Cultura scientifica

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Testo

Le due culture, un problema della società attuale?

Gli egizi e i babilonesi usavano la matematica per fini pratici. I greci per primi fin da Talete hanno inseguito dimostrazioni razionali. Tutto lo sviluppo successivo dagli arabi alla scienza moderna, è un continuo progresso dell’astrazione. Galileo che condusse i famosi esperimenti sui gravi non si interessava alla cosa che cade ma alle leggi del cadere.Per l’immaginazione umana è uno straordinario stimolo a tentare nuovi progetti. Noi siamo capaci di costruire: in questa proposizione è il senzo della modernità. Ma purtroppo sapere che si può costruire di tutto porta all abuso, e quindi a conseguenze non più umane; basti pensare alla manipolazione genetica ad esempi oggi è possibile scegliere i figli su di un catalogo.
A partire da Galileo, abbiamo sviluppato le scienza unicamente come strumento di potere con la quale evidentemente non abbiamo imparato a convivere. La cultura c’è solo dove non si vuole dominare la natura.

La "CULTURA scientifica" è di moda.

Ogni anno in Italia e ormai anche su scala europea si svolge una "Settimana della cultura scientifica"; in Francia, il ministero della Ricerca organizza una "Festa della scienza". L'idea encomiabile, è quella di un'attività nel campo culturale, per favorire la riconciliazione del cittadino con la tecnoscienza moderna, che gli sarebbe ormai diventata troppo estranea.
Ma esiste la cultura scientifica? Può, anzi, esistere?
È ormai cosa banale opporre la cultura umanistica, letteraria e artistica, ad una cultura moderna, scientifica e tecnica, per deplorarne poi la loro separazione. È ormai assodato che la scienza moderna,
nel XVII secolo, è nata nella cultura classica (Galileo, Cartesio non sono solo uomini di scienza, ma anche uomini di lettere o, meglio, di cultura).
E il secolo dei Lumi ha prolungato questa alleanza.
Ma il XIX secolo, combattuto tra romanticismo e positivismo, è stato il secolo del divorzio, e il XX è essenzialmente quello della reciproca indifferenza - con alcune eccezioni (per limitarci alle arti plastiche: il futurismo e il costruttivismo in passato, o l'arte informatica oggi).
È forse venuto il tempo della riconciliazione? La tematica delle "due culture", largamente ispirata dal libro di C.P. Snow, che risale ormai a una trentina di anni fa, mi sembra tuttavia alquanto ingenua, troppo ottimista e insieme troppo pessimista.

1) Troppo ottimista, nella misura in cui dà per acquisita l'esistenza di una vera cultura nella attività scientifica. In realtà, il lavoro dei ricercatori scientifici, nel corso degli ultimi anni, è stato contrassegnato da una crescente forma di specializzazione, frammentazione e tecnicizzazione. Sia i contenuti della loro formazione che i criteri della loro valorizzazione, sono dettati da esigenze di redditività e di “performance” a breve termine, che privano la loro attività professionale di ogni valore culturale.
Non c'è qui lo spazio per una dimostrazione più probante, insisterò quindi su un solo elemento, che ritengo tuttavia determinante: l'anti-storicità della scienza.
Non può esistere cultura senza storia:
la cultura non è forse, semplicemente, la storia viva, questo insieme di rappresentazioni e di conoscenze che ci consentono di operare la transizione tra passato e futuro?
Ebbene, la scienza si è vantata, fino ad ora, di poter dimenticare il suo passato, rimasticandolo di volta in volta, così da vivere in un eterno presente
(in effetti, trascura allo stesso modo di occuparsi del proprio futuro).
Galileo e Cartesio, per ritornare a loro, continuano ad essere considerati degli scrittori, non dei fisici.
Questa amnesia, che è parte costitutiva della scienza e di cui essa si vanta, le porta discredito per quanto riguarda la pretesa di essere cultura.

2) La tesi delle due culture è invece troppo pessimista nella misura in cui considera possibile la coesistenza di forme eterogenee della cultura, con la conseguenza di negarne l'idea stessa.
Come nella Repubblica francese, la cultura è "una e indivisibile".
È una parola che, nella sua accezione più ampia, non ammette né plurale né aggettivazioni. È ovvio che la cultura, nel senso usuale, si concretizza in alcune forme particolari di creazione (letteraria, pittorica, musicale, etc.), ma esse non possono essere isolate senza correre il rischio di subire gravi delusioni: ad esempio i giovani fisici studiano la relatività, non Einstein!
Ecco quindi la contraddizione insita nella nozione di "cultura scientifica".
Il termine può indicare solo una mancanza, deve essere inteso "in negativo".
Conseguentemente, anziché promuovere iniziative destinate a diffondere questa (inesistente) cultura scientifica, io preferisco proporre l obbiettivo di "mettere la scienza in cultura": coltivare le sue potenzialità culturali e reintegrarla nella cultura.
Oggi ciò è necessario e al contempo possibile. Il modello di sviluppo della scienza moderna sta in effetti vivendo una gravissima crisi, sia dal punto di vista materiale che da quello intellettuale. L'eteronomia culturale che ha consentito durante alcuni decenni una maggiore produttività (a breve termine) della ricerca scientifica, la porta oggi a scontrarsi con gravi difficoltà sia epistemologiche che etiche e politiche.

Il dilemma appare evidente: o la scienza si lascia sempre più dominare dalle forme e dalle norme della tecnica, fondendosi nella sfera indifferenziata di una "tecnoscienza", e, rinuncia quindi a essere una delle grandi avventure della modernità, oppure accetta con modestia di reintegrarsi nel concerto culturale delle "arti e mestieri" umani, e ritrova la sua capacità di svolgervi un ruolo di emancipazione.

Quale migliore conclusione di questa citazione di Leonardo Sciascia, che scopro a proposito, al termine di questo mia relazione?

"Vittorini (...) percepiva in modo drammatico, in particolare nel corso dei suoi ultimi anni, il problema delle "due culture", quella umanistica e quella scientifica, che se ne è separata. Mi sembra che la dualità, pur esistendo di fatto, sia artificiale e costituisca un alibi da parte della scienza. Esiste una sola cultura, quella che ama l'uomo".

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