Articolo sul terrorismo

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Data:12.10.2001
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Testo

Diciassettesimo dei 53 figli di Muhammad bin Laden, a 22 anni si unì alla resistenza afgana per combattere l'invasione russa, istruendo migliaia di mujahiddin, paradossalmente, con il supporto anche della CIA. Attualmente comanda un'organizzazione terroristica chiamata Al-Qaeda, in italiano "La Base" e dovrebbe essere "ospitato" dai Talebani.
Gli attentati del '98 alle ambasciate americane in Kenya e Tanzania e l'attentato alla base navale nel Golfo Arabo dello scorso anno sono state progettati e soprattutto finanziati da lui.
E' considerato uno degli uomini più pericolosi del globo perché, oltre ad essere ricco, super-armato e circondato da soldati fedeli, sembra esser riuscito ad organizzare una rete terroristica a livello internazionale.

Prima opinione
Ognuno di noi ricorderà per sempre il luogo in cui si trovava nell'attimo in cui i due aerei Boeing si sono schiantati contro le Torri gemelle. In momenti come quelli il mondo in cui vorremmo credere si paralizza e negli spiragli che si creano intravediamo il baratro oltre il quale c'è il caos, l'odio, il fanatismo e la crudeltà. In qualità di israeliano, nato in mezzo alla guerra e vissuto in un'atmosfera di violenza e di sospetto, la flemma e l'indifferenza ostentata negli aeroporti americani mi ha sempre lasciato sconcertato.

Qualche anno fa, durante un volo da Boston a New York, scoprii con mio grande imbarazzo di essere salito a bordo dell'aereo con un biglietto sbagliato. In altre parole avevo inavvertitamente oltrepassato tutti i punti di controllo senza che nessuno notasse l'errore. Nondimeno ho anche sempre invidiato agli americani quella loro calma, quella fiducia in se stessi e nel loro potere di scoraggiare possibili atti di violenza. Il cuore voleva credere con tutte le forze che una tale illusione potesse durare in eterno. Quella condotta implicava una sorta di vittoria sull'atteggiamento di continuo sospetto che ogni israeliano, abituato a vivere sotto la minaccia costante del terrorismo, palesa, e racchiudeva anche la promessa che forse, un giorno, anche noi avremmo raggiunto quel senso di sicurezza e di fiducia. Ora, purtroppo, americani ed europei conosceranno il dolore di chi è costretto ad abituarsi a vivere all'ombra del terrorismo, il prezzo della paura costante, l'inevitabile inaridimento dell'anima di chi vive a contatto con la tragedia. E il mondo diventerà un luogo su cui aleggia la tragedia, avvelenato dalla paura e dal sospetto. Ora, molto più che in passato, le minoranze etniche che vivono in occidente conosceranno l'offesa di chi viene continuamente guardato con diffidenza.

Perché è questo il terribile tributo che il terrorismo pretende: esso non colpisce solo la vita ma anche il gusto per la vita, le relazioni tra gli esseri umani, tutto ciò che fa di una società civile una comunità in cui è piacevole vivere, "umana" nel senso pieno del termine. Riuscirà l'Occidente a trovare un equilibrio giusto e fragile tra i propri valori liberali, democratici e pluralisti e l'esigenza di difendersi con fermezza da chi lo minaccia? E come verranno garantiti d'ora in poi i diritti dei cittadini, quasi sacri in tutto l'Occidente, di fronte alla necessità di maggiori controlli, di informazioni, di considerare chiunque un possibile sospetto? Un'ombra pesante grava ora sugli Stati Uniti, sull'Europa e su tutto il mondo illuminato, in Oriente e in Occidente. Probabilmente non siamo ancora in grado di afferrare la portata del cambiamento che avverrà nella nostra vita quotidiana. E per quanto riguarda il Medio Oriente oggi più che mai è indubbio che Israele ha il diritto di difendersi dal terrorismo. Tuttavia questa lotta non basta: lo stato ebraico ha il dovere di infondere nei palestinesi la speranza di un futuro migliore che impedisca a qualcuno di loro di scegliere la strada della lotta armata.

Oggigiorno è anche evidente il motivo per cui la dirigenza palestinese, e in primo luogo Arafat, è tenuta a interrompere qualsiasi contatto con le organizzazioni terroristiche. Inoltre, malgrado le scene agghiaccianti di palestinesi esultanti dopo la tragedia, non ho dubbi che i moderati fra loro (così come molti egiziani, giordani e libanesi) siano rimasti inorriditi da quanto è successo, e siano ben consapevoli che se il terrorismo fondamentalista si rafforzerà loro stessi diventeranno un obiettivo. Pertanto, un attimo prima che tutto crolli e che il caos ci risucchi nel suo vortice, israeliani e palestinesi devono aprire gli occhi. Quello di cui siamo stati testimoni l'altro ieri negli Stati Uniti è anche una cupa premonizione di ciò che ci attende se non riprenderemo il negoziato.
(traduzione di Alessandra Shomroni)

Seconda opinione

E tutti ci ricorderemo dove eravamo in quel momento. Seduti in macchina a cercar parcheggio, con la testa tra i surgelati a cercar la paella, davanti al computer a cercare la frase giusta. Poi uno squillo di telefonino, e l'amico, il parente, il collega che ti staccano una storia inverosimile di aerei e grattacieli, ma va' via, dai, lasciami perdere che oggi è già una giornata difficile, ma lui non ride e dice: ti giuro che è vero. Ricorderemo l'istante passato a cercare in quella voce una qualunque sfumatura di ironia, senza trovarla. Ti giuro che è vero. E non dimenticheremo la prima persona a cui abbiamo telefonato, subito dopo, e nemmeno quel pensiero - immediato, sciocco ma incredibilmente reale - "Dov'è mio figlio?", i miei figli, la mamma, la fidanzata, domanda inutile, perfino comica, lo capisci subito dopo, ma intanto è scattata - la Storia siamo noi, è solo un verso di una canzone di De Gregori, ma adesso ho capito cosa voleva dire - risvegliarsi con la Storia addosso. Che vertigine.

Neanche sappiamo esattamente cosa è successo. Ma certo la sensazione è precisa: molte cose non saranno mai più come prima. E molte cose non saranno più, tout court. Invidio l'intelligenza e la lucidità di chi è capace, qui e adesso, di capire quali e di dircelo. Aspetto fiducioso. E intanto non riesco a non ripensare alla frasetta che tutti pronunciano, ossessivamente, senza paura di essere banali: è come un film. E' ovvia, eppure tutti la ripetono, e ci deve essere qualcosa lì dentro che vogliamo dire ma non riusciamo a capire, qualcosa che abbiamo in mente, e che è importante, ma che tuttavia non riusciamo a tirar fuori.

Me la rigiro nella testa, la frasetta, e arrivo a capire che c'è qualcosa, in quello che vedo alla televisione, che non quadra, e non sono i morti, la ferocia, la paura, è ancora qualcosa d'altro, qualcosa di più sottile, e mentre vedo per l'ennesima volta quell'aereo che vira e centra il totem sberluccicante nella luce del mattino, capisco quello che mi sembra, davvero, incredibile, e anche se mi sembra atroce dirlo, provo a dirlo: è tutto troppo bello. C'è un'ipertrofia irragionevole di esattezza simbolica, di purezza del gesto, di spettacolarità, di immaginazione. Nei diciotto minuti che separano i due aerei, nello sgranarsi degli altri veri e falsi attentati, nella invisibilità del nemico, nell'immagine di un Presidente che se ne parte da una scuoletta della Florida per andare a rifugiarsi nel cielo, in tutto questo c'è troppa maestria drammaturgica, c'è troppo Hollywood, c'è troppa fiction. La Storia non era mai stata così. Il mondo non ha tempo di essere così. La realtà non va a capo, non concorda i verbi, non scrive belle frasi. Noi lo facciamo, quando raccontiamo il mondo. Ma il mondo, di suo, è sgrammaticato, sporco, e la punteggiatura la mette che è uno schifo. E allora perché la storia che vedo accadere in quel televisore è così perfetta? Perché è già perfetta prima che la raccontino, nello stesso istante in cui accade, senza l'aiuto di nessuno?

Allora mi sembra di capire qualcosa di quella frasetta ripetuta ossessivamente, è come un film. La ripetiamo perché lì dentro stiamo cercando di pronunciare una paura ben precisa, una paura inedita, mai avuta prima: non è il semplice stupore di vedere la finzione diventare realtà: è il terrore di vedere la realtà più seria che ci sia accadere nei modi della finzione. Ti immagini l'uomo che ha pensato tutto quello e puoi forse sopportare la ferocia di quello che ha pensato, ma non puoi sopportare l'esattezza estetica con cui l'ha pensato: come l'ha fatto è spaventoso almeno quanto quello che ha fatto. Ne siamo terrorizzati perché è come se qualcuno, improvvisamente e in modo così spettacolare, ci avesse portato via la realtà: è come se ci informasse che non ci sono più due cose, la realtà e la finzione, ma una, la realtà, che ormai può accadere soltanto nei modi dell'altra, la finzione: e non solo per scherzo, nelle trasmissioni televisive in cui veri uomini diventano falsi per far finta di essere veri, ma anche nelle curve più reali, atroci, clamorose e solenni dell'accadere. Sembrava un gioco: adesso non lo è più.

Non so. Chi sa mi spiegherà cos'è successo l'11 settembre 2001, e cosa è cambiato per sempre, ieri. Io sto giusto pensando che, tra le altre cose, è anche successo che è andato in corto circuito il raffinato meccanismo con cui la nostra civiltà da tempo scherzava col fuoco e drogava la realtà spingendola verso le performences che sarebbero solo a portata della finzione. Credevamo di poter mantenere un sufficiente dominio su quel giochetto. Ma qualcuno, da qualche parte, ha perso il controllo. A nome di tutti. Adesso è facile chiamarlo pazzo, ma è evidente che è pazzo di una pazzia assai diffusa in famiglia. L'abbiamo coltivata allegramente: adesso eccoci qui, con il televisore davanti che ci srotola quella storia smerigliata e perfetta, eccoci qui, col vago sospetto di essere lo show del sabato sera di qualcuno. Qui a guardarci intorno impauriti, giusto per verificare che tutto questo è vita, magari morte, ma non un film.

(12 settembre 2001)

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