Mirra, di Vittorio Alfieri

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Testo

Vittorio Alfieri
Vittorio Alfieri, scrittore italiano, nacque ad Asti nel 1749 e morì a Firenze nel 1803. Di nobile famiglia, rimasto orfano di padre a meno di un anno, visse nella nuova famiglia della madre finché non entrò, a nove anni, nell'Accademia militare di Torino, da cui uscì nel 1766 ineducato, insofferente alle convenzioni sociali e ribelle a ogni forma di autorità. Più per dare sfogo alla sua irrequietudine che per costruirsi un'autonoma formazione, viaggiò per l'Europa per circa un decennio, inappagato dal formalismo vuoto della società aristocratica e da qualsiasi forma di organizzazione sociale, ma affascinato e soggiogato dalla forza della natura colta nella vastità dei paesaggi nordici o nelle imperiose solitudini della Spagna. Risalgono a quel periodo intense letture degli illuministi francesi e di alcuni dei suoi autori preferiti come Machiavelli e Plutarco.
Nel 1775 fece rappresentare a Torino la prima tragedia, Antonio e Cleopatra, che segnò la scoperta della vocazione tragica. Dovendo darsi una strutturazione culturale e linguistica adeguata al nuovo obiettivo, si immerse nella lettura dei classici italiani e latini con una fermezza di volontà divenuta proverbiale per l'estremismo con cui seppe manifestarla. Lesse i classici italiani da Dante a Tasso e si recò in Toscana per meglio educare la sua sensibilità linguistica, perché fino ad allora si era servito del francese, la lingua dell'aristocrazia torinese e internazionale. Nel 1778, per sottrarsi alla sudditanza alla monarchia sabauda, rinunciò al titolo nobiliare, assegnò le sue proprietà alla sorella, conservandosi un vitalizio annuale, e si trasferì definitivamente in Toscana, dove si legò a Luisa Stolberg, contessa d'Albany.
Alfieri compose, dopo la prima, venti tragedie, tra cui spiccano l'Antigone (1776), il Saul (1783) e la Mirra (1784-1786). Sono opere stampate dall'autore a proprie spese e destinate alla società colta e nobile del tempo e non già ad anonimi compratori. Aristocratico e individualistico è anche il tema delle tragedie, riassumibile in uno scontro metastorico tra il tiranno (il detentore di qualsiasi forma di potere) e l'uomo libero che afferma la propria dignità e libertà con la morte. Tiranno e uomo libero convivono a volte nella stessa persona, come nel Saul, e tiranno può essere non una figura esterna ma l'incontenibile forza interiore di un sentimento, come nella Mirra. Alfieri accetta le rigide convenzioni del genere tragico e anzi le esaspera, compattando l'azione entro una fissità spaziotemporale che esprime l'assoluta concentrazione dei personaggi sulle tensioni tragiche che vivono e nelle quali emergono, prive di ogni mediazione, forze sconosciute e distruttive. Queste tragedie, spesso costruite come variazioni di rapporti familiari destinati alla catastrofe, sembrano esprimere un malessere profondo. Ma, nonostante la dimensione autobiografica e l'atemporalità degli eventi narrati, queste tragedie, le più grandi di tutta la tradizione letteraria italiana, indicavano proposte libertarie anche di tipo politico e contribuirono a educare le generazioni che fecero il Risorgimento.
La tendenza autobiografica si manifesta anche nelle Rime (1789 e, in un'edizione postuma ampliata, 1804), che tendono a uno scontroso autoritratto, nella tesa Vita di Vittorio Alfieri da Asti scritta da esso (1790 e 1804) e, molto attenuata, in una serie di trattati cosiddetti politici, che sono piuttosto espressione della sua poetica, Della tirannide (1777-1789), Del principe e delle lettere (1778-1789), La virtù sconosciuta (1789). Gli ultimi scritti sono le Satire (1786-1797) in terza rima e un violento libello antifrancese, Il Misogallo (1798).
TRAMA e SPIEGAZIONE: la tragedia Mirra, dedicata alla contessa d’Albany, rappresenta l’inconsueta passione di Mirra per il padre da cui è presa e coinvolta la giovinetta greca: una passione che, secondo il mito, è dovuta alla vendetta di Afrodite contro la madre di Mirra, che ne aveva esaltato la bellezza, dichiarandola superiore a quella della dea, e dalla quale la protagonista può liberarsi soltanto con il suicidio. Da uno spunto così semplice l’autore ha costruito poi una tragedia ampia e complessa intorno alla stessa protagonista nel cui animo nasce, si sviluppa e si svolge totalmente il dramma, con una serie di situazioni dolorose e tragiche in un’atmosfera di solitudine. Mirra, infatti, è e vive, in pratica, sola perché non può comunicare con nessuno, non può confidare a nessuno il suo tormento interiore e quindi non può essere capita, né tantomeno consolata. Così anche la sola vicinanza delle persone a lei care (la madre, la nutrice, il fidanzato), le loro richieste di spiegazione del suo strano atteggiamento e la loro volontà di aiutarla, le sembrano un’invadenza inconcepibile e offensiva, quasi la profanazione sacrilega di un mistero, di un segreto del quale solo lei, purtroppo, è e deve essere a conoscenza. Da qui i silenzi, le frasi ambigue, i doppi sensi o le allusioni delle sue poche parole: si impone di non far conoscere agli altri l’orribile verità che solo lei conosce e di cui è, insieme, vittima…anche se innocente perché non colpevole del sentimento che, invece, è costretta a subire. La colpa di Mirra, infatti, non è nel sentimento stesso, ma nella forzata rivelazione ai familiari di questo amore e nell’orrore misto a pietà che essi proveranno nel sapere la verità. Così come sola vive, così anche muore, perché il padre, la madre, la nutrice rimangono sbigottiti e sgomenti nell’apprendere il segreto: solo per ciò (la rivelazione) Mirra si considera una sacrilega, spietata, crudele; al contrario, sarebbe rimasta “innocente” se qualcuno l’avesse uccisa o le avesse dato la possibilità di darsi la morte. Mirra essenzialmente è innocente perché è colpevole solo colui che vuole peccare o compie coscientemente un’azione infamante. La sua innocenza viene anche sottolineata dal fatto che comunque Mirra non solo non asseconda e non appaga il suo “peccato”, anzi tenta di combatterlo, di rimuoverlo, di vincerlo con tutti i mezzi, finché capisce che non può liberarsene, finché anche il padre si dimostra la persona che meno la comprende, che ricorre alla sua autorità per farla parlare, per indurla a discolparsi di aver rifiutato le nozze col fidanzato (che si toglie la vita per questo), che pronuncia su di lei e sul suo imperdonabile comportamento parole di duro rimprovero e di condanna. Nonostante tutto, però, Mirra sente il bisogno di un amore e di un matrimonio felice simile a quello che una normale ragazza della sua età sognerebbe. Cerca perciò invano di assecondare la volontà dei suoi genitori che pensano solo al suo bene e la inducono a scegliere uno sposo regale, virtuoso e generoso, pensando di distoglierla dalle sue crisi di pianto, dai suoi momenti di tristezza e malinconia. La terribile passione di Mirra la porta persino ad odiare i suoi genitori: la madre per la sua forte, ma insensata, gelosia, il padre per i suoi rifiuti e per il ricaccio di un amore destinato a rimanere inappagato. Mirra instaura così con la nutrice colloqui imbarazzanti e incomprensibili. Mirra riesce poi a convincerla di sospendere la cerimonia del matrimonio col fidanzato perché attaccata da spaventose visioni e allucinazioni che la fanno cadere nell’orrore. Come precedentemente detto Mirra cerca invano di rifiutare l’appagamento del suo amore segreto. L’unica via che gli rimane aperta è quella del suicidio: uccidendosi, ella si libera da una disumana, insopportabile condizione di vita, si salva dal peccato e conserva la sua innocenza interiore; ma non può non apparire peccatrice agli occhi dei suoi, che hanno appreso la sconcertante verità. L’odio dei suoi, perciò, porta al suo suicidio vittoria e sconfitta insieme. Tutta la tragedia si concentra e si uniforma nella figura di Mirra, rappresentata nello sviluppo del suo insano amore e nei contrasti nell’animo della ragazza: ecco perciò che caratteristica dell’opera è l’interiorizzazione degli stati d’animo e delle loro conseguenze. In lei si concentrano i dissidi con se stessa, il desiderio di una vita normale e la propensione alla morte. Poiché Mirra domina il suo dramma personale nell’intera vicenda, è considerata il personaggio forte, mentre gli altri sono più deboli, uniti dall’affetto familiare, dalla bontà e dalla serenità. Ed e proprio questo ad accentuare il dramma della protagonista, quello dell’incomprensione e della solitudine, dell’impossibilità di trovare conforto nei propri cari e confidarsi con loro, del tormento personale. Proprio per questo è un personaggio molto forte. Stilisticamente si può osservare come l’autore, nonostante l’argomento scabroso e audace, risolva la situazione con compostezza, castità e pudore, che sottolineano ancora di più l’infelicità della protagonista cui unica soluzione è la morte, che comunque non la rendono del tutto innocente agli occhi dei suoi. Concludendo si può dire che Mirra si imbatte in un problema, in un dramma più grande e più forte di lei, che perciò la travolge fatalmente e la annienta.
PERSONAGGI:
 CINIRO: o Cinira, mitico re di Cipro, aedo e sacerdote di Afrodite e Pafo. Originario della Cilicia, sposò metarme, figlia di Pigmalione, da cui ebbe i figli Ossiporo e Adone. Secondo un’altra versione del mito, Adone sarebbe nato dal suo rapporto scandaloso con la figlia Mirra.
 CECRI: moglie di Ciniro e madre di Mirra.
 MIRRA: protagonista della tragedia. Per una maledizione di Afrodite si innamorò del proprio padre; da questo rapporto nacque forse il bellissimo Adone, poi amato dalla dea, mentre Mirra fu trasformata dalla medesima Afrodite nell’albero che porta il suo nome.¤
 PEREO: figlio del re dell’Epiro, fidanzato di Mirra.
 EURICLEA: nutrice di Mirra, dal nome Omerico (Euriclea è nell’Odissea la nutrice di Ulisse). ¤
 Coro, Sacerdoti, Popolo
¤= ho fatto questi collegamenti per evidenziare, in base alle lezioni che ho da poco seguito e da quello che ho studiato, l’evidente carattere neoclassicista dell’opera prendendo in esame questi due elementi. Come sappiamo benissimo il neoclassicismo è un movimento artistico – letterario che va dalla seconda metà del Settecento al primo decennio dell’Ottocento, manifestazione di un orientamento del gusto e delle predilezioni culturali verso la civiltà antica, soprattutto greca, scelta come modello da emulare. La Mirra, ideata nel 1784, stesa in prosa nel 1785 e verseggiata nel 1786, prende pienamente parte a questo movimento e ciò lo si può notare da diversi aspetti (primo fra tutti il semplice fatto che la tragedia è un’espressione tipica del mondo classico), ma da questi due in particolare che mi hanno colpito perché proprio evidenti , cioè (nel primo caso) il ricorso alla mitologia (oltre che alla presenza degli dei) e a quelle forme di letteratura greca paragonabili a leggende nelle quali si spiegano i fatti di tutti i giorni, i nomi di cose e piante (Mirra). Il secondo caso che ho evidenziato è ancora più chiaro, perché Alfieri fa riferimento a Omero padre della letteratura classica e forse anche in generale.
LUOGHI: tutta la tragedia si svolge in ambito familiare, all’interno della Reggia di Ciniro a Cipro senza che venga fornito dato alcuno per poterla descrivere.
TEMPO: per quanto riguarda il tempo di scrittura abbiamo già detto che la Mirra è una tragedia scritta tra il 1784 e il 1786 mentre, per quanto riguarda l’ambientazione, posso solo ripetermi dicendo che è ambientata nella Grecia Classica, antica, quella – appunto – delle tragedie e degli dei.
GIUDIZIO PERSONALE: premetto che questo libro cominciava a venirmi in antipatia, anche se non lo conoscevo, perché non riuscivo a trovarlo…
Devo dire, però, che nonostante quello che pensavo, o che avrei potuto pensare prima della lettura, leggerlo mi è piaciuto davvero tanto. Affermo questo per diversi motivi: primo tra tutti la trama stessa, molto intrigante e avvincente, che mi ha coinvolto fino in fondo e che inoltre mi ha fatto anche molto riflettere riguardo ad alcune problematiche che, stando a pensarci, non sono poi molto lontane nemmeno dal nostro mondo. Cito per esempio la condizione sociale di coloro che magari avrebbero un po’ più bisogno degli altri ma che, spesso e volentieri, vengono messi in disparte ancora di più solo per questa loro necessità di essere curati maggiormente perché invasi dalla solitudine e straziati dal dolore di non poter “condividersi” con nessuno…il che è veramente brutto per conto suo, figurarsi se poi uno di questi individui viene a trovarsi nella stessa condizione della protagonista della tragedia: il tormento diventa insostenibile e la solitudine e tutti i problemi (persino quelli minimi) si ingigantiscono…da qui non manca molto per arrivare a conclusioni che non sto ad indicare.
Tornando al discorso precedente, posso sostenere che ho gradito la lettura di questo libro anche perché non è poi così difficile e complicato come me lo aspettavo, e questo per me è molto importante perché se dalle prime pagine non riesco a seguire l’autore, di solito il mio giudizio è sempre negativo!
La lettura di questo libro è stata, secondo me, molto importante per cominciare a capire qualcosa della mentalità dell’autore che fra poco affronteremo a scuola e per comprendere la struttura della tragedia, fondamentale espressione della cultura greca, che per molti è stato anche il genere letterario più alto in assoluto.
Grazie a ricordi di lezioni precedenti, sono riuscito ad elaborare mentalmente dei collegamenti riguardanti le caratteristiche e le datazioni della tragedia in generale arrivando da solo al conclusioni che, se per qualcuno possono sembrare irrilevanti o scontate, per me sono importanti proprio perché ci sono arrivato per conto mio…sono questi piccoli passi che ci aiutano a crescere mentalmente pian piano, giorno per giorno e che non tutto e non tutti ci permettono di compiere, anche se ciò non accade spesso fortunatamente!
Ecco, quindi, perché posso dire di essere soddisfatto di aver intrapreso la lettura di questa tragedia che consiglierei a tutti coloro che di tragedie e di classicismo greci ne volessero sapere un po’ di più…non che ci siano tantissimi autolesionisti in giro, però non si sa mai!!!
Naturalmente scherzo e concludo dicendo che non appena avrò un attimo in più di tempo (forse in estate), mi piacerebbe leggere altre tragedie simili (tipo il Saul )perché mi interessa molto il genere…forse in questo caso un po’ autolesionista lo sarò anch’io!!!

Stefano Patrini

Esempio



  


  1. Gengis Khan

    Bellissimo veramente unico mai visto niente di simile