A tu per tu con il poeta: Vittorio Alfieri

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Testo

A tu per tu con il poeta: V. ALFIERI
A cura di Mariangela Salvante
Firenze 20 Maggio 1797 ore 17.30
Dopo lunghe trattative finalmente riesco ad incontrare Vittorio Alfieri, questa intervista è quasi un’esclusiva poiché, com’è noto, il nostro preferisce studiare e meditare in solitudine. Sono nella sua casa sul Lungarno ed attendo nel suo salottino l’inquietante figura, vi confesso che la sua complessa personalità mi sconvolge.
Eccolo, entra, si apre in un saluto e si chiude sedendosi.
Tocca e me:
Buongiorno, come lei sa, sono la reporter del “Caffè”. Avrei voluto incontrarla a Parigi ma gli eventi politici hanno sconvolto i nostri programmi. Lei è conosciuto nonostante la sua riservatezza attraverso le sue tragedie. Come mai propone una divulgazione delle sue idee mediante il teatro?
Io credo fermamente che gli uomini debbano imparare a teatro ad essere liberi, forti, generosi, trasportati per la vera virtù, insofferenti d’ogni violenza, armati della patria, veri conoscitori dei propri diritti e, in tutte le passioni, ardenti, retti, magnanimi. E tale, chiaramente, non può essere mai un teatro all’ombra di un principe qualsivoglia.
Nel suo trattato “del Principe e delle Lettere” affronta il tema del mecenatismo, perché esso nuoce alle lettere ed alle arti ?
Gli scrittori non devono essere sottomessi da alcuni tranne che alla verità, e, liberi e padroni di sé, lavorano per i contemporanei e per i posteri mossi da una sete insaziabile di gloria: sono uomini di alto ingegno, padri di verità e di virtù: Essi, devono avere il coraggio di esprimersi liberamente dicendo la verità senza velo e senza adulazione. Il mecenate è un serio ostacolo al loro compito poiché egli vuole che gli si dica la verità che a lui piace. Virgilio, Orazio, Ovidio, Ariosto, Tasso, sono solo poeti di corte; Tucidide, Eschilo, Sofocle, Euripide, Cicerone, Tacito, Dante, Macchiavelli, questi uomini sono degni di ammirazione poiché vissero indipendenti e non protetti da nessuno.
Alla luce di quanto detto, per lei, chi è il poeta?
Il poeta, il letterato, è colui che è animato dall’amore per la virtù per la libertà, per la gloria: le tre sacre faville. Mediante esse il poeta deve comporre e scolpire gli animi umani. Egli, infatti, non è cantore delle bellezze e le lettere non sono ornamento della corte del principe. Il poeta è il Rivendicatore della libertà e della dignità dell’uomo, è l’Antagonista del tiranno, è l’Eroe che attiva mediante la poesia la sua straordinaria capacità d’azione. E’ quasi un Dio. Chiarisco ciò mediante un esempio : Omero ha dato vita e fama perenne ad Achille, ma nessun Achille mai sarebbe bastato con le proprie forze a dare vita e fama perenne a se stesso!
Ritiene, quindi, che la voce del poeta sia la più idonea a risvegliare negli animi dei popoli il sentimento di libertà e di indipendenza. Come mai, allora il gusto e la critica le hanno imposto l’ etichetta di tragediografo e non le hanno riconosciuto il ruolo di maestro di libertà?
Io possiedo un animo ostinatissimo ed indomito un cuore pieno di affetti di ogni genere tra i quali predominano l’amore e tutte le sue furie ed una ferocissima rabbia contro ogni tirannide. I protagonisti delle mie tragedie sono simili a me, sono delineati da eroiche virtù ma anche da passioni, incertezze, contraddizioni, avvilimenti; sono compressi dalla dura realtà dell’esistenza e impotenti a subordinare il mondo a se stessi. I temi delle mie opere sono quelli che hanno costituito il dramma della mia stessa vita: l’invidia, la gelosia, l’istinto omicida e di distruzione, l’odio e l’amore, la solitudine e l’idea ossessiva della morte.
Nelle sue tragedie compaiono sempre due protagonisti in conflitto tra di loro: un tiranno ed un ribelle. Come questi rappresentano il tumulto dei suoi affetti e dei suoi pensieri ?
Entrambi le figure tendono all’affermazione della loro individualità, entrambi sono farti, entrambi sono consci della potenza dell’altro ed entrambi sono confortati dal pensiero che solo la morte potrà liberarli da questa eterna lotta..
Ma il tiranno ed il suddito rappresentano le passioni forti e contrarie che agitano ogni eroe per cui egli vuole e “dsvuole” una stessa cosa.
Queste parole, quindi, delineano lì aspetto personale e psicologico delle sue tragedie ?
Il mio proposito primario è quello di diffondere i liberi sentimenti, è l’odio contro ohgni oppressore. I popoli hanno diritto di reggersi da soli; chi governa per il solo fatto che governa è un tiranno mentre è un ero chi ha il coraggio di ribellarsi, anche con il sangue. Dei governi non si po’ fare a meno, però essi devono essere fondati sulla ragionata concordia tra governanti e governati e sulla libertà.
Lei parla a lungo di libertà e di tirannide nel trattato “Della Tirannide”. Vuole in sintesi affrontare questi argomenti ?
Io ritengo che la tirannide sia l’illimitata facoltà di nuocere ad ogni uomo per il solo motivo che gli è lesa la libertà . L’essenza dell’uomo è infatti la libertà senza vincoli, che soffocano l’individuo nel continuo svilupparsi per innalzarsi al di sopra di tutto e di tutti. I fondamenti della tirannide sono il lusso, l’ambizione, il clero, la milizia, ma soprattutto la viltà e la vicendevole paura tra despota e sudditi. Future generazioni, diffidate del riformismo illuministico perché illude ed addormenta i popoli: al di sopra delle leggi c’è sempre un “sovrano”! Meglio la tirannide estrema perché provoca l’insurrezione che conduce da un’estrema servitù alla totale libertà. L’uomo, l’eroe, in tal modo elimina il “mostro” oppure sopprime se stesso.
Vorrei porle ancora altre domande ma vedo che alquanto inquieto, forse le sto rubando molto del suo prezioso tempo.
In verità signorina….
La ringrazio per avermi concesso il privilegio di questa intervista e spero di non averla distolta troppo dal suo lavoro. Le porgo a nome di tutto il periodico che rappresento gli auguri per la sua opera autobiografica di prossima uscita.
Arrivederci e grazie ancora.

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