Lao combatterono contro le forze governative dal 1965 all'avvenuta abolizione della monarchia nel 1975) e alla Cambogia (dove il governo fu rovesciato nel 1973 dagli Khmer Rossi).
La presenza francese in Indocina
La guerra fu il proseguimento del conflitto tra gli occupanti francesi (colonizzatori dell'Indocina prima della seconda guerra mondiale) e il Vietminh, la Lega comunista per l'indipendenza del Vietnam fondata e guidata da Ho Chi Minh e già protagonista della resistenza contro i giapponesi. Dopo la resa di questi ultimi agli Alleati, i guerriglieri Vietminh costrinsero l'imperatore Bao Dai ad abdicare e il 2 settembre 1945 annunciarono la creazione di una Repubblica democratica indipendente del Vietnam, con Ho Chi Minh come presidente. L'incapacità del Vietminh e della Francia di raggiungere un accordo comune portò tuttavia al conflitto armato, scoppiato nel dicembre del 1946. Il 1° luglio 1949, con l'appoggio dei francesi, Bao Dai fondò lo stato del Vietnam (Vietnam del Sud), stabilendo la capitale a Saigon (odierna città di Ho Chi Minh).
L'anno seguente il presidente degli Stati Uniti, Harry Truman, riconosciuto il nuovo stato, inviò in suo sostegno armi e consiglieri militari. Nella primavera del 1954 il Vietminh attaccò Dien Bien Phu, nel Vietnam del Nord. Dopo 55 giorni di assedio i francesi si arresero (8 maggio 1954), e lo stesso giorno, nell'ambito della conferenza internazionale riunita a Ginevra per discutere la situazione dell'intera Indocina, le parti si accordarono per una tregua e la temporanea divisione del paese lungo il 17° parallelo, con il nord ai comunisti e il sud sotto il controllo del governo di Saigon.
Sia gli Stati Uniti sia il governo di Saigon dichiararono di non sentirsi vincolati dagli accordi di Ginevra; dopo il ritiro francese dall'Indocina, il presidente Dwight Eisenhower offrì così al Vietnam del Sud nuovi aiuti politici e militari, confermati anche quando Ngo Dinh Diem (primo presidente della Repubblica del Vietnam del Sud, costituita nell'ottobre del 1955) affermò di essere contrario allo svolgimento delle elezioni per la riunificazione, stabilite dalla conferenza di Ginevra entro il 1956.
L'inizio della nuova guerra

Dal gennaio del 1957, le violazioni dell'armistizio da entrambe le parti divennero usuali, limitate tuttavia a brevi sconfinamenti. Dopo due anni, però, i militanti comunisti (Vietcong), trasferitisi a nord all'indomani della divisione del paese, cominciarono a ritornare a sud in numero sempre maggiore, per alimentare una guerriglia antigovernativa con il sostegno del governo nordvietnamita, che nel 1960 parlò apertamente della necessità di "liberare il Sud dal giogo dell'imperialismo statunitense", sancendo, di fatto, lo stato di guerra.
Nel dicembre 1961 il presidente J.F. Kennedy si impegnò a sostenere l'indipendenza del Vietnam del Sud; alla fine del mese giunsero a Saigon i primi 400 militari statunitensi (sarebbero divenuti 11.200 un anno dopo). Nel biennio successivo, il governo di Diem si trovò in crescente difficoltà nel fronteggiare una situazione resa ulteriormente instabile dalle agitazioni di protesta guidate dai movimenti buddisti. Il 1° novembre 1963 il regime fu rovesciato da un colpo di stato militare e Diem giustiziato. Nei diciotto mesi che seguirono, alla guida del Vietnam del Sud si succedettero dieci governi; fu infine creato un consiglio militare che, sotto la direzione dei generali Nguyen Van Thieu e Nguyen Cao Ky che riuscì a ristabilire l'ordine nel 1965. Nel settembre del 1967 Thieu fu confermato alla presidenza dal voto popolare.
Il coinvolgimento degli Stati Uniti
A differenza delle guerre convenzionali, in Vietnam non esistevano fronti definiti. Dai primi anni Sessanta, anche truppe regolari nordvietnamite cominciarono a infiltrarsi in territorio sudvietnamita a sostegno dei guerriglieri Vietcong, mentre URSS e Cina inviavano rifornimenti a Hanoi attraverso il cosiddetto sentiero di Ho Chi Minh che toccava anche i vicini stati del Laos e della Cambogia. L'escalation militare iniziò nella prima settimana di agosto del 1964, quando a un attacco nordvietnamita ad alcune unità navali americane ancorate nel golfo del Tonchino il presidente Lyndon Johnson rispose ordinando il bombardamento di obiettivi militari nel Vietnam del Nord. La pratica dei bombardamenti a tappeto divenne sistematica dal febbraio del 1965; contemporaneamente continuava a incrementarsi il contingente americano nel Vietnam del Sud, che alla fine dell'anno contava oltre 200.000 uomini.
Nel dicembre del 1965 Johnson sospese i bombardamenti nel tentativo di avviare trattative di pace, ma non avendo successo ordinò la ripresa delle incursioni, che giunsero a interessare la stessa Hanoi e il vicino porto di Haipong. Ugualmente senza esito fu l'avvio delle trattative nel giugno del 1967 con il premier sovietico Kosygin perché si facesse promotore di una tregua tra le parti. Dopo l'annuncio di un ulteriore rafforzamento della presenza militare statunitense in Vietnam (che nel 1968 contava oltre 525.000 soldati), nel novembre del 1967 il Pentagono comunicò per la prima volta il numero dei caduti dall'inizio del conflitto: 15.000 morti. Il dato scosse fortemente l'opinione pubblica e generò una crescente richiesta di porre fine al conflitto.
L'offensiva del Tet
In questo contesto, nel corso della campagna invernale del 1967-68 lo stratega nordvietnamita generale Vô Nguyen Giap lanciò una vasta azione offensiva (conosciuta come "offensiva del Tet", dal nome del capodanno secondo il calendario vietnamita), costituita da una serie di attacchi coordinati su più di cento obiettivi civili. Militarmente la campagna si risolse in un insuccesso, ma ebbe devastanti effetti psicologici sul morale delle truppe statunitensi e soprattutto dell'opinione pubblica: gran parte dei cittadini americani era ormai giunta a convincersi che non fosse possibile vincere la guerra. Il 31 marzo 1968 il presidente Johnson annunciò la sospensione dei bombardamenti. In maggio, presto estesi anche ai rappresentanti del governo di Saigon e dei Vietcong, furono aperti a Parigi i colloqui tra Stati Uniti e Vietnam del Nord, che tuttavia si arenarono nel novembre.
La vietnamizzazione del conflitto

Nel 1969 il successore di Johnson, Richard Nixon, annunciò un programma di progressivo disimpegno militare degli USA in funzione di una vietnamizzazione del conflitto. Né l'effettivo avvio del programma né la morte nel presidente nordvietnamita Ho Chi Minh (3 settembre 1969) contribuirono a sbloccare la situazione di stallo in cui versavano i colloqui di Parigi, dove i delegati nordvietnamiti ponevano come precondizione al raggiungimento della pace il ritiro totale delle forze statunitensi.
Nel frattempo, in tutti gli Stati Uniti, il movimento di protesta e di opposizione alla guerra cresceva costantemente, alimentato dalle notizie delle atrocità commesse in Vietnam, nonché dalla pubblicazione dei cosiddetti "Pentagon Papers", una raccolta di documenti riservati riguardanti la gestione della campagna vietnamita e dei negoziati di pace, che produsse grande scalpore.
Il 25 gennaio del 1972 il presidente Nixon mise a punto un nuovo piano di pace, che prevedeva anche nuove elezioni presidenziali nel Vietnam del Sud. Nella sua replica, Hanoi richiese le immediate dimissioni del presidente Thieu, e promise il rilascio dei prigionieri statunitensi se gli USA avessero ritirato il proprio appoggio a Thieu. Nel marzo del 1972 i negoziati di pace furono interrotti. Seguì una pesante offensiva nordvietnamita, alla quale gli Stati Uniti reagirono con la ripresa dei bombardamenti sul territorio nemico (i primi dal 1967) e minando i principali porti del Vietnam del Nord.
La ripresa delle trattative

Nella seconda metà del 1972 a Parigi furono avviate nuove trattative fra il Segretario di stato americano Henry Kissinger e il delegato nordvietnamita Le Duc Tho. Per la prima volta si intravide uno spiraglio quando i comunisti manifestarono l'intenzione di accettare un piano di pace che separava gli accordi militari da quelli politici, abbandonando la richiesta di un governo di coalizione nel Vietnam del Sud e concordando con la richiesta americana di discutere anche della situazione nel Laos e in Cambogia. Il piano messo a punto da Kissinger fu tuttavia osteggiato da van Thieu: alla vigilia della firma degli accordi, da molte parti ritenuta ormai certa, i colloqui furono improvvisamente interrotti il 16 dicembre. Il giorno seguente Nixon ordinò il bombardamento di Hanoi e Haiphong, la più devastante azione bellica aerea della storia, destinata a provocare un fortissimo sconcerto nell'opinione pubblica americana e internazionale. Nonostante i bombardamenti, i governi di Washington e Hanoi sembravano entrambi intenzionati a salvaguardare i progressi ottenuti nell'ambito dei negoziati. Con l'inizio del nuovo anno ripresero i colloqui a Parigi e, considerati gli esiti positivi dei primi incontri, Nixon dispose la sospensione di tutte le operazioni belliche nel Vietnam del Nord. La sera del 23 gennaio 1973 il presidente degli USA annunciò che era stato finalmente raggiunto l'accordo per il cessate il fuoco. Esso prevedeva la cessazione di tutte le ostilità, il ritiro di tutte le forze statunitensi e alleate entro sessanta giorni dalla firma, e il riconoscimento della zona di demarcazione lungo il 17° parallelo soltanto come "frontiera provvisoria e non politica o territoriale".
Le conseguenze negative del cessate il fuoco
Alla fine di marzo il ritiro del contingente americano (eccetto quello che presidiava la capitale Saigon) era pressoché completato. Nonostante Nixon assicurasse a Thieu un nuovo intervento in caso di violazione del trattato, il proseguimento della guerra in Vietnam non era più politicamente sostenibile, anche considerando la precaria situazione personale del presidente, coinvolto nello scandalo Watergate.
Nel 1974 si assistette all'escalation dei combattimenti tra i due antagonisti vietnamiti. In dicembre i nordvietnamiti lanciarono l'offensiva finale sulla capitale nemica, che cadde il 30 aprile successivo: la Repubblica del Vietnam si arrese incondizionatamente al governo provvisorio rivoluzionario.
La guerra del Vietnam segnò un punto di svolta nella storia della guerra convenzionale moderna. Fu, infatti, essenzialmente una guerra di popolo, data l'impossibilità di distinguere i guerriglieri dai civili non combattenti; la popolazione vietnamita ne fu così la vittima principale, soffrendo perdite pesantissime. L'uso estensivo del napalm causò la morte di migliaia di civili, mentre l'impiego di defolianti portò una massiccia distruzione del manto vegetale del paese, con gravissimi danni ecologici e all'agricoltura.
Il conflitto provocò tra i vietnamiti più di due milioni di morti, tre milioni di feriti e dodici milioni di profughi. Da parte loro gli Stati Uniti lamentarono 57.685 morti, circa 153.000 feriti e un colpo irreparabile alla propria immagine che ebbe pesanti conseguenze sulla più ampia vicenda della Guerra Fredda.

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