Materie: | Riassunto |
Categoria: | Religione |
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IL GIAINISMO
Una delle religioni storiche dell'India, accanto all'induismo e al buddhismo. Conta circa quattro milioni di fedeli concentrati prevalentemente negli stati di Gujarat, Rajasthan, Madhya Pradesh, Maharashtra e Karnataka. Circa 7000 sono i monaci (sadhu) e le monache (sadhvi), mentre i fedeli laici sono in gran parte dediti al commercio e agli affari, sicché non è del tutto infondato sostenere che buona parte della ricchezza prodotta in India passi per le mani dei fedeli di questa religione.
Dottrina e pratiche
Come il buddhismo, il giainismo costituisce una delle "dottrine della rinuncia" sorte intorno al VI secolo a.C. come alternative all'ortodossia brahmanica tradizionale: fondatore è considerato Mahavira (il "Grande eroe", vissuto secondo la tradizione fra il 599 e il 527 a.C.), anche se, più verosimilmente, egli sarebbe soltanto il riformatore della dottrina elaborata originariamente da Parshva. Mahavira e Parshva sono noti come jina (in sanscrito, "vincitore"), da cui derivano il termine jaina, utilizzato in India per indicare i seguaci di questa religione, e la forma occidentale "giainismo". Mahavira è anche il tirthamkara, il "fondatore" della comunità, il XXIV dei fondatori apparsi nella storia a partire da Rishabha, capostipite della stirpe umana, a sua volta una delle innumerevoli figure religiose che costellano ogni ciclo cosmico manifestandosi con un intervallo di circa 80.000 anni fra l'una e l'altra. Propriamente Thirthamkara, che significa "costruttore del guado", indica colui che consente di attraversare l'oceano delle esistenze e di ottenere la liberazione.
Fondamento della dottrina è l'attribuzione, a ciascuno degli esseri, di un'anima, un principio vitale detto jiva, percepito come qualcosa di assolutamente antitetico a tutto ciò che (come la materia) è ajiva, "non vitale": caratteristica di tutto quanto è jiva è una condizione di assoluta spiritualità, uno stato puro della coscienza, offuscato, tuttavia, dalla presenza di una quantità più o meno consistente di particelle materiali, frutto del karma, determinato da tutte le azioni di natura violenta o comunque nociva (himsa), che la dipendenza dalle passioni spinge a commettere contro la realtà spirituale, determinandone anche la prigionia in forme materiali sempre nuove, secondo il principio tipicamente indiano della reincarnazione. L'anima è dunque soggetta a un ciclo continuo di trasmigrazioni dall'una all'altra delle realtà materiali che costituiscono il mondo umano, quello celeste e quello degli inferi, e solo l'estinzione completa del karma consente al principio vitale di ottenere la liberazione dalla schiavitù della materia, raggiungendo un luogo di beatitudine, posto ai limiti estremi dell'universo, dove vivrà per l'eternità in quello stato di onniscienza (kevalajnana) che Mahavira e gli altri jina hanno raggiunto nel corso dell'ultima loro esistenza umana, rivelando ai fedeli la via della liberazione.
In base alla stretta connessione stabilita fra la violenza e il karma, il concetto di ahimsa, "non-violenza", costituisce il motivo ispiratore dell'etica giainista, che si esprime in forme estreme di rispetto per ogni essere vivente, come l'abitudine di utilizzare una sorta di fazzoletto per la bocca assieme a una piccola spazzola per allontanare dal proprio cammino anche il più piccolo insetto che si rischierebbe di uccidere involontariamente, accanto al vegetarianismo e alla pratica, portata a volte ai limiti della sopravvivenza, del digiuno. Particolarmente rigoroso è l'ascetismo dei monaci che, legati a un voto di castità, rinunciano a qualsiasi forma di proprietà e attività economica, ricercando la via principale per ottenere più rapidamente una liberazione dai legami con la materia e conducendo un'esistenza prevalentemente itinerante: sono i fedeli laici a provvedere alle loro necessità materiali, fornendo loro l'esigua quantità di cibo necessaria alla sopravvivenza, oltre a un ricovero (upaßraya) per la stagione delle piogge, quando ha luogo fra l'altro, per otto giorni durante il mese di settembre, una festa (Paryußana) durante la quale i monaci recitano e commentano in pubblico alcuni testi tradizionali relativi a episodi della vita di Mahavira, soggetti tipici anche nell'arte figurativa.
Le due scuole del giainismo e i laici
L'utilizzo di un modesto abito bianco è il segno esteriore che divide i monaci della scuola detta Svetambara (appunto "abito bianco") dagli asceti nudi della scuola Digambara ("abito d'aria"): questi ultimi ritengono infatti che anche il possesso di un semplice panno sia da considerarsi una forma dannosa di attaccamento materiale, per quanto, non trovando questa posizione alcun riscontro in ulteriori divergenze di carattere dottrinale fra le due scuole, si possa assumere che la separazione sia nata in realtà in epoca relativamente tarda, probabilmente come risultato di una diversa valutazione circa l'autorità da attribuirsi ai testi sacri. Andati perduti, infatti, gli scritti canonici più antichi, la scuola Svetambara affermò che l'essenza della dottrina di Mahavira è comunque fedelmente tramandata nel canone superstite, una voluminosa raccolta di testi di varia natura messi per iscritto soltanto nel V secolo d.C. nelle varietà dialettali popolari del sanscrito note con il nome di pracrito, mentre la scuola Digambara rivendicò l'autorevolezza di una collezione più ristretta di scritti, attribuiti al monaco Kundakunda, vissuto nel IV secolo d.C. Entrambe attive in epoca medievale in campo letterario, con l'elaborazione di testi di contenuto esegetico, mitologico, narrativo e cosmologico, le due scuole contribuirono a dotare il giainismo di una rigorosa base logica e filosofica, formulata in una prospettiva razionale rigidamente relativistica e antimetafisica, che costituisce un tratto distintivo del pensiero jaina non solo rispetto alla speculazione del Vedanta, ma anche a quella del buddhismo.
IL TAOISMO
L'insieme delle dottrine filosofiche e religiose che, in concorrenza con il confucianesimo, ebbero origine intorno al IV secolo a.C. in Cina.
Il taoismo risulta oggi costituito da due sistemi distinti: il "taoismo filosofico", che si ritiene nato nella Cina dell'epoca classica con la dinastia Zhou, e il "taoismo religioso", che si affermò 500 anni più tardi con la dinastia Han. Quest'ultimo si fonda sulla rivelazione del saggio Lao Zi, che un taoista di nome Zhang Daoling asserì di aver accolto nel 142 d.C. sui monti del Sichuan. Il taoismo filosofico è rimasto il fondamento immutato di un coacervo di credenze religiose ereditate dall'originario politeismo cinese e di atteggiamenti e pratiche che per l'Occidente moderno sono definibili come superstiziose, come lo sciamanesimo e la divinazione; il taoismo religioso è invece tuttora una religione praticata ed è divenuta parte integrante della cultura popolare cinese.
Origine e dottrine fondamentali
Il taoismo filosofico ebbe origine nel fermento intellettuale del periodo della dinastia Zhou, quando numerose scuole filosofiche si interrogarono sul corretto modo di vivere in un mondo lacerato dai mutamenti politici e sociali. Verosimilmente, le sue origini sono da ricercare nella cosiddetta "scuola yang", tanto disprezzata dal filosofo confuciano Mencio, il quale affermava che gli yangisti non si sarebbero neppure strappati un capello dal capo a beneficio del mondo intero. In effetti, la scuola yangista predicava la crescita e la valorizzazione dell'interiorità dell'individuo, ispirandosi a una tradizione cinese di mistica e contemplazione simile allo yoga, che era stata diffusa nel tardo IV secolo dal filosofo Zhuang Zi.
Le dottrine taoiste fondamentali, sia filosofiche sia mistiche, sono contenute nel Tao-te ching (Libro della via e della virtù), che risale al III secolo e viene attribuito a Lao Zi, e nel Zhuangzi, un testo composto di parabole e allegorie, anch'esso risalente al III secolo, ma ricondotto a Zhuang Zi. Mentre il confucianesimo esortava l'individuo a conformarsi alle norme tradizionali della "Via degli antichi re", il taoismo asseriva che l'individuo dovrebbe ignorare le imposizioni della società e cercare unicamente di conformarsi al disegno della natura, il Tao (la "via", il "cammino", il "principio"), che non è definibile a parole né concepibile con il pensiero. Per essere in armonia con il Tao è necessario "non agire" (wu-wei), non fare cioè nulla di artificioso o innaturale: abbandonandosi liberamente agli impulsi della propria natura e affrancandosi da qualsiasi dottrina si giunge all'unità con il Tao e si acquista un potere mistico (De), che consente di trascendere qualunque contraddizione tra gli aspetti del mondo, persino quella tra la vita e la morte. In seguito, i taoisti interpretarono il Tao come una sorta di potere magico, sebbene sia Lao Zi sia Zhuang Zi si siano serviti del termine solo per designare, in generale, le capacità dell'individuo perfettamente libero. Zhuang Zi, in particolare, si oppose ai confuciani e alla scuola di Mo Zi, i quali sostenevano che la ragione umana avrebbe potuto rivelare il Tao; Zhuang Zi riteneva invece che le distinzioni del pensiero concettuale rappresentassero la distanza dell'uomo dal Tao.
Quanto alle dottrine sociali e politiche, i taoisti invocarono un ritorno alla vita agreste delle origini. Nel Tao-te ching il "non agire" fa riferimento tanto al sovrano quanto al privato cittadino. Diffidando degli artifici concettuali, al pari di Zhuang Zi, Lao Zi raccomandò al sovrano di riempire il ventre dei sudditi, ma di vuotare le loro menti, in modo tale che essi non potessero desiderare alcunché; per Lao Zi lo stato ideale doveva incarnarsi nella dittatura di un filosofo-sovrano alla guida di un popolo obbediente e passivo. Tale visione è ravvisabile, benché sussistano alcune differenze, nella teoria dello stato totalitario sviluppata dalla scuola filosofico-politica dei legisti fiorita al tempo degli stati combattenti, il cui massimo esponente fu Han Fei.
Storia
Il taoismo sopravvisse agli attacchi di concezioni filosofiche concorrenti sotto la dinastia Qin, che aveva unificato la Cina, e il pensiero di Lao Zi venne rielaborato dai cortigiani della dinastia Han, che vi innestarono le leggende dell'Imperatore Giallo, Shi Huangdi, e la cosmologia yin-yang del Tai Ji, al fine di arricchire la filosofia di governo dell'impero. Si verificò inoltre una fusione di taluni aspetti del taoismo con la religione cinese: i seguaci di questi culti, come i Turbanti Gialli di Shandong, contribuirono a rovesciare la dinastia (220 d.C.). Dopo di allora il popolo fu più incline ad abbracciare il taoismo religioso, mentre il ceto dei mandarini, più colto, adottò il taoismo filosofico associandolo a speculazioni cosmologiche e scientifiche.
Il taoismo influenzò profondamente l'arte cinese e la letteratura cinese, in particolare la poesia di Tao Yuanming e di Li Po; la pittura paesaggista si ispirò in larga misura all'evocazione delle forze della natura e al culto di un idillico ritiro dal mondo. La ricerca dell'immortalità, sulla scorta dei riferimenti metaforici alla perfettibilità e all'immortale xian che costellavano l'opera di Zhuang Zi, portò alla nascita di una chimica rudimentale. Gli esperimenti di alchimia cedettero il posto, tra il III e il VI secolo, a una serie di pratiche igienico-sanitarie, tuttora seguite, che, sottolineando l'importanza della respirazione regolare e della concentrazione per prevenire le malattie, miravano a favorire la longevità.
Il taoismo e il buddhismo cinese si influenzarono reciprocamente dopo la diffusione del buddhismo nel IV secolo. Anche il taoismo si diede un'organizzazione monastica: alcuni discepoli taoisti sostennero persino che il leggendario Lao Zi avesse effettivamente lasciato la Cina e fosse divenuto il Buddha, ma la dinastia mongola Yuan con l'imperatore Kublai Khan condannò questo mito nel 1281. Il taoismo fu responsabile della più massiccia persecuzione del buddhismo mai avvenuta in Cina (842-845), a opera di un imperatore taoista della tarda dinastia Tang; infine, le dottrine taoiste si fusero con le idee buddhiste, determinando la nascita del buddhismo Zen.
Gli studiosi moderni hanno rivelato la profondità filosofica del taoismo più antico. Martin Heidegger tentò di tradurre il Tao-te ching, e reminiscenze taoiste ricorrono nella sua filosofia e in quella dei pensatori da lui ispirati. Inoltre, il taoismo filosofico ha destato grande interesse in molti orientamenti del pensiero contemporaneo, in particolare nella filosofia del linguaggio e nelle correnti antirazionaliste.1
o l'impossibilità per l'anima di liberarsi da un corpo femminile, mentre ulteriori divisioni sorsero in relazione al culto tributato nei templi alle immagini dei jina, una pratica accettata dalla maggioranza dei maestri (murtipujaka, "adoratori di immagini di mortali"), ma respinta da alcuni esponenti della scuola Svetambara noti come sthanakavasi, "coloro che fanno pulizia (delle immagini) nei templi". Il culto delle immagini ha comunque acquisito un valore fondamentale per i fedeli laici con i riti (puja), consistenti in offerte di fiori, incenso e cibo, celebrati nei templi davanti ai ritratti dei maestri che, avendo ottenuto la liberazione, devono costantemente ispirare l'operato di chi aspira a questa stessa meta; ai jina vengono spesso associate divinità protettrici. In una prospettiva per molti aspetti simile a quella del tantrismo, la costruzione dei templi è una delle attività ritenute particolarmente meritorie per il laicato giainista, e ciò spiega l'abbondante diffusione di questi luoghi di culto in tutto il subcontinente indiano e l'imponenza di siti sacri, mete privilegiate di pellegrinaggi assieme alla statua di Bahubali, il più noto fra i monumenti giainisti, scolpito nella roccia a Shravana Belgola nello stato del Karnataka, dove ogni dodici anni si tiene una cerimonia particolarmente solenne. Annessi a molti templi si trovano anche alcune biblioteche che conservano manoscritti antichi.
Nell'ambito delle complesse vicende che hanno portato alla nascita, in età moderna, di ulteriori correnti ascetiche e devozionali, ci limiteremo a segnalare la figura del maestro Tulsi, fondatore nel 1949 del movimento Anuvrata, che autorizza alcuni monaci a utilizzare mezzi di trasporto e a recarsi all'estero per diffondere il giainismo, supportando l'opera degli immigrati jaina in diversi paesi del mondo. Il primo tempio giainista d'Europa fu consacrato a Leicester, in Inghilterra, nel 1988.
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