Conoscere la vulcanologia

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Testo

CONOSCERE LA VULCANOLOGIA
INDICE
Le eruzioni
1. Cos' e' un' eruzione vulcanica?
2. Perche' avvengono le eruzioni?
3. Dove avvengono le eruzioni?
4. Come possono essere le eruzioni?
I prodotti delle eruzioni effusive: le lave
1. Cosa e' la lava?
2. Le lave sono tutte uguali?
3. Come si forma una colata di lava?
4. Come sono le colate di lava?
I prodotti delle eruzioni esplosive: i piroclasti
1. Cosa sono i piroclasti?
2. Perche' si formano i piroclasti?
3. Come vengono eruttati i prodotti piroclastici?
4. Cosa sono i depositi piroclastici?
I vulcani
1. Cos' e' un vulcano?
2. Cosa sono i vulcani a scudo?
3. Come sono gli strato-vulcani?
4. Come sono i duomi vulcanici?
5. Come sono i vulcani monogenici?
6. Come si formano i campi vulcanici?
7. Tutti i vulcani hanno la forma di una montagna?
8. Come sono i vulcani italiani?

LE ERUZIONI
paragrafi:
1. COS' E' UN'ERUZIONE VULCANICA?
2. PERCHE' AVVENGONO LE ERUZIONI?
3. DOVE AVVENGONO LE ERUZIONI?
4. COME POSSONO ESSERE LE ERUZIONI?
COS' E' UN' ERUZIONE VULCANICA?

Un'eruzione vulcanica consiste nell'emissione di magma sulla superficie terrestre. Nel punto in cui avviene l'eruzione si forma un vulcano. In genere i vulcani hanno la forma di un rilievo, percorso nel centro da un condotto all'interno del quale risale il magma. Lo sbocco all'esterno del condotto è detto cratere.
Il magma è formato da un liquido con temperature intorno a 1.000-1.200°C, che si forma per fusione di materiale contenuto nel mantello terrestre. Insieme al liquido si trovano anche cristalli solidi e gas.
Il componente chimico più abbondante di molti liquidi magmatici è la silice. La molecola della silice è formata da un atomo di silicio e da due atomi di ossigeno (SiO2). Le molecole di silice tendono a legarsi fra loro, formando lunghe strutture dette catene polimeriche. Per questa caratteristica, un magma con molta silice tende a essere più viscoso, cioé meno fluido, di uno che ne contiene poca. Un magma fluido può liberare il gas prima di arrivare in superficie più facilmente di uno viscoso.
I gas contenuti nel magma sono di diversi tipi, ma in genere il più abbondante è il vapore acqueo. Questo è detto iuvenile quando si forma insieme al magma per la fusione di minerali che contengono acqua. Vapore acqueo di origine esterna può aggiungersi al magma quando questo, risalendo verso la superficie, intercetta falde acquifere sotterranee. Altre fonti di vapore esterne sono la vegetazione e i corsi d'acqua esistenti su terreni attraversati dai prodotti di un'eruzione.
Grandi quantità di vapore acqueo sono prodotte nelle eruzioni che avvengono su vulcani ricoperti di neve o da ghiacciai o quando avvengono all'interno di laghi e mari poco profondi. Il contatto tra magma e acqua esterna provoca reazioni diverse a seconda della quantità di acqua. Se è relativamente poca provoca esplosioni, se è abbondante può arrivare a raffreddare il magma.
Quando l'emissione di magma in superficie è quasi continua per lunghi periodi, l'attività di un vulcano è detta persistente. Numerosi vulcani hanno eruzioni sporadiche, separate una dall'altra da lunghe fasi di quiescenza o di ridotta attività.
Durante le eruzioni la quantità di magma emesso può variare di molto. Le grandi eruzioni sono quelle meno frequenti e, su uno stesso vulcano, hanno tempi di ritorno molto lunghi, cioé si ripetono a distanza anche di centinaia di anni.

PERCHE' AVVENGONO LE ERUZIONI?

Dal mantello terrestre, il magma risale verso l'alto perché è meno denso, e quindi meno pesante, del materiale solido che gli sta intorno, come una bolla d'aria o un pezzo di legno che risale nell'acqua.
La spinta di galleggiamento del magma tende a diminuire verso la base della crosta terrestre, dove si trovano rocce meno dense di quelle del mantello. Quando la densità del materiale solido è simile a quella del magma, questo rallenta fino a fermarsi. Le zone in cui il magma si accumula vengono chiamate camere magmatiche. Le parti solide che circondano le camere magmatiche sono dette rocce incassanti.
All'interno di una camera magmatica il magma può stazionare per periodi molto lunghi e può anche raffreddarsi e solidificare senza giungere in superficie, formando rocce magmatiche sepolte che prendono il nome di intrusioni.
Per dar luogo a un'eruzione il magma deve risalire dalla camera magmatica e raggiungere la superficie. Un possibile meccanismo che rimette il magma in movimento è la variazione di pressione che può essere determinata o da un aumento della pressione all'interno della camera magmatica o da una diminuzione di quella esterna, rappresentata dal peso delle rocce incassanti.
La pressione all'interno della camera può aumentare per la formazione e la risalita di nuovo magma, quella esterna può diminuire per lo stiramento della crosta, fino alla lacerazione, causato dai movimenti che avvengono nella parte più esterna del globo terrestre.
I due meccanismi possono anche combinarsi. Ad esempio, una diminuzione di pressione esterna favorisce la liberazione di parte del gas disciolto nel magma. Il gas si separa dal liquido formando delle bolle che si muovono verso l'alto e premono contro il tetto della camera magmatica, aumentando la pressione interna. Il magma può anche essere spinto all'interno di fratture se il serbatoio viene compresso da movimenti delle rocce incassanti.
In ogni caso, perché il magma raggiunga la superficie terrestre si deve rompere la situazione di equilibrio creatasi tra il liquido fermo nella camera magmatica e le rocce incassanti e in queste devono formarsi fratture lungo le quali il magma possa infiltrarsi.
Tutte le ipotesi che si fanno sulla formazione e sulla risalita dei magmi nascono da osservazioni indirette (propagazione delle onde sismiche, anomalie gravimetriche, ecc.) essendo impossibile l'analisi diretta a quelle condizioni di profondità e di temperatura.
DOVE AVVENGONO LE ERUZIONI?
In base alla teoria della tettonica delle placche (o zolle), la parte più esterna della Terra viene suddivisa in una serie di zolle rigide, formate dalla crosta e dalla parte superiore del mantello terrestre (litosfera).
Le zolle di litosfera sono appoggiate sopra uno strato di materiale meno rigido formato dalla restante parte di mantello superiore (astenosfera). Il comportamento plastico dell'astenosfera è attribuito alla presenza di porzioni di materiale liquido.
Le zolle di litosfera più estese sono sei, con dimensioni di migliaia di chilometri. Numerose sono quelle secondarie, talvolta anche molto piccole. Una zolla litosferica può contenere un continente o un fondale oceanico o entrambi.
Le zolle litosferiche si muovono una rispetto all'altra e i loro bordi (margini di zolla) possono avvicinarsi o allontanarsi oppure scorrere paralleli. I modelli geologici considerano tre diverse situazioni:
• due zolle si allontanano una dall'altra (margini divergenti)
• due zolle si avvicinano fino ad entrare in collisione (margini convergenti)
• due zolle scorrono parallelamente una all'altra (margini trasformi).
Gran parte dei vulcani attivi della terra sono in corrispondenza dei margini divergenti e dei margini convergenti. Alcuni vulcani si trovano anche lontano dai bordi, all' interno di placche sia continentali che oceaniche.
COME POSSONO ESSERE LE ERUZIONI?
A seconda della composizione chimica del magma e delle condizioni che questo incontra durante la risalita dalla camera magmatica, un'eruzione può avere caratteristiche molto diverse. La suddivisione fondamentale è tra eruzioni effusive ed eruzioni esplosive.
In quelle effusive il magma emesso in superficie prende il nome di lava e forma colate che scendono lungo i fianchi del vulcano. Nelle esplosive, il magma viene frammentato in particelle di varie dimensioni che vengono scagliate all'esterno con violenza e si raffreddano formando pomici, scorie e ceneri, chiamate piroclasti.
Alcuni vulcani hanno attività prevalentemente esplosiva, altri prevalentemente effusiva. Una stessa eruzione può avere fasi esplosive e fasi effusive.
Molte eruzioni prendono il nome dei vulcani su cui sono tipiche e sono dette hawaiiane, stromboliane, vulcaniane e pliniane.
Le eruzioni hawaiiane, frequenti sui vulcani delle isole Hawaii, sono poco o niente esplosive e formano colate di lava fluida. Gli episodi esplosivi di queste eruzioni consistono in copiosi getti di materiale incandescente che raggiungono altezze di qualche centinaia di metri, detti fontane di lava.
Le eruzioni stromboliane prendono il nome dal vulcano Stromboli nelle isole Eolie e consistono in una successione di esplosioni moderate, separate da intervalli di tempo anche lunghi. Durante le esplosioni i brandelli di magma incandescente vengono lanciati in aria e ricadono nelle vicinanze del cratere. Nelle fasi più intense, i lanci di materiale possono raggiungere altezze di qualche chilometro.
Nelle eruzioni vulcaniane, le esplosioni producono prevalentemente cenere che viene espulsa insieme a pezzi del condotto e a grossi brandelli di lava viscosa che ricadono al suolo in parte ancora caldi (bombe).
Le eruzioni pliniane sono caratterizzate dalla formazione di colonne eruttive alte decine di chilometri, composte da ceneri, pomici e gas. Il termine pliniano deriva da Plinio il Giovane il quale per primo descrisse un'eruzione di questo tipo, quella del Vesuvio che nel 79 d.C. distrusse Pompei e Ercolano e a causa della quale morì lo zio, Plinio il Vecchio.
Nel corso di un'eruzione pliniana, può verificarsi che la colonna eruttiva, diventata troppo densa e pesante per continuare a salire verso l'alto, ricada lungo i fianchi del vulcano formando flussi estremamente pericolosi per la loro velocità e temperatura.
I flussi che si formano nel corso delle eruzioni esplosive sono composti da piroclasti solidi e gas. Se la quantità di solidi è molto abbondante e il flusso è denso quasi come una valanga, viene chiamato flusso piroclastico. Quando le particelle solide sono poche e disperse in un'abbondante fase gassosa, vengono chiamati surge.
Vi sono eruzioni dette ultra-pliniane, nel corso delle quali si sviluppano colonne eruttive molto alte o grossi flussi piroclastici. Si distinguono dalle pliniane per la grande quantità di prodotti eruttati e per l'ampiezza dell'area su cui sono dispersi.
Se il magma si avvicina a zone con acqua sotterranea (falde acquifere) o superficiale (mare o lago) e l'acqua riscaldata forma getti di vapore, le eruzioni si chiamano freatiche. Se il magma entra in contatto e insieme al vapore vengono eruttati pezzi di magma, le eruzioni sono dette freato-magmatiche.
Le eruzioni freatiche, dette anche ultra-vulcaniane in riferimento all'eruzione avvenuta sull'isola di Vulcano nel 1888, consistono in una serie di esplosioni durante le quali viene espulso prevalentemente vapore acqueo e pezzi di roccia derivanti dall'apparato vulcanico. Un'esplosione freatica può formare una colonna di vapore alta vari chilometri e lanciare a distanze di centinaia di metri massi del peso di qualche quintale.
Con freato-magmatiche si indicano eruzioni molto violente (chiamate anche eruzioni surtseiane e freato-pliniane) innescate dal contatto diretto fra magma e acqua. Senza il contatto con l'acqua, molte di queste eruzioni formerebbero colate di lava.
I PRODOTTI DELLE ERUZIONI EFFUSIVE: le lave
paragrafi :
1. COS’ E' LA LAVA?
2. COME SI FORMA UNA COLATA DI LAVA?
3. LE LAVE SONO TUTTE UGUALI?
COS’ E' LA LAVA?
Il magma che arriva in superficie prende il nome di lava quando è emesso nel corso di eruzioni effusive e forma delle colate che scorrono lungo i fianchi del vulcano.
Il termine ha origine dal dialetto napoletano, che con "lava" indica i torrenti di acqua mista a fango che scendono dalle colline intorno alla città dopo violenti acquazzoni. Tumultuosi torrenti gonfi di ceneri e altro materiale vulcanico sono descritti nelle cronache delle eruzioni storiche del Vesuvio e sono stati talvolta interpretati come eventi eruttivi.
Un quartiere napoletano, frequentemente soggetto a questi fenomeni, veniva chiamato "il Lavinaio". Con l'eruzione effusiva del Vesuvio del 1737, il termine "lava di fuoco" venne utilizzato per descrivere le colate di lava vere e proprie.
La composizione chimica della lava è quella del magma originario impoverito dai gas che vengono liberati nell'aria prima e durante l'eruzione. In base al contenuto dell'elemento più abbondante, la silice, i magmi e i prodotti che ne derivano vengono detti acidi se contengono molta silice (più del 52%) e basici se ne contengono relativamente poca.
Molte delle lave presenti sulla superficie terrestre derivano da magmi basici e sono chiamate basalti. Meno diffuse sono le lave di tipo acido, in quanto i magmi con alto contenuto in silice danno più facilmente luogo a eruzioni esplosive.
Una delle caratteristiche fisiche più importanti di una lava è la viscosità. La viscosità è definita come la resistenza di un fluido allo scorrimento e dipende in modo particolare dalla composizione chimica e dalla temperatura del fluido. Una lava molta calda è poco viscosa e scorre velocemente, mentre una con temperatura più bassa è viscosa, scorre lentamente e tende ad accumularsi in colate molto spesse. Una lava molto viscosa può addirittura uscire a fatica dal cratere e formare ammassi quasi privi di movimento. A parità di temperatura, le lave derivanti da magmi basici sono in genere più fluide di quelle derivanti da magmi acidi.
Con la distanza dal centro eruttivo diminuisce la temperatura e in ogni tipo di lava aumenta la viscosità. La velocità di scorrimento delle lave è generalmente di qualche chilometro all'ora e diminuisce ulteriormente nelle zone più lontane dalla bocca eruttiva. Proprio per la loro scarsa velocità, le colate di lava raramente rappresentano un pericolo per le vite umane.
COME SI FORMA UNA COLATA DI LAVA?
Una colata di lava che scorre lungo le pendici di un vulcano può essere divisa in due parti: il canale e il fronte. Il canale è il tratto vicino al cratere entro il quale la lava scorre, il fronte è il punto più lontano dalla bocca eruttiva, dove la lava è meno calda, si ammucchia e comincia a fermarsi. Raggiungendo il fronte la lava rallenta e la colata si allarga lateralmente.
La colata disperde calore rapidamente dalle zone a contatto con l'aria e, dopo un percorso a volte molto breve, si ricopre di una crosta solida che aumenta di spessore con la distanza. Una volta formatasi la crosta, la lava ancora calda resta isolata dall'esterno e il raffreddamento rallenta.
Fino a che la crosta è abbastanza sottile e plastica, può deformarsi senza rompersi. Al contrario, quando è spessa e rigida, il movimento della lava calda sottostante la rompe in pezzi. Questo processo, detto autobrecciatura, forma lastre, blocchi e detriti solidi che ricoprono molte colate laviche.
A una certa distanza dal cratere, la superficie di una colata può essere completamente ricoperta da pezzi di lava fredda prodotti dall'autobrecciatura della crosta. Il movimento del flusso che avanza fa cadere i pezzi di crosta ai lati e davanti al fronte.
Il detrito laterale forma gli argini, quello che ricade davanti al fronte finisce sotto la colata che avanza. Il percorso della lava consiste in un movimento dal cratere al canale, dal canale al fronte e dal fronte agli argini.
La parte di canale vicina al cratere, dove la lava scorre liberamente sopra il terreno è detta canale vero e proprio, mentre si dice canale arginato quando il detrito comincia ad ammucchiarsi ai lati.
Una colata attraversa due fasi: una di sviluppo e una di collasso. Durante la prima, la lava continua a sgorgare dal cratere e rifornisce la colata di materiale caldo. Nella seconda, l'emissione dal cratere è terminata, ma nel canale c'è ancora lava che scorre verso il fronte, lasciandosi alle spalle solo materiale freddo.
Durante la fase di collasso, la colata rallenta fino a fermarsi quando la lava è passata tutta dal canale al fronte. La lunghezza finale di un colata dipende dalla quantità totale di lava eruttata e dalla durata dell'alimentazione al cratere.
Se dal cratere esce un piccolo rivolo di lava, questo si raffredda rapidamente e si ferma, anche se l'emissione dura a lungo. La stessa quantità di lava emessa in poco tempo può formare una colata più grossa che resta calda, e scorre, per tratti più lunghi.
Quando la colata si ferma e comincia a raffreddarsi anche la parte più interna, la lava si contrae e si frattura. La lenta perdita di calore può dividere la colata, soprattutto se di grosso spessore, in blocchi simili a colonne.
Quando diverse colate seguono lo stesso percorso nell'arco di un periodo di tempo limitato, si forma un flusso composito. Durante lo sviluppo di un flusso composito, ogni colata che percorre il canale aggiunge un nuovo strato di materiale agli argini laterali.
Due colate successive che percorrono lo stesso canale possono essere molto vicine nei pressi del cratere e allontanarsi una dall'altra con la distanza. Flussi compositi, insieme a colate singole, eruttati da un cratere durante lo stesso periodo di attività, formano i campi di lava.
L'insieme di diversi campi di lava formano la copertura di un vulcano (lava armor) con una morfologia irregolare, avendo i vari flussi e campi spessori e lunghezze differenti.
LE LAVE SONO TUTTE UGUALI?
LAVE FLUIDE
L'aspetto che assume una colata di lava può essere molto diverso a seconda del chimismo del magma originario, della temperatura e di altri fattori che influenzano la possibilità di movimento di un fuso in progressivo raffreddamento.
La distinzione dei tipi di colata in base alla fluidità della lava non è fatta su base chimica, ma in genere le lave molto fluide hanno composizione basica o intermedia.
Nel passato geologico, imponenti e prolungati flussi emessi da lunghe fessure della crosta terrestre hanno costruito vasti altipiani, detti plateau basaltici. Queste lave erano molto fluide e hanno percorso lunghe distanze anche su terreni poco inclinati.
Flussi di lave basaltiche, difficilmente quantificabili per la loro inaccessibilità, fuoriescono continuamente dalle dorsali medio-oceaniche e formano i fondali oceanici. Le lave sottomarine sono in prevalenza del tipo detto a cuscino (o pillow-lava) per la forma rotondeggiante che assumono a causa del rapido raffreddamento a contatto con l'acqua del fondo oceanico .
Le più grandi colate basaltiche subaeree sono quelle che avvengono sulle isole oceaniche, come le Hawaii, mentre i vulcani continentali eruttano quantità inferiori di magmi basaltici.
Le lave basaltiche e di tipo intermedio subaeree vengono indicate con i termini hawaiiani pahoehoe e aa. Le lave pahoehoe sono molto fluide e hanno una superficie liscia o segnata da deformazioni plastiche; le lave aa sono colate più spesse, con la superfice ricoperta da detrito prodotto dall'autobrecciatura della crosta.
L'Etna, che rappresenta il più grande vulcano basaltico continentale del mondo in attività, ha prodotto nel 1669 una colata di 1 km3, considerata la più voluminosa avvenuta su questo vulcano in epoca storica. Con una lunghezza di 40 km e un volume di 12,3 km3, la colata basaltica avvenuta nel 1783 dal vulcano Laki, è quella storica più voluminosa che si conosca. Tra i flussi meno recenti, si ricorda il Roza Member del Miocene Medio nel Columbia River Plateau (USA), lungo 300 km e con un volume di 1500 km3.
LAVE VISCOSE
Molte lave viscose contengono grandi quantità di cristalli che indicano un abbassamento nella temperatura del magma prima dell'eruzione. La temperatura relativamente bassa, la presenza della fase solida e il fatto che con la formazione dei primi cristalli il fuso si arricchisce di silice, sono fattori che concorrono a ridurre la fluidità di un magma.
Le lave con alti contenuti in silice (daciti, trachiti e andesiti) hanno poca capacità di movimento e si accumulano vicino al punto di emissione formando dei rilievi detti duomi vulcanici. Quando si raffreddano appena sotto la superficie, provocano il sollevamento dell'area e sono chiamati criptoduomi.
Le lave di composizione intermedia (rioliti) possono accumularsi formando duomi o scorrere per brevi tratti formando strutture pianeggianti, grosso modo circolari (mesa), oppure spessi flussi di lave a blocchi quando sono più calde e relativamente fluide.
Spesso le lave riolitiche vengono eruttate nelle fasi finali di eruzioni esplosive che hanno formato ampi crateri. In questo caso, le colate restano confinate all'interno dei crateri e, solo nel caso di flussi abbondanti, riescono a formare colate che si spingono all'esterno dell'edificio vulcanico.
I PRODOTTI DELLE ERUZIONI ESPLOSIVE : I PIROCLASTI
paragrafi:
1. COSA SONO I PIROCLASTI?
2. PERCHE' SI FORMANO I PIROCLASTI?
3. COME VENGONO ERUTTATI I PRODOTTI PIROCLASTICI?
4. COSA SONO I DEPOSITI PIROCLASTICI?
COSA SONO I PIROCLASTI?

Si chiamano piroclasti tutti i prodotti vulcanici emessi nel corso delle eruzioni esplosive. I piroclasti hanno nomi diversi a seconda della loro origine e delle loro dimensioni.
In base alla loro origine possono essere distinti in:
• iuvenili quando derivano dal magma che provoca l'eruzione. I piroclasti iuvenili comprendono:
o i frammenti vetrosi. Il vetro è una sostanza che può derivare da qualsiasi fuso silicatico quando il raffreddamento è rapido e non permette la formazione di una struttura molecolare organizzata. I piroclasti vetrosi e bollosi sono le pomici, le scorie e le ceneri. Le pomici sono di colore chiaro, da bianco a grigio, ricche di bolle lasciate dai gas e pertanto molto leggere. Le scorie sono di colore scuro, nero o rossiccio, meno vescicolate delle pomici. Le ceneri vetrose sono piccoli frammenti di pomici o di scorie. Altri piroclasti juvenili non presentano bolle, come l'ossidiana e le particelle di cenere che derivano dalle pareti di bolle esplose.
o i cristalli che si sono formati nel magma prima dell'eruzione.
• litici accessori
Sono particelle solide non vescicolate che derivano da magma solidificato durante eruzioni precedenti e coinvolto in un'eruzione successiva.

• litici accidentali
Sono frammenti di varia natura, anche non magmatica, provenienti dal condotto vulcanico o dalle rocce incassanti. Sono accidentali anche i clasti raccolti dal terreno dai flussi durante lo scorrimento al suolo.
• xenoliti
Quando non è possibile individuare in una particella non vescicolata un elemento accidentale o accessorio, si usa il termine xenolite. Alcune xenoliti sono pezzetti di mantello terrestre, trascinati fino in superficie dal magma.
I prodotti piroclastici vengono classificati in base alle loro dimensioni:
• dimensioni maggiori di 64 mm
o bombe (emesse allo stato liquido)
o blocchi (emessi allo stato solido)
• dimensioni comprese tra 64 e 2 mm
o lapilli
• dimensioni comprese tra 2 mm e 62 micron
o cenere grossolana
• dimensioni inferiori ai 62 micron
o cenere fine
PERCHE' SI FORMANO I PIROCLASTI?
Il fuso magmatico contiene in soluzione una quantità di gas che dipende dalla sua composizione chimica e dalle condizioni di temperatura e pressione alle quali si trova.
Via via che il magma risale verso la superficie terrestre, diminuisce la pressione esterna e diminuisce di conseguenza la quantità di gas che può essere mantenuto in soluzione.
Quando la pressione esterna raggiunge un valore critico, detto pressione di saturazione, il gas comincia a uscire dal magma (processo di essoluzione) e a formare delle bolle.
Se il magma continua a salire, la pressione esterna diventa sempre minore e aumenta la quantità di gas che può essolversi. Le bolle si espandono e, essendo più leggere, risalgono attraverso il liquido magmatico.
Con la formazione delle bolle e con la loro espansione la massa totale aumenta di volume e aumenta anche la sua velocità di risalita.
Espandendosi, le bolle vicine si uniscono. Oltre una certa dimensione l'espansione termina e la pressione del gas all'interno delle bolle riprende ad aumentare, perché continuamente riscaldate dal magma che le circonda.
La differenza di pressione tra interno e esterno della bolla cresce anche perché le bolle continuano a risalire e si trovano in condizioni di pressione esterna sempre più bassa. Quando la pressione interna è più alta di quella esterna, la bolla esplode.
L'esplosione delle bolle avviene in parte all'interno del condotto vulcanico, prima che il magma arrivi in superficie. Altre bolle scoppiano all'uscita dalla bocca eruttiva, quando la pressione esterna è quella dell'aria.
L'esplosione delle bolle frammenta il magma in pezzi più o meno grandi che vengono scagliati in alto. Le bolle che non hanno una pressione interna sufficiente per esplodere, restano intrappolate nei brandelli di magma che raffreddano al contatto con l'aria.
Quanto più è alto il numero di bolle che esplode, tanto più il magma è frammentato. Le piccole dimensioni dei frammenti favoriscono un raffreddamento rapido che è la causa della struttura vetrosa di molti piroclasti. Le bolle inesplose all'interno dei frammenti danno ai piroclasti l'aspetto poroso e vescicolato, tipico delle pomici.
La frammentazione del magma e la formazione dei piroclasti è regolata dalle variazioni di pressione, esterna al magma e interna alle bolle di gas, nonché dalla quantità di gas che un magma è in grado di contenere e di essolvere.
La quantità di gas, a sua volta, dipende dal contenuto iniziale nel magma e dalla possibilità che ne venga aggiunto altro da fonti esterne. Il gas di origine esterna deriva dall'evaporazione di falde acquifere che il magma incontra durante la risalita o dal contatto con acque superficiali, quando l'eruzione avviene in bacini marini o lacustri.
Il contatto tra magma e acqua provoca la formazione di grandi quantità di vapore acqueo e può innescare violente esplosioni.
Le eruzioni esplosive avvengono generalmente da magmi con elevati contenuti in silice che sono in grado di trattenere abbondante gas al loro interno fino alle zone vicine alla superficie o da magmi (anche basici) che entrano in contatto con acqua esterna.
COME VENGONO ERUTTATI I PRODOTTI PIROCLASTICI?

Scorie e bombe basaltiche sono emesse in prevalenza nel corso di eruzioni hawaiiane con esplosioni moderate che lanciano brandelli di lava a altezze di qualche centinaio di metri. Quando l'emissione di magma è copiosa, si formano fontane di lava dalle quali ricadono pezzi di lava ancora caldi che si accumulano formando coni di scorie saldate (detti spatter).
Scorie, bombe e blocchi di composizione basaltica o intermedia sono eruttate nel corso di eruzioni stromboliane con esplosioni poco violente che si succedono a intervalli di tempo più o meno prolungati e con colonna eruttiva alta intorno al chilometro.
Litici accessori di varie dimensioni, con abbondanza di frammenti molto piccoli derivanti dal condotto e dall'apparato vulcanico vengono scagliati in aria insieme a grandi quantità di vapore nel corso delle eruzioni vulcaniane.
Pomici e ceneri, in genere di composizione acida, sono i prodotti piroclastici tipici delle eruzioni pliniane, ma vengono emessi in abbondanza anche nel corso di tutte le eruzioni in cui avviene interazione tra acqua esterna e magma, come le freato-pliniane (magmi generalmente acidi) e le freato-magmatiche (o surtseyane, con magmi prevalentemente basici).
I piroclasti sono trascinati verso l'alto da colonne eruttive sostenute più o meno sviluppate a seconda del tipo di eruzione. Nel corso di alcune eruzioni molto violente, la miscela eruttiva (formata prevalentemente da pomici, cenere e gas) non sale verso l'alto, ma si espande dal cratere e scorre al suolo formando flussi piroclastici (quando i piroclasti sono più abbondanti del gas) o surge (quando il gas è prevalente).
COSA SONO I DEPOSITI PIROCLASTICI?
I prodotti emessi durante le eruzioni esplosive si accumulano al suolo formando i depositi piroclastici.
I depositi piroclastici vengono detti da caduta quando sono formati dai prodotti che ricadono a terra attraverso l'aria, per lanci diretti dal cratere (balistici) o dopo essere stati trasportati in alto da colonne eruttive sostenute.
I piroclasti che si sedimentano dai flussi piroclastici o dai surge formano i depositi da flusso. Alcuni depositi di grossi flussi piroclastici, composti prevalentemente da ceneri e pomici, si chiamano ignimbriti.
DEPOSITI DA CADUTA
La caduta al suolo dei piroclasti trasportati nelle colonne eruttive sostenute avviene a distanze e con velocità differenti a seconda delle dimensioni, densità (peso) e altezza cui vengono lanciati.
I piroclasti più pesanti cadono vicino al punto di emissione, quelli più piccoli e leggeri sono trasportati più in alto e cadono a distanze maggiori, quelli molto fini possono essere trasportati dai venti per lunghi tragitti e ricadono al suolo dopo tempi anche molto lunghi. Le colonne eruttive molto alte disperdono gran parte dei prodotti nella direzione del vento.
I piroclasti restano sostenuti nella colonna fino a quando la spinta verso l'alto supera la forza di gravità, dopo di che cadono accelerando finché la forza di gravità non è controbilanciata dall'attrito con l'aria. Da questo punto in poi la particella cade con una velocità costante, chiamata velocità terminale.
Alcuni grossi piroclasti non riescono ad alzarsi sopra il cratere e ricadono a terra seguendo una traiettoria balistica. L'impatto può provocare nel punto in cui cadono una impronta la cui geometria permette di risalire alla zona di provenienza del piroclasto.
Una caratteristica dei depositi da caduta è quella di mantellare la topografia esistente prima dell'eruzione con uno spessore uniforme, come una nevicata che ricopre un terreno.
I prodotti da caduta sono in genere spigolosi, perché non vengono abrasi durante il trasporto e la sedimentazione. Le dimensioni dei granuli e lo spessore del deposito diminuiscono regolarmente con la distanza dal centro di emissione.
I depositi da caduta sono spesso caratterizzati da una buona selezione granulometrica, cioé i piroclasti hanno mediamente la stessa dimensione, a una determinata distanza dal cratere. Questo indica che le colonne sostenute restano alla stessa altezza per periodi abbastanza lunghi.
Se l'altezza della colonna varia, variano anche le dimensioni dei piroclasti che ricadono in uno stesso punto. Quando i piroclasti diventano più piccoli verso l'alto del deposito si dice che c'è una gradazione granulometrica diretta. Quando diventano più grossi la gradazione granulometrica si chiama inversa.
I grossi depositi di pomici da caduta si formano norso delle eruzioni pliniane e coprono un'area di forma ellittica intorno al cratere, allungata nella direzione del vento. Le ceneri delle colonne pliniane sono trasportate dai venti, si sedimentano anche dopo tempi molto lunghi e in zone più lontane.
I depositi di ceneri da caduta si trovano spesso sopra i depositi da flusso e sono formati da ceneri molto fini che sono state espulse insieme alla fase gassosa da grossi flussi piroclastici. La cenere della nube che si forma sopra il flusso ricade al suolo dopo la sedimentazione dei prodotti da flusso.
I depositi di scorie da caduta derivano da eruzioni moderatamente esplosive di magmi generalmente basici. La loro distribuzione è simmetrica intorno al cratere, non essendo i lanci sufficientemente alti per risentire dell'effetto del vento.
Alcuni depositi da caduta sono formati da strati di lapilli intercalati da sottili livelli di cenere. In questo caso l'eruzione può essersi sviluppata attraverso fasi esplosive, corrispondenti al deposito di lapilli, alternate a pause durante le quali si sono sedimentate le particelle fini rimaste in sospensione.
Quando, intercalati ai lapilli da caduta, si trovano ceneri da flusso il deposito viene interpretato come il risultato di fasi alterne a colonna sostenuta e colonna collassante. Spesso questi depositi terminano con grossi spessori di prodotti da flusso piroclastico.
In alcuni depositi da caduta si riscontra una zonatura chimica laterale, cui corrisponde anche una differente densità dei prodotti. I piroclasti di composizione basica sono più densi e ricadono vicino al cratere, mentre quelli più acidi sono meno densi e possono essere trasportati più in alto dalla colonna eruttiva e cadere al suolo in zone più lontane. Il fenomeno, viene chiamato frazionamento eolico.
In genere lo spessore dei depositi da caduta decresce regolarmente con la distanza dal centro eruttivo. In alcuni depositi di ceneri da caduta sono stati rilevati incrementi di spesssore con la distanza. Questo fatto viene interpretato come conseguenza della ricaduta al suolo di aggregati composti da particelle molto fini che avrebbero avuto, separatamente, una distribuzione più vasta.
DEPOSITI DA FLUSSO
I depositi da flusso hanno caratteristiche molto diverse a seconda che derivino dai flussi piroclasti o dai surge.
• depositi dei flussi piroclastici
I flussi piroclastici sono miscele di piroclasti e gas, molto dense e in parte fluidizzate, cioé i granuli meno pesanti sono sostenuti nella miscela grazie al movimento dei gas verso l'esterno.
I flussi piroclastici scendono dal vulcano scorrendo nelle incisioni, aggirano gli eventuali ostacoli morfologici e possono scavalcare rilievi non troppo alti. I loro depositi risultano di conseguenza più spessi nelle depressioni, che tendono a riempire, e sono assenti sui pendii ripidi.
I piroclasti, soprattutto quelli più fragili come le pomici, sono arrotondati per i continui urti che subiscono durante il trasporto. I depositi dei flussi piroclastici presentano scarsa selezione granulometrica e in uno stesso punto si possono trovare insieme cenere molto fine e grossi litici.
Durante il trasporto, i piroclasti più grossi e più densi cadono verso il fondo, mentre le pomici leggere tendono a galleggiare nella parte superiore del flusso. Nei depositi da flusso si trovano spesso litici a gradazione diretta alla base e pomici a gradazione inversa nella parte alta.
Una caratteristica dei depositi da flusso denso sono le strutture di degassazione. I gas costipati tra i granuli escono dal flusso trascinando verso l'esterno le particelle più fini. Nei canali percorsi dal flusso di gas restano solo i piroclasti densi o pesanti e manca la matrice fine. Queste strutture sono dette anche pipes.
Alcuni depositi da flusso sono saldati e formano una roccia che viene chiamata tufo vulcanico. In depositi molto grossi le pomici sono spesso schiacciate e deformate e vengono dette fiamme.
• depositi dei surge
I depositi da surge possono essere molto diversi, in quanto con surge si definiscono tutti i flussi nei quali il volume dei gas è maggiore di quello dei piroclasti solidi. Il movimento dei gas tra le particelle, non essendo ostacolato da un'alta concentrazione, segue dei vortici turbolenti che espandono la nube eruttiva.
Ogni corrente piroclastica con queste caratteristiche, espansa e turbolenta, viene chiamata surge, ma può svilupparsi in situazioni molto diverse:
• base surge (si forma alla base di colonne pliniane o direttamente da esplosioni),
• ground surge (si forma alla base dei flussi piroclastici)
• ash-cloud surge (si forma sopra i flussi piroclastici).
Solo il base surge rappresenta un episodio eruttivo indipendente, mentre gli altri due tipi di surge si formano da un flusso piroclastico. I surge, essendo costituiti prevalentemente da gas, non sono in grado di mantenere in sospensione piroclasti di grosse dimensioni e, di conseguenza, i depositi sono formati essenzialmente da prodotti a granulometria fine.
Quando scorre, un surge tende a incanalarsi nelle vallate ma, data la sua turbolenza e velocità, è in grado di superare anche notevoli rilievi. Per questo, i depositi da surge hanno caratteristiche intermedie tra quelli da caduta e quelli da flusso piroclastico: tendono ad avere gli spessori maggiori nelle depressioni, ma si possono trovare anche su rilievi e pendii, dove generalmente non vi sono depositi da flusso.
Una caratteristica di molti depositi da surge consiste nella presenza di strutture sedimentarie quali dune, laminazioni planari, antidune, strutture a laminazione incrociata e forme di trazione che variano con la distanza dal centro eruttivo.
I depositi dei base surge costituiscono spesso i bordi di vulcani tipo maar e anelli di tufo, piccoli edifici vulcanici che si formano per esplosioni causate da interazione tra acqua di falde sotterranee e magma. Il magma è molto frammentato e i piroclasti hanno dimensioni da ceneri grossolane a ceneri fini, con abbondanti litici balistici nei pressi del cratere.
Lo spessore del deposito di un solo base surge può essere molto piccolo ma, essendo comune la successione di più esplosioni durante le eruzioni che formano base surge, i depositi sono spesso formati dalla sovrapposizione di molti strati.
Le strutture sedimentarie nei depositi dei base surge variano con la distanza dal cratere. Nelle zone vicine al punto di emissione è frequente la formazione di dune. A distanze intermedie gli strati sono prevalentemente massivi, cioé privi di strutture. Nelle zone più distanti dal centro eruttivo il deposito ha strutture planari.
La formazione di queste strutture è collegata alla variazione nella concentrazione delle particelle e alla diminuzione della turbolenza che si producono nel surge per la sua progressiva perdita di gas e volume (deflazione) con la distanza.
La parte superiore di grossi depositi di pomici e ceneri da flusso (ignimbriti) è formata da strati di ceneri fini con strutture sedimentarie tipiche dei surge. Questa parte di deposito deriva da una nube espansa e turbolenta, chiamata ash-cloud surge, formata dalla cenere più fine che i gas hanno trascinato all'esterno del flusso piroclastico.
Perché si formi un ash-cloud surge in grado di lasciare un deposito rilevabile, il flusso piroclastico deve essere molto voluminoso e con abbondante cenere e gas.
I depositi dei ground surge sono formati da strati di particelle dense (cristalli e piccoli litici), senza matrice, sedimentati da correnti espanse che si generano alla base di un flusso piroclastico. La matrice è asportata dal movimento vorticoso dei gas.
La formazione di un surge alla base di un flusso concentrato è favorita dall'inglobamento di aria esterna e dalla presenza di umidità nel terreno. L'aria e l'umidità assorbite vengono riscaldate rapidamente e creano una zona basale espansa e turbolenta, sopra la quale scorre la massa densa del flusso.
LE COLATE DI FANGO O LAHAR
Alcuni depositi piroclastici, pur essendo conseguenza di eruzioni esplosive, non sono sedimentati da processi contemporanei all'evento eruttivo. Tra questi, vi sono le valanghe di fango, di solito chiamate con il termine indonesiano lahar, con il quale ci si riferisce sia al tipo di flusso che al deposito.
In molti casi, i lahar si verificano in coincidenza dell'eruzione o poco dopo, ma possono avvenire anche a distanza di molto tempo, favoriti dalla caduta di acque piovane.
Una delle più gravi catastrofi vulcaniche degli ultimi tempi, quella del Nevado del Ruiz (Colombia) nel 1985, che ha provocato 25000 morti, è stata causata da lahar. Un'eruzione di piccola rilevanza fece sciogliere il ghiacciaio formatosi sul vulcano, alto oltre 5000 m, provocando valanghe che si sono incanalate lungo le valli per più di 50 km, distruggendo il villaggio di Armero varie ore dopo l'inizio dell'eruzione.
I lahar si formano perché nel corso delle eruzioni esplosive le pendici dei vulcani si ricoprono di materiale incoerente, scorie, ceneri e pomici, facilmente rimovibili dalla pioggia, dal ghiaccio sciolto dall'eruzione o dal vapore emesso dal vulcano. I lahar derivanti da eruzioni che avvengono attraverso laghi o dal collasso di laghi craterici possono essere i più distruttivi, in quanto coinvolgono istantaneamente grandi quantità di acqua.
I lahar sono tanto più pericolosi quanto più grande è il bacino di accumulo dal quale provengono e quanto più vi è differenza di quota fra il bacino di accumulo e quello di deposizione. Possono travolgere e inglobare tutto ciò che incontrano, trasportando massi di diverse tonnellate e tronchi d'albero.
Come gli altri flussi densi, i lahar si incanalano nelle vallate dove formano depositi interstratificati con materiali alluvionali, con rocce piroclastiche o colate di lava originate dal medesimo vulcano.
Se il flusso raggiunge lo sbocco delle valli, si apre in lobi digitati e i depositi hanno la forma di un ventaglio. Quando una vallata si restringe, lo spessore del flusso aumenta e lascia sui fianchi della valle il segno del livello raggiunto con un sottile deposito.
I clasti trasportati da un lahar possono avere dimensioni molto varie ma, rispetto a quelli di un flusso piroclastico, sono mediamente più grossi. I blocchi decrescono in numero e dimensione con la distanza, mentre le particelle meno grosse non sempre seguono questo andamento.
Lo spessore dei lahar è molto variabile, da qualche metro al centinaio di metri. Come i flussi di detrito non vulcanico molto densi, tendono a fermarsi formando un alto fronte. La superficie del deposito nel suo insieme appare piatta, ma in dettaglio si osservano numerose irregolarità dovute al differente grado di compattazione del materiale.
I VULCANI
paragrafi:
1. COS' E' UN VULCANO?
2. COSA SONO I VULCANI A SCUDO?
3. COME SONO GLI STRATO-VULCANI?
4. COME SONO I DUOMI VULCANICI?
5. COME SONO I VULCANI MONOGENICI?
6. COME SI FORMANO I CAMPI VULCANICI?
7. TUTTI I VULCANI HANNO LA FORMA DI UNA MONTAGNA?
8. COME SONO I VULCANI ITALIANI?
COS' E' UN VULCANO?
Con vulcano si intende una struttura che si forma sulla superficie terrestre nelle zone in cui si verifica emissione di magma, cioé dove avviene un'eruzione.
Molti vulcani hanno la forma di una montagna conica, costruita dalla sovrapposizione dei prodotti eruttati. Il cono è percorso all'interno da uno o più condotti, che rappresentano l'ultimo tratto di risalita del magma. I condotti si aprono all'esterno con bocche eruttive o crateri.
Quando la risalita di magma avviene per molto tempo lungo lo stesso condotto, i prodotti delle eruzioni si accumulano intorno a questo formando un vulcano centrale.
Se al termine di un'eruzione il condotto centrale resta vuoto, il cratere si presenta come una profonda cavità. In alcuni casi, l'ultimo magma solidifica all'interno del cratere e del condotto, formando una specie di tappo.
La risalita di nuovo magma lungo il condotto centrale può diventare difficile in vulcano molto alto o con il condotto occupato da magma solidificato. Il magma si accumula e preme contro le pareti del vulcano fino a fratturarle. Le fratture costituiscono la via di uscita sui fianchi o alla base del cono, dove si formano bocche eruttive o crateri laterali, detti coni parassiti.
I vulcani possono avere dimensioni e forme molto diverse, strettamente collegate al tipo di attività eruttiva. Le eruzioni effusive tendono ad accrescere un vulcano accumulando colate di lava, le eruzioni esplosive possono invece rimuoverne intere parti.
COSA SONO I VULCANI A SCUDO?
I vulcani a scudo si formano da eruzioni effusive con colate di lava molto fluida; hanno in pianta una forma allargata e fianchi poco inclinati (in generale fra 2° e 10°, raramente più di 15°).
Il nome deriva dal fatto che i vulcani a scudo sono grossolanamente rotondi, presentano spesso un piccolo cono al centro e coni laterali che li fanno somigliare a scudi borchiati di antichi guerrieri.
Le dimensioni di un vulcano a scudo possono variare di molto e la struttura tende a ingrandirsi e a cambiare forma per l'accumulo di lave emesse alla sommità o lungo i fianchi.
Alcuni piccoli vulcani a scudo sono formati da una sola eruzione, ma anche quelli grandi possono derivare da una sola eruzione molto prolungata nel tempo. I vulcani a scudo più estesi si formano per la sovrapposizione di incessanti colate di lave basaltiche.
COME SONO GLI STRATO-VULCANI?
Quando un vulcano è formato dalla sovrapposizione di prodotti eruttati sia da eruzioni esplosive che da eruzioni effusive, viene chiamato strato-vulcano (o vulcano composito).
I fianchi di questi vulcani hanno pendii molto ripidi e non è raro individuare i resti di precedenti crateri parzialmente distrutti dalle fasi esplosive più intense. Le dimensioni sono spesso rilevanti, ma inferiori a quelle dei vulcani a scudo.
In Italia i migliori esempi sono rappresentati dall'Etna (3210 m s.l.m. e una base di 40 km) e dal Vesuvio, mentre tra i più grandi del mondo vi è il Fujiyama, in Giappone, alto 3700 m s.l.m. e con un diametro basale di 30 km. Di dimensioni più o meno simili sono i vulcani Shasta e Rainier nella catena Cascade negli Stati Uniti e Popocatépetl e Orizaba in Messico.
Gli strato-vulcani si accrescono per la sovrapposizione di prodotti emessi prevalentemente da un cratere centrale, anche se i loro fianchi sono spesso segnati da conetti eruttivi laterali.
I coni laterali sono considerati indicatori di una lunga attività. Infatti, man mano che il vulcano si accresce, diventa sempre più difficile per il magma giungere allo sbocco sommitale e la pressione nel tratto inferiore del condotto diventa così alta da fratturare il cono e iniettare il magma lateralmente.
La posizione dei coni laterali e il loro progressivo spostamento indicano l'andamento delle fratture che si sono prodotte nel cono principale.
Quando le eruzioni avvengono da un condotto centrale, la forma dei vulcani compositi è molto vicina a quella di un cono. Se il condotto è costituito da una fessura come, ad esempio, il vulcano Hekla in Islanda, o se il punto di emissione si sposta lungo una frattura, il vulcano assume una forma allungata. Se il condotto principale si sposta con il tempo in maniera irregolare, anche la forma del vulcano diventa irregolare, come nel caso dell'Etna.
L'alternarsi di eruzioni effusive e esplosive su uno stesso vulcano, talvolta senza determinanti variazioni nella composizione del magma come nel caso del Vesuvio, è probabilmente favorito dalla chiusura del condotto principale per l'accumulo di magma viscoso.
La pressione del magma e del gas sotto un condotto ostruito può crescere fino a provocare un'eruzione esplosiva. Le fasi esplosive tendono a distruggere la parte sommitale del vulcano e ad allargare il condotto, ripristinando le condizioni favorevoli per una successiva attività di tipo effusivo.
COME SONO I DUOMI VULCANICI?
Quando durante un'eruzione viene emessa una lava tanto viscosa da non riuscire a scorrere, questa si accumula vicino alla bocca eruttiva e forma dei rilievi a cupola detti duomi lavici.
Alcuni duomi sono formati dalla spinta verso l'esterno di lava parzialmente o completamente solidificata nel condotto. Queste forme vulcaniche (dette spine o pitoni) spesso crollano dopo poco tempo frantumandosi.
Più spesso i duomi si formano per vere e proprie eruzioni di lava viscosa da un cratere o da una fessura. Le colate sono in genere di limitato volume e si accumulano una sull'altra, mantenendo una via di uscita sommitale o fratturando gli strati in via di solidificazione in più punti.
La formazione di un duomo rappresenta spesso la fase finale di un'eruzione, durante la quale sono emessi magmi sempre più acidi e viscosi. Molti duomi si formano all'interno di crateri svuotati da precedenti eruzioni.
COME SONO I VULCANI MONOGENICI?
I vulcani monogenici sono strutture di piccole dimensioni che si formano da un'unica eruzione. Possono avere forme diverse che dipendono dal grado di esplosività dell'eruzione.
Si chiamano coni di scorie gli apparati costituiti prevalentemente da scorie vulcaniche, con fianchi molto ripidi, oltre 30°, che tendono ad appiattirsi in tempi brevi, essendo formati da materiale incoerente. I franamenti si verificano anche nel corso dell'eruzione e le scorie più grossolane possono rotolare dai fianchi, sia all'esterno che dentro il cratere.
L'altezza dei coni di scorie può variare da 30 a 300 m. La forma in pianta è quasi circolare o asimmetrica se il centro eruttivo si sposta lungo una frattura.
Questi vulcani si formano nel corso di eruzioni moderatamente esplosive, come le stromboliane e le fasi a fontane di lava delle hawaiiane. Le eruzioni durano da pochi giorni a pochi anni. Nei casi in cui si sono visti formare dei coni di scorie, il 95% si sono costruiti in meno di un anno e, di questi, il 50% in meno di 30 giorni.
Il cono è formato da strati di piroclasti con dimensioni molto diverse, che vanno dalle bombe alla cenere. La stratificazione del cono può consistere anche in un'alternanza di livelli di piroclasti sciolti e strati simili a lava, formati dall'agglutinazione di bombe ancora molto calde.
L'accumulo di materiale caldo può formare coni di scorie saldate (detti spatter) o dare origine a brevi flussi di lava. Questo avviene più facilmente nelle fasi finali dell'eruzione, quando il contenuto in gas va diminuendo e i lanci diventano sempre più brevi.
I coni di scorie si trovano spesso come forme isolate in vasti campi vulcanici basaltici. A volte possono formare coni parassiti di strato-vulcani o riempire l'interno di altre strutture, come i maar o gli anelli di tufo.
I coni di tufo sono strutture vulcaniche formate prevalentemente da cenere consolidata, con fianchi inclinati oltre i 25°, con un rapporto fra altezza e diametro dell'ordine di 1/10.
I coni di tufo sono meno frequenti dei coni di scorie, anche se spesso si trovano insieme nei grandi campi vulcanici basaltici. Le piccole dimensioni dei piroclasti derivano dall'intensa frammentazione di un magma basaltico per il contatto con acqua di bassa profondità, marina o lacustre.
In Oregon (USA), ad esempio, i coni di tufo si trovano in una zona occupata in precedenza da un lago, mentre i coni di scorie sono all'esterno di questo bacino. Un'altra zona in cui sono frequenti questi vulcani è vicino alle coste di isole oceaniche dove possono anche costruire isolotti in mare.
I coni di cenere sono vulcani con le stesse caratteristiche dei coni di tufo, ma costituiti prevalentemente da ceneri non consolidate.
L'anello di tufo è costituito da ceneri consolidate, ha fianchi poco inclinati (pendenza inferiore a 10-12°) e rapporto fra altezza e diametro compreso fra 1/10 e 1/30. La sua formazione è collegata a eruzioni in cui il magma interagisce con acqua di falda.
Gli anelli di cenere sono costituiti da materiale fine non consolidato. Sono simili ai coni di cenere, ma presentano un diametro molto più ampio rispetto all'altezza dei fianchi.
I maar sono un tipo di anello di tufo con la caratteristica di avere il fondo del cratere al di sotto del piano campagna e una forma rotondeggiante, notevolmente più ampia che profonda.
Il diametro varia da meno di 100 metri ad un massimo di 1500 metri. L'anello di tufo è basso e con fianchi poco ripidi, intorno a 4° e spesso, in sezione, risulta asimmetrico per una maggiore caduta di prodotti nel lato sottovento.
In Germania, dove queste strutture vulcaniche sono caratteristiche e quasi esclusive, con il termine Maar si indicano numerosi laghi formatisi all'interno di crateri nel distretto di Eifel. Altre zone di maar sono presenti in Australia e Nuova Zelanda.
I maar si formano durante eruzioni esplosive scatenate dal contatto tra magma e acqua esterna. Molti di questi vulcani si trovano infatti in regioni pianeggianti che rappresentano il bacino di raccolta per le acque delle zone circostanti.
Le eruzioni che formano i maar si svolgono attraverso una serie di esplosioni e da ogni eplosione si sedimenta uno strato sottile di piroclasti. I bordi di molti maar sono formati dalla sovrapposizione di strati alti qualche centimetro o poco di più, spesso deformati da blocchi balistici. La dimensione dei piroclasti è molto varia, ma predominano i lapilli e le ceneri, nella maggior parte dei casi di tipo basaltico.
COME SI FORMANO I CAMPI VULCANICI?
I campi vulcanici sono vaste zone punteggiate da centinaia di vulcani monogenici, di varia forma e composizione chimica, insieme a vulcani più grossi, compositi e a scudo.
La loro formazione avviene in un arco di tempo molto lungo (milioni di anni), con periodi di riposo di migliaia o decine di migliaia di anni. Ad esempio, nel vasto campo vulcanico Newer Volcanics in Australia, i vulcani più antichi hanno circa 5 milioni di anni e quelli più giovani tra 4000 e 6000 anni.
Fra i più famosi campi vulcanici vi sono quelli del Messico (Mexican Volcanic Belt) e, in particolare, quello situato nello stato di Michoacan dove, nel 1943, il vulcano Paricutìn fu visto nascere in un campo di grano. Il Paricutìn in pochi giorni superò i 150 m di altezza e, dopo un anno, raggiunse 325 m, restando attivo fino al 1952.
Il campo vulcanico Michoacan-Guanajuato contiene, in un'area di 40.000 km2, oltre 1000 centri vulcanici di età quaternaria, di cui circa il 90% sono coni di scorie.
In generale, i coni di scorie e i coni formati da lave sono attivi per brevi periodi di tempo, da pochi mesi a una ventina d'anni, e raramente tornano in attività. I vulcani a scudo o quelli compositi hanno un condotto centrale, o di un sistema di alimentazione più complesso, attraverso il quale le eruzioni si ripetono per tempi più lunghi.
Spesso i coni di scorie e i coni di lava si trovano vicini a un ampio vulcano a condotto centrale oppure formano gruppi insieme ad altre strutture monogeniche come anelli di tufo, maars e piccoli vulcani a scudo.
Un'altra parte della catena vulcanica messicana, rappresentata dalla Sierra di Chichinàutzin, contiene centinaia di vulcani monogenici, prevalentemente coni di scorie e coni di blocchi di lava, formatisi nel tardo Quaternario. Nelle altre zone della catena vulcanica messicana predominano i vulcani compositi.
Campi vulcanici di dimensioni più ridotte si formano all'interno o nelle vicinanze delle depressioni vulcaniche chiamate caldere.
TUTTI I VULCANI HANNO LA FORMA DI UNA MONTAGNA?
Quando viene eruttata una grande quantità di magma in breve tempo, il serbatoio nel quale il magma era accumulato prima dell'eruzione si trova in parte svuotato e le rocce che vi stanno intorno possono fratturarsi e crollarvi dentro.
Le eruzioni in cui il magma viene emesso rapidamente e in grandi quantità sono quelle esplosive pliniane e ultra-pliniane e il crollo delle rocce in profondità è più probabile dopo questo tipo di eruzioni. Se invece, come avviene in molte eruzioni effusive, il volume totale di magma è abbondante, ma il tasso di emissione non troppo elevato, le rocce incassanti possono riaggiustarsi con gradualità.
Lo sprofondamento delle rocce all'interno della camera magmatica può propagarsi verso l'alto, fino a formare in superficie estese depressioni che prendono il nome di caldere.
Il termine caldera definisce grandi depressioni vulcaniche, di forma più o meno circolare, i cui diametri sono più grandi di quelli di un condotto, qualunque sia la ripidità delle pareti o la forma del pavimento.
Le rocce possono fratturarsi e cadere a pezzi all'interno della caldera (collasso caotico) oppure possono abbassarsi come un solo blocco, scivolando lungo fratture più o meno circolari che delimitano la struttura collassata (collasso a pistone).
Alcune caldere hanno un sollevamento a forma di cupola nella parte centrale e sono chiamate caldere risorgenti. Il rigonfiamento è provocato da duomi lavici che si formano appena sotto la superficie (cripto-duomi) per la risalita di nuovo magma.
Il sollevamento può evolvere e arrivare a una o più fasi eruttive, seguite da un ulteriore collasso. L'esempio tipico di questo particolare tipo di caldera è rappresentato dalla caldera di Valles, negli Stati Uniti.
I tempi che intercorrono fra i vari episodi di collasso sono dell'ordine di alcune centinaia di migliaia di anni. La caldera di Yellowstone, ad esempio, ha dato luogo a tre grosse eruzioni, e conseguenti assestamenti, intorno a 2, 1.3 e O.6 milioni di anni fa.
Le caldere risorgenti sono in genere interessate da attività vulcanica localizzata lungo le fratture ad anello che delimitano l'area ribassata oppure nella zona deformata dal rigonfiamento.
Un altro tipo di caldera è quello detto da frana. Numerosi strato-vulcani hanno i fianchi incisi da profonde depressioni a forma di anfiteatro, aperte all'estremità inferiore. Alla base del vulcano, in corrispondenza dell'apertura, si ritrovano depositi vulcanoclastici con struttura e morfologia caratteristiche.
Queste depressioni si formano per il franamento di parte del vulcano, non sempre provocato o accompagnato da eruzioni. In ogni caso, la rimozione di parte dell'apparato vulcanico può avere grosse ripercussioni sulla sua attività successiva.
COME SONO I VULCANI ITALIANI?
I vulcani italiani attivi sono quelli siciliani (Isole Eolie, Etna e Canale di Sicilia) e quelli campani (Vesuvio, Campi Flegrei e Ischia). I termini per stabilire se un vulcano inattivo deve essere considerato definitavamente spento o meno non sono molto precisi essendo i tempi di un vulcano, e in generale i tempi geologici, troppo lunghi per l'osservazione umana. Ritenere che un vulcano non tornerà in attività richiede una certa cautela, dal momento che si conoscono vulcani i cui periodi di riposo si sono protratti per molte centinaia di anni.
Le isole Eolie costituiscono un arco vulcanico la cui formazione è strettamente legata al contatto tra le placche europea e nord-africana e alla subduzione di quest'ultima. I vulcani considerati attivi sono Lipari, Stromboli e Vulcano.
Lipari, la più grande, ha avuto l'ultima eruzione in epoca romana, intorno a 1200 anni fa. La fase di attività più recente si è sviluppata contemporaneamente in due centri eruttivi detti Forgia Vecchia e Rocche Rosse. Il periodo di riposo che ha preceduto questa fase si è protratto per circa 3500 anni.
I cicli dell'attività recente cominciano con una grande esplosione che apre la strada alla risalita di magma. I prodotti di questa fase consistono in frammenti dell'apparato vulcanico e pezzi di lava delle eruzioni precedenti. Durante la fase esplosiva che segue l'apertura del cratere, vengono eruttate pomici e altri prodotti piroclastici. Il ciclo si chiude con l'emissione di limitati volumi lave molto viscose.
I magmi eruttati a Lipari sono molto ricchi in silice e la loro viscosità al momento dell'emissione delle lave doveva essere talmente alta da impedire la formazione di cristalli. Si sono formate in questo modo le colate di ossidiana, una roccia vulcanica vetrosa, nera e compatta, la cui importanza ha segnato la fortuna di molte popolazioni preistoriche che la utilizzavano per costruire una gran quantità di utensili e armi.
Stromboli è uno strato-vulcano con attività persistente (esplosioni stromboliane) del quale sono visibili solo i 900 metri che affiorano dal mare, mentre circa altri 1000 metri si trovano sott'acqua. Le esplosioni sono di bassa energia e emettono brandelli di magma che in parte ricadono all'esterno del cratere nel punto dove questo è più basso, e scivolano lungo un dirupo chiamato la Sciara del Fuoco.
Lo Stromboli è ininterrottamente attivo da oltre 2000 anni. La sua attività viene suddivisa in 7 cicli, che corrispondono a emissioni di magmi con caratteristiche diverse. Nel corso del ciclo detto del Vancori si è costruita l'attuale cima, al cui interno si è impostata l'attività recente.
Il cratere attuale, detto La Fossa, contiene cinque bocche dalle quali avvengono esplosioni, emissioni gassose e saltuari efflussi di lave che scendono lungo la Sciara di Fuoco verso il mare.
L'isola di Vulcano è attualmente interessata solo da emissioni di gas. L'attività più antica che ha portato alla formazione dell'isola è culminata con una grossa eruzione esplosiva e la formazione di una caldera al cui interno si è costruito il cono più recente, La Fossa, alto 380 metri. La formazione di Vulcanello è iniziata intorno al secondo secolo a.C. e l'isolotto si è collegato a Vulcano intorno al 1550.
L'ultima fase eruttiva è avvenuta al cratere La Fossa tra il 1888 e il 1890. Forti esplosioni hanno lanciato in aria scorie, ceneri e pezzi del cono vulcanico anche di diverse tonnellate. Il nuovo magma è stato eruttato sotto forma di bombe che si sono raffreddate al suolo formando una superficie screpolata (bombe a crosta di pane).
L'Etna è un vulcano di grandi dimensioni, quasi continuamente attivo con emissioni di lave sia dal cratere centrale che da numerose fratture lungo i fianchi.
I Campi Flegrei sono un campo vulcanico impostato in zona calderica . La caldera flegrea si trova a Nord-Ovest di Napoli e costituisce un sistema complesso, privo di un apparato centrale per l'assenza di un'unica via di risalita del magma.
L'attività vulcanica inizia nell'area intorno a 150000 anni fa e dopo12000 anni fa l'area collassò, formando la caldera. L'attività post-calderica ha formato numerosi coni isolati come il Gauro, Astroni e Monte Spina, i crateri del Senga, della Solfatara, di Averno e il duomo di Monte Olibano.
L'ultima eruzione è avvenuta nel settembre del 1538. In pochi giorni si formò una montagnola alta circa 130 m che venne chiamata Monte Nuovo.
Il complesso vulcanico Somma-Vesuvio è formato da un apparato antico in parte demolito, il Somma, all'interno del quale si è costruito uno strato-vulcano più recente, il Vesuvio.
I prodotti più antichi di questo vulcano sono posteriori a 34000 anni fa. Le eruzioni del Vesuvio sono state sia di tipo esplosivo che effusivo. La più famosa è quella esplosiva che nel 79 d.C. distrusse Ercolano e Pompei.
Dalla fine del 1600 fino al 1944 il Vesuvio ha avuto cicli di attività intervallati da riposi durati al massimo sette anni. L'eruzione del 1944 è stata un'eruzione di tipo prevalentemente effusivo, non molto diversa da altre che l'hanno preceduta, ma è seguita da una stasi più lunga che perdura a tutt'oggi.
Ischia
L'attività più antica, datata in superficie nei prodotti che affiorano nella zona Sud-orientale dell'isola, è avvenuta intorno a 150.000 anni fa e sembra appartenere ad un complesso vulcanico originariamente più ampio dell'isola attuale.
Successivamente, si susseguono eruzioni di duomi e colate di lava come quelle del Castello d'Ischia, Monte di Vezzi, Punta Imperatore e Monte Vico. Intorno a 55.000 anni fa avviene una grossa eruzione esplosiva i cui prodotti, il cosiddetto Tufo Verde, costituiscono l'attuale ossatura dell'isola.
I prodotti del Tufo Verde vengono poi sommersi dal mare e in parte ricoperti da sedimenti marini. La fase successiva consiste in un forte sollevamento della parte centrale dell'isola, con la formazione dell'attuale monte Epomeo.
Poco prima o poco dopo questo sollevamento, si colloca l'eruzione dei Tufi di Citara. L'attività prosegue con la formazione di una serie di centri eruttivi prevalentemente nell'area Sud-occidentale. L'ultima fase di attività che si concentra invece nel settore orientale di Ischia, nel cosiddetto graben d'Ischia, dove si formano una serie di crateri, duomi e colate di lava fra le quali Monte Rotaro, il Montagnone, il Porto d'Ischia, ecc.
A questa fase appartiene pure la colata di Zaro che si trova invece nella parte Nord-occidentale. L'ultima eruzione è avvenuta nel 1302 con l'emissione della colata dell'Arso.
LA STRUTTURA DEL GLOBO TERRESTRE
Il globo terrestre viene convenzionalmente suddiviso in tre gusci concentrici: la crosta, il mantello e il nucleo.
La densità aumenta andando verso l'interno del globo. Infatti, le rocce che si trovano in superficie hanno una densità compresa tra 2.5 e 3 g/cm3 (solo in alcuni casi tra 3.3 e 3.5 g/cm3), mentre la densità media della Terra è molto più alta, 5.52 g/cm3.
La crosta rappresenta il guscio più esterno. Il suo spessore è variabile tra 5-15 km sotto gli oceani e 30-40 km sotto i continenti fino a superare i 50 km sotto le grandi catene montuose.
La crosta oceanica ha un sottile strato di sedimenti che ricopre lave e prodotti vulcanici basaltici. La densità media della crosta oceanica è di circa 2.9 g/cm3.
La crosta continentale è meno omogenea di quella oceanica e può essere suddivisa in crosta superiore (velocità delle onde sismiche fino a 6,5 km/s) e crosta inferiore o profonda (velocità delle onde sismiche da 6.5 a 7.6 km/s).
La crosta continentale superiore arriva a circa 10-20 km di profondità e ha una densità media di 2.5-2.7 g/cm3. E' costituita da rocce intrusive e metamorfiche con sottili coperture di rocce sedimentarie. La crosta continentale inferiore ha una densità media di 2.8 g/cm3 ed è composta da rocce di tipo gabbrico.
La variazione nella velocità delle onde sismiche che permette di operare la suddivisione tra crosta continentale superiore e inferiore viene chiamata discontinuità di Conrad. A testimonianza del carattere eterogeneo della crosta continentale, la discontinuità di Conrad non è uniformemente distribuita.
Alla base della crosta vi è un'altra discontinuità, detta di Mohorovicic (Moho), che segna l'inizio del mantello. La zona del matello comprende circa il 68 % della massa terrestre e si estende fino a una profondità di circa 2900 km. La Moho è individuata da un aumento di velocità delle onde sismiche, da valori inferiori a 7.6 km/s a valori vicini o superiori a 8 km/s.
Anche il mantello si divide in due strati: mantello superiore, fino a una profondità di circa 680 km e mantello inferiore. La parte superiore ha una densità di 3.3-3.4 g/cm3 e quella inferiore aumenta da 3.3 g/cm3 fino a 5.6 g/cm3 nella zona più profonda.
Quasi tutti i magmi che arrivano in superficie si formano alla profondità del mantello e quindi, per chiarire la loro formazione, sarebbe fondamentale indagare sul mantello stesso. Ma, data la sua posizione, si possono avere solo osservazioni indirette e, invece di partire dal mantello per capire i magmi, si è costretti a partire dai magmi per risalire al mantello.
Gran parte dei magmi eruttati sulla superficie terrestre sono di tipo basaltico. Si ritiene che il magma sia una piccola parte del mantello e che derivi da minerali che fondono per primi, mentre gli altri restano solidi. Un tipo di roccia che inizia a fondere formando un liquido basaltico, mentre la restante parte rimane solida, è la peridotite. Probabilmente, il mantello è composto da peridotite o da materiale simile.
A circa 2900 km di profondità si trova un'altra zona di discontinuità, detta Gutenberg, al di sotto della quale vi è il nucleo che arriva fino a circa 6370 km di profondità, misura che rappresenta il raggio medio terrestre.
La discontinuità di Gutenberg segna una differenza chimica tra il mantello e il nucleo che è formato in gran parte da ferro metallico. Anche il nucleo è diviso in due strati: uno esterno liquido e uno interno solido, entrambi a composizione piuttosto omogenea caratterizzata da ferro e nichel, separati da una zona di transizione.
La divisione tra i due strati è posta a circa 5200 km di profondità dove si riscontra un'altra discontinuità (discontinuità di Lehman) alla sommità della quale si estinguono le onde sismiche che non si propagano nei liquidi (onde S).
La suddivisione in crosta, mantello e nucleo è fatta in base alla diversa composizione del globo terrestre con la profondità. Se si considerano invece le caratteristiche meccaniche, (come la risposta a uno sforzo, la capacità o meno di fluire e di deformarsi, ecc.) il globo può essere suddiviso, dall'esterno verso l'interno, in litosfera, astenosfera, mesosfera e nucleo.
La litosfera comprende la crosta e una parte del mantello, cioé la parte più esterna fino a circa 100 km di profondità nelle zone oceaniche e fino a circa 120-130 km ed oltre in quelle continentali. Tutta questa porzione di globo ha un comportamento abbastanza uniforme di tipo rigido, tipico di solidi con temperature lontane da quella di inizio fusione.
La velocità di propagazione delle onde sismiche aumenta gradualmente fino alla base della litosfera. Quando la velocità comincia a diminuire, inizia l'astenosfera che si estende fino a circa 350 km di profondità, dove la velocità delle onde sismiche riprende ad aumentare.
La parte alta dell'astenosfera, dove la velocità delle onde sismiche diminuisce improvvisamente, è detta "strato a bassa velocità" (LVL = low velocity layer). Questo strato è considerato un involucro a comportamento meno rigido (meccanicamente più debole) rispetto a quello soprastante. Il materiale dovrebbe essere simile a quello del mantello superiore, ma con una temperatura vicina a quella di inizio fusione, con sparse sacche di materiale fuso.
L'astenosfera può deformarsi plasticamente, può fluire lentamente e inarcarsi verso l'alto per effetto di ampi moti convettivi. Dopo i 350 km di profondità il comportamento riprende ad essere di tipo rigido. Questo strato, fino al nucleo, viene chiamato mesosfera.
La suddivisione della parte più esterna del globo terrestre in base alle diverse proprietà fisiche (litosfera e astenosfera) rappresenta il punto di partenza per la teoria della tettonica a zolle.



I cristalli si formano quando nel magma diminuisce la temperatura e alcuni minerali passano dallo stato liquido a quello solido. I prodotti vulcanici che contengono minerali cristallizzati indicano che il magma cominciava a perdere calore prima dell'eruzione.
Il gas più abbondante è il vapore acqueo, derivante dalla vaporizzazione di acqua contenuta nel reticolo cristallino di molti minerali, ma può esservi anche CO2, SO2 e molti altri in quantità inferiori.
I gas hanno un ruolo molto importante, sia al momento della formazione del magma che durante il suo movimento verso la superficie e nell'eruzione. In profondità, l'abbondanza di gas determina un abbassamento del punto di fusione delle rocce e favorisce la formazione dei magmi.
Durante la risalita verso la superficie terrestre, le bolle gassose costituiscono uno dei meccanismi di trascinamento del magma.
VISCOSITA'
La viscosità è definita come la resistenza di un fluido allo scorrimento. Il contrario della viscosità è la fluidità.
Alcuni fluidi, come l'aria e l'acqua, sono detti newtoniani e scorrono con un minimo sforzo. I fluidi non-newtoniani per scorrere necessitano di uno sforzo variabile. Alcune sostanze non fluiscono che dopo aver superato un determinato limite di sforzo e sono chiamate fluidi di Bingham.
Il grado di viscosità di un magma dipende in modo particolare dalle condizioni di temperatura e pressione, oltre che dalla sua composizione chimica e dall'abbondanza o meno della fase gassosa.
La viscosità di un magma diminuisce al crescere della pressione e della temperatura. I magmi con temperature più alte sono i più fluidi, mentre diventano molto viscosi quando la temperatura diminuisce e si formano le fasi cristalline.
I liquidi magmatici ricchi in silice sono più viscosi quando i tetraedri silicatici si legano fra di loro, formando le catene polimeriche. Anche elementi come ferro e alluminio sono polimerizzanti.
Alcune sostanze come l'acqua, il sodio e il potassio sono depolimerizzanti e, interrompendo le catene silicatiche, diminuiscono la viscosità del magma.

Le esplosioni dello Stromboli emettono ogni poche ore alcuni metri cubi di magma, mentre si conoscono grandi eruzioni del passato, come ad esempio quelle avvenute a Yellowstone negli Stati Uniti intorno a 2 milioni di anni fa, in cui sono stati emessi volumi di magma di migliaia di chilometri cubi.
La più rilevante eruzione vulcanica avvenuta in tempi storici è quella del Tambora (Indonesia) del 1815 che ha eruttato in pochi giorni un volume stimato in circa 160 km3 di magma.
Negli ultimi duecento anni, le eruzioni più grosse sono state, oltre a quella del Tambora del 1815, quella del Krakatau del 1883, entrambe in Indonesia, del Santa Maria nel 1902 in Guatemala, del Novarupta nel 1912 in Alaska, del Cerro Azul nel 1932 in Cile, e del Pinatubo nel 1991 nelle Filippine. Tutte queste eruzioni hanno emesso volumi di prodotti maggiori di 10 km3.
Le eruzioni che emettono grossi volumi di magma sono meno frequenti delle altre. Il volume totale dei prodotti emessi durante le maggiori eruzioni conosciute degli ultimi 10.000 anni è inferiore a quello dei prodotti emessi durante una grande eruzione del passato (ad esempio, l'Huckleberry Ridge Tuff di Yellowstone).
MARGINI DIVERGENTI
I margini divergenti o passivi, sono quelli in corrispondenza dei quali due zolle si allontanano una dall'altra. I margini passivi si trovano quasi tutti nei fondi oceanici, in corrispondenza delle dorsali medio-oceaniche.
Le dorsali sono catene montuose che possono superare l'altezza di 2000 metri rispetto al fondo dell'oceano. Le loro creste si trovano in media sotto 2500-3000 metri di acqua. La zona centrale di molte dorsali presenta una fossa, detta valle mediana o rift valley, larga 25-30 km e profonda 1000-2000 metri.
Lungo le dorsali oceaniche avvengono continuamente eruzioni, prevalentemente di tipo effusivo. Le colate di lava scendono dal rilievo della dorsale e si espandono nella piana abissale, dove formano la crosta oceanica che ricopre i fondali degli oceani.
Le colate più giovani spingono lontano dalla dorsale i prodotti delle colate più antiche e, in questo modo, gli oceani si allargano.
La crosta oceanica diventa più fredda e più densa via via che si allontana dalla dorsale. Nelle zone vicine ai continenti, viene anche ricoperta da grossi spessori di sedimenti che la appesantiscono ulteriormente e la portano ad abbassarsi, con un movimento detto subsidenza.
I margini passivi possono formarsi anche in una crosta di tipo continentale. In questo caso, vaste aree continentali sono spezzate in due dalla formazione di lunghe fratture. Le fratture sono provocate da un alto flusso di calore dal mantello terrestre e sono interessate da diverse fasi di attività vulcanica.
Nell'arco di centinaia di milioni di anni, i due pezzi di continente si allontanano uno dall'altro e i bordi dei due nuovi continenti formano i margini continentali passivi.
Lo stadio avanzato di un margine continentale passivo prevede la formazione di un oceano tra i due continenti che si allontanano. Quando l'oceano diventa ampio e profondo, al suo interno può formarsi una dorsale oceanica, cioé un margine passivo di tipo oceanico.
MARGINI CONVERGENTI
I margini convergenti o attivi, sono quelli in corrispondenza dei quali due zolle litosferiche si muovono una verso l'altra.
Quando le due zolle sono a contatto, se il movimento che le spinge non si ferma, una si incunea sotto l'altra e sprofonda verso l'astenosfera con un processo detto di subduzione.
Dove avviene la subduzione, si creano in profondità condizioni che favoriscono la formazione di magma. Questo risale provocando eruzioni prevalentemente di tipo esplosivo. Gran parte dei vulcani attivi sulla superficie della terra si trovano in corrispondenza delle zone di subduzione.
In base al tipo di zolla che entra in contatto, i margini convergenti vengono distinti in margini di subduzione e in margini di collisione.
Nei margini di subduzione ambedue le zolle sono oceaniche (tipo Marianne), oppure una zolla oceanica si immerge sotto una continentale (tipo andino o cileno).
Nei margini di collisione si scontrano due zolle continentali (tipo Alpino-Himalaiano), oppure la zolla in subduzione è continentale e quella soprastante oceanica (tipo Taiwan).
Per la sue caratteristiche (alta densità, limitato spessore e bassa temperatura) una crosta oceanica sprofonda più facilmente di una di tipo continentale. La subsidenza che si verifica all'aumentare della distanza dalla dorsale (per raffreddamento, aumento della densità e carico di sedimenti), favorisce il fenomeno di subduzione della crosta oceanica sotto i blocchi continentali.
Nei casi tipici di subduzione di crosta oceanica, in superficie si forma un allineamento di isole vulcaniche che sono parte del cosiddetto sistema arco-fossa. Gli elementi principali del sistema arco-fossa sono, dall'esterno verso la terraferma:

• fossa (profonda depressione più o meno riempita di sedimenti a seconda della distanza dalla terra emersa);
• zona di subduzione (dove è presente l'accumulo caotico di materiale sedimentario raschiato dalla zolla che si immerge);
• intervallo arco-fossa (zona che separa l'arco dalla fossa, con sedimenti poco o niente deformati);
• arco magmatico (fasce vulcaniche curvilinee, parallele alla fossa e alla zona di subduzione);
• retroarco (bacino posto tra la zona di arco e la zona continentale).
Lo sprofondamento della zolla litosferica verso l'astenosfera libera una grande quantità di energia. Nelle aree di subduzione, gli ipocentri dei terrremoti sono distribuiti lungo una fascia di 10-15 km di spessore.
Seguendo l'allineamento dei terremoti, si può tracciare una linea più o meno inclinata (piano di Benioff) che rispecchia la geometria della zolla che sprofonda. In base all'andamento del piano di Benioff le zone di subduzione si diffrenziano in due tipi: quelle a basso e quelle ad alto angolo.
Nella subduzione a basso angolo, o di tipo Andino, una crosta oceanica si incunea sotto una continentale. Oltre alla geometria dell'immersione, le sue caratteristiche principali sono date dalla presenza di una fossa poco profonda perché non lontana dalla terraferma e in gran parte riempita da sedimenti, da un arco magmatico poco arcuato e da un bacino sedimentario, alle spalle dell'arco, impostato su crosta continentale assottigliata.
Nella subduzione ad alto angolo, o tipo Marianne, una crosta oceanica viene subdotta sotto un'altra crosta oceanica. La fossa è molto più al largo, più profonda e contiene una minore quantità di sedimenti rispetto alle fosse di tipo andino.
L'arco vulcanico presenta una forma arcuata e si trova sopra un tipo di crosta che può essere diverso a seconda di come si è formato il bacino di retroarco. Il bacino tra il continente e l'arco vulcanico può formarsi o per intrappolamento di una porzione di oceano (come nel caso delle Aleutine) o per la fratturazione della zolla continentale interna, con un processo simile alla formazione di un nuovo margine passivo.
L'arco vulcanico si forma, a seconda dei due casi, o su crosta oceanica o su crosta continentale lacerata, lungo le cui fratture risalgono i magmi. Il vulcanismo attivo nei margini convergenti di zolla avviene in superficie nella zona dove il piano di Beioff ha una profondità di circa 150-200 km.
Gli archi magmatici hanno nel tempo una evoluzione diversa. Quelli intra-oceanici, caratteristici del Pacifico Occidentale (tipo Marianne), raggiungono la loro posizione quando si apre il bacino di retroarco. In pratica, l'arco si stacca dal continente e si sposta progressivamente verso l'oceano.
In quelli impostati su crosta continentale (tipo Ande), nella parte interna del continente si formano ampie zone di sovrascorrimento che indicano la tendenza dell'arco ad essere compresso contro il blocco continentale.




MARGINI TRASFORMI
Due zolle possono scorrere una accanto all'altra, senza convergere o allontanarsi, se non in misura trascurabile. Gran parte delle fratture della crosta con questo movimento sono rappresentate da grandi faglie trasformi perpendicolari alle dorsali oceaniche.
La formazione di queste fratture è legata principalmente alla diversa quantità di lava che viene emessa lungo la dorsale. Nei tratti in cui le colate sono più abbondanti, il fondo oceanico si allarga più velocemente e si stacca dalle zone che si dilatano più lentamente.
Lungo le faglie trasformi il vulcanismo è scarso o assente.
VULCANISMO DI INTRAPLACCA
L'attività vulcanica può avvenire anche all'interno delle zolle litosferiche, sia su crosta di tipo continentale che oceanica. I vulcani sono meno numerosi di quelli che si trovano lungo i margini delle zolle, ma molto importanti per capire il movimento delle placche.
I vulcani si formano in corrispondenza di zone (dette punti caldi o hot spot) dove si verifica una anomala risalita di calore dal mantello terrestre. Esistono una quarantina di punti caldi.
Il punto caldo è ancorato al mantello e la zolla che si muove sopra di esso resta segnata da un allineamento di vulcani, come se si facesse scorrere un foglio di carta sopra un accendino fermo.
L'allineamento di vulcani indica il movimento della placca e il vulcano più giovane indica il verso del movimento.
I punti caldi sono stati individuati per la prima volta alle isole Hawaii. Le Hawaii sono una lunga catena di isole vulcaniche nell'Oceano Pacifico che prosegue con una serie di monti sottomarini, detta catena Emperor.
Solo le isole di Maui e Hawaii, poste a un termine della catena, sono sede di vulcanismo attivo. Nell'isola di Hawaii vi sono due enormi vulcani attivi, il Kilauea e il Mauna Loa. Nelle altre isole il vulcanismo è estinto e le rocce diventano più antiche man mano che ci si allontana dall'isola di Hawaii.
Quando sopra un punto caldo scorre una zolla continentale, questa viene lacerata e, lungo la scia della lacerazione, vengono emesse abbondanti colate di magmi basaltici, chiamati basalti di espandimento o di copertura.
LE COLONNE ERUTTIVE PLINIANE
La formazione di una colonna eruttiva pliniana dipende da processi che iniziano in profondità, all'interno della camera magmatica.
Prima di un'eruzione il sistema è in quiete e la pressione all'interno della camera magmatica è uguale a quella esercitata sulle sue pareti dalle rocce circostanti. Se fosse maggiore, nelle rocce si aprirebbero fratture; se fosse minore, le rocce cadrebbero nel serbatoio.
Le variazioni a questo equilibrio di pressione (un aumento di pressione interna o una diminuzione di pressione esterna) innescano l'eruzione. Qualsiasi sia il meccanismo che rompe questo equilibrio, il risultato è paragonabile all'apertura della valvola di una pentola a pressione.
Il magma, cioé il contenuto della pentola a pressione, se si formano fratture nelle rocce soprastanti (l'apertura della valvola) subisce una rapida decompressione. In questa nuova condizione, i gas disciolti nel magma possono liberarsi, con un processo detto di essoluzione.
Il gas essolto forma delle bolle che risalgono all'interno del liquido e si espandono sempre più via via che si spostano verso l'alto e si trovano a pressioni esterne sempre minori.
Quando le bolle gassose esplodono, il liquido viene frammentato. L'esplosione delle bolle accelera la risalita della miscela eruttiva nel condotto e questa arriva in superficie ad alta velocità, come un unico getto di gas. Finché all'interno della camera magmatica può continuare ad essolversi gas, il processo continua.
Immediatamente sopra il punto di uscita, la colonna consiste in un getto ad alta velocità dove le particelle non si muovono in linea retta, ma seguono dei vortici. Questa zona è definita di getto turbolento.
Il moto vorticoso favorisce l'inglobamento di l'aria e questo provoca, da un lato, una rapida decelerazione e un raffreddamento della miscela eruttiva ma, nello stesso tempo, l'aria diminuisce la densità complessiva della colonna.
Fino a che la miscela ha una densità inferiore a quella atmosferica si innalza con un moto convettivo e questa parte di colonna è chiamata zona convettiva.
I piroclasti che si formano dal raffreddamento di magma bolloso (pomici) e le ceneri sono trascinati in alto. I brandelli di magma denso, i pezzi di condotto, i litici, ecc., essendo troppo pesanti per essere sostenuti nella colonna, cadono al suolo vicino al cratere, seguendo traiettorie balistiche.
Nella parte più alta della colonna eruttiva, quando ormai gran parte del materiale grossolano è stato abbandonato, la densità della miscela eruttiva è uguale a quella dell'atmosfera e la nube si allarga, formando la zona detta ad ombrello.
Nella zona di espansione laterale si ha il galleggiamento neutro e avviene la dispersione dei prodotti per effetto dei venti dominanti o delle correnti a getto, quando le particelle superano la tropopausa.
I FLUSSI PIROCLASTICI
I flussi piroclastici sono miscele di particelle solide e gas che si formano nel corso di eruzioni esplosive e che scivolano veloci dal vulcano rasentando il terreno. Il volume totale delle particelle solide è molto variabile, ma sempre superiore rispetto a quello dei gas.
In un flusso piroclastico possono essere trasportati insieme solidi con dimensioni molto diverse, da ceneri fini a grossi blocchi. I piroclasti più piccoli (ceneri e lapilli) e il gas sono considerati la matrice che funge da sostegno e mezzo di trasporto per i piroclasti più grossolani.
La capacità di un flusso di mantenere in sospensione piroclasti grossolani dipende dalla densità della matrice e quindi dalla quantità di cenere. Questa varia continuamente durante lo scorrimento del flusso. Molta viene prodotta dalla collisione e frantumazione delle pomici, mentre la frazione più leggera è trascinata nell'aria dal movimento dei gas.
Lo scorrimento della miscela eruttiva può avvenire con flusso laminare, quando le particelle solide si muovono secondo linee rette oppure con flusso turbolento, quando le particelle seguono vortici circolari. I due regimi di flusso possono instaurarsi in zone diverse di un solo flusso, quello turbolento nelle aree esterne dove la corrente è meno concentrata e quello laminare nella parte di flusso più densa.
ORIGINE DEI FLUSSI PIROCLASTICI
I flussi piroclastici sono stati osservati fino dal 1631 al Vesuvio, ma solo dopo le tragiche eruzioni avvenute nei Caraibi, alla Soufrière di St. Vincent il 7 maggio 1902 e il giorno successivo, 8 maggio, alla Montagne Pelée della Martinica, che causarono la morte di migliaia di persone, si è constatata la pericolosità di simili eventi.
Dall'osservazione di queste due eruzioni, i flussi piroclastici vengono distinti in:
• derivanti dal collasso di una colonna eruttiva sostenuta (tipo Soufriere di St. Vincent)
• derivanti da un'esplosione direzionale (tipo Pelée o tipo St. Helens)
• un'altra possibile origine è la formazione di getti supersonici al cratere.
- COLLASSO DELLA COLONNA, TIPO SOUFRIERE
Alla Soufrière si era osservata un'esplosione verticale, durante la quale i materiali più grossolani della colonna, incapaci di sollevarsi nell'atmosfera, erano scivolati lungo i fianchi del vulcano.
Uno dei fattori che impediscono a una colonna eruttiva di mantenersi sostenuta è la sua densità. La miscela eruttiva diventa troppo densa quando l'aria atmosferica non viene inglobata rapidamente nella zona a getto della colonna. Se il contenuto iniziale di gas è basso, il getto non è abbastanza veloce da imprimere alle particelle un movimento vorticoso e, di conseguenza, non riesce a inglobare aria esterna sufficiente a mantenere una colonna sostenuta.
Quando la miscela diventa più densa e quindi più pesante dell'aria, la colonna collassa e i prodotti scorrono per gravità lungo i fianchi del vulcano.

- ESPLOSIONE DIREZIONALE, TIPO PELEE O TIPO ST. HELENS
Si dicono direzionali quelle esplosioni che invece di formare una colonna eruttiva verticale verso l'alto, esplodono con una direzione prevalentemente orizzontale o inclinata di qualche grado rispetto all'orizzontale. Le esplosioni direzionali possono avvenire sul fianco di un vulcano o anche al cratere sommitale se un accumulo di lava tappa la via di uscita più diretta.
L'esplosione direzionale della Pelée del 1902 si è verificata dopo il crollo del duomo di lava viscosa che ostruiva il cratere e che era spinto dal nuovo magma. Nel 1930 un'altra eruzione simile fu osservata sullo stesso vulcano.
La conferma che i flussi piroclastici possano formarsi per esplosioni direzionali si è avuta nell'eruzione del St. Helens il 18 maggio del 1980. Il condotto principale era ostruito e ostacolava la risalita di nuovo magma. Il fuso cominciò ad accumularsi alla base del condotto e la pressione divenne così alta da fratturare le pareti del cono. Intrudendosi lungo le fratture, il magma rigonfiò il fianco del vulcano fino a farlo franare.
Con la frana il magma venne a trovarsi improvvisamente depressurizzato e, in pochi attimi, uscì dal fianco aperto con una gigantesca esplosione direzionale.
- FLUSSO SUPERSONICO
Una miscela eruttiva può dar luogo a un flusso piroclastico quando è spinta all'esterno del cratere da una pressione talmente alta da formare un getto supersonico.
La possibilità che si formino getti supersonici è legata alla differenza di pressione fra il getto che emerge dal cratere e la pressione ambiente. I "getti bilanciati" hanno all'uscita una pressione paragonabile con quella atmosferica e formano un flusso che mantiene una direzione verso l'alto, parallela all'asse del condotto. In questo caso si ha il tipico getto delle colonne eruttive pliniane.
Quando, invece, la pressione del magma alla bocca è molto più alta di quella atmosferica, si ha un "getto sovrapressurizzato" e il flusso, all'uscita dal cratere, diverge ad angolo retto dall'asse del condotto.
LA FLUIDIZZAZIONE
Il termine fluidizzazione indica la condizione in cui i gas, presenti all'interno di un flusso piroclastico, muovendosi verticalmente, esercitano una forza di trascinamento sulle particelle solide pari alla loro forza di gravità.
La capacità dei flussi piroclastici di percorrere lunghe distanze è attribuita a questo processo. Il movimento del gas mantiene in sospensione i granuli, aumenta i vuoti tra le singole particelle e riduce gli attriti tra le particelle e con il terreno.
Essendo composti da granuli di dimensioni molto diverse, i flussi piroclastici possono essere solo parzialmente fluidizzati. Infatti, quando il flusso di gas è in grado di mantenere in sospensione le particelle più pesanti, quelle più fini sono trascinate all'esterno.
Raggruppando le particelle solide di un flusso piroclastico in tre classi granulometriche, si possono schematizzare tre situazioni:
• la velocità del gas è maggiore della velocità di caduta dei piroclasti: queste particelle sono espulse dal flusso con un processo detto di elutriazione;
• la velocità del gas è uguale alla velocità di caduta dei piroclasti: queste particelle sono fluidizzate;
• la velocità del gas è minore della velocità di caduta dei piroclasti: queste particelle cadono verso il basso e si sedimentano.
Le particelle fini possono essere elutriate o fluidizzate dal gas. Quelle di dimensioni maggiori, non sostenute dal gas, possono cadere o restare in sospensione, a seconda che siano più o meno dense della matrice. Le pomici sono leggere e, soprattutto se grandi, possono galleggiare; i litici (pezzi di lava, sassi raccolti dal terreno, ecc.) sono pesanti e affondano.
L’ ELUTRIAZIONE
Il processo di elutriazione consiste nell'espulsione di cenere fine dal corpo del flusso per mezzo dei gas che si muovono verso l'esterno.
Il volume dei piroclasti elutriati dipende, oltre che dal contenuto iniziale di gas e di particelle fini, anche dalla capacità del flusso di inglobare aria esterna e di riscaldarla. Da flussi piroclastici voluminosi e ad alta temperatura sono elutriate grandi quantità di ceneri.
La quantità di materiale elutriato aumenta quando il terreno su cui scorre il flusso è ripido, in quanto in un flusso veloce aumenta l'inglobamento di aria e la turbolenza e diminuisce la sedimentazione.
LA TURBOLENZA
Per turbolenza si intende il movimento di particelle non secondo linee rette, ma secondo vortici circolari. La turbolenza è ostacolata, nei flussi piroclastici, dalla densità stessa del flusso che impedisce un movimento vorticoso delle particelle.
Alcune parti di un flusso piroclastico possono comunque essere interessate dalla turbolenza, soprattutto quando i granuli cominciano a cadere verso il basso e si formano zone meno dense e con piroclasti prevalentemente fini.
Le zone dove è più probabile la turbolenza sono quelle esterne. Nella parte superiore questo può avvenire perché il flusso di gas è maggiore, la concentrazione di solidi è bassa e la granulometria mediamente piccola.
Nella zona frontale, la turbolenza è possibile fino a che la parte più avanzata del flusso è in grado di inglobare e riscaldare aria. Nella zona basale, si possono creare vortici per le irregolarità del suolo o per il contatto con un terreno umido che genera nuovo gas.
ORIGINE DEL GAS
Il gas, vapore acqueo o altro, contenuto nei flussi piroclastici può derivare da fonti interne o esterne al flusso. Quelli di fonte interna derivano dalla rottura, dall'attrito o per diffusione dal materiale iuvenile.
Quelli di fonte esterna comprendono i gas intrappolati durante il collasso della colonna eruttiva sostenuta, l'aria esterna inglobata dal fronte del flusso in movimento, i gas rilasciati dalla combustione della vegetazione e il vapore derivante dal contatto con superfici d'acqua o con un suolo umido.
La principale fonte interna di gas consiste nella diffusione dai frammenti iuvenili. Questo processo produce un flusso di gas che aumenta con l'altezza del flusso piroclastico.
L'incremento del flusso di gas verso l'alto, dove la corrente è anche meno concentrata e composta prevalentemente da ceneri, crea nella zona superiore del flusso un'alta fluidizzazione o anche turbolenza. Questa zona possiede una maggiore capacità di movimento rispetto a quella densa sottostante e può continuare a scorrere anche quando l'altra si ferma.
La liberazione di gas attraverso la frantumazione o l'attrito fra i piroclasti juvenili interessa particolarmente le zone del flusso dove la concentrazione di particelle solide è alta e dove gli attriti fra i clasti sono frequenti.
La quantità di gas prodotto attraverso questo meccanismo può variare da punto a punto all'interno di uno stesso flusso piroclastico ed è condizionata, oltre che dall'addensamento dei granuli, anche dal volume di gas intrappolato all'interno dei piroclasti che collidono e liberato con la frantumazione.
La quantità di gas derivante dall'intrappolamento di aria al momento di formazione del flusso piroclastico può essere rilevante se il flusso è generato dal collasso di una colonna eruttiva.
Nel collasso della colonna, quando la miscela eruttiva si avvicina al terreno, molta aria viene compressa e produce un grande flusso gassoso. Parte del gas viene espulso lateralmente e parte viene costipato all'interno del flusso piroclastico che si sta formando, dove provoca una breve fase di intensa fluidizzazione.
Nello stesso tempo vengono elutriate dal flusso grandi quantità di particelle fini. Durante la fase di fluidizzazione, grossi litici, non sostenuti dalle correnti ascensionali di gas, sono depositati nelle zone vicino al cratere.
Il processo di intrappolamento di aria nella zona frontale del flusso piroclastico in movimento è favorito dalla forma rientrante che questa assume per l'attrito col terreno.
Parte dell'aria compressa sotto il flusso viene espulsa in avanti, parte si riscalda, si espande e risale verso l'alto causando la fluidizzazione della testa e l'elutriazione delle particelle fini che vanno a formare una nube diluita soprastante.
La combustione di vegetazione o l'attraversamento di superfici d'acqua può aggiungere grandi quantità di gas quando la vegetazione è particolarmente abbondante o quando il flusso si incanala in vallate con fiumi o laghi.
FORMA DEI FLUSSI PIROCLASTICI
Con il termine forma si intende l'aspetto che assume un flusso piroclastico quando si allontana dal cratere. Data la violenza dei flussi piroclastici e la scarsa frequenza con cui si verificano, non esistono testimonianze dirette, se non di flussi relativamente piccoli osservati da grandi distanze. Molte osservazioni sui flussi piroclastici nascono dall'analisi dei prodotti sedimentati.
In genere un flusso piroclastico viene considerato divisibile in tre zone: testa, corpo e coda. La parte più avanzata, cioé la testa, sviluppa sul proprio fronte una forma a lobi e rientranze.
Le zone rientranti, insieme alla forma leggermente rialzata che il flusso assume per l'attrito con il terreno, favoriscono l'incorporazione di aria dall'esterno. L'aria ingerita si riscalda e si espande rapidamente provocando fluidizzazione e, in alcuni casi, turbolenza.
Nei flussi poco veloci e molto densi la testa è poco espansa, mentre quelli molto veloci che possono ingerire grandi quantità di aria esterna, hanno una testa molto espansa e turbolenta.
Il corpo è la parte in cui sono trasportati gran parte dei piroclasti che compongono il flusso. Le particelle sono addensate e il processo di fluidizzazione è meno intenso che nella testa.
La coda rappresenta quella parte che, a causa della sua vicinanza al terreno, dell'alto contenuto di particelle solide e della sua scarsa fluidizzazione si muove meno rapidamente del resto del flusso e viene lasciata indietro.
Sopra il flusso piroclastico può formarsi una nube costituita dalle particelle più fini, elutriate dalla testa e dal corpo, poco densa e con una capacità di propagazione anche molto diversa da quella del flusso sottostante.
TRASPORTO DELLE PARTICELLE SOLIDE
Nei flussi piroclastici le particelle solide sono trasportate parte in sospensione e parte sono trascinate sul fondo. La forza di sostegno complessiva è quella che compensa il peso dell'intero carico, di fondo e sospeso.
Questa forza è generata in parte dagli urti tra le particelle, particolarmente nello strato basale, dove la sedimentazione è anche ostacolata dall'alta concentrazione. Per il carico trasportato in sospensione, il sostegno è dato dagli effetti combinati della fluidizzazione con l'impedimento alla sedimentazione per l'alta concentrazione.
La cenere può essere sostenuta dalla fluidizzazione, mentre i piroclasti meno densi della matrice (le pomici), vengono mantenuti in sospensione per galleggiamento. In questo modo, i flussi piroclastici possono trasportare insieme clasti di diverse dimensioni fino a distanze notevoli dal centro eruttivo.
L'impedimento alla sedimentazione, la pressione dispersiva generata dagli urti fra i granuli e il galleggiamento per contrasto di densità con la matrice sono in relazione diretta con la concentrazione del flusso.
Quindi, grandi quantità di piroclasti con dimensioni medie e grandi sono trasportate più facilmente da flussi molto densi e tendono ad essere depositate velocemente una volta iniziata la sedimentazione, cioé al diminuire della concentrazione.
SEDIMENTAZIONE DELLE PARTICELLE SOLIDE
In un flusso composto da particelle solide e fluido (la matrice di gas e cenere viene considerata nel suo insieme un fluido), la sedimentazione avviene quando la forza di gravità prevale sulle forze di sostegno dei solidi.
La sedimentazione del carico solido può avvenire per decantazione delle particelle in sospensione o per deposizione dal carico di fondo trasportato per trazione.
Quando i piroclasti possono muoversi uno indipendentemente dall'altro, le particelle possono sedimentarsi una ad una, mentre quando il movimento di un granulo implica il movimento degli altri, la deposizione avviene più probabilmente in massa.
I clasti pesanti che non possono essere sostenuti nel flusso vengono sedimentati nelle vicinanze del cratere, già durante il collasso della colonna e le fasi di formazione del flusso piroclastico.
Durante lo scorrimento, piccoli volumi di pomici sono scagliati in avanti da getti gassosi che escono dalla testa del flusso, si sedimentano in massa e vengono poi scavalcate dal resto del flusso.
L'alta fluidizzazione della testa favorisce l'elutriazione di cenere fine e la deposizione, sopra le pomici, di granuli densi (litici e cristalli) che si trovano non più sostenuti dalla matrice. Le ceneri fini trascinate all'esterno dal flusso gassoso, in parte ricadono al suolo con meccanismo da caduta.
Gran parte del carico solido, compreso in un'ampia gamma granulometrica con abbondanza di cenere fine, viene sedimentato dal corpo e dalla coda. La deposizione è particolarmente condizionata dalla morfologia e dal contrasto di densità con la matrice.
Sciami di grosse pomici possono galleggiare nel flusso e essere sedimentate in massa sulle sponde laterali o sul fondo di vallate ripide, mentre il resto del flusso scivola oltre. Il tasso di sedimentazione aumenta quando il flusso rallenta o si accumula nei bassi topografici.
I flussi piroclastici possono anche essere considerati come la porzione di un flusso stratificato per densità, cioé formato da strati a densità decrescente verso l'alto per effetto della caduta delle particelle solide. La stratificazione per densità avviene durante lo scorrimento del flusso e, dopo un certo tragitto, si forma una parte inferiore, densa, in cui le particelle hanno moto laminare e una parte superiore diluita, dove hanno moto turbolento. La parte turbolenta rappresenta il mezzo di trasporto del materiale in sospensione, mentre la deposizione avviene strato per strato dalla base del flusso.
In base a questa interpretazione, flussi piroclastici e surge sono considerati solo termini estremi di miscele eruttive a concentrazione differente ed è ritenuto più probabile che la variazione di concentrazione avvenga all'interno di un flusso via via che i solidi cadono verso il basso e vengono sedimentati.



I SURGE PIROCLASTICI
Con surge si indicano tutti i flussi di materiale piroclastico che si formano nel corso di alcune eruzioni esplosive nei quali la fase gassosa è più abbondante di quella solida.
Il gas si muove vorticosamente tra i piroclasti che sono mediamente di piccole dimensioni (ceneri e lapilli). Mentre scorrono sul terreno, i surge si espandono perché la turbolenza del gas dilata la nube e, nello stesso tempo, mantiene in sospensione le particelle solide.
Le miscele eruttive di questo tipo prendono nomi diversi (base surge, ground surge e ash-cloud surge) a seconda del meccanismo di formazione.
Solo il base surge è considerato un evento eruttivo vero e proprio, mentre gli altri due sono associati a eruzioni nel corso delle quali si formano flussi piroclastici nei quali le particelle solide sono più abbondanti della fase gassosa.
BASE SURGE
Un base surge consiste in una miscela turbolenta di gas e piroclasti che si origina alla base della colonna sostenuta di un'eruzione freato-magmatica.
Le prime osservazioni di nubi cariche di cenere che si muovevano radialmente dalla base della colonna eruttiva vennero fatte durante alcune eruzioni freato-magmatiche e, in particolare, quelle di Capelinhos nelle Azzorre e di Taal nelle Filippine.
Probabilmente i base surge, un tempo considerati solo conseguenza di processi di interazione acqua-magma, possono generarsi anche quando il getto di piroclasti e gas esce dal cratere con una pressione talmente alta da esplodere in senso radiale.
I surge osservati alle Azzorre e nelle Filippine assomigliavano in maniera impressionante all'anello di gas e polvere che si forma alla base del fungo di un'esplosione atomica e che precede di pochi attimi la risalita della colonna. Il fenomeno venne chiamato, con un termine di fluidodinamica, "base surge". Una possibile traduzione in italiano è "fronte d'onda basale", ma in genere si usa il termine inglese.
Gli esperimenti nucleari, eseguiti a mare nell'isola di Bikini, hanno mostrato che il base surge si forma alla cresta dell'onda d'acqua che contorna la cavità creata dall'esplosione. I gas che si espandono strappano gocce d'acqua dal lato interno e dalla cima dell'onda, trasformandoli in getti che alimentano il base surge.
Il fenomeno vulcanico può essere collegato a esplosioni che avvengono a bassa profondità. I gas si espandono dapprima verso l'alto, allargano il condotto e poi si irradiano al di fuori di esso con la velocità dei venti di un uragano, trascinando cenere, pezzi di magma e di condotto.
La capacità distruttiva di un base surge arriva fino a distanze di qualche chilometro dal centro di emissione. Nel caso dell'eruzione del Taal del 1965, l'area danneggiata dall'esplosione era compresa in una distanza massima dal cratere di circa 6 chilometri, con i danni maggiori tra 500 metri e 1 chilometro dal cratere.
Alcuni vulcani di piccole dimensioni, ad esempio i maar, sono formati dall'accumulo di sottili strati di depositi da base surge che testimoniano il succedersi di esplosioni ogni volta che il magma in risalita entra in contatto con acqua superficiale o di falda.
GROUND SURGE
I ground surge sono correnti piroclastiche a bassa concentrazione di particelle solide, generalmente più calde e con un minor contenuto in acqua o vapore rispetto ai base surges. E' probabile che in certi casi la formazione di un ground surge preceda quella di un flusso concentrato, dal momento che molti depositi da ground surge si trovano alla base di depositi da flusso piroclastico di grosso spessore.
In base all'anilisi dei depositi, si ritiene che i possibili meccanismi di formazione di un ground surge possano essere:
• a) espulsione di materiale dalla zona più avanzata di un flusso piroclastico in movimento
• b) parziale collasso di una colonna eruttiva sostenuta. In questo caso, i prodotti si trovano sotto depositi da caduta
• c) esplosione direzionale con emissione di una corrente piroclastica poco concentrata direttamente dal cratere
a) La possibilità che correnti turbolente e diluite si formino nella parte anteriore dei flussi piroclastici, dipende dalla capacità di un flusso piroclastico caldo di ingerire aria esterna fredda.
L'aria inglobata si riscalda e crea turbolenza nella testa del flusso. Nella zona interessata da turbolenza, le particelle più fini sono trasportate verso l'alto dai vortici di gas, mentre una parte di gas esce davanti al flusso, trascinando getti di piroclasti. I piroclasti scagliati davanti al flusso mancano della matrice asportata dai vortici e, pertanto, scorrono per un breve tratto ad alta velocità e poi si sedimentano.
La parte più cospicua del flusso scalvalca il deposito dei getti e quando tutto il materiale è sedimentato, alla base del deposito del flusso piroclastico si trovano strati o lenti di piroclasti privi di matrice, che rappresentano il ground surge.
b) Un ground surge può formarsi per collasso parziale di una colonna eruttiva sostenuta, se si ipotizza che i piroclasti più grossi siano trasportati nella parte di getto dove vi è maggiore energia, cioé nelle zone più interne della colonna ascendente che non risentono dell'attrito con le pareti del condotto e che hanno velocità più alta.
La parte esterna della colonna, costituita da materiali fini, riesce a miscelarsi solo parzialmente con l'aria e collassa gradualmente, formando flussi di piccolo volume, turbolenti e poco concentrati.
Questi surge possono precedere un flusso piroclastico se collassa anche la parte più interna della colonna, oppure possono sedimentarsi mentre l'eruzione procede con una colonna sostenuta.
c) L'idea che un ground surge potesse originarsi da un'esplosione direzionale nasce dopo l'eruzione del 1902 a la Pelée, anche se attualmente si ritiene che il flusso di quella eruzione derivasse dal crollo della colonna eruttiva e fosse denso.
Nelle esplosioni direzionali, la colonna eruttiva invece di innalzarsi verso l'alto come nelle eruzioni pliniane ha una direzione inclinata e disperde velocemente i prodotti piroclastici che trasporta lungo i fianchi del vulcano con meccanismo da flusso.
L'eruzione avvenuta su un fianco franato del vulcano St. Helens nel 1980 è un classico esempio di esplosione direzionale. Il deposito lasciato dalla fase esplosiva di questa eruzione presenta caratteristiche da surge ma, nonostante i numerosi documenti e testimoni oculari, le interpretazioni non sono concordi e alcuni ritengono che si sia trattato di un flusso piroclastico denso e molto veloce.
ASH-CLOUD SURGE
Gli ash-cloud surge sono nubi di cenere e gas, turbolente e diluite, che scorrono sopra un flusso piroclastico denso. La loro formazione è collegata all'abbondanza di particelle fini presenti nel sottostante flusso piroclastico.
Un ash-cloud surge comincia a formarsi dopo che il flusso piroclastico ha percorso una certa distanza, aumenta il suo spessore nella zona intermedia dal punto di emissione e, nelle zone più lontane, può continuare a scorrere anche dopo che il flusso denso sottostante si è depositato.
E' stato osservato in recenti eruzioni, come un ash-cloud surge possa staccarsi dal flusso piroclastico e muoversi indipendente da esso. La parte di flusso denso resta confinata nelle depressioni, mentre la nube turbolenta può scavalcare i bordi delle vallate e seguire un percorso totalmente differente. In questi casi, si parla di disaccoppiamento dei flussi piroclastici.
DISACCOPIAMENTO DEI FLUSSI PIROCLASTICI
Il 3 giugno 1991 il collasso del duomo sommitale del vulcano Unzen (Giappone) forma un flusso piroclastico che raggiunge e travolge un gruppo di 40 persone, tra le quali i vulcanologi Katia e Maurice Kraft e Harry Glicken.
Il fatto che persone particolarmente esperte ritenessero di trovarsi in una posizione sufficientemente elevata per evitare i danni di eventuali flussi, ha indirizzato le osservazioni dei vulcanologi sulla possibilità che i flussi piroclastici potessero separarsi in correnti con differenti percorsi.
Il flusso che raggiunse quel giorno il gruppo di persone, e che si ripeté con analoghe caratteristiche nel settembre dello stesso anno, era infatti diviso in due parti: una parte densa basale seguì una curva nella valle e si allontanò dalla gente senza danneggiarla; l'altra parte, meno densa, continuò in direzione del piccolo rilievo su cui si trovavano le persone e lo scavalcò.
Il fenomeno di disaccoppiamento delle correnti piroclastiche è legato a numerosi fattori, ma i meccanismi ritenuti fondamentali nella formazione di zone a differente concentrazione di solidi all'interno dello stesso flusso sono quattro:
• caduta gravitativa delle particelle verso il basso che incrementa la concentrazione alla base del flusso e riduce quella nella parte superiore;
• formazione di uno strato basale capace di erodere il substrato su cui scorre, incorporare materiale e, di conseguenza, incrementare la concentrazione di solidi alla base;
• formazione di una zona turbolenta nella parte superiore del flusso per incorporamento di aria esterna;
• espulsione di materiale fine da una corrente densa per azione dei gas (elutriazione).
Una corrente piroclastica può essere completamente turbolenta fino a quando le particelle non cominciano a cadere verso il basso e a concentrarsi in uno strato basale. Al di sopra di un certo livello di concentrazione, i moti vorticosi dei gas sono impediti e la parte basale di un flusso turbolento può assumere le caratteristiche di un flusso non turbolento.
Nello stesso tempo, la progressiva sottrazione di particelle incrementa la diluizione della parte superiore e favorisce il mantenimento della turbolenza in quella zona. La differenza di densità, velocità e regime di flusso tra la parte non turbolenta e quella turbolenta crea due correnti separate che possono seguire differenti percorsi.
Il processo di disaccoppiamento tra i due strati è accentuato dall'incontro di ostacoli topografici che possono deviare o fermare la parte più densa. La parte superiore a minore concentrazione (ash-cloud surge) perde rapidamente energia dopo il disaccoppiamento, ma conserva un'elevata temperatura.
Inoltre, data la sua natura diluita, è soggetta a minori fenomeni di frizione interna rispetto al flusso piroclastico denso e può accelerare fino a quando diviene meno densa dell'aria circostante, cioé fino a quando gran parte della frazione solida non si è depositata.
MECCANISMI DI TRASPORTO NEI SURGE
In una corrente piroclastica diluita gran parte del carico solido viene trasportata in sospensione per mezzo della turbolenza creata dal moto vorticoso dei gas.
La turbolenza può derivare dal calore o essere indotta dalla velocità del flusso. La velocità è probabilmente la causa principale, in quanto il calore viene dissipato rapidamente, soprattutto nelle zone più esterne del flusso.
Il regime di turbolenza può essere mantenuto all'interno di un surge solo per un tempo relativamente breve e, durante lo scorrimento, i piroclasti cadono verso il basso, formando uno strato basale concentrato. Le correnti piroclastiche diluite, infatti, non restano espanse per lunghe distanze e nel tempo vi è un graduale aumento di densità e di particelle trasportate per trazione sul fondo.
Nei surge l'effetto della fluidizzazione è insignificante a causa della scarsa concentrazione di particelle. Anche l'ingestione di aria esterna, che rappresenta un'importante fonte di gas nei flussi piroclastici, nei surge ha l'effetto di provocare una rapida diminuzione di calore e di energia.
La stessa forma dei surge osservati, poco espansi alla testa, è l'evidenza di una limitata ingestione di aria. La mancanza di strutture di degassazione nei depositi da surge avvalora l'ipotesi che il flusso non sia in grado di trattenere grandi quantità di gas al suo interno.
In un surge secco, i granuli passano gradualmente dal sistema di trasporto in sospensione a quello per trazione sul fondo, con un progressivo incremento nel trasporto per trazione.
In presenza di umidità, la cenere tende ad aggregarsi formando strutture sferiche (pisoliti) che aumentano le dimensioni effettive dei granuli trasportati. Il mantenimento in sospensione di questi aggregati richiede una forza di trascinamento verso l'alto maggiore rispetto a quella necessaria per le singole particelle di cenere e gli aggregati possono cadere verso il fondo.
La formazione di uno strato basale concentrato è comune nei base surge che contengono granuli di diverse dimensioni e dove, quindi, vi sono clasti più densi o più grandi che tendono a cadere verso il fondo.
Al contrario, i ground surge e gli ash-cloud surge, presentano già in partenza una certa selezione granulometrica e la formazione di uno strato basale più denso è meno evidente.
Al diminuire della velocità, alla quale è in parte legata la turbolenza, diminuisce anche la capacità di trasporto. Il passaggio tra la fase a scorrimento veloce e quella di dissipazione avviene gradualmente con la distanza. Fino a che la densità non diventa inferiore a quella dell'aria e fino a che l'aria assorbita può essere inglobata e riscaldata, il flusso mantiene una certa capacità di trasporto e velocità di propagazione.
SEDIMENTAZIONE DELLE PARTICELLE SOLIDE
La sedimentazione della frazione solida inizia quando il livello di energia scende al di sotto di quanto serve per mantenere i granuli in sospensione o per trascinarli sul fondo.
L'energia iniziale di un surge dipende dalla violenza dell'eruzione. Durante lo scorrimento, questa energia, che in gran parte deriva dalla temperatura, viene rapidamente dispersa e i surge scorrono per gravità. La loro propagazione è controllata dalla progressiva variazione di densità e dalla diminuzione dello spessore, dall'attrito e dalla riduzione della pendenza del substrato.
La diminuzione della densità avviene per sedimentazione delle particelle o per ingerimento di aria esterna. Una volta iniziata, la sedimentazione provoca una perdita di quantità di moto che favorisce l'abbandono di altro materiale.
Nei base surge, il tasso di sedimentazione aumenta dopo l'aggregazione delle particelle di cenere dovuta alla presenza di umidità, se la granulometria degli aggregati risulta superiore alla capacità di trasporto del flusso.
La diminuzione di densità per ingerimento di aria si verifica principalmente nelle zone esterne del flusso. Lo spessore si riduce con la distanza quando la dissipazione della fase gassosa, favorita anche da una sempre minore concentrazione di solidi, provoca la deflazione del flusso.
Gli effetti dell'attrito si risentono sia alla base che alla testa e alla superficie superiore del surge. Data la densità relativamente bassa, l'attrito con il substrato è ininfluente finché il flusso resta espanso e in grado di mantenere in sospensione anche i clasti più grandi.
Quando nel surge ha inizio la deflazione, una certa quantità di particelle si concentra sul fondo e produce uno strato basale dove il trasporto avviene per trazione. Tra la base del flusso e il substrato l'attrito aumenta e favorisce un ulteriore rallentamento del surge e la sedimentazione del materiale concentrato alla base.
La capacità di trasporto diminuisce e il materiale più pesante si sedimenta anche quando il flusso decelera sopra una superficie di scorrimento pianeggiante.


COMPOSIZIONE CHIMICA DEL MAGMA
e delle rocce vulcaniche che ne derivano
I magmi possono essere classificati in base al contenuto dell'elemento più abbondante, la silice (SiO2), in:
• acidi, se contengono oltre il 63% di SiO2
• intermedi, se contengono tra il 52 e il 63 % di SiO2
• basici, se contengono tra il 52 e il 45% di SiO2
• ultrabasici, se contengono meno del 45% di SiO2
Dai magmi con basso contenuto in silice si formano i basalti. Le rocce vulcaniche che si formano da magmi ricchi in silice sono suddivise in:
- derivanti da magmi molto acidi:
• rioliti (SiO2>70%)
- derivanti da magmi di composizione intermedia:
• andesiti (SiO2 circa 57-63%)
• trachiti (SiO2 circa 58-70%)
• daciti (SiO2 circa 63-70%)
FRATTURAZIONI COLONNARI NELLE COLATE DI LAVA
La perdita di calore provoca in una massa di lava la contrazione che è causa delle fratturazioni perpendicolari alla direzione di flusso visibili in molte colate. Il leggero movimento della parte centrale della lava, non ancora completamente fredda, può provocare anche fratture parallele alla direzione del flusso. La combinazione dei due tipi di fessure, chiamate giunti, origina colonne con sezione poligonale di dimensioni variabili.
La formazione delle fratture procede per gradi: le prime a formarsi sono le più grandi e dividono il flusso in mega-colonne, grossolanamente cilindriche con diametri di alcuni metri. Queste vengono ulteriormente divise in colonne fino a dimensioni di decine di centimetro dallo sviluppo di giunti obliqui.
In colate di modesto spessore, i giunti perpendicolari alla superfice del flusso sono grosso modo disposti ad angolo retto rispetto alle altre fratture e la lava risulta divisa in blocchi con la forma di parallelepipedi rettangolari o quasi cubici.
I flussi più grandi e con un raffreddamento più lento, tendono a sviluppare i giunti perpendicolari alla superficie in tre direzioni diverse, circa a 60° gli uni dagli altri e formano colonne con più lati, da quattro a otto, con una certa frequenza di quelli a 5 e 6 lati, tagliate a varie altezze dai giunti paralleli alla superficie.
Molte colonne sono diritte e con facce parallele, altre sono curve e con lati di misura variabile. Le loro dimensioni possono essere comprese tra qualche centimetro e oltre i tre metri di diametro e più di trenta metri in altezza. Alcuni giunti si dipartono a raggiera da un punto e formano delle colonne curve dette a rosetta.
I giunti colonnari di grandi flussi basaltici sono spesso divisi in tre zone che si sviluppano in fasce parallele alla superficie di flusso. Sopra una base scarsamente fratturata e di limitato spessore poggia la parte colonnare più sviluppata, con grandi colonne verticali, non sempre a spessore costante dalla base al tetto, denominata colonnato inferiore.
Nella zona centrale, detta trabeazione (entablature), si sviluppano colonne più piccole, orientate in maniera casuale, talvolta con fratture a ventaglio o a rosetta. Segue il colonnato superiore, molto meno sviluppato di quello basale, con colonne fitte e poco regolari.
I colonnati superiore e inferiore si sviluppano contemporaneamente e per primi, essendo i più esterni e vicini a superfici fredde, mentre la parte centrale si frattura successivamente. Quando questa non è presente, il colonnato inferiore termina bruscamente contro le colonne più sottili e irregolari del colonnato superiore.
Le fratture per contrazione termica si possono sviluppare in ogni tipo di materiale vulcanico soggetto a un progressivo raffreddamento, compresi i flussi cineritici, i dicchi e i corpi intrusivi.
Dal momento che il loro sviluppo procede parallelamente alla superficie di raffreddamento, il riconoscimento dell'orientazione dei giunti può essere un contributo alla ricostruzione della giacitura originaria di molti corpi vulcanici non recenti, i cui margini esterni siano stati ricoperti da altri prodotti o distrutti dall'erosione.
PLATEAU BASALTICI
Enormi flussi di magmi basaltici (flood basalt), nel corso di tempi anche molto lunghi, hanno ricoperto vaste superfici formando altopiani lavici detti plateau basaltici.
Le eruzioni di questo tipo avvengono lungo fratture che si estendono per chilometri e che possono essere quasi cancellate dall'accumulo dei prodotti eruttati. Il loro andamento è individuato dall'allineamento di coni costruitisi nei punti in cui si sono formate fontane di lava.
I plateau basaltici più grandi si estendono per migliaia di chilometri quadrati con spessori di migliaia di metri. Famosi sono quelli del Deccan in India, del Paranà in Brasile e Argentina, del Columbia River, negli Stati Uniti e quelli in via di formazione dell'Islanda e dell'Afar in Africa.
I tempi necessari alla formazione di queste distese sconfinate di lava sono dell'ordine dei milioni di anni.
L'emissione in superficie di grandi quantità di magma basaltico viene collegata alla presenza di pennacchi di calore che si formano nel mantello terrestre (mantle plumes).
L'accumulo di calore nel mantello sembra essere favorito sotto le ampie zolle continentali che, come un coperchio, impediscono la uniforme dispersione del calore verso l'esterno.
Nei punti in cui il calore si concentra, alcuni minerali del mantello cominciano a fondere. Controllato dal contrasto di densità con il materiale solido circostante, il fuso (magma) si muove verso l'alto. In prossimità della crosta, il magma tende a rallentare e ad accumularsi.
In corrispondenza dell'accumulo di magma, la crosta si gonfia e si inarca verso l'alto. Questi rigonfiamenti interessano aree di centinaia di km2.
Dove viene curvata, la crosta diventa anche più sottile. Questo provoca una diminuzione di pressione (la crosta "pesa" di meno) sulla zona sottostante che favorisce la formazione di nuovo magma. A parità di temperatura, infatti, alcuni minerali fondono al diminuire della pressione.
La crosta terrestre curvata e assottigliata si frattura facilmente ed è anche soggetta a rapide azioni erosive. Con la formazione delle fratture la pressione sulla camera magmatica diminuisce ulteriormente e, grazie a questa catena di circostanze, enormi quantità di magma possono uscire in superficie seguendo le profonde fratture crostali.
La relazione fra il lento sollevamento di intere regioni provocato dalla risalita di calore dal mantello e lo sviluppo di flussi basaltici è stata ipotizzata in zone come l'Arabia, il Mar Rosso, in India, nel Sud del Brasile e nel distretto di Karoo in Sud Africa.
In questi luoghi gli effetti in superficie del pennacchio di calore, cioé la formazione di strutture sollevate, sono registrati nell'andamento dei fiumi per oltre 200 milioni di anni dopo l'inizio dell'inarcamento.
I grandi flussi basaltici sono costituiti prevalentemente da lave con strutture pahoehoe. Dato il loro spessore, un completo raffreddamento può avvenire anche nell'arco di anni e questa situazione è la più favorevole allo sviluppo dei giunti colonnari.
Nonostante le lave abbiano una superficie pahoehoe, raramente si trovano strutture da raffreddamento tipo tubi, come normalmente avviene nelle colate basaltiche emesse da vulcani centrali.
Non è però esclusa la possibilità che sistemi di tubi e canali si formino durante il flusso e vengano successivamente distrutti da moti convettivi di calore e di materiale.
Esistono ampie distese di magmi basaltici che non possono essere considerate veri e propri plateau, come nel caso della piana basaltica dello Snake River, negli Stati Uniti, dove le eruzioni sono avvenute da coni centrali e da fratture molto brevi.
Queste colate formano scudi di lava con fianchi poco inclinati e vengono considerate la transizione tra i plateau e i flussi di lava basaltica di tipo hawaiiano.
Quando la risalita di magma si esaurisce, le fratture restano piene di magma solidificato. Successivamente, l'erosione può asportare le rocce meno resistenti e mettere in evidenza isolati rilievi di lava solidificata, caratteristici di molti paesaggi degli Stati Uniti.


LE LAVE A CUSCINO (PILLOW LAVAS)
Le lave a cuscino (pillow) sono blocchi rotondeggianti, con dimensioni che variano da pochi centimetri fino a qualche metro, che si formano durante le eruzioni basaltiche sottomarine, in gran parte localizzate lungo le dorsali oceaniche. Si tratta delle rocce vulcaniche più abbondanti eruttate sulla terra.
Le strutture rotonde si formano perché l'eruzione avviene sotto un grosso spessore di acqua. La lava emessa sott'acqua non riesce a formare una colata, come avviene in gran parte delle eruzioni sabaeree di magmi basaltici, ma si contrae e si raffredda in blocchi più o meno grandi che rotolano dalla dorsale.
Nei fondali oceanici le lave a cuscino si trovano spesso insieme a strati di lave massive, sia lungo le dorsali oceaniche, sia in corrispondenza di vulcani sottomarini isolati (seamount). Le lave massive si formano probabilmente quando l'emissione di lava è così abbondante da poter vincere la contrazione causata dall'acqua e riesce a formare un colata vera e propria.
Il rapido raffreddamento della lava forma una crosta vetrosa che ricopre il pillow. La parte interna resta calda e preme sulla crosta fino a che questa si rompe. Il getto di lava che ne esce raffredda a sua volta rapidamente nella parte esterna, mentre all'interno resta calda e può nuovamente rompere la crosta. Il processo si ripete fino a che il nucleo caldo riesce a forzare la parte solida, come nella propagazione delle digitazioni delle lave pahoehoe subaeree.
Tra un getto di lava e il successivo si forma un penduncolo, la cui posizione indica la direzione della colata. La forma dei pillow è a volte così appiattita da sembrare simile a lingue di lave pahoehoe, ma in genere i blocchi si presentano con il lato superiore convesso e quello inferiore concavo verso l'alto.
Questa deformazione avviene quando i massi ancora non completamente freddi si accumulano ai piedi della dorsale da cui rotolano. La base di ogni pillow si adatta alla forma rotonda di quello che gli sta sotto, fino a formare delle appendici che si incuneano e occupano gli spazi tra i blocchi sottostanti.
In alcuni casi, non frequenti, tra un masso e l'altro non esistono penduncoli e l'accumulo è formato da blocchi indipendenti. Questo può verificarsi quando vicino alla bocca eruttiva riesce a formarsi una colata e i blocchi rotolano dal fronte singolarmente.
Esistono accumuli di elementi singoli che sono stati interpretati come il risultato di violente eruzioni sottomarine di lava molto fluida, con fontane di lava e lanci di brandelli di magma incandescente nell'acqua. Il raffreddamendo del materiale che ricade dalla fontana lavica avrebbe prodotto l'accumulo di masse tondeggianti, del tutto simili alle lave a cuscino.
All'interno di ogni pillow la lava resta fluida per un tempo abbastanza lungo, tanto che alla base di alcuni massi si sono trovati accumuli di cristalli di olivina. L'olivina è uno tra i primi minerali a cristallizzare quando si abbassa la temperatura di un magma. Essendo i cristalli più pesanti del fuso in cui si formano, se ne hanno il tempo, cadono verso il basso.
Nel corso del raffreddamento, la lava si contrae e si frattura. Le fratture si estendono dalla superficie verso il centro del pillow. La superficie può essere segnata anche da fratture causate dal rigonfiamento per l'espansione delle bolle dei gas che tendono a uscire dal blocco in tutte le direzioni. Il gas che non riesce ad arrivare alla superficie del pillow, forma delle bolle allineate su superfici sferiche, concentriche rispetto al nucleo centrale.
Il rapido raffreddamento che forma la crosta esterna, insieme a quello più lento che contrae e frattura la parte interna, rendono fragile l'intera struttura. Quando i pillow rotolano dal pendio, possono andare in pezzi e formare accumuli di materiali vetrosi, detti ialoclastiti, insieme a pillow interi e a blocchi di lava.
I frammenti di vetro delle ialoclastiti sono diversi da quelli che formano le ceneri delle eruzioni vulcaniche subaeree. Le ceneri vetrose derivano dalla frammentazione del magma ad opera delle bolle di gas che si espandono ed esplodono e, quindi, presentano superfici curve.
I vetri delle eruzioni sottomarine sono invece frammenti angolari e piatti che derivano dalla esfoliazione della superficie di un flusso per contrazioni da raffreddamento rapido e per rottura della crosta negli urti tra i blocchi. In Italia, depositi di ialoclastiti associati a pillow sono presenti a Acicastello (Sicilia).
Esistono anche colate di lava sottomarine non basaltiche, poco studiate sia per la loro rarità che per la difficoltà di accesso. Un esempio di lave riolitiche emesse in ambiente sottomarino di acque poco profonde è riconosciuto nei prodotti affioranti sull'Isola di Ponza.
In superficie esistono affioramenti di lave a cuscino provenienti da antiche dorsali trascinate dai movimenti delle placche litosferiche sulla terraferma. Nei flussi antichi, il profilo esterno dei massi può essere utilizzato per riconoscere se la posizione è quella originaria o se sono stati rovesciati da eventi tettonici.
LE LAVE PAHOEHOE
Con pahoehoe si indicano le lave che derivano da magmi basici molto fluidi che solidificano formando una superficie liscia o con strutture a corde più o meno regolari.
Le corde consistono in corrugazioni della superficie alte pochi centimetri che si formano per lo stiramento della sottile crosta superficiale provocato dal movimento del materiale sottostante ancora fluido.
Se il flusso di lava è arginato lateralmente, ai bordi si crea una resistenza allo scorrimento, sia per l'attrito che per la perdita di calore più rapida al contatto con le rocce fredde, mentre la parte centrale può muoversi più velocemente. In questo modo le corde si curvano secondo l'andamento della corrente.
Il rapido raffreddamento della parte esterna delle lave pahoehoe permette di camminare sopra un flusso ancora in movimento e con temperature intorno ai 1000° C nella sua parte più interna. Il significato del termine hawaiiano esprime proprio questa proprietà dei flussi con superfici lisce.
Con la distanza dal cratere, lo spessore della crosta fredda superficiale aumenta e funziona sulla lava sottostante come un coperchio che rallenta la dispersione del calore.
Il raffreddamento della superficie della colata parte dalle zone laterali e si propaga verso in centro del flusso e in direzione della corrente fino a formare un vero e proprio tubo freddo al cui interno continua a scorrere la lava calda.
La formazione di tubi mantiene la lava calda e fluida, condizioni che le consentono di percorrere lunghe distanze. I flussi pahoehoe, a parità di alimentazione al cratere, possono raggiungere distanze maggiori rispetto a quelle di altre colate.
Quando il flusso di lava comincia a diminuire e il tubo è riempito solo in parte dal materiale caldo, dal soffitto possono formarsi strutture simili a stalactiti per il gocciolamento della lava incrostata. La forma è come quella di un candelotto di ghiaccio oppure di un bastoncino ricoperto di gocce rotondeggianti di lava liquefatta dai vapori e dal calore del flusso che scorre a un livello più basso.
A eruzione ultimata, i tubi di lava spesso restano vuoti, formando complessi sistemi di gallerie. La volta del canale può cedere e collassare, creando sulla superficie lunghe depressioni. La formazione di tubi è una caratteristica delle lave pahoehoe e difficilmente in altri tipi di flussi si formano tunnel così ampi e numerosi.
Il fronte di una colata di lava pahoehoe che si allarga sul terreno ha i bordi leggermente sollevati rispetto al suolo, in quanto l'atttrito rallenta il movimento della parte basale. La parte superiore può anche avanzare e scavalcare quella sottostante.
Quando diverse colate pahoehoe di piccolo spessore, da qualche centimetro a poche decine di centimetri, si susseguono rapidamente e si sovrappongono, solidificano formando una serie di piccoli gradini.
La superficie di molte colate pahoehoe presenta una rete di sottili fili, generalmente con disposizione parallela gli uni rispetto agli altri. Questi fili (detti capelli di Pele, una divinità hawaiiana) si formano dalla coda liquida di innumerevoli piccole bolle di gas che ricade all'indietro sulla superficie e viene stirata nel senso della corrente. Frammenti detti lacrime di Pele, derivano dalla solidificazione di gocce di lava spruzzate nell'aria da getti gassosi.
Colate particolarmente ricche in gas fino a sembrare schiuma, si raffreddano formando una crosta ruvida ricoperta di bolle che possono avere dimensioni da pochi millimetri fino al metro. Normalmente le bolle più piccole restano intere, mentre quelle più grandi scoppiano e lasciano l'impronta della parte inferiore, in modo che la crosta sembra ricoperta da conchiglie (shelly pahoehoe).
La superficie di una colata pahoehoe può anche essere fratturata in lastroni irregolari, con dimensioni di alcuni metri. Questo si verifica quando la superficie fredda può diventare molto spessa come, ad esempio, in un tratto pianeggiante dove il flusso rallenta. La lava defluisce e crea un vuoto sotto la crosta che può fratturarsi. In altri casi, la crosta può essere spinta e rotta contro ostacoli nei punti in cui il flusso riprende velocità.
Le lastre di crosta fredda possono essere basculate, trascinate e ammucchiate una sull'altra o anche essere inglobate nuovamente nella lava fluida.
I flussi di lava pahoehoe, essendo molto fluidi, si muovono rapidamente e, se di piccolo spessore, avanzano rotolando con un movimento regolare. Quelli più grossi sono meno mobili e si muovono formando grosse lingue rotondeggianti di lava.
L'incontro di irregolarità del terreno, o un incremento nel flusso al cratere, può aumentare la spinta della massa calda interna e rompere la parte esterna in via di solidificazione. Dal punto di rottura fuoriesce materiale caldo che avanza sul terreno formando digitazioni, lingue e lobi rapidamente solidificati all'esterno, ma ancora caldi all'interno.
Il nucleo caldo può rompere nuovamente la crosta e produrre un altro getto di lava e altri ancora in successione, fino a che le lingue diventano piccole, si raffreddano completamente e si fermano. Molti flussi di lave pahoehoe avanzano in questo modo, per protrusione di una lingua di lava da un'altra.
Strutture quasi circolari, dette tumuli, possono formarsi per il rigonfiamento verso l'alto di una crosta ancora in parte plastica. La parte più sollevata si raffredda e si frattura irregolarmente. Dalle fratture possono scorrere rivoli di lava calda, spinta e strizzata verso l'esterno.
La lava può uscire sopra la crosta fredda anche attraverso le fratture lineari che delimitano i lastroni. La lava fluida può formare sopra la crosta bubboni o piccoli rilievi di qualche metro, oppure, se è più viscosa, può ricoprire la frattura con una striscia gonfia e liscia, simile ad un serpente.
Intorno al punto di emissione si formano piccoli rilievi detti hornitos, driblet e spatter-cone, costituiti dall'accumulo di brandelli di lava scagliati verso l'alto con brevi lanci. Piccole esplosioni possono avvenire anche lungo la colata quando questa incontra acqua nel terreno e la riscalda sviluppando il gas (vapore) che provoca le esplosioni.
Quando una colata pahoehoe incontra degli alberi, questi vengono avvolti dal flusso e spesso lasciano nella lava l'impronta del tronco simile a un pozzo cilindrico (lava tree molds).
Le strutture pahoehoe sono caratteristiche delle colate dei grandi vulcani hawaiiani, ma si sviluppano in ogni tipo di lava con viscosità sufficientemente bassa. E' frequente il caso di colate con strutture pahoehoe vicino al cratere, quando sono ancora molto calde, che cambiano stile con la distanza.
Ad esempio, all'Etna si trovano tratti di colate pahoehoe in prossimità dei crateri e di bocche avventizie. Alcune strutture hanno dimensioni di metri, altre sono più piccole. Le più grandi consistono in ondulazioni perpendicolari al senso della corrente e in fiotti di lava strizzata come una pasta dentifricia attraverso le fratture della crosta, con solchi paralleli alla direzione del flusso.
Su piccola scala, si trovano superfici coperte da filamenti vetrosi, sottili o grossolani come peli di un pennello, paralleli al senso della corrente.
LE LAVE AA
Vengono chiamate con il termine hawaiiano aa quelle colate di lava la cui superficie è ricoperta da blocchi di lava con spigoli vivi (detti anche clinker) e con dimensioni fino ad un metro.
Sono colate meno fluide delle pahoehoe o per differenza di chimismo (più acide) o per una differenza di temperatura (meno calde). Una lava può essere molto fluida vicino alla bocca eruttiva e assumere le caratteristiche di un flusso aa solo con la distanza. Ovviamente, tranne che in alcune strutture a piccola scala, non si verifica il contrario.
La velocità di queste colate è in genere di qualche metro all'ora e comunque inferiore a quella delle lave pahoehoe. Raramente, se non vicino alla bocca dove il canale di scorrimento è abbastanza stretto, le colate aa formano tubi entro i quali il magma scorre mantenendo alte temperature.
I blocchi che ricoprono la superficie delle colate aa sono in gran parte pezzi di crosta rigida che viene fratturata dal movimento del materiale caldo sottostante (autobrecciatura). La formazione della crosta fredda attraversa diversi stadi lungo il tragitto del flusso, condizionata dalle variazioni di temperatura e di viscosità della lava.
Vicino alla bocca, la temperatura è così alta che la lava ha un colore rosso-arancio, senza crosta superficiale. Dopo pochi metri, si forma una sottile crosta vetrosa, di colore grigio, ricoperta da filamenti e con strutture pahoehoe come corde e ondulazioni.
Entro un altro breve tratto, comincia a formarsi una superficie irrregolare con protrusioni di dimensioni decimetriche che danno alla colata l'aspetto irregolare di un cavolfiore (cauliflower aa). Le forme rotondeggianti sono ricoperte da strutture millimetriche, dette spine, tipiche delle lave aa con forma a cavolfiore.
Alcune spine si formano al contatto di frammenti ancora caldi che, urtandosi, tendono a legarsi fra loro, come se fossero appicicosi. In molti casi la crescita delle spine è legata alla formazione di cristalli nel magma.
Le spine sono di due tipi e si sviluppano a distanze diverse dal cratere: subito dopo la crosta pahoehoe a filamenti, si formano spine vetrose, appuntite e di colore nero (spine a stiletto), mentre a distanze maggiori diventano più grossolane e di colore rossastro (spine stubby).
Dopo le strutture a cavolfiore si formano delle brecce con frammenti più grandi e meno spigolosi. Il tratto di colata ricoperto da brecce prende il nome di flusso brecciato (rubbly aa). I frammenti meno spigolosi derivano da altri formatisi in precedenza e abrasi dagli urti, ma nella maggior parte dei casi i blocchi si formano per autobrecciatura della crosta solida.
I blocchi del flusso brecciato presentano una superficie ricoperta di piccole sporgenze quasi angolari, simili a granelli di zucchero. Una decina di centimetri sotto la superficie, i blocchi possono essere immersi in una matrice fine formata da questi granelli, staccati dai frammenti soprastanti e caduti verso il basso.
La parte basale della colata, a contatto con il terreno, è più fredda di quella soprastante e avanza più lentamente. Per questo motivo, la zona superiore del fronte tende a sporgere, a frantumarsi e a far ricadere il detrito davanti alla massa che avanza e ai suoi lati.
La formazione di detrito e la sua caduta davanti al flusso continua per tutto il percorso della colata e la lava scorre costantemente sopra il proprio detrito. In flussi lenti il fenomeno si osserva facilmente, ma il processo è uguale anche in colate veloci. Il fronte di una colata aa è composto da materiale fuso in movimento e da pezzi di materiale solido che vengono trasportati.
Sebbene la parte superiore del flusso si muova più velocemente di quella basale, il fronte assume, a causa del continuo franamento di materiale, un profilo arretrato con un angolo di circa 40° rispetto al margine inferiore della colata.
Talvolta frammisti al detrito si trovano grumi di materiale rotondeggianti, detti palle di lava accrezionali. Queste si formano per accrescimento intorno a un pezzo di crosta che rotola dai fianchi della colata, ne' più ne' meno come una palla di neve che rotola da un pendio innevato. Le loro dimensioni variano da alcuni centimetri ad alcuni metri.
Un flusso di lava aa compie gran parte del suo percorso del vulcano incanalato entro argini (levées) la cui forma, dimensione e struttura evolvono al progredire dell'eruzione.
Gli argini sono detti massivi quando presentano la stessa stratificazione del flusso che scorre nel canale e sono, quindi, formati da due zone detritiche (la parte inferiore e quella superiore) e da una parte interna massiva.
Allo stato incandescente e con la superficie non ancora ricoperta da detriti, gli argini massivi vengono detti iniziali. Quando la crosta comincia a formarsi e a rompersi, vengono chiamati argini brecciosi (rubble levée).
Vicino alla bocca possono formarsi argini molto stretti, simili a pareti verticali, detti argini accrezionali (accretionary levées). Un argine massivo può modificarsi all'aumentare della prondità del canale e quando l'accumulo di detrito diventa molto consistente. Le brecce possono rotolare, fratturarsi ulteriormente e formare un argine detritico (debris levée).
Se l'emissione di lava aumenta, il flusso può traboccare lateralmente sopra l'argine, aumentandone lo spessore con strati di lava massiva alternati a livelli di brecce e formando un tipo di argine laterale, detto da straripamento (overflow levée). Ogni livello di lava massiva rappresenta un trabocco del flusso.
Quando l'emissione di lava diminuisce, il flusso si restringe e si formano argini multipli adiacenti, distinguibili perché fra l'uno e l'altro resta una depressione. La stessa cosa succede quando un flusso più stretto occupa un canale lasciato libero da una precedente colata.
Talvolta gli argini multipli non sono simmetrici ai bordi del canale, ma uno dei due può incontrare un ostacolo, accumularsi irregolarmente o deviare. Può anche succedere che nel mezzo di un canale attivo si crei un argine centrale, per irregolarità del terreno o per un calo nell'afflusso di lava. Questo può svilupparsi fino a dividere il flusso e a costruire un nuovo canale di scorrimento.
Il movimento del fronte di una colata avviene spingendo in avanti i frammenti solidi e estrudendo tra il detrito pezzi di lava incandescente che possono avere la forma di strati soffici o di protrusioni viscose.
Gli strati soffici hanno spesso strutture pahoehoe e avanzano anche di alcuni metri, fino a che il fronte li riprende. Le protusioni viscose sono blocchi, anche di diversi metri, che si strappano e ricadono dal fronte. La caduta è accompagnata da cascate di granuli incandescenti che, al microscopio, appaiono di forma cubica.
Se una colata ha un fronte molto ampio, questo tende a dividersi in lobi. I lobi possono avanzare tutti con la stessa velocità oppure alcuni possono rallentare e fermarsi e il flusso si concentra in un fronte più stretto.
Un fronte può dividersi in lobi anche quando più flussi confluiscono in uno solo o per la rottura di un argine o quando la colata incontra un ostacolo e si divide per aggirarlo.
Una volta raffreddate, le colate aa possono essere divise, in senso verticale, in 3 strati. Lo strato superiore che comprende le strutture di superficie e una zona di lava massiva fratturata. Questo strato tende a crescere in spessore nel senso della corrente, passando da misure di centimetri a metri. La superficie cambia, con la distanza, da liscia con strutture pahoehoe e filamenti a detrito prodotto dall'autobrecciatura.
Il secondo strato comprende la parte centrale del flusso ed è formato da lava massiva spesso vescicolata dalle bolle di gas. Le bolle si formano mentre il flusso è in movimento e, pertanto, si presentano nella massa raffreddata con forme irregolari e distorte. Dal momento che il gas tende ad uscire dal magma, le bolle tendono a concentrarsi verso l'alto.
Se una colata attraversa un terreno umido, si produce del vapore acqueo che può risalire all'interno del flusso formando delle bolle. Spesso, queste concentrazioni verticali di bolle sono curvate nella parte superiore in direzione del flusso.
Quando la base del flusso è già indurita, il vapore può forzare la lava con piccole esplosioni che formano aperture irregolari chiamate spiracoli. Difficilmente queste strutture risalgono fino a superare la parte massiva, ma in alcuni casi riescono anche a trasportare in superficie un getto di terra o fango, strappato dal terreno sottostante.
Il terzo strato si trova nella parte inferiore della colata e comprende la base irregolare della lava massiva e il deposito detritico sottostante, generalmente meno sviluppato di quello superiore.
Quando il detrito basale è completamente assente, si può pensare che sia stato fuso e inglobato dalla lava calda soprastante, ma esistono colate con spessori molto piccoli (e quindi con una quantità di calore insufficiente a rifondere il detrito solido) prive dello strato basale.
E' probabile che il detrito manchi quando il flusso avanza con velocità uniforme dalla base alla superficie. In questo modo la parte superiore non sporge rispetto a quella centrale e il detrito non cade davanti alla colata che avanza.
LE LAVE A BLOCCHI
Le lave non basaltiche formano in genere colate di lave a blocchi. Con lave a blocchi si può intendere un qualsiasi flusso di lava ricoperto da frammenti angolari e, in questo senso, si comprendono anche i flussi di tipo aa.
In senso stretto, le lave a blocchi sono quelle nelle quali i frammenti del detrito superficiale non sono ricoperti da spine, caratteristiche dei flussi aa, ma si presentano come blocchi poliedrici massivi, con superfici piane o leggermente curve.
Le lave a blocchi si formano da magmi con una viscosità elevata già vicino al cratere. Il chimismo è di tipo intermedio o acido, anche se si conoscono flussi di lave a blocchi derivanti da magmi basaltici eruttati a temperature insolitamente basse. Lo spessore di questi flussi è generalmente potente, maggiore di quello delle colate aa.
Sulla superficie della colata cresce rapidamente una spessa crosta vetrosa che si frantuma per il movimento del flusso sottostante. I blocchi possono essere vescicolati in misura molto varia, da totalmente privi di vacuoli, quando sono scuri e ossidianacei, a molto vescicolati nei flussi chiari e pomicei.
Le due situazioni si possono verificare anche in uno stesso flusso, con la presenza contemporanea di blocchi di ossidiana con fratture concoidi e blocchi pomicei ricchi di bolle.
Normalmente nella colata di una lava a blocchi si forma un nucleo centrale di lava massiva, ma il materiale frammentato resta predominante, fino a costituirne talvolta l'intero spessore. La superficie appare molto irregolare, con collinette e depressioni anche di notevoli dimensioni, disposte irregolarmente o in allineamenti che formano bordi ondulati, perpendicolari alla direzione di flusso.
I bordi si formano quando la variazione nel tasso di emissione di lava dal cratere provoca un aumento di portata nella colata che si ripercuote in un incremento nell'altezza del flusso. Si forma allora una specie di cresta che si muove con la corrente e, siccome il centro del flusso possiede una velocità maggiore dei bordi, il bordo si arcua con la parte convessa rivolta nella direzione di scorrimento.
Il movimento della parte inferiore è rallentato dalla bassa temperatura e dalla frizione con il terreno, mentre la parte superiore si muove dividendosi in una serie di strati che scivolano uno sull'altro.
Quando il fronte scorre con difficoltà, o è prossimo a fermarsi, gli strati si curvano bruscamente verso l'alto. Questo significa che la lava non completamente fredda riesce più facilmente a muoversi verso l'alto che a spingere il fronte in avanti sul terreno. Anche particolari condizioni locali, quali l'incontro di un ostacolo che rallenta il flusso, possono creare le stesse strutture (dette ramping) che formano in superficie le caratteristiche collinette che punteggiano le colate delle lave a blocchi.
La lava calda del nucleo può essere strizzata da irregolari movimenti del flusso, fino a risalire attraverso la parte detritica. In superficie, possono formarsi strutture verticali che si innalzano dallo strato a blocchi. Raffreddando, il materiale si frattura e, con il movimento del flusso, si riduce in blocchi che possono restare ammucchiati a formare colline di detrito superficiali.
In flussi particolarmente viscosi, come quelli riolitici, la curvatura verso l'alto degli strati può essere presente lungo l'intero flusso, dalla bocca eruttiva fino al fronte.
Le bombe sono brandelli di materiale iuvenile emessi allo stato fluido che solidificano durante il tragitto in aria o appena ricaduti a terra.
Alcune bombe vengono lanciate molto in alto e si raffreddano a contatto con l'aria durante il volo assumendo forme fusiformi. Altre cadono al suolo ancora calde, almeno nella parte interna, e assumono forme schiacciate (bombe a focaccia), spesso con una superficie screpolata (bombe a crosta di pane).
Le fratture esterne di una bomba sono dovute, oltre che alla contrazione da raffreddamento e all'impatto col terreno, anche all'espansione dei gas dal nucleo ancora caldo.
Ci sono bombe con un nucleo solido ricoperto da lava solidificata e arrotondata dal movimento aereo. Il nucleo può essere costituito da un pezzo di materiale accidentale o accessorio o anche da un pezzo di mantello solido incorporato nel magma (cored bombs).
Con agglomerato si intende un deposito costituito prevalentemente da bombe. Insieme si possono trovare scorie, litici accessori e accidentali. Essendo formati da elementi grossolani che ricadono al suolo non completamente freddi, gli agglomerati consistono in accumuli di materiale saldato che si ritrovano in luoghi vicini al punto di emissione.
I blocchi sono pezzi solidi dell'edificio vulcanico o di rocce profonde (materiale litico accessorio o accidentale) per lo più spigolosi. I blocchi accidentali possono essere di natura vulcanica, ma anche sedimentaria o metamorfica se provengono dalle rocce incassanti.
Quando sono brandelli di magma solidificato (materiale iuvenile) derivano dalla distruzione di duomi formatisi nel corso della stessa eruzione o dalla fratturazione di bombe.
Con breccia piroclastica si intende una roccia costituita per la maggior parte da blocchi spigolosi. In depositi non recenti di apparati ormai smembrati, la presenza di una breccia piroclastica può indicare la vicinanza del centro eruttivo.
Con breccia vulcanica si intende invece una roccia composta da qualsiasi tipo di particelle vulcaniche, spigolose, con dimensioni maggiori di 2 mm.

I lapilli (dal latino: piccola pietra) possono essere di natura iuvenile, accidentale o accessoria. Generalmente sono spigolosi quando costituiscono depositi da caduta e arrotondati dall'attrito quando vengono trascinati da una corrente piroclastica. Può anche verificarsi che, nell'impatto col suolo, fragili pomici grossolane si frantumino, formando lapilli a spigoli vivi.
I lapilli accrezionali, o pisoliti vulcaniche, sono elementi sferoidali, con dimensione dei lapilli, formati dall'aggregazione di ceneri o piccoli clasti. Le dimensioni delle pisoliti sono in molti casi comprese tra i 2 e i 10 mm di diametro, ma talvolta possono essere più grandi, anche fino a 15 cm, pur conservando il termine dimensionale di lapilli.
Il processo di aggregazione è attribuito all'azione di forze capillari e all'attrazione elettrostatica tra particelle di cenere all'interno di una miscela eruttiva umida. Da dati ricavati sperimentalmente, si è constatato che per formare strutture accrezionali in grado di preservarsi nei depositi, è necessario che la coesione avvenga tra particelle ricoperte da una patina di liquido, la cui evaporazione provoca la precipitazione di minerali secondari che contribuiscono alla cementazione della struttura.
Al contrario, gli aggregati prodotti in ambiente secco risultano meno densi e non resistono alle simulazioni di impatto col suolo. Essendo pertanto ipotizzata per la loro formazione la presenza di forte umidità, i lapilli accrezionali vengono normalmente considerati indicatori di eventi idromagmatici, ma possono formarsi anche in nubi di ceneri asciutte accompagnate da precipitazioni meteoriche.
Una roccia vulcanica formata prevalentemente da lapilli è detta tufo a lapilli (lapillistone) e in genere contiene anche una certa quantità di cenere. Si possono usare anche i termini agglomerato di lapilli, quando il deposito è composto da elementi arrotondati e breccia di lapilli quando sono spigolosi.

La cenere vulcanica è composta da frammenti vetrosi e da frammenti di litici e cristalli. Può essere ulteriormente suddivisa, sempre in base alle dimensioni, in cenere fine e grossolana.
Le ceneri vulcaniche derivano dalla frammentazione del magma per la decompressione e il rilascio di gas quando questi raggiunge la superficie terrestre (eruzioni magmatiche), per il contatto del fuso con acqua, una superficie umida, neve o ghiaccio (eruzioni freatomagmatiche) oppure dalla frantumazione ed emissione di parti del condotto o del cratere quando vengono eruttati vapori o getti di acqua surriscaldata (eruzioni freatiche).
Le particelle di cenere vetrosa (shards) derivano dalla frantumazione delle pareti delle bolle che si formano durante l'espansione dei gas e hanno una tipica conformazione curva.
Le forme più comuni di tali particelle sono tre: 1) cuspidate (cuspate shards), ovvero frammenti di bolle con una forma a Y in sezione, derivanti dalla parte in comune, e più resistente, di tre bolle frantumate. Le particelle cuspidate possono essere formate anche da due pezzi concavi rappresentanti parte delle pareti di due bolle nel punto in cui venivano a contatto fra di loro. 2) piatte (platy shards) sono parti di pareti di bolle molto sviluppate. 3) pomici (pumice shards) quando si tratta di piccoli frammenti pomicei con struttura vescicolare allungata o rotondeggiante.
Con tufo si indica una roccia composta essenzialmente da particelle con dimensione della cenere. A seconda della dimensione dei componenti può trattarsi di tufo fine o grossolano. I depositi di cenere non consolidata si chiamano cineriti.
Il passaggio da depositi cineritici a tufo consolidato viene favorito dalla trasformazione dei vetri vulcanici in minerali da alterazione, quali le zeoliti. Le particelle vetrose contenute in prodotti basaltici derivanti da eruzioni freato-magmatiche (surtseyane e base surge) possono anche alterarsi, per idratazione, in palagonite.
Quando subisce questo processo, il deposito litificato viene chiamato tufo palagonitico. Grossi depositi di cineriti o di tufo sono detti ignimbriti. Con ignimbrite si definisce il deposito di un flusso piroclastico di cenere o di cenere e pomici.
VESCICOLAZIONE
La vescicolazione consiste in vuoti più o meno sviluppati, lasciati nei piroclasti da bolle di gas inesplose. L'indice di vescicolazione viene calcolato in base al seguente rapporto:
• Volume (%) = 100 (densità DRE - densità piroclasto) / densità DRE
(DRE= dense rock equivalent= densità della roccia compatta o liquido magmatico)
A seconda del valore dell'indice di vescicolazione, un piroclasto può essere:
• 0-5 - non vescicolato
• 5-20 - con vescicolazione incipiente
• 20-40 - poco vescicolato
• 40-60 - moderatamente vescicolato
• 60-80 - molto vescicolato
• >80 - estremamente vescicolato
La fase gassosa che provoca la frammentazione del magma e la formazione dei piroclasti può derivare dall'essoluzione dei gas contenuti nel magma o dall'interazione del magma con acqua esterna.
Nel primo caso si parla di esplosività magmatica, nel secondo di esplosività di vapore e le eruzioni vengono chiamate rispettivamente esplosive secche o umide. Uno dei parametri preso in considerazione per stabilire se un magma ha interagito con fonti esterne di vapore è il grado di vescicolazione dei clasti iuvenili.
I prodotti più vescicolati sono in genere attribuiti alle eruzioni esplosive secche, mentre quelli meno vescicolati, e con uno spettro più ampio nel grado di vescicolazione, sono attribuiti alle eruzioni umide, come quelle freato-magmatiche.
Questa differenza viene spiegata con il fatto che, al momento di un'eruzione secca, l'espansione dei gas ha raggiunto il valore tipico della frammentazione e, quindi, i piroclasti presentano tutti più o meno lo stesso grado di vescicolazione. La vescicolazione dei piroclasti nei depositi pliniani secchi varia fra il 71 e l'81%, con uno spettro di variazione del 25%.
Al contrario, nell'interazione con l'acqua si ha un blocco istantaneo nella crescita delle bolle, a qualunque grado di sviluppo esse si trovino e la frammentazione del magma avviene per l'interazione con l'acqua e non per espansione ed esplosione delle bolle.
Il processo di espansione, oltretutto, viene bloccato nella condizione in cui si trova, tranne probabilmente all'interno dei piroclasti grossolani dove può prolungarsi per un residuo di calore interno. Il grado di vescicolazione dei clasti iuvenili può essere molto vario, in quanto riflette quanto avanzato e omogeneo fosse il processo di espansione delle bolle al momento della frammentazione.
Se il magma non era molto vescicolato al momento dell'interazione, i valori di vescicolazione sono inferiori al 50% e presentano un ampio spettro di variazione (>del 60%). Se il contatto con l'acqua avviene quando il magma è in avanzata fase di vescicolazione ne consegue invece un alto grado di vescicolazione (60%), con spettro di variazione più limitato (

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