Calcolo infinitesimale

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Testo

Indice
Titolo Pag.
- Metodi di quadratura dall’antichità al Seicento 3
- Teoria delle grandezze e metodo di esaustione 4
- Geometria analitica e il problema delle tangenti 6
- Newton e Leibniz: la nascita del calcolo 6
- La diffusione del calcolo 7
- Il calcolo in Italia 8
- I fondamenti del calcolo 9
- Weierstrass e la trattatistica dell’analisi in Italia 11
- La teoria dei numeri reali 12
- L’integrazione e la misura 13
Metodi di quadratura dall'antichità al Seicento
Il problema del calcolo di aree e volumi ed il dilemma della determinazione delle tangenti costituiscono le due questioni tipiche dibattute e risolte con la nascita del calcolo.
Fin dai tempi più remoti tuttavia il primo quesito è affrontato con il raggiungimento di alcuni notevoli risultati utilizzando il cosiddetto "metodo di esaustione". Tale metodo, tradizionalmente attribuito ad Eudosso e utilizzato da Euclide, viene portato alla massima raffinatezza da Archimede (287-212 a.C.) di cui rimangono trattati sulla parabola, sul cerchio, sulla sfera, cono e cilindro negli scritti Quadratura della parabola, Misura del cerchio, Sulla sfera e sul cilindro.
Il procedimento per esaustione consente di dimostrare con rigore i risultati, ma non fornisce indicazioni sulla strada da seguire per scoprirli. Nel Rinascimento si diffuse pertanto la convinzione che Archimede possedesse un metodo segreto da usare preliminarmente, convinzione in parte confermata dal ritrovamento avvenuto solo nel 1906 di un palinsesto contenente il cosiddetto Metodo sotto forma di lettera ad Eratostene.
Dalla metà del Cinquecento il problema di "divinare" il presunto metodo e di trovare una scorciatoia alle complicazioni che l'esaustione presenta al crescere della generalità dei risultati segue la riscoperta e la restituzione dei classici. L'opera geometrica e meccanica di Archimede, ripresa e studiata dai matematici, costituisce più di ogni altra il termine di paragone e di ispirazione fino alla nascita del calcolo. Il nome di Archimede, a cui si fa appello con Euclide come garanzia di rigore, finisce per raccogliere una varietà di argomenti e metodi che, più o meno direttamente ispirati alle sue opere, contengono nuovi risultati.
È il caso del calcolo del baricentro delle figure di cui scrive Simon Stevin (1548-1620), o dei contributi pubblicati nel De centro gravitatis solidorum libri tres (1604) e nella Quadratura parabolae per simplex falsum (1606) di Luca Valerio (1552-1628), definito da Galileo "il nuovo Archimede dell'età nostra".
In una direzione di ricerca più a sé stante si spinge Johannes Kepler (1571-1630) con la Nova stereometria doliorum (1615): in riferimento con il problema pratico della costruzione delle botti, egli si serve di analisi infinitesimali per dimostrare risultati classici e risultati originali.
Un tentativo di esposizione organica e coerente di una nuova teoria è l'opera di Bonaventura Cavalieri (1598-1647) Geometria indivisibilibus continuorum nova quadam ratione promota, stampata nel 1635. Qui si trova il noto "principio di Cavalieri", fonte di numerose successive applicazioni.
La versatilità del metodo degli indivisibili, oggetto di feroci attacchi di numerosi contemporanei dal punto di vista del rigore, fu sostenuta ed utilizzata da Evangelista Torricelli (1608-1647). A confronto con le tecniche classiche egli usa la tecnica di Cavalieri anche per lo studio di nuove curve, come la cicloide, e con modificazioni come gli indivisibili "curvi" egli calcola ad esempio il volume dell'iperboloide di rotazione (Sulla misura della parabola e del solido iperbolico con Appendice sulla misura della cicloide).
Argomenti analoghi erano negli stessi anni fronteggiati in Francia da Pierre de Fermat, che trova ad esempio la quadratura delle parabole di ordine superiore, e Gilles Personne de Roberval, che scrive un trattato intitolato De indivisibilibus.
Un uso piuttosto spregiudicato di quantità infinitesime è fatto nella Arithmetica infinitorum dall'inglese John Wallis (1616-1703) che conobbe la geometria degli indivisibili attraverso Torricelli.
Teoria delle grandezze e metodo di esaustione
La possibilità di misurare le grandezze, cioè di unire a ognuna di esse un numero che ne esprima il rapporto con una grandezza campione (l'unità di misura) è una delle prime motivazioni per lo sviluppo della matematica, di cui si trovano segni in tutta la produzione preellenica. L'impossibilità della scelta di un'unità di misura universale rispetto alla quale tutte le grandezze omogenee siano esprimibili mediante numeri interi e dunque la necessità di sottomultipli, porta all'introduzione immediata delle frazioni nel sistema numerico, anche se le operazioni con queste non sempre sono completamente comprese ed esplorate. La matematica greca perfeziona questo sistema numerico, ma la invenzione di grandezze incommensurabili, come il lato di un quadrato e la sua diagonale, fa crollare la costruzione sviluppata dai pitagorici che poneva la scienza del numero alla base di tutto.
Se i numeri sono inadeguati a rappresentare le cose e in particolare i loro rapporti si confina allora in posizione marginale la teoria dei numeri e si va sviluppando una teoria che permetta di operare direttamente sui rapporti. Questa trova una compiuta sistemazione nella teoria delle proporzioni delle grandezze messa in mostra da Euclide. Da questo punto in poi tutti i risultati sulle grandezze, sostanzialmente fino al Seicento, verranno allora espressi sempre in termini di rapporto o proporzione.
Una classe di grandezze (che si diranno omogenee) è ben delimitata se si sa come operare il confronto tra due grandezze della classe (cioè come stabilire quale è maggiore e quale minore) e come eseguirne la
somma. Nel caso delle aree delle figure piane o del volume dei solidi la somma è essenzialmente l'unione e il confronto viene eseguito combinando un criterio di inclusione con uno di uguaglianza per equiscomposizione. Per provare che una figura A è uguale a una figura B nel caso in cui non siano equiscomponibili si dovrà verificare che non può essere né AB. Per fare ciò si procede per assurdo; supponendo ad esempio che A

Esempio