Corporate Governance

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Testo

Nel 1996 comincia la privatizzazione della Borsa, mercato diretto che più si avvicina al modello di concorrenza perfetta. Oggi la Borsa S.p.A. può contare quasi 250 venditori; ma chi sono e a quali regole devono sottostare?
CORPORATE GOVERNANCE
Nel 1974 nasce la Consob, organo con funzione di controllo in favore degli azionisti minori, siano essi consumatori, risparmiatori o creditori. A questo si affiancherà nel 1990 l’Antitrust, autorità indipendente, organo collegiale con la funzione di vigilare sulle operazioni di concentrazione e sugli abusi di posizioni dominanti.
Tutto questo per ottenere “democrazia economica”, riguardante soprattutto le grandi società per azioni, dove il controllo (management) è affidato a pochi, al contrario della proprietà, ripartita fra moltissimi azionisti. È questo il caso delle public companies, o società ad azionariato diffuso di cui si parlerà oltre.
Si è detto in precedenza che la Borsa S.p.A. può essere considerata un mercato a concorrenza perfetta; infatti, i requisiti di questa condizione (che interessano anche la democrazia economica) sono principalmente due: la trasparenza e la partecipazione.
La trasparenza permette ad ogni soggetto che opera nel mercato di possedere tutte le informazioni necessarie per effettuare consapevolmente la scelta di vendita o d’acquisto.
La partecipazione assicura a tutti coloro che lo vogliono di poter facilmente diventare soggetto del mercato.
Ma la democrazia economica richiede un’altra dote: la contendibilità, cioè deve esistere facile possibilità per le quote azionarie di essere vendute o acquistate, in modo tale che, come avviene anche nella “democrazia politica”, cambino gli assetti delle corporation.
Una volta chiariti questi concetti, prima di analizzare la situazione italiana, sarà opportuno soffermarsi su quella estera.
Nel mondo
Innanzi tutto del Corporate Governance i più diffusi modelli sono due: ad azionariato diffuso, la cosiddetta public company prima accennata, dove i soggetti sono soprattutto azionisti interessati alla redditività, e a “nocciolo duro”, che potremmo definire ristretto, dove i soggetti sono per lo più investitori istituzionali (banche, assicurazioni, …). Ognuno dei modelli presenta naturalmente vantaggi e svantaggi. Il primo è efficace in un mercato molto concorrenziale e competitivo, dove risulta più difficile essere “infastiditi” e il management può essere rilasciato. Se invece il mercato è oligopolistico la funzione del manager è essenziale per far sì che si risolvi al più presto, se si presenta, una situazione di crisi.
Il primo modello è tipico del mondo anglosassone, quello cioè dove vige la Common law in contrasto con la Civil law (distinguibile in francese e tedesca/scandinava). Infatti, secondo studi recenti, il governo societario è strettamente collegato con la tradizione legale d’appartenenza. Attraverso varie fonti sono state costruite delle tabelle, una per ogni sistema giuridico, con le quali è possibile osservare i risultati di quattro specifiche situazioni: le prime due sono i livelli di protezione degli azionisti e dei creditori che rispettivamente hanno alcuni parametri. L’indice degli azionisti è influenzato dall’ammissibilità del voto di lista, per delega, dai modi di tutelare le minoranze, dal fatto che un’azione dia diritto ad un voto e se gli azionisti non sono obbligati a depositare le proprie azioni prima dell’assemblea generale; il punteggio massimo assegnato è 5. L’indice dei creditori è costruito tenendo conto del diritto di prelazione, della necessità del consenso dei creditori per avviare la procedura fallimentare nominando un curatore ed infine l’assenza di liquidazione automatica dei crediti garantiti; il punteggio massimo assegnato è 4. Ma la protezione legale dei soggetti è a sua volta influenzata da una terza situazione: l’efficienza nell’amministrazione della giustizia e il livello di corruzione; in poche parole lo Stato di Diritto, con un punteggio massimo di 10 punti. C’è infine la concentrazione della proprietà azionaria per cui si è tenuto conto delle partecipazioni dei tre maggiori investitori nelle dieci imprese più quotate, del numero di listino (quindi la crescita dei mercati finanziari) ed infine il rapporto tra capitalizzazione e PIL e tra flottante e PIL.
Dai risultati ottenuti si nota che i paesi facenti parte della Common law hanno minore concentrazione proprietaria, oltre che maggiore protezione di azionisti e creditori e di efficienza nell’amministrazione della giustizia. Risultati contrari invece sono stati ottenuti per la Civil law francese, categoria in cui rientra anche l’Italia, con minore protezione e maggiore concentrazione proprietaria. La Civil law tedesca e scandinava è in una situazione intermedia a parte il punteggio dello Stato di Diritto dove ben cinque paesi su otto raggiungono il 10.
In quest’ultima categoria la media finale è molto influenzata dal Giappone, caso particolare poiché si avvicina agli USA. Ma non è giusto fare questo parallelismo dato che in Giappone vige ancora il modello di Corporate Governance a Keiretsu, in cui la partecipazione da parte di investitori istituzionali è ampia e dove la democrazia economica è limitata poiché non sono permesse le Opa.

In Italia
Nel nostro paese finalmente il mercato azionario ha avviato un processo di crescita, soprattutto in conseguenza delle privatizzazione delle grandi imprese pubbliche (TELECOM, AUTOSTRADE, ENEL…). Proprio per questo il 20 febbraio 1998 è stato emanato un decreto legislativo, entrato in vigore il 1° luglio dello stesso anno, in cui i nuovi articoli raccolti in sei parti (Disposizioni comuni, Disciplina degli intermediari, Disciplina dei mercati e della gestione accentrata di strumenti finanziari, Disciplina degli emittenti, Sanzioni, Disposizioni transitorie) ridefiniscono tutta la materia dei mercati. Presentiamo qui alcune nuove regole.
Art. 119
(Ambito di applicazione)
1. Le disposizioni del presente capo si applicano, salvo che sia diversamente specificato, alle società italiane con azioni quotate in mercati regolamentati italiani o di altri paesi dell'Unione Europea (società con azioni quotate).
Per quanto riguarda le Opa (acronimo di offerte pubbliche di acquisto) la nuova legge prevede che se un acquirente raggiunge la soglia del 30% dei titoli di un’azienda quotata deve promuovere un’Opa totalitaria, tranne se, con consenso della maggioranza degli azionisti, lancia un’offerta di acquisto o di scambio preventiva sul 60% del capitale.
Art. 122
(Patti parasociali)
1. I patti, in qualunque forma stipulati, aventi per oggetto l'esercizio del diritto di voto nelle società con azioni quotate e nelle società che le controllano sono:
a) comunicati alla CONSOB entro cinque giorni dalla stipulazione;
b) pubblicati per estratto sulla stampa quotidiana entro dieci giorni dalla stipulazione;
c) depositati presso il registro delle imprese del luogo ove la società ha la sede legale entro quindici giorni dalla stipulazione.
Art. 123
(Durata dei patti e diritto di recesso)
1. I patti indicati nell'articolo 122, se a tempo determinato, non possono avere durata superiore a tre anni e si intendono stipulati per tale durata anche se le parti hanno previsto un termine maggiore; i patti sono rinnovabili alla scadenza.
2. I patti possono essere stipulati anche a tempo indeterminato; in tal caso ciascun contraente ha diritto di recedere con un preavviso di sei mesi.
I patti di sindacato, della categoria dei contratti parasociali, sono stipulati tra azionisti. Prima del decreto legislativo, questi patti rendevano in qualche modo nulla la contendibilità, poiché alcuni obbligavano gli azionisti a non vendere le azioni a soggetti diversi dai contraenti (sindacato di blocco) causando così l’immobilità del controllo, sempre in mano agli stessi gruppi di comando, altri che impegnavano i contraenti a votare tutti nello stesso modo (sindacati di voto) per garantire una linea di condotta uniforme. Proprio per questo ora la durata massima è triennale come è descritto nell’articolo prima citato.
Art. 125
(Convocazione dell'assemblea su richiesta della minoranza)
1. Gli amministratori convocano l'assemblea entro trenta giorni dalla richiesta quando ne fanno domanda tanti soci che rappresentino almeno il dieci per cento del capitale sociale.
Questo articolo rientra nella seconda sezione intitolata “Tutela delle minoranze”: infatti, l’assemblea è uno dei metodi grazie al quale anche i piccoli azionisti possono intervenire per dire la loro. Con la normativa precedente invece quel 10% era invece il 20%. In questa seconda sezione è resa chiara l’idea di come stia avanzando il concetto di legalità all’interno del mercato azionario: infatti, nell’art.128 comma 1 e 2, sancisce la possibilità di rivolgersi al collegio sindacale con solo il 2% del capitale (prima era del 5%) e ad un tribunale con il 5% (prima 10%).
La terza sezione è invece dedicata alle “deleghe di voto”.
Art. 136
(Definizioni)
1. Ai fini della presente sezione, si intendono per:
a) "delega di voto", il conferimento della rappresentanza per l'esercizio del voto nelle assemblee;
b) "sollecitazione", la richiesta di conferimento di deleghe di voto rivolta alla generalità degli azionisti;
c) "committente", il soggetto o i soggetti che congiuntamente promuovono la sollecitazione, richiedendo l'adesione a specifiche proposte di voto;
d) "intermediario", il soggetto che effettua la sollecitazione per conto del committente;
e) "raccolta di deleghe", la richiesta di conferimento di deleghe di voto effettuata dalle associazioni di azionisti esclusivamente nei confronti dei propri associati.
In ogni assemblea il diritto più importante per un’azionista è quello di voto (nelle S.p.A. ogni azione dà diritto ad un voto).Per evitare che i grandi proprietari siano sempre al comando si è cercato prima di tutto di eliminare o più giustamente rendere minore il fenomeno dell’assenteismo, in modo tale che un socio può dare facoltà ad un altro di votare al suo posto dando delega di voto. Naturalmente fatta la legge, trovato l’inganno: chi può assicurare che colui che è stato delegato voti veramente sotto ordine del socio delegante? Con la legge n. 216 del 1974 si è cercato di sfrondare i possibili delegati, eliminando banche, amministratori, sindaci, dipendenti di società ed è inoltre vietato consegnare deleghe in bianco e per più assemblee.
Nell’articolo appena inserito sono inoltre introdotti nuovi concetti: il committente è colui che promuove la sollecitazione, una specie esortazione ad essere scelto come delegato, ma può fare ciò solo se possiede da almeno sei mesi l’1% del capitale di società. Ma colui che la effettua è l’intermediario “mediante la diffusione di un prospetto e di un modulo di delega.” (Art.138). Possibili intermediari sono le imprese di investimento, le banche (se derogate dalla l.n.216), società di gestione del risparmio, e così via. La delega di voto in definitiva deve essere sottoscritta dal delegante, è revocabile, valida per una sola assemblea e deve avere data, nome del delegato e indicazioni per il voto. Sono permessi inoltre voti per corrispondenza (art.127).
Unici soci cui non è permesso il voto sono coloro che possiedono le azioni di risparmio (in compenso ricevano il 2% in più di utili), cui è dedicata la quarta sezione.
Art. 145
(Emissioni delle azioni)
1. Le società italiane con azioni ordinarie quotate in mercati regolamentati italiani o di altri paesi dell'Unione Europea possono emettere azioni prive del diritto di voto, dotate di particolari privilegi di natura patrimoniale.
Per il nuovo decreto esse sono stabilite dagli statuti delle singole società.
Nella quinta sezione si parla del “Collegio sindacale”, organo che deve essere costituito da non meno di tre membri effettivi.
Art. 149
(Doveri)
1. Il collegio sindacale vigila:
a) sull'osservanza della legge e dell'atto costitutivo;
b) sul rispetto dei principi di corretta amministrazione;
c) sull'adeguatezza della struttura organizzativa della società per gli aspetti di competenza, del sistema di controllo interno e del sistema amministrativo-contabile nonchè sull'affidabilità di quest'ultimo nel rappresentare correttamente i fatti di gestione; …
3. Il collegio sindacale comunica senza indugio alla CONSOB le irregolarità riscontrate nell'attività di vigilanza e trasmette i relativi verbali delle riunioni e degli accertamenti svolti e ogni altra utile documentazione.
4. Il comma 3 non si applica alle società con azioni quotate solo in mercati regolamentati di altri paesi dell'Unione Europea.
Art. 152
(Denunzia al tribunale)
1. Il collegio sindacale, se ha fondato sospetto di gravi irregolarità nell'adempimento dei doveri degli amministratori, può denunziare i fatti al tribunale ai sensi dell'articolo 2409 del codice civile. In tale ipotesi le spese per l'ispezione sono a carico della società e il tribunale può revocare anche i soli amministratori.
2. La CONSOB, se ha fondato sospetto di gravi irregolarità nell'adempimento dei doveri dei sindaci, può denunziare i fatti al tribunale ai sensi dell'articolo 2409 del codice civile; le spese per l'ispezione sono a carico della società.
3. Il comma 2 non si applica alle società con azioni quotate solo in mercati regolamentati di altri paesi dell'Unione Europea.
Parliamo ora di reati societari, cioè quelli che avvengono nell’ambito della gestione di una società, e quindi il più delle volte commessi da amministratori, dirigenti o in ogni caso qualcuno che possiede un certa possibilità di controllo. I due reati più comuni e conosciuti sono l’aggiotaggio e l’insider trading. Il primo consiste nel inventare notizie false con lo scopo di stravolgere il mercato; il secondo è punibile ai sensi della legge n.157 del 1991 con pene previste di reclusione fino a due anni e con una multa che va dai 20 ai 600 milioni. Consiste nel divulgare informazioni private di una società il più delle volte per trarne profitti personali. Purtroppo però la Consob non ha grandi possibilità di investigazione (come per esempio la Securities Exchange Commission americana).Il Testo unico ha tentato di salvare la situazione rendendo più estesa la fascia di violazione di legge in cui si muove l’insider trading, che risulterà punibile anche solo se ha acquistato o venduto strumenti finanziari.
Il Testo unico ha provveduto anche a rendere il mercato più trasparente possibile cambiando leggermente la legge n.216 del 1974 sugli incroci azionari o partecipazioni incrociate. Secondo la legge, quando due società arrivavano a possedere reciprocamente almeno il 2% dell’altra, dovevano avvertire la Consob che levava alla “seconda arrivata” il diritto di voto per le azioni che eccedevano a quel tetto. Oggi la soglia può raggiungere il 5% se le due società si sono prima organizzate tra loro.
Un’altra innovazione del decreto riguarda la Monte Titoli S.p.A., la società che ”curava” tutti i titoli trattati non solo di Stato (a quello ci pensa la Banca d’Italia), costruendo quindi un vero e proprio monopolio. Dal 1° luglio dell’anno scorso questo monopolio è stato abolito così da ampliare gli orizzonti verso “società di gestione del risparmio”, nuovi soggetti da iscrivere in un albo, ai quali il piccolo azionista potrà affidare il proprio capitale.

Da quello che si è detto fino a questo momento sembrerebbe quasi che il Governo italiano abbia finalmente emanato qualcosa di perfetto, ma ciò non è possibile e molti economisti hanno dato il loro parere su questo giovane decreto legislativo. Alcuni hanno infatti affermato che esiste un pericolo di modifica degli assetti di potere poiché le funzioni principali (es. committenti e intermediari) sono svolte dalle banche; altri sono perplessi per la percentuale oltre cui scatta l’obbligo di Opa totalitaria; altri ancora non credono che la contendibilità sia poi così a protezione degli azionisti minori. Secondo Umberto Zanni, ad esempio, i piccoli risparmiatori hanno solo un interesse puramente centrato sulla redditività, ma questa si può raggiungere dopo un lungo periodo di stabilità della società, che la maggiore contendibilità sicuramente non aiuta.
(peccato, ora che volevo investire…)

MASTROPAOLO SIMONA

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