I Giardini

Materie:Altro
Categoria:Arte

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Testo

Introduzione
Intendo fare una relazione sulla storia del giardino occidentale, sulla sua funzione e sulla sua forma ornamentale; inizierò con un excursus che tratta del giardino dell’antichità, che non ho approfondito perché ho deciso di discutere e descrivere esempi di giardini pur rielaborati, ma esistenti, e del Medioevo, periodo in cui il giardino ha un significato religioso e produttivo molto diverso che nel 1400-1500 quando nasce il cosiddetto giardino rinascimentale o all’italiana che tratterò in maniera più specifica considerando esempi di edifici a Firenze e Roma, allora le due città più importanti del mondo; in particolare tra i giardini antichi ho scelto, comunque, di descrivere meglio il giardino dell’antica Roma perché preso proprio come modello in certe sue forme ornamentali e soprattutto nella sua funzione, dal giardino italiano.
Da quest’ultimo tipo di giardino nascerà e si evolverà il giardino barocco, di cui esempio è il giardino dell’Isola Bella sul Lago Maggiore, che ho preferito per la sua vicinanza al luogo dove abito, ed il giardino del 700, periodo che la Francia politicamente e, quindi anche esteticamente, domina; di questa era voglio portare un esempio situato nel nostro sud: la celeberrima reggia di Caserta interessante anche perché al suo interno contiene un posteriore giardino all’inglese.
Il modello di quest’ultimo giardino, all’inglese, si protrae fino al 1800 e sarà oggetto di apposito esame da parte mia.
Dal 1800 in poi comincia a nascere l’ideologia del parco pubblico accanto a quello dei giardini borghesi strettamente privati; è finita l’epoca dei grandi giardini che dovevano rappresentare il potere non solo di chi li ha creati, ma di una classe sociale ed infine anche di una nazione.
Ancora più nel 900, a parte i giardini botanici sviluppatesi per esempio in Costa Azzurra e comunque i giardini che seguono le caratteristiche del luogo, per esempio quello “mediterraneo”, il continuo ampliamento delle città che va riqualificata ed il tentativo di rendere città anche la periferia ha portato alla costruzione di grandi parchi pubblici; in Europa tale idea ha preso piede nel primo dopoguerra secondo il modello nato in una città vergine dal punto di vista di modelli di antichi giardini, New York, “città naturalizzata” che nel 1834 inaugura il Central Park; tali esempi, in Europa, negli anni più recenti, sono nati a Monaco di Baviera o a Barcellona.
Ad Amsterdam e poi nelle altre grandi capitali si pensa ad un Bosco che è concepito come area verde destinata alle esigenze ricreative della popolazione e comprende una rete stradale carrabile, diversi impianti sportivi ed un impianto vegetale che ripropone l'ambiente naturale, e più specificamente il paesaggio olandese, attraverso l'introduzione di prati, colline e boschi.
Per non divagare troppo, riassumendo, vorrei comunque limitare il mio lavoro ai giardini e non ai parchi; farò una digressione ampia sui giardini orientali la cui storia è antichissima descrivendone solo, in via generale e non diacrologica, gli elementi ornamentali e rappresentativi di civiltà così diverse e spesso incomprensibili, almeno superficialmente, per noi occidentali; in definitiva tratterò il giardino, almeno quello occidentale, come ciò che è: un prodotto culturale, frutto dell’ideologia dei poteri dominanti; in secondo luogo considererò, anche se non in maniera approfondita, il rapporto tra il giardino e le forme d’arte coeve, letterarie ed architettoniche ed, in particolare, pittoriche nelle loro interconnessioni ed interdiendenze.
Giardini cinesi
Il giardino tradizionale cinese, le cui origini sono antichissime e che non ha subito fasi distinte di stile come in Europa, è di tre tipi: quello del settentrione del 200 a.C-200d.C, detto imperiale, composto da palazzi, templi e giardini con selvaggina e molti specchi d’acqua, caratterizzato da grandiosità e formalismo classico; il secondo tipo si collega, invece, ai templi e ai parchi scenografici del sud nati tra il II ed il VI secolo dopo Cristo; il terzo è il giardino privato che serve a dare tranquillità ed è punto di incontro e palestra per letterati, artisti e poeti.
I giardini orientali hanno precisi valori simbolici; ogni elemento, nella sua posizione e nella sua forma e nel suo ricongiungersi con gli altri elementi vuole rappresentare un’idea, un’associazione mentale che chi percorre il giardino deve conoscere; egli può meditare in solitudine sul significato delle composizioni dei vegetali o delle decorazioni dei pavimenti che consistono in mosaici raffiguranti animali, tale significato può essere culturale o religioso o dettato dalla tradizione, per esempio dal teatro cinese; soprattutto nel caso del giardino privato lo spettatore guarda immobile da edifici, come i padiglioni costruiti per dare una visuale.
Tutto è pervaso dall’antica religione del taoismo e dai due principi primordiali che si equilibrano nella struttura del mondo: lo yang, il principio maschile, rappresentato per esempio dalle rocce e lo yin, il principio femminile, rappresentato dall’acqua ferma; grazie alla teoria dei cinque elementi (legno, fuoco, acqua, terra, metallo) si vuole arrivare ad una corrispondenza tra microcosmo e macrocosmo, nel nostro caso tra giardino e natura che interferiscono uno con l’altro dando luogo ad una concezione del tempo ciclica ed evolutiva.
Il giardino rappresenta quindi la struttura del cosmo e non certo il dominio dell’uomo sulla natura: la pietra è lo scheletro dell’universo, la terra e l’acqua sono la linfa vitale.
L'architettura cinese è senza eccezioni rigorosamente geometrica, mentre il giardino è composto da forme libere ed organiche che permettono all'ordine naturale delle cose di permanere, mutandolo il meno possibile. Questo principio si riferisce soprattutto alle "vene del drago", le correnti d'acqua nel terreno.
Il bello di alcuni scenari non può però prescindere dalla relazione con differenti aspetti temporali e metereologici; il tempo cambia lo spazio, le montagne, che hanno dentro di sé spiriti benevoli, possono assumere molto forme a seconda del tempo così come le rocce, depositarie dello spirito delle divinità locali; si cerca in particolare l’equilibrio tra montagna e l’acqua che lavora sulla roccia.
Elementi originali del giardino cinese sono, infatti, i blocchi di pietra traforata e scolpita ai quali si dà il nome di montagne, che assumono forma di grotte, di tunnel, di rocce. Acque, alberi e fiori danno il loro apporto creando scorci e paesaggi incorniciati che seguono il trascorrere delle stagioni, il sorgere del sole o il tramonto con particolare maestria di accostamenti e giochi d’ombre e di luci.
Gallerie verdeggianti e ponti in legno percorrono il giardino con andamento sinuoso e, costeggiando gli specchi d’acqua, raccordano le varie sezioni. I muri di cinta, che rappresentano l’elemento di stabilizzazione, così come i cancelli dividono una scena dall’altra seguendo l’andamento del terreno, raramente percorrono linee rette dato che in tali linee si spostano gli spiriti maligni.
Vista l’importanza data al concetto di catene montuose, da dove sorge l’acqua, nei giardini non esistono prati, ma pavimenti e neanche si usano molte piante le quali, tra l’altro, non sono importanti per la loro specie, ma per la loro forma che serve a costituire delle composizioni; di solito non ci sono vasche d’acqua, ma colline artificiali o montagne in miniatura che si guardano dall’alto o dal basso a seconda dei casi.
Nel giardino scenografico le colline riproducono perfettamente picchi e precipizi, gole e vallate, torrenti e cateratte; gli alberi e i numerosi rampicanti riempiono l’aria di profumi agresti. Sullo sfondo dei diversi scorci paesaggistici si stagliano le strutture architettoniche, molto più importanti che in Occidente, costruite spesso in legno, con mobili pregiati e decorati da distici poetici; rilevanti sono le passeggiate costruite per ammirare la natura camminando e fermandosi in punti come chioschi, padiglioni e terrazze da cui si possono ammirare dei veri e propri quadri; gli elementi architettonici sono progettati in modo da inserirsi nell’ambiente in perfetta armonia di spirito e struttura, e questo fa sì che le forme architettoniche siano molto varie ed insolite: il padiglione o la casa, costruiti su un terrazzo, il portico, il ponticello, il battello di pietra, il passaggio a volta, la sala.
Una volta scelta l’ubicazione di un parco il progettista deve costruirlo secondo le condizioni del luogo e farne risaltare i tratti particolari. Il giardino cinese è un’opera d’arte, un manufatto con un nome ed un artista, ma ha anche vita propria posteriore alla vita di quest’ultimo come vita propria e superiore ha la natura; il piacere estetico che dà ha senso solo se si entra in comunione con le forze misteriose presenti nel giardino e nell’architettura.
Gli ornamenti devono inserirsi perfettamente nel luogo preciso dove si trovano. Nelle costruzioni aperte, l’accento è messo sulle loro forme, le loro linee. Si dispongono dei tavoli e dei sedili in pietra. È la semplicità che domina almeno all’esterno degli edifici.
I parchi scenografici si sono formati in anni e anni di lavoro e comprendono anche templi, monasteri e padiglioni degli antenati. Questo tipo di giardino utilizza l’ambiente naturale come una scenografia in cui la mano dell’uomo interviene qua e là, completando la composizione con le sue creazioni e risultando un insieme solitamente molto più rustico e naturale rispetto agli altri due tipi di giardino.
A differenza di un giardino botanico, come visto, l’attrattiva di un parco non è nella diversità delle sue piante, ma nella loro bellezza. I parchi devono costruirla attraverso le loro vedute.
Il mezzo utilizzato per dare l’illusione di allargare o di restringere lo spazio è quello di ricorrere alle viste; all’entrata del giardino il visitatore non deve avere l’impressione di trovarsi davanti ad un parco immenso con dei grandi spazi vuoti perché si sentirà intimidito e non giungerà alla fine del giro del parco; al contrario delle vedute graziose, ognuna con i propri tratti peculiari, lasceranno un ricordo duraturo e il desiderio di ritornavi; la concisione fa dimenticare la distesa e conseguentemente la passeggiata si fa senza fatica, mentre l’illusione dello spazio dissimula le restrizioni del terreno offrendo sempre qualche cosa allo sguardo.
Le regole della pittura sono valide anche per la costruzione dei giardini, in quanto in un giardino ciascuna vista compone un quadro che racchiude differenti piani. Appoggiato ad una balaustra, il passeggiatore ammira l’acqua con gioia, ma si sente inquieto tra quattro mura che nascondono delle montagne» Compreso questo si saprà che, nella creazione delle vedute, bisogna nascondere, esporre, unire o dividere delle parti di paesaggio, in modo da non dare nel "riquadro" che un frammento del panorama lasciando intendere che l’immagine continua ben al di là del quadro mentre l’illusione dello spazio dissimula le restrizioni del terreno offrendo sempre qualche cosa allo sguardo.
Naturalmente c’è anche la scelta dei fiori. Ogni giardino cinese ha uno stile particolare.
Benché sempre presenti nelle costruzioni permanenti, quali chioschi, padiglioni, come anche in rocce e bacini, i fiori offrono delle viste sempre mutevoli a seconda delle stagioni e della luce. È un aspetto caratteristico dei cinesi mettere l’accento sulla posizione dei fiori, la melodia e la musica e sulla suggestione del pennello nella pittura e nella calligrafia. Sono dettagli che richiedono un lavoro di ampio respiro ma il risultato finale è una sensazione di finezza.
A differenza di quanto avvenne nella cultura europea, dove si ebbe una fusione fra pittura e arte del giardino paesaggistico soltanto nel XVIII secolo, la costruzione del giardino cinese, fin dagli albori, fu sempre strettamente connessa alla pittura paesaggistica tradizionale ad acquarello, in una sorta di sviluppo simbiotico. In Cina i giardini erano in gran parte progettati da poeti e da pittori, tesi alla ricerca di un’atmosfera che interpretasse la loro sensibilità artistica: non è difficile, infatti, immaginare un giardino come una sorta di poema naturale che invita a contemplare ed a raggiungere l’indefinitezza dell’osservazione e, quindi, dell’esperienza in un ambiente che può essere anche ridotto.
Il concetto cardine è che la composizione di un giardino classico cinese non ha regole fisse, ma dipende dal costruttore e deve essere simile a quella di un poema. Come alcuni versi di un poema possono comportare delle suggestioni infinite e lasciare lo spettatore a sognare così in un giardino classico cinese l’insieme del palpabile e dell’impalpabile, sapientemente mescolati tra loro, diventa una sinfonia che fa del luogo un vero quadro poetico.
Giardini giapponesi e zen
Il culto dei giardini (e della natura) ha radici profonde in tutta l’Asia orientale e, in particolare, in Giappone. Lo stesso “scintoismo”, la religione originaria del Giappone, trae le proprie convinzioni e i propri dogmi dalle forze misteriose che regolano la natura. Secondo il credo scintoista tutti i componenti dell’ambiente naturale (alberi, rocce, animali, persone, fiumi, montagne) possiedono un’anima immortale e offrono spesso dimora a divinità o spiriti (più o meno benevoli).
Il giardino giapponese, forse imitatore di quello cinese nel VI secolo e sviluppato nelle case e palazzi dei nobili nell’VIII secolo, non è solo un luogo di riposo, di svago o di amene bellezze, ma un ambiente magico (e in un certo senso sacro) che consente all’uomo di entrare in contatto con le divinità e di raggiungere la purificazione e la pace interiore. Come il giardino inglese, anche quello giapponese è un giardino “naturale” (dove sono banditi gli schemi rigidamente geometrici e artificiosi del giardino all’italiana), ma i giapponesi, diversamente dagli anglosassoni, hanno una concezione del giardino più filosofica e religiosa che ornamentale.
Pur cercando di riprodurre fedelmente l’ambiente fisico del Giappone nel giardino giapponese le piante, le rocce, i sentieri e tutti gli elementi d’arredo sono spesso disposti in modo da rappresentare non la natura selvaggia, ma luoghi, oggetti, divinità e scene mitologiche di ispirazione religiosa.
In un giardino giapponese la disposizione delle piante, delle rocce, dei camminamenti e delle strutture non è mai casuale: tutto è accuratamente studiato e progettato e il fine è quello di ottenere un ambiente di “raffinata naturalezza” dove ogni elemento è simbolico: l’acqua è vita e scorre come il sole da est a ovest, le piante devono essere sempre verdi, salvo alcune fioriture, le rocce rotonde e poste come se dovessero stare solo in una posizione e sono il simbolo della pace.
Il “giardino del tè”, per esempio, è un giardino storico giapponese della seconda metà del Cinquecento. In origine era nato come luogo ameno adiacente al locale dove si svolgeva la “cerimonia del tè” (cerimonia dai forti connotati religiosi) e aveva un aspetto molto sobrio, con piante e fiori dai colori poco vistosi e privo di strutture e decori troppo appariscenti e tali da disturbare l’animo dei partecipanti alla cerimonia. Successivamente il giardino del tè subì una certa trasformazione e divenne, essenzialmente, un sentiero di pietre, che andava dal cancello d’entrata alla stanza del tè, circondato da sempreverdi, bambù, arbusti, fiori e rocce. Questo secondo tipo di giardino del tè godette di una maggiore libertà di progettazione e di decorazione rispetto al suo predecessore pur non ospitando mai piante con fiori dai colori sgargianti; vennero introdotte alcune strutture decorative che divennero, con il passare degli anni, elementi tipici e praticamente irrinunciabili di ogni giardino giapponese moderno: le pietre (naturali o levigate) per i camminamenti e servono, nella loro diversa forma, a rallentare o velocizzare il passo e le famose lanterne in pietra dalle caratteristiche forme a pagoda o a pozzo.
Le vaschette di pietra vennero introdotte nella tradizione del giardino del tè diventando così elementi irrinunciabili e caratteristici del suo arredo. Ne esistono di due tipi principali. Il primo tipo è di maggiore altezza, dimensione e semplicità e servendo esclusivamente per lavarsi le mani, viene posto per lo più in adiacenza all’edificio presso cui potrà essere utilizzato. L’altro tipo, usato prima di accedere alla cerimonia del tè, è formato, oltre che dalla vaschetta vera e propria, da un raggruppamento di rocce funzionale ad appoggiare la lanterna e il mestolo di bambù e a potersi inginocchiare.
L’uso della lanterna in pietra è giustificato dal fatto che ogni elemento, anche artificiale, deve concorrere a rispettare l’eleganza e la fedeltà alla natura. La presenza della lanterna, fino ad allora elemento della dedizione religiosa dei templi, è in primo luogo motivata da esigenze funzionali e, in seguito, quasi esclusivamente da motivi di composizione e decorazione del giardino.
Pur essendo una forma d'arte autonoma, il giardino giapponese è fortemente legato alla pittura. Di quest'ultima, in particolare di quella ad inchiostro nero, esso eredita il carattere ombroso e malinconico. Ne deriva un'impostazione del giardino che predilige gli elementi vetusti, siano essi vegetali, architettonici o ornamentali, un po' consunti dal tempo, e che induce alla contemplazione ed alla meditazione, come è proprio della filosofia Zen.
E’ giunto il momento di parlare, quindi, di un altro tipo di giardino, quello Zen, di piccole dimensioni, che riproduce le fattezze di un paesaggio in miniatura; in particolare costituisce un esempio significativo del genere del "paesaggio secco": un giardino nel quale l'acqua non è presente, ma in cui tutti gli elementi sono disposti in modo tale da dare l'impressione che essa vi scorra in mezzo.
Il giardino zen ed il giardino giapponese non possono coesistere; il secondo appare, spesso, nella sua forma maestosa con palazzi, dominato da tetti e non dalla geometria, dai laghi dei loti, dai padiglione dei tesori, atti a raggiungere la salvezza eterna, esso è simbolo del paradiso, composto da complessi di edifici simmetrici.
Il giardino zen rappresenta, invece, l'estremizzazione del giardino giapponese. In entrambi le pietre hanno un'importanza fondamentale ma rappresentano concetti e svolgono ruoli diversi.
Il verde, oltre l’acqua, è un elemento estremamente poco presente o assente nel giardino zen. In generale l’elemento vegetale, nei giardini giapponesi, pur essendo rivestito di un forte significato simbolico, non è mai prevalente rispetto agli altri elementi costitutivi del giardino, ma insieme a questi, si integra per raggiungere la pienezza e l’armonia nella composizione. Nella storia del giardino giapponese questa armonia compositiva, infatti, a volte si è ottenuta anche senza l’apporto fisico dell’elemento vegetale che, come nei giardini Zen, è stato sovente soltanto evocato nella sua essenza dalla presenza di muschi o licheni sulle rocce adagiate nella sabbia oppure del tutto tralasciato, affidando al solo elemento minerale il compito di suscitare immagini o sensazioni.
La sabbia fu introdotta nel giardino giapponese in origine esclusivamente per motivi funzionali, specialmente nelle pavimentazioni dei sentieri onde evitare di infangarsi i piedi. Nelle creazioni secche Zen l’aspetto estetico si sovrappone a quello funzionale. Infatti nella filosofia Zen il "mare" di sabbia, ideale trasposizione dell’eternità, è l’elemento principale del giardino secco che, come simbolo della vita meditativa, si contrappone a quello roccioso, simbolo della vita terrena e materiale.
Si può quindi affermare che il giardino zen è una rappresentazione stilizzata del giardino giapponese, esso è una raffigurazione apertamente artificiale della natura, con un significato altamente simbolico.
Il Giardino zen punta sull’idee di astrattismo, semplicità, tranquillità, limitatezza, condensazione; il lago, se esiste, e le rocce sono in poco spazio, il ponte è costituito da pietre piatte e non levigate, l’isola degli immortali da pietre verticali ed orizzontali in simmetria. Per questa ragione il giardino zen non è diffuso e se ne possono trovare esempi nei templi e non nelle case private. La casa tradizionale giapponese prevedeva uno spazio per un giardino giapponese, non per un giardino zen.
Nel giardino giapponese gli alberi e gli arbusti, quando ci sono, costituiscono sempre un insieme armonico dove una specie non prevale mai sull’altra anche se ad ognuna di esse sono state riservate cure particolari che ne hanno strutturato e scolpito la forma definitiva.
La mano dell’uomo modifica la forma dell’albero già quando esso è piccolo per continuare poi sempre per tutta la durata della sua vita nel giardino, attraverso precise tecniche tramandate nei secoli, essenzialmente raggruppabili in interventi di potatura e legatura. Con la potatura si asseconda artificialmente la naturale forma dei rami e della massa fogliare mantenendola inalterata con il trascorrere del tempo, mentre, precedentemente, con la legatura del tronco e delle branche principali si costruisce l’architettura portante della pianta.
Guardando l’insieme di una massa vegetale in un giardino in Giappone appare stratificata in diversi livelli orizzontali, sospesi con leggerezza gli uni sugli altri secondo una tipica ideologia per la quale le forme della natura possono e devono essere costrette dalla mano del uomo per raggiungere la perfezione della loro espressività.
Abbiamo già accennato al fatto che il giardino nipponico ha delle regole precise, delle convenzioni sempre rispettate che derivano dalla "filosofia di vita" giapponese. Per questo motivo, le regole estetiche si ritrovano sotto la stessa forma in tutte le produzioni di giardini. Ad esempio, l'impiego delle essenze prevede l'esclusione di elementi vegetali di tipo utilitario e lascia, al contrario, grande spazio alle essenze sempreverdi riservando quelle a forma caduca alle parti secondarie. Vengono preferiti gli alberi a lenta crescita o nani e, in alcuni casi, si sottopongono a particolari trattamenti gli alberi a crescita veloce; gli arbusti vengono impiegati sia a foglia caduca che sempreverdi, mentre le piante rampicanti vengono riservate alla copertura di tralicci e di chioschi e le piante tropicali, tra cui il bambù, alla costruzione di palizzate.
Grande cura nel giardino giapponese viene riservata, come detto, alla scelta delle pietre impiegate, poiché queste sono gli elementi che conferiscono l'impronta "paesaggistica". Esse vengono scelte tra quelle delle montagne o delle coste. Le prime servono per realizzare il "paesaggio" del giardino; le seconde vengono riservate ai fondali dei laghi, alle bordure dei corsi d'acqua o ai sentieri.
Molti giardini giapponesi contengono nell’elemento strutturale roccioso, solido, e persistente, il fondamento della loro composizione. In generale il giapponese, poco incline alla regolarità e alla simmetria, alla monotonia preferisce delle pietre che abbiano forme non quadrate o perfettamente sferiche e colori non brillanti, ma naturali; devono essere quindi non levigate artificialmente, ma lavorate solo dai segni del tempo, dall’erosione dell’acqua e del vento o in parte coperte di muschio che ne aumenti la patina dell’età e il valore decorativo.
L’uso della pavimentazione in pietra risale al XVI secolo ovvero alla nascita del giardino del tè ed alla necessità di permettere un comodo passaggio a quanti venivano invitati per la cerimonia, evitando di rovinare le delicate superfici a muschio del giardino e di bagnarsi i piedi. Le pavimentazioni devono essere al tempo stesso funzionali e decorative. Suggestiva è l’abitudine di bagnare, all’arrivo degli ospiti, le superfici dei percorsi in pietra sia per tenerle perfettamente pulite sia per trasmettere una patina di sottile freschezza al giardino.
Nel giardino ciascuna pietra ha sempre una funzione ben precisa: può servire a riprodurre realisticamente una tartaruga, un airone o una nave, secondo i miti cari alla tradizione, può venire impiegata per costruire paesaggi in miniatura in cui si rappresentano monti veri o immaginari, una cascata, una spiaggia, un impetuoso corso d’acqua. Raramente le pietre vengono usate in modo isolato, ma di solito compaiono in gruppi dove il singolo componente non può essere omesso o rimosso senza distruggere l’armonia dell’intera creazione.
Il complesso roccioso deve garantire una sensazione di stabilità, ottenuta conficcando saldamente e profondamente ogni pietra nel terreno, nel rispetto del suo baricentro e del lato da mostrare; bisogna mostrare armonia nei rapporti reciproci fra le pietre e con l’ambiente circostante e infine varietà, grazie alle linee naturali irripetute e combinate in prospettive mutevoli. Seguendo questi parametri compositivi si imbriglia la forza minerale guidandola lungo una direzione prescelta e si spinge ciascuna pietra ad esprimere pienamente la propria tensione e potenza.
Quasi tutti i giardini più antichi erano costituiti da un grande lago navigabile. Il "giardino-isola" era, infatti, una autentica espressione del tipico paesaggio costiero orientale.
L’isola è una delle componenti classiche del giardino giapponese. L’acqua aveva anticamente un preciso significato religioso: i laghetti della venerazione scintoista avevano parecchie isole, ognuna delle quali serviva per venerare una divinità. Anche nel "giardino-paradiso" la disposizione delle isole prevedeva che il padiglione principale contenente la divinità, il Budda Amida, venisse eretto sull’isola più grande in posizione centrale raggiungibile con ponti.
Nei secoli seguenti il lago, senza perdere la sua importanza compositiva fondamentale, rimpicciolisce progressivamente fino a raggiungere, talvolta, anche le dimensioni di uno stagno molto ridotto o, nel giardino Zen è presente solo simbolicamente; nel giardino zen, poi, l’isola è rappresentata da una singola o da piccole e poche pietre.
Questo processo di miniaturizzazione propone forme simboliche quali la tartaruga o l’airone, indicanti rispettivamente longevità e benessere. Molto spesso le isole prevalentemente rocciose hanno forma di tartaruga. Il tipico paesaggio costiero viene riprodotto nell’associazione con esemplari di pino, simbolo di costanza e forza.
Altro elemento nel giardino giapponese è la la cascata che, come ogni altra componente del giardino, deve integrarsi al paesaggio riprodotto senza dare alcuna impressione di artificiosità. Per questo vengono utilizzati schermi vegetali, composizioni di pietre che associno la cascata a reconditi luoghi di montagna, si inseriscono alberature dal fogliame colorato in autunno per favorire pregevoli effetti cromatici sull’acqua.
La pietra rimane comunque la componente costitutiva e indispensabile per la costruzione di una cascata, forse più della stessa acqua che viene invece contenuta nel volume e nella portata, anche per ovvi problemi di manutenzione.
Muri e recinzioni sono elementi architettonici di grande importanza nel giardino giapponese caratterizzato da una composizione perfettamente studiata, nella maggior parte dei casi, in spazi di limitate estensioni. Essi infatti rappresentano la necessaria cornice entro la quale il giardino racchiude i riferimenti e le principali prospettive, quasi come quinte teatrali di una accurata scenografia.
Queste delimitazioni possono essere realizzate in vario modo, frequentemente anche solo con l’uso di materiale vegetale in forma di siepi geometriche potate, ma il più delle volte, oltre al muro classico tipico dell’architettura giapponese, esse vengono realizzate usando, in svariatissimi sistemi, il bambù.
L’uso del ponte risale senz’altro ai più antichi giardini con la presenza di acqua. I ponti di quell’epoca venivano realizzati prevalentemente in legno, o legno e terra, nella tipica forma curva d’influenza cinese, spesso laccati in rosso, soprattutto utili per superare corsi d’acqua di notevole larghezza; dove ci siano più ponti nello stesso giardino questi devono essere di forma sempre diverse, mai ripetendosi e di aspetto armonioso. Nel caso in cui il corso d’acqua abbia una limitata profondità il ponte viene realizzato con grosse pietre adeguatamente giustapposte sul fondale a distanza di passo per consentire un agevole e divertente guado.
A seconda delle dimensioni dell'area disponibile il giardino viene concepito per essere osservato e goduto da un solo punto di vista o da diverse posizioni. In ogni caso esso risulta perfettamente integrato con l'architettura presente, sia per l'uso dei materiali da costruzione, che sono tutti naturali e fra cui prevale il legno, sia per la logica compositiva e progettuale di insieme. La casa, concepita come un'architettura articolata ed ariosa, instaura con lo spazio esterno del giardino una sorta di dialogo continuo: avviene quindi che i diversi ambienti prospettino sulle varie parti organizzate del giardino
In definitiva possiamo dire che il concetto di controllo della natura da parte dell’uomo è fondamentale nel giardino giapponese dove l’intervento artificiale sulla forma e sulla crescita di ogni pianta e del complesso scenografico non è visto come effetto della padronanza del giardiniere sulla natura, ma piuttosto come una sua cooperazione al raggiungimento della perfezione della forma insita in ogni elemento naturale.
Giardini dell’antichità e del Medioevo
Dei giardini di Babilonia, di favolosa memoria, non si sa quasi nulla tranne che sorgevano isolati di fronte all’ambiente circostante; al loro interno c’era una catena d’acqua che discendeva dall’alto, piante e frutti esotici; del giardino egiziano si sa che era situato in pianura, con un recinto che lo difendeva dal deserto, con una vasca e uno spazio per l’allevamento; erano presenti padiglioni architettonici, palme, alberi da frutto e coltivazioni in pergolati e filari; si voleva rappresentare un mondo regolare, ordinato, armonico nei suoi colori, specie, forme e dimensioni e disposizioni matematiche, una vera e propria oasi dove riposarsi.
Inteso come luogo di piacere contemplativo presso gli Assiri, i Babilonesi e gli Egizi, il giardino è invece nella civiltà dell'antica Grecia soprattutto la manifestazione dell'interesse verso la campagna e i luoghi naturali. Diversamente dai popoli succitati i Greci non considerarono il giardino come una vera e propria forma d'arte, tuttavia ne distinsero due tipologie che Omero ci indica nel poema epico: il giardino della fecondità ed il giardino degli dei (quello di Calipso). Possiamo certamente affermare, però, che, per il diffondersi di questo tipo di produzione, fondamentale risultò la concezione "sacrale" dei luoghi, che fu alla base della cultura greca. Come è noto i Greci attribuirono alla grande varietà dei luoghi naturali, costituiti ora da pianure fertili, ora da montagne aspre, precisi significati simbolici. Essi intesero ogni luogo come manifestazione di un ordine naturale ed, in quanto tale, come personificazione di una particolare divinità. Tale concezione determinò l'edificazione e la dislocazione degli edifici religiosi, quali i templi ed i santuari, e di altre tipologie, come quella del teatro, in luoghi prescelti dei quali i Greci rispettarono la conformazione del paesaggio adattando ad essa l'architettura. La mitologia greca ci riferisce del locus amoenus, un luogo magico in cui regna il genius loci ed in cui si ricerca l'armonia tra l'uomo e il paesaggio, insita nella natura. Tali erano i boschi siti in prossimità dei santuari, in cui crescevano piante anche fruttifere ed aromatiche, come quelli dei santuari di Delfi e di Olimpia; oltre ai fiori in essi venivano coltivate anche alcune piante destinate alla produzione agricola; erano ornati da rocce, grotte e corsi d'acqua;in ognuno si trovavano alberi, fiori ed animali tutelati direttamente dal Dio di cui erano manifestazione vivente ed "ingredienti base" delle sacre rappresentazioni.
Diversi erano invece i boschi in prossimità delle città. Nell'agorà ateniese, ad esempio sorgeva un giardino geometrico, in cui le file di alberelli riprendevano l'allineamento delle colonne del tempio vicino. I giardini furono impiantati anche in vicinanza degli edifici pubblici della città come le palestre ed i ginnasi; alberi ed aiuole fiorite vennero collocati anche in prossimità dei mercati, dell'Accademia di Platone e del Liceo di Aristotele. Queste ultime tipologie, per la loro funzione urbana, possono considerarsi i primi esempi di parchi pubblici.
Altra funzione aveva il giardino privato: le notizie che abbiamo sono relative ai giardini di Licurgo e di Epicuro e sono sufficienti ad individuarne il carattere utilitario. Il giardino privato era inteso come parte integrante della casa e comprendeva sia la vigna che gli olmi, i cipressi, i salici e l'immancabile rosa, importata in Macedonia dal re Mida.
Si deve alle conquiste di Alessandro Magno l'ammirazione dei Greci per i giardini di piacere orientali e persiani. Nell'Ellenismo, quindi, nelle ricce città di Tebe, Rodi e Pergamo, trovarono larga diffusione i parchi pubblici e privati. In questi, alle radure fiorite di essenze colorate e profumate che comprendevano rose, iris, violette si alternavano boschetti ed anche alberi da frutto e, nelle passeggiate tra le diverse specie, ci si poteva imbattere in statue, nicchie, fontane, grotte, tempietti ed, in alcuni casi, anche in qualche animale.
Mentre non ci è rimasto quasi nulla della struttura pratica del giardino greco diverso è l’originale giardino dell’epoca romana; fino al contatto con cultura orientale e greca (già nell’Odissea di Omero il giardino rappresentava il concetto di eterna primavera che abbracciava i desideri e le speranze degli uomini) era prevalso in Roma, in un popolo nato come agricoltore, il carattere agreste nel rapporto con la natura.
Fu nell’ambiente privato, infatti, ed in epoca imperiale, che i Romani poterono dare libero sfogo al nuovo gusto per l’arte, alimentato dai bottini di guerra ma ancora condannato dalla pubblica morale che difendeva ed esaltava gli antichi mos maiorum.
Dobbiamo d stinguere il giardino della domus da quella della villa.
La domus era la tipica casa signorile di città.; dall' entrata si passava all' atrium che era di forma quadrata al centro del quale c'era una vasca per la raccolta dell'acqua piovana proveniente dall'apertura apposita nel tetto. Attorno all'atrio c'erano alcune stanze adibite a vario uso, come la cucina. Accanto all'atrio era sempre presente il lararium dove si tenevano le statue dei larii (antichi dei agricoli) protettori della casa, della famiglia e di altre divinità. In fondo all'atrio solitamente si trovava una stanza nella quale si ricevevano gli ospiti, la quale era affacciata con un lato sul peristilium, nato nel II secolo a.C dall’originario hortus, cioè un giardino circondato da un colonnato sotto il qual c'erano le porte che davano alle camere da letto (cubicula), ed al triclinium ossia la sala da pranzo. In quest'ultima erano presenti dei letti sui quali si mangiava distesi attingendo il cibo che era posato nei piatti su un tavolo centrale.
Talvolta alcune domus avevano anche piccole fontane o statue al centro del giardino o fiori nei vasi e possedevano un altro peristilium adibito a piccolo orto/giardino attorno al quale si sviluppavano stanze private. Da notare è che tutte le finestre erano rivolte verso l'interno della casa. Il rapporto stretto che lega interno ed esterno nella casa romana si esprime in primo luogo proprio nel peristilio, il cortile/giardino intorno al quale ruota la vita familiare.
Altro caso è quello del giardino costruito nelle villae; esso serva a dare piacere sensuale; lì, accanto al profitto derivato dalla produzione agricola, si può godere del nuovo piacere dell’otium; in villa, dice Cicerone, si fa un tipo di vita che è esattamente l' opposto di quella cittadina; l' aria è più pulita, c'è pace e tranquillità e ci si dedica, soli o in compagnia di pochi amici, alle attività preferite: la lettura, gli studi, la meditazione, la dotta conversazione e, per un letterato, la composizione di testi o la recitazione di commedie
La referenza primaria della villa rinascimentale italiana è la villa della Roma antica ed il giardino sarà un seguitissimo exemplum ideale sia nella sua struttura che soprattutto nella sua funzione culturale. Le ville lussuose di Plinio il giovane nel cinquecento furono il riferimento primario di complessi come villa Madama e villa Barbaro (villa palladiana, ma con forte influenza degli esempi romani) e sono state ritenute, d’altra parte, all' inizio del Settecento, il modello per l'invenzione del landscape garden che in teoria si pone in contrasto proprio col giardino rinascimentale.
All'interno di questa categoria, villa, si riunisce però una produzione architettonica vasta ed eterogenea. che va dall' inizio del II secolo a.C. al IV d.C. e oltre ancora fino alla caduta di Roma.
La tipologia della villa, infine, comprende una serie di costruzioni quanto mai diversificate, seppure tutte non situate in centro città, spaziando dalla modesta azienda agricola situata in una decentrata proprietà rurale alla lussuosa residenza alle porte di Roma, fino alle maestose ville imperiali. In età tardorepubblicana compare il termine horti riferito a residenze situate nella città stessa di Roma, in aree a ridosso del centro urbano in cui giardini e spazi aperti avevano un ruolo predominante.
La villa rustica, la forma più antica di villa, è articolata in tre parti: pars fructuaria, pars rustica e pars urbana; la proprietà rurale comprendeva le terre, la dimora del padrone (sviluppatasi già dal II secolo a.C.), la cui architettura si avvicina a quella degli edifici urbani, e la fattoria. Elemento centrale della fattoria era il cortile; c’erano, poi, le stanze per gli schiavi e i fattori, la cucina, la stalla, i frantoi per l'olio e le cantine; il granaio, il fienile, il forno e la fucina erano solitamente collocati all'esterno.
Le ville più conosciute sono, però, quelle che ci vengono raccontate in età imperiale come quelle di Catullo sul lago di Garda o del generale Lucullo a sud di Roma o sul Circeo o quelle celeberrime di Plinio il Giovane.
In età imperiale le ville diventano, infatti, più monumentali e fastose, a volte grandi come centri abitati. L'abitazione è distaccata dal complesso e costituisce un edificio a parte.
Il blocco principale della villa imperiale, per esempio quella di Plinio, è fronteggiato da un' ampia galleria su cui si aprono gli ambienti principali e che a sua volta prospetta su un giardino pensile (xystus), articolato in regolari scomparti da siepi di bosso; attorno un vialetto, da questo si diparte un viale per le carrozze (gestatio) che forma una specie di pista. Tutto ciò è poi difeso da un muro.
Oltre che alla villa vera e propria troviamo intorno ad essa delle costruzioni come delle terme e sale da pranzo, biblioteche, teatri, piscina natatoria, collegate da gallerie in parte aperte su porticati e in parte interrate. La concorrenza tra natura ed arte è un motivo costante negli spazi aperti che circondano la villa come una costante è la continua compenetrazione tra edifici, cortili e giardini. Interessante nel cortiletto è il bacino marmoreo, che con i suoi lievi spruzzi alimenta i platani circostanti; elemento che sarà rievocato in alcuni giardini del Cinquecento.
L' elemento di cui Plinio era particolarmente orgoglioso è l'ippodromo. Si tratta di un vasto spazio aperto dall'allungata pianta rettangolare, probabilmente racchiuso da un muretto, con uno dei lati brevi che si "incurva a semicerchio" e l'altro "aperto nella parte mediana", situato in piano a breve distanza dai fabbricati dai quali è visibile lungo una stretta valletta. Sui fianchi corre un viale delimitato da filari di platani mentre nella parte ricurva è coronato e protetto da cipressi e arbusti con forme particolari. Tra i cipressi si aprono alcuni percorsi in cui penetra la luce e fioriscono le rose (canine, l’unica specie conosciuta). Al centro di questa architettura troviamo platani più piccoli e tutt' intorno vialetti ornati da una ricercata vegetazione. In corrispondenza dell' estremità ricurva si trova un curioso triclinio estivo costituito da un banco semicircolare di candido marmo coperto da una vite. Dirimpetto vi si trova una fontana che spruzza acqua e la riprende mediante un particolare sistema di canali. Di fronte troviamo una piccola stanza, attrezzata con sedili di marmo. L' edificio è avvolto dalla vite fino al tetto e le finestre lasciano filtrare la luce in modo tale da dare l' impressione di trovarsi in un bellissimo bosco e non in una abitazione. La villa era circondata da un terreno in parte coltivato ad orto ed in parte a giardino con fiori, piante rare, fontane, giochi d'acqua e statue; le due componenti non erano nettamente divise tanto che lo stesso nome, hortus, andava ad indicare sia la coltivazione prettamente estetica che quella alimentare e funzionale che, per lo più, erano sviluppate nei pressi della villa.
Infatti, pur apprezzando l'opulenza di un giardino perfetto, ma sterile, l'indole pratica romana prevaleva anche su questo aspetto della villa, facendo accostare alle piante ornamentali numerose colture di alberi da frutta, che tra l’altro avevano belle fioriture, e di ortaggi.
Un elemento indispensabile era, inoltre, l’acqua contenuta, oltre che in fontane e canali, anche in stupendi ninfei, in cui era coltivato quel tipo di pianta acquatica che chiamiamo proprio ninfea e che esplode in coloratissime fioriture; questi angoli erano ornati da nicchie e mosaici.
Nel giardino era essenziale che ci fossero anche animali, soprattutto uccelli ornamentali: pavoni, colombe, ibis, aironi, merli e passeri. Quelli rari erano tenuti in enormi voliere all'interno delle quali passava spesso un corso d'acqua. Nelle villae più raffinate si ponevano dei triclini all'interno delle voliere. Molto più raramente nei giardini erano presenti delle vasche di itticultura, vere e proprie piscine dove erano allevati pesci commestibili. Come per le voliere una piattaforma era spesso posta al centro della piscina per permettere di approntarci una mensa che stupisse i commensali.
E' anche grazie agli affreschi di Pompei che l'immagine dei giardini è arrivata fino a noi: le pitture rappresentano una grande varietà di alberi e specie vegetali, pergolati coperti di rampicanti, uccelli di ogni specie, vasche e fontane, e padiglioni immersi nel verde. Talvolta sono prospettive illusionistiche, che prolungano verso un immaginario spazio esterno gli ambienti delle stanze portando al loro interno gli elementi del giardino, altre volte sono vere e proprie scene di paesaggio, i cosiddetti topia, termine che darà origine, per estensione di significato, all' "arte topiaria", ossia all'arte - propria del topiarum, il giardiniere - di tagliare e potare gli alberi in modo da comporre quelle stesse scene dipinte, animate da personaggi e paesaggi fantastici.
L’ars topiaria ha una giustificazione nel fatto che le specie vegetali conosciute erano poche come quelle floreali (per lo più selvatiche) e quindi bisognava ovviare alla monotonia; anch’essa sarà un esempio fondamentale per il giardino umanista e rinascimentale.
Sia dal mondo romano e da quello persiano prende spunto l’Islam col suo giardino presente nei grandi palazzi per esempio spagnoli e che ha influenzato anche l’idea siciliana del giardino.
Il giardino nell’Islam rappresenta il Paradiso, come l’acqua la purezza ed il recinto la netta separazione dal mondo esterno (e dal deserto); il giardino dei sensi, dei profumi e dei colori è la prefigurazione di una vita ultraterrena e quindi il giardino è perfetto, intimo, geometrico, come quello romano, con piante non utilitarie, o perenni o giovani, dato che il Paradiso è l’eterna giovinezza.
Il giardino islamico ha due forme: o quadripartito con al centro una fontana o un laghetto o sempre quadripartito con al centro una vasca da cui iniziano quattro sentieri e nel cui asse vi è un piccolo canale.
Nel Medioevo occidentale, invece, il giardino è claustrale (hortus conclusus) e serve sia a dare cibo e medicine secondo il principio ora et labora, sia a rappresentare un privilegio, un mondo separato dal caos esterno, un nuovo Paradiso terrestre che ricorda i principi del cristianesimo: la fontana o l’albero al centro del giardino sono come Cristo che dà vita; i quattro sentieri o quattro bacini d’acqua del chiostro sono i primi quattro fiumi della terra. Qui trovano posto fiori e frutti densi di significato simbolico: la rosa rappresenta la Vergine ma è anche simbolo del sangue divino e, nel giardino profano, per le sue spine, delle pene di amore; il giglio è simbolo della purezza e della povertà; le violette, sangue di Dio, simbolo della modestia e dell’umiltà; la melagrana rappresenta la salda unità della chiesa; la palma simbolo della giustizia, vittoria e fama; il fico, metafora della dolcezza, della fertilità, del benessere, della salvezza ; l'olivo simbolo della misericordia, pace, e perfino il trifoglio allude alla trinità.
Nell’hortus conclusus gli spazi vengono divisi da linee dialettiche che si incrociano ortogonalmente e diagonalmente e danno vita ad aiuole che saranno coltivate anche a fiori in modo sistematico; al di fuori del giardino, ma all’interno del convento, c’è il vero e proprio orto.
Il rapporto è tra il mondo interno, il convento che deve riprodurre il paradiso e quello esterno, le foreste ed i boschi dove il monaco deve rimanere asceta e virtuoso; la dicotomia, anche interiore, è tra la vita comunitaria dei monaci e la meditazione individuale, tra la natura selvaggia, luogo di misticismo e penitenza, ma anche di epifania, e la natura addomesticata dove la vita utile e santa porta all’avvicinamento al Paradiso cristiano.
Nei documenti è prevista anche l’esistenza dell’hortus deliciarum, dai connotati meno precisi e più leggendari; esso viene cantato nei romanzi cavallereschi come ricco di colori e i profumi e con varie specie vegetali: ci sono gli alberi da frutto, piante ornamentali e il refrigerante apporto dell’acqua. Come metafora dell'"amore cortese", l’Hortus deliciarum è il simbolo del percorso che il cavaliere compie per raggiungere la felicità.
Giardino all’italiana (1400-1500) e manierismo.
Secolo intermedio tra il medioevo ed il rinascimento è il300.
Boccaccio ci parla , nella sua opera letteraria, del Giardino di erbe piccole, miniatura del giardino cortese, l’hortus deliciarum, di forma quadrata, con piante medicinali, aromatiche e fiori ai margini, con un certo numero di alberi (viti, peri, meli, cipressi, ed altre essenze) che danno ombra lasciando fluire l’aria.
Secondo lo scrittore nel 300 i ceti medi possono permettersi il Verziere, grande prato circondato da fossati e pieno di alberi da frutto; il Giardino per i signori, invece, che si amplia nella sua estensione, include un Hortus conclusus, frutti, piscine, voliere, invece della pergola è presente un palazzo costituito da alberi e ogni sorta di interventi decorativi di arte topiaria.
Il primo scritto che affronta le problematiche relative alla lavorazione di un orto-giardino personale è, però, di un altro autore fondamentale per lo sviluppo della cultura umanistica: il Petrarca. Trattasi di una dissertazione sulla manutenzione dei propri spazi verdi, in cui si analizzano aspetti meteorologi insieme alle pratiche essenziali della coltura della terra. Il Poeta fece dei tentativi, con esiti non propriamente positivi, nell’orto della basilica di S. Ambrogio a Milano, dove si propose di piantare alcuni tipi di ortaggi e piante come il lauro, in un ambiente climatico non adatto per quel genere di colture.
Arriviamo però al periodo fondamentale per la nascita dell’idea moderna di giardino.
L’Italia, e Firenze in particolare, è il luogo di origine dell’Umanesimo e del Rinascimento,dell’idea, sviluppatesi in ogni tipo d’arte, che l’uomo è al centro del mondo ed è dominatore della natura, a differenza di quello che pensa la cultura orientale, ma come ormai pensa la modernità.
Il giardino all’italiana giungerà in tutta Europa, perfino, anche se in ritardo, in Russia e a Praga col giardino di Wallenstein.
Come dice l’Alberti l’arte è superiore alla natura, ne medica e sfugge le imperfezioni: disciplinala realtà in forme ordinate e perfette creando così l’armonia; l’ordine divino si rispecchia in forme composite e grazie alla prospettiva tra ville e giardini. Il giardino italiano usa la geometrie, le aiuole ordinate e uguali tra loro, la potatura degli arbusti sempreverdi; esempio superbo sono le ville toscane che hanno poco spazio attorno a sé, ma che conglobano i boschi ed i pendii toscani alla villa grazie a questi giardini; come nell’antica Roma l’otium e lo svago generato dalle ville e dai giardini con padiglioni, loggiati e porticati si lega al negotium creato dall’agricoltura e dai frutti venduti e comprati tra la villa e le terre vicine.
L’ordine e la natura vanno contemplate dall’alto grazie a delle balaustre e talvolta a delle terrazze che mostrano la serenità e le proporzioni del paesaggio costruito e di quello naturale, dei boschi e campi vicini i quali vanno ammirati in silenzio; i viali sono assi prospettici, cosa ovvia nella terra che ha inventato la prospettiva nell’arte, che connettono le varie parti del giardino e viene data particolare attenzione agli effetti panoramici con scalinate, pergolati e giardini pensili; ciò avviene soprattutto a Roma, l’altra capitale del mondo, con le sontuose ville ricche di statue e fontane quali per esempio Villa Lante a Bagnaia, Villa Giulia, Palazzo Farnese.
L’esempio che voglio fare di giardino rinascimentale è però la villa medicea di Castello, vicino a Firenze, che è una villa semplice, come molte altre ville toscane, dalle forme e proporzioni matematiche compresa in poco spazio, con un giardino geometrico e quasi perfettamente simmetrico e che rappresenta l’aprirsi della classe dirigente mercantile, al di fuori del proprio piccolo hortus conclusus, verso il mondo della natura, dell’ignoto, delle terre lontane.
Osservando il mondo geometrico del giardino, i prati fioriti, i frutteti ordinati i nobili fiorentini trovano assicurazione del loro ottimismo per il futuro e della loro fiducia per l’uomo perché conversando possono godere della Bellezza così cara ai Medici e delle allegorie presenti nel giardino che servono a glorificare la dinastia dominate.
Il giardino di Castello, nato prima di quello più famoso di Boboli, che è più vicino al manierismo e al Barocco ed ha intenti celebrativi, è un trattato geografico, simbolico, genealogico fatto di acqua, marmo e pietra. L’ordine composto, osservato dal parterre e dalla terrazza, rappresenta la pace che Cosimo ha portato in una terra dilaniata da guerre civili; il sistema idrico e le fontane della villa ricordano in miniatura il sistema idraulico da lui commissionato in Toscana; tutto si vede dalla villa e tutto Cosimo domina: monti, acqua, grotta (di fattura più tarda) da cui idealmente nascono minerali e raffigurazioni di animali.
I Medici finanzieranno poi tra i primi nella metà del 500 spedizioni botaniche dando vita ai primi orti botanici, diversi dai giardini segreti spesso vicini alle villa e che ricordano l’hortus clausus o dal labirinto che è allegoria della difficile via alla salvezza.
L’idea delle grotte deriva dall’ideologia del manierismo, sviluppatosi tra il 500 ed il 600, le cui teorie si ritrovano in Tasso o nei dipinti di Tintoretto, in cui la fiducia per l’uomo comincia a subire degli scossoni; si cerca di entrare in contatto con delle forze più misteriose, magiche, segrete e di scoprire e domare una forza irruente, quella della natura, che fa paura e sorprende; si costruiscono fontane, si popolano boschi, si imitano effetti dell’acqua; nasce l’architetto-ingegnere.
Un esempio del giardino rinascimentale rimaneggiato e modificato in epoca manierista è quello di Boboli o la Villa d’Este di Tivoli a Roma che sono dei palazzi del potere che vogliono celebrare i proprietari; a Boboli per esempio si costruisce un anfiteatro dove vengono dati degli spettacoli, ma si costruiscono anche effetti prospettici più grandiosi come il viale fatto di viottoloni o l’isolotto artificialmente creato.
Boboli celebra la natura circostante dato che per i manieristi anche l’uomo è natura, tanto che il giardino è unito e diventa cornice della natura circostante, ma si vuole anche creare uno spettacolo visibile da tutti con grotte ed isole e statue e composizioni allegoriche.
Questo giardino potrebbe essere definito per certi aspetti anche barocco dato che allegorie letterarie e celebrative si accompagnano a forti suggestioni teatrali tipiche appunto, come vedremo, del ‘600.
Da ricordare nella stessa epoca le ville di Palladio, il grande genio italiano del 500, imitato in tutto il mondo, soprattutto anglosassone; le sue ville sono nate però in un territorio completamente diverso, il Veneto, su commissione di quella borghesia imprenditoriale che vuole e sta conquistando l’entroterra; qui i giardini, semplici,e sono ricordati dai quadri interni alla villa che raffigurano scene bucoliche o di caccia così come in Toscana i giardini erano ricordati dagli arazzi; si vedono da sfuggenti prospettive all’interno della villa, dai colonnati, dai portici, dalle logge; i giardini si dilatano in un ambiente agreste, in un incontro con superfici coltivate; il suo allievo Scamozzi introdurrà nelle ville da lui progettate un giardino più studiato con aiuola quadrata e fontana centrale accerchiata da decorazioni vegetali; gli scorci visuali sul giardino che si hanno dalle ville costruite da Scamozzi spezzano la rigida geometria spaziale delle costruzioni stesse.
Giardini nel ‘600 e ‘700
Nel 600 molto è cambiato: si ritiene che tutto sia conoscibile e mostrabile e che la natura possa diventare una nuova scoperta, un nuovo spettacolo artificiale che deve servire a stupire ed a meravigliare oltre che a sottomettere politicamente; la nazione dominante è la Francia ed il giardino barocco e settecentesco verrà detto “alla francese”, che comunque, non bisogna mai dimenticare, è una sottospecie di quello italiano; nato, nel 500, nei castelli della Loira, che hanno ancora fossati e mura, molto migliorate con Caterina dei Medici che ben conosceva i giardini fiorentini e che ordina la costruzione, per esempio, dei giardini reali delle Tulleries a Parigi avrà come esempio massimo settecentesco lo sfarzo e la maestosità di Versailles che racchiude tutta la corte francese tenuta sotto controllo sociale e politico dalla monarchia assoluta.
Abbiamo comunque esempi nazionali dell’arte barocca nei giardini nei palazzi romani, come la villa di Tivoli, impegnati a celebrare la controriforma o come il giardino di Boboli con i suoi ulteriori ammodernamenti con nuovi viali e nuove specie esotiche scoperte.
In particolare nella Villa Borghese a Roma, o nella Villa Dora Pamphilij viene rappresentata una scena teatrale perché, come si dice nel700: ”l’esistenza è un teatro, il teatro del mondo”, affermazione che ricorda il titolo di una recente mostra a Milano su questo secolo.
La natura non deve essere immobile, ma trasformarsi e trasformare materie e forma; sono presenti soprattutto in Francia complicati labirinti, parterres e artificiali costruzioni vegetali; tipiche francesi sono le broderies, effimeri ricami di sabbie colorate o composti da composizioni da vegetali disegnate sull’aiuola.
Il giardino barocco presenta aiuole che solo vicino al palazzo mantengono il rigore geometrico; la dinamica spaziale vuole giungere ad una immensa scenografia; via via che ci si allontana si incontrano i boschi e forme più morbide dato che gli spazi, a differenza che in Italia, sono pianeggianti ed enormi, dominati dai castelli. Nel giardino francese si scorge la spinta ad un ampliamento dimensionale della composizione di verde, che assume un carattere quasi paesistico.
Rimangono gli assi e le prospettive principali all’italiana, anche se vengono estese, ma i pendii sono dolci ed i terrazzamenti inesistenti, sostituiti da grandi canali d’acqua; grande importanza viene attribuita agli ampi bacini di acqua ferma; questi e i canali concorrono ad accentuare l'impressione di vastità delle superfici, sia attraverso l'effetto riflettente sia attraverso l'evaporazione naturale dell'acqua che contribuisce a dare particolari effetti di prospettiva aerea.
Il terreno in Francia è sostanzialmente in piano o con lievissime ondulazioni verso la periferia: i passaggi tra le varie terrazze sono ritmati da scalinate fontane, ninfei statue, balaustrate, già viste nelle sistemazioni del giardino rinascimentale, ma qui presenti in maggiore quantità e magnificenza.
L’asse longitudinale a raggiera del giardino domina tutta la composizione, anche i boschi vicini, legando anche i manufatti e le abitazioni e deve avere un punto culminante oltre il quale l’occhio può spaziare verso l’orizzonte; sull’asse centrale si intersecano in modo organico gli assi ortogonali che delimitano le varie terrazze e gli accessi, le rampe, le scale secondarie grazie alle raffinatezze di giardinieri e idraulici, che nel frattempo hanno costruito delle vere e proprie dinastie. Si rafforza, in questo modo, una categoria professionale nuova, che potremo definire degli “architetti paesaggisti”.
Il divertimento per i nobili diventa una concessione del re fino a giungere, in epoca rococò ad eccessi fatali, con la costruzione non solo di padiglioni, terrapieni, serre e porticati, ma anche di casino di caccia, di interi e falsi villaggi dove fare i piccoli pastorelli come nel caso di Maria Antonietta, di capanne, di vigne e di ogni tipo di sfizio come si vede nei dipinti di Watteau.
A Watteau si fa risalire, infatti, l’invenzione del genere pittorico detto delle «feste galanti». In boschi o parchi, in cui prevale, però, una descrizione naturalistica di tipo pittoresco (natura rigogliosa non imprigionata in schemi geometrici e in cui compaiono spesso frammenti di rovine del passato), si muovono uomini e donne in atteggiamenti di galante corteggiamento.
La volontà della monarchia assoluta è quella di infondere la convinzione che il suo dominio non deriva solo da volontà divina, ma serve anche al bene della collettività il cui contenuto solo il re può interpretare.
L’idea è quella antica dare al popolo, ma anche ai nobili, pane (ricchezza per i nobili) e circensi cioè divertimenti in modo che dimentichino l’oppressione politica, la carota fa dimenticare il bastone; a Parigi, a tale scopo, vengono costruiti viali e piazze amplissime come quella di Vendome ed i giardini sono progettati per essere invasi da una grande quantità di persone che partecipa a feste, balli, fuochi artificiali; le aiuole e i parterres sono pieni di fiori colorati ed allegri.
La pianta degli edifici destinati alle residenze è aperta; generalmente intorno all’edificio del palazzo o del castello viene lasciato un ampio spazio pianeggiante che serve a parate e cerimonie celebrative.
Dal punto di vista più strettamente botanico si deve sottolineare che il parco si viene a trovare all’interno di un bosco dove generalmente predominano piante di conifere; l’esigenza è dunque quella di creare un contrasto a tali piante a fogliame verde scuro con l’introduzione di piante dal portamento espanso e fogliame più chiaro, in modo da accentuare la profondità delle zone boschive.
Il giardino francese è magnifico con linee più morbide e libere, meno geometriche di quelle italiane e ricami fatti da complicati ornamenti, con molteplici visuali osservabili da passeggiate con tracciati sinuosi. Si ribalta il rapporto tra zone edificate e parti a verde; le zone del giardino e del parco prendono il sopravvento su tutto e gli edifici sono realizzati in funzione della sistemazione paesistica.
In definitiva nel giardino barocco la natura deve essere un prodigio, le luci e le ombre confondersi, i giochi d’acqua essere strepitosi, le vedute straordinarie e magnificenti; tutto deve essere esaltazione dei sensi e viatico all’immaginazione e non deve portare al semplice riposo o meditazione, svaghi che bastavano solo in un periodo meno saturo di tutto come il Rinascimento.
Giardini italiani: le Isole Borromee.
Rispetto alla Francia in cui le visuali corrono all’infinito, i grandi boschi e boschetti si raccolgono in vialetti alberati che si ritrovano o si diramano a tridente, la prospettiva non serve più a controllare il territorio, ma, come vedremo nel caso della Reggia di Caserta, a nascondere i difetti ed a esaltare gli effetti, in Italia, che attraversa un crisi politica e economica, la situazione è diversa.
In Veneto le ville nuove avranno sicuramente forma più modesta e, come nel caso delle Ville del Brenta, molto più semplici secondo l’idea più intima di villa- fattoria; esse serviranno come giardino di delizia e di svago.
Solo nel 1700 anche lo Stato di Savoia ordinerà delle commissioni all’architetto Juvarra che, tra l’altro, farà costruire il palazzetto di caccia di Stupinigi in cui c’è un’asse perpendicolare al padiglione centrale che lega l’edificio ed il giardino; nell’edificio le architetture si avvolgono sulle strutture portanti con linee curve, inclinate.
Anche in Italia comunque rimangono giardini e ville con ambizioni come la Villa Litta a Lainate, ora in restauro, la Villa Cicogna Mozzoni, vicino a Varese, con passeggiate a forma di croce o la villa Arconati Stampa a Castellazzo di Bollate che è una villa settecentesca con viali dritti ed aiuole e siepi ordinate, strade accompagnate da luci ed ombre, un teatro, statue colossali, una grande serra ed enormi vasi per agrumi; c’erano, anche se ora non sempre sono ancora visibili, applicazioni estemporanee di fiori profumati, broderies, muri di verzura (alles), travi lignee coperte da rampicanti, cabinets (spazi cintati da alte mura di verde).
Tipici giardini barocchi sono, invece, quelli delle Isole Borromee che rifiutano le idee dimesse a favore di una forte impronta classicistica.
Viene sventrata l’Isola Bella, arida e rocciosa, per costruirvi un palazzo che ridimensiona il villaggio dei pescatori vicino; viene costruito un anfiteatro; vengono trasportate tonnellate di terra per terrapieni e per le coltivazioni e grandi quantità di pietra per una scala che da una piramide artefatta porta alla famosa e vasta terrazza; ornamenti sono le grotte con lava trasportata da Napoli e miriadi di statue; le piante sono di ogni tipo, anche mediterranee, come i fiori tra cui le azalee, camelie e rododendri e le essenze esotiche importate nel 1800; sono presenti serre, balaustre e marmo dovunque.
Il giardino dell’Isola Bella, costruito dopo il palazzo, ha come asse e passeggiata obbligata quella tra il parterre e la terrazza, circondata da statue; il gioco tra spazi e terrazze, l’insieme di rampe, scale, balaustre e archi ha avuto bisogno, sicuramente, di precedenti disegni progettuali da parte del famoso architetto Fontana, autore di quest’opera d’arte.
La volontà è quella di celebrare la ricca e potente famiglia dei Borromeo ricordata dal loro stemma e dalle due torri che si vedono, simboli del potere, da ogni punto dell’isola.
L’isola vuole essere un Paradiso terrestre e l’intento dell’architettura barocca è quello di far provare stupore e meraviglia in un ambiente naturale come quello insulare che è sempre piaciuto anche agli orientali per costruire dei giardini perché rappresenta la felicità raggiunta contro le avversità tecniche e fisiche (il mare, gli scogli) ed è la patria delle divinità pagane.
Vicino all’Isola Bella e a quella dei pescatori, dove viveva il popolo, c’è l’isola Madre, sempre dei Borromeo, che è stata mantenuta come un’isola agreste con all’interno terrazze circondate da sentieri dove la natura, ancora oggi, pur governata, regna sovrana con piante esotiche ed antiche, fiori coloratissimi, natura mediterranea; ci sono anche nuove piante ornamentali e scoperte botaniche arrivate dall’Inghilterra secondo i più moderni dettami nel 1800 che hanno sostituito i vigneti e frutteti precedenti anche se un frutteto è rimasto, coltivato a terrazze.
Nell’Isola Madre il palazzo della fine del 500 è quasi defilato e con il suo piccolo giardino si apre alla superba vista del lago e della costa; non esistono statue o marmi in alcuna parte del giardino che non appare monumentale, ma rigoglioso e molto affine alla nostra sensibilità moderna.

Giardino inglese nel ‘700 e nell’800
Il giardino inglese trova ispirazione nell’ideologia neoclassica e nella riscoperta dell’otium appartenuta al pensiero di Orazio e di Virgilio
Nel 700 vi è da parte dell’aristocrazia e della ricca borghesia inglese, da un lato la volontà di celebrare il proprio potere in una società che non ha più o non ha mai avuto una corte simile a quella di Versailles e dall’altro di seguire la tendenza letteraria permeata da ideali arcadici intellettualmente elaborati.
Nell’arte si tenta di raffigurare soggetti quotidiani più dimessi, meno maestosi, borghesi, ripresi, seppure con connotati satirici, anche dai dipinti di Hogarth.
I modelli artistici provengono, ironia della sorta, dalla Francia i cui giardini sono il modello negativo per gli inglesi: i pittori Poussin e soprattutto Lorrain, con la loro attenzione verso i vari aspetti della natur, vengono presi come esempio, come ideale teorico di un tentativo pratico di valorizzare la campagna ed ogni specifico genius loci tenendo conto che, già allora, l’agricoltura moderna tendeva a diminuire gli spazi naturali.
Infatti sia in Poussin che in Lorrain, entrambi artisti del 600, vi è un’attenzione spiccata agli elementi paesaggistici, pur all’interno dei loro temi classicisti: biblici o mitologici; però in Poussin il cielo, per esempio, e l’effetto della luce del sole danno ancora un senso di stilizzazione molto marcata, senza una vera amalgama cromatica che invece in Lorrain è un risultato acquisito
Tornando al 700 inglese bisogna dire che l’ideologia e la cultura sottostante è però quella del panteismo illuminista, che mette in discussione il dominio dell'uomo sulle forme naturali che aveva caratterizzato il giardino classico. Ciò avviene a favore di una concezione di tipo etico-religioso che vede la natura, anche in altri ambiti artistici, come perfetta, aspirante alla purezza, immortale di fronte alla caducità dell’uomo (e degli elementi architettonici del giardino che hanno, quindi, importanza secondaria) e che porta ad annullare la distinzione tra giardino (inteso come risultato dell'opera dell'uomo) e paesaggio.
Nasce quindi il cosiddetto giardino georgiano, di ampie dimensioni sia nei suoi prati che arrivano fino all’abitazione che nelle distese di acqua spesso aventi la forma di laghi; si tratta di fondere il giardino con il paesaggio; tale tipo di giardino, all’inglese, soppianterà fino a oggi ogni altro tipo di modello tanto che anche in Italia, in particolare in Toscana, molti giardini sono stati trasformati in giardini paesaggistici. Secondo le linee guide degli “architetti del verde”: Kent, Brown, Repton sono stati progettati molti giardini in Inghilterra, terra nella quale l’amore per la campagna ed il possesso fondiario, considerato come status simbol, è di lunga data.
Il giardino paesaggista è, allo stesso tempo, un ambiente ricostruito - essenzialmente un vasto parco privato, verde, circondato da alti muri o ampi fossati, destinato a intrattenimenti mondani, battute di caccia, equitazione o semplice svago dei proprietari - e la continuazione del paesaggio naturale circostante fin sotto le mura domestiche; vengono respinti in nome della libertà della natura impianti geometrici, muri di cinta interne ed aiuole ben disegnate.
Gli esempi di giardini inglesi sono molti anche se io parlerò, fra breve, di un esempio di tale giardino presente In Italia; ricordo: Chiswick, con villa neoclassica e giardino in parte paesaggistico, Blenheim (giardini esterni) nel Sud dell’Inghilterra dove crebbe, poco amato, nato da una delle famiglie inglesi più importanti, Winston Churchill.
In quest’ultimo parco si trova una delle più significative "trovate" della nuova concezione: lo ah! ah!; si tratta di un fossato artificiale che segna il limite dell'area del giardino fisicamente ma non visivamente, così da costituire una barriera di delimitazione del parco senza interrompere, però, la continuità tra il parco stesso ed i boschi vicini.
Nel giardino all’inglese si vuole rappresentare l’ambiente senza interruzioni a seconda della topografia terrena tipica del luogo dove esso sorge, cercando di armonizzare i singoli elementi, spesso di grande proporzioni, al tutto: terra, macchie estese di alberi e cespugli che formano vere e proprie scene da ammirare, acqua, giardini sempre più ricchi di fiori, giardini isolati e segreti, prati che giungono fino alle abitazioni, alberi singoli di differente, ma studiata altezza, forma, specie e colore.
A tale scopo il terreno viene ricondotto in forme concave o convesse per alludere agli avvallamenti o ai profili collinari naturali e per conferire, così, ai luoghi un carattere dinamico e vario, ma il più possibile spontaneo e piacevole.
Di conseguenza la vegetazione viene disposta in base all’andamento del terreno in modo da caratterizzare le varie parti del giardino; le piante e cespugli vengono raggruppate per ottenere suggestivi accostamenti di colore ed interessanti spunti prospettici, viste informali, che si possono osservare, insieme ad antiche rovine, o da templi pagani o da altri elementi architettonici, che, per esempio, cominciano ad essere anche tardo gotici, mai predominanti, come visto, sul territorio, e che fanno da contrappunto all’ondulazione del terreno.
L’arte dell’uomo si nota, al di là dell’annunciata libertà della natura, nello stesso castello di Blenheim, grazie alla deviazione dell’acqua di un vicino fiume verso il canale interno del giardino che diventa poi anche un lago con ponti e ponticelli.
Il palazzo di Blenheim è barocco, ma nel 700 si diffonde in Inghilterra ed anche negli Stati Uniti la riproposizione dell’opera di Palladio, che a sua volta si ispira all’antica Roma: le opere palladiane sono spesso conosciute attraverso dipinti che i nobili hannoin casa che piacciono perché ricordano l’epoca classica a cui si aggiungono valori allegorici e simbolici; in questa corrente neopalladiana rientra la villa neoclassica, sopra citata, di Chiswick.
Altri esempi di landscape garden è quello di Sheffield Park e quello di Stourhead nel sud dell’Inghilterra; quest’ultimo è interessante perché la sua composizione è un prototipo dei giardini inglesi:la passeggiata tortuosa, ma mai impervia, le linee curve che soppiantano l’asse unico prospettico tipico del giardino italiano; lo scenario si svela gradualmente in scorci laterali, in una calcolata sequenza di motivi. Prima si apre una veduta parziale su un ponte ricoperto d'erba e una piccola parte di lago, il sentiero continua giungendo a una casa di campagna in stile gotico, poi il sipario sembra spalancarsi e appare la scena principale: il lago con il Pantheon eretto da un architetto fautore dell'architettura palladiana. L'ultima tappa lungo il percorso circolare è il tempio pagano di Apollo e del Sole.
La linea curva ed ondulata, i raggruppamenti di vegetali e fiori e tutti gli altri accorgimenti servono a dare l’immagine del “pittoresco” che per esempio Pope celebra in poesia.
Anche grazie a questa idea, quella del pittoresco, si arriva ad un’altra era.
Nel 1800 la nascita del romanticismo segna la fine del giardino paesaggista, tipico di un mondo agreste e classicheggiante, per lasciare spazio a stili più eclettici e più rispondenti al nuovo gusto ottocentesco. Nel giardino inglese dell’Ottocento il prato non funge più da prolungamento del paesaggio naturale fino alle mura di casa, ma diventa luogo dove coltivare piante esotiche dai bellissimi fiori multicolori, innalzare manufatti per le piante rampicanti, piantare bulbi in aiuole di forma regolare o addirittura geometrica, alloggiare fontane e balaustre in stile italiano. Il “giardino romantico” nasce da una visione nuova del giardinaggio fondata sulla volontà, tipicamente romantica, di esaltare ciò che è bello, ciò che suscita emozioni, stimola la fantasia e risveglia le passioni sopite. Il “giardino romantico” è un giardino adatto ai poeti e agli artisti e, più in generale, agli spiriti inquieti, cioè alle persone che amano sperimentare e modificare l’ambiente circostante in funzione dell’umore del momento. Il giardino romantico è anche un luogo di incontri (ma sempre più di incontri “segreti”), è un ambiente intimo e nascosto, racchiuso fra alberi e cespugli e circondato da folte siepi, a volte tagliate in forme regolari, ma più spesso lasciate crescere in modo naturale e formate da essenze diverse.
Le stesse siepi, talvolta, dividono il giardino in settori assai diversi fra loro, a seconda del tipo di piante coltivate e delle sensazioni (visive, odorose o tattili) che riescono a suscitare.
A volte il giardino romantico, invece di essere un luogo per sé e per pochi intimi, può diventare una specie di “teatro” dove mettere in scena - attraverso l’esposizione di vasi decorati, archi fioriti, altalene, statue, pergole, voliere, finti ruderi e fontane - la rappresentazione della propria vita o la storia di un grande amore o più semplicemente un esempio di giardino inglese dell’Ottocento.
Vengono proposti con successo le “ciniserie” sia negli arredi interni che nell’architettura del giardino con pagode e gazebi e vengono stampati studi di modelli che si definiscono fedele (?) riproposizione dei giardini cinesi incentrati, come visto, sull’armonia delle varie scene paesaggistiche.
Nel giardino romantico si vuole, in tal modo, però, suscitare vari sentimenti tra cui la sensazione del piacevole provocato dalla grazia delle composizioni, ma anche della paura, provocata con l’orrido, cioè caverne, alberi sradicati e cascate come si vede ancora nel Lago Maggiore, vicino a Laveno, dove una cascata è stata posta per suscitare spavento e per osservare il sublime, frutto del dissidio tra ragione e sentimento; il grande, l’immortale, di fronte a noi così piccoli, spaventa, ma dà piacere.
Bisogna dire, quindi, che, sebbene i primi giardini inglesi siano nati dalla cultura neoclassica, il romanticismo, sorto per opporsi alla cultura sopra detta, ha bene colto la passione per la natura e l’ha molto enfatizzata tanto che i grandi signori inglesi nel momento del Grand Tour cercavano, è vero, le rovine romane, riproposte e ricostruite tra l’altro nei giardini inglesi, in una sorta di pre-decadentismo, ma anche la natura “selvaggia” o incantevole raffigurata quest’ultima nei loro giardini da composizioni apposite di rocce, dal rumore di fiumi tenuti nascosti, da contrasti tra forme, colori e luci ed ombre; tutto questo è inserito tra acqua presente in fiumi e laghi, pianure, boschi e, data l’assenza di montagne in Inghilterra, colline.
Tutto è creato per l’immaginazione, il sogno melanconico, ma non drammatico; perciò si predispongono alberi a cerchio, prati lungo i sentieri, percorsi trasversali ed isolati, laghi, isolotti, collinette e fitte zone d’ombre dove forse perdersi ….
Sebbene il paesaggio inglese, con colline e pianure e molto verde, venga valorizzato, di fronte ad una sempre più invadente industrializzazione del territorio, non si può dire comunque che il giardino di quella terra, come volevano i suoi ideologi, fosse frutto di una bellezza spontanea e naturale.
L’idea di naturale e di selvatico, che si vuole dare, sia nel 700 che nell’800, è evidentemente una facciata perché gli accorgimenti tecnici ed i disegni architettonici sono curatissimi; proprio in Inghilterra, inoltre, è nata la botanica e la ricerca di nuove essenze, grazie anche all’istituzione degli enormi giardini, e non più orti, botanici e dei centri di studio connessi, i Kew Gardens a Londra; gli studiosi inglesi ed americani, anche se io ho voluto limitarmi all’esame della situazione europea, dato che qui è nato il giardino occidentale, giravano il mondo e decidevano le mode dei giardini e dei vari tipi di essenza da impiantarvi; tali mode si diffondevano, poi, in ogni regione d’Europa come si può vedere a Monza o a Caserta o in Liguria in cui hanno lavorato botanici inglesi.
Il modello culturale per questi giardini, pure in un’epoca in cui sono più importanti le arti non figurative quali la poesia, la letteratura, la musica risiede sempre nella pittura ed anche negli acquerelli inglesi i quali giungono ad un alto livello riscontrabile, agli inizi dell’800, in Constable e Turner; il primo considererà la natura come la protagonista dei suoi dipinti mentre Turner si libererà della costruzione del disegno in nome della ricchezza e della libertà del colore e della luce, anche chiaroscurale; questi due elementi, il colore e la luce, sono molto importanti anche nel giardino inglese.
L’obiettivo di Turner è quello di sottolineareil mistero della natura, ma anche il sublime e l’eccezionale oltre che l’infinito del paesaggio e dell’animo umano secondo l’ideologia romantica.
In alcune anime romantiche si cerca, quindi, l’infinito, l’interiorità anche ritrovata nella religione cristiana e non più in ideali panteisti e pagani; per quanto riguarda invece l’anelito alla natura o si vuole incontrare la natura che atterrisce come nel naturalismo tedesco dello Sturm und Drang o si vuole arrivare all’unione tra uomo e natura; questa seconda tendenza, più serena e meno drammaticamente magnifica, si ritrova negli autori romantici inglesi e nei giardini britannici raffigurati nell’opera di Constable che raffigura angoli accoglienti e piacevoli di tali giardini.
Un caso eclettico: la reggia di Caserta
Concludo con un esempio di un giardino all’italiana che si trova però vicino ad un giardino all’inglese in modo che ogni visitatore possa dirimere il contrasto sui propri gusti estetici; si tratta della Reggia di Caserta che si differenza proprio per questa sua natura eclettica da altri esempi italiani settecenteschi o comunque barocchi come il caso dell’Isola Bella, l’altro esempio citato.
Bisogna ricordare, comunque, che in epoca napoleonica, quindi in un’epoca più tarda della costruzione della reggia di Caserta, anche su desiderio di Piermarini, nasce anche il parco di Monza che deciderà anch’esso per un compromesso tra i tipi di giardini; opterà sia per il giardino ed il collocamento delle piante all’inglese, sia per i tracciati e gli assi prospettici tardobarocchi.
L’opera di Caserta è, giust’appunto tardobarocca, (metà del 1700), voluta da Carlo di Borbone che puntava a glorificare se stesso e la propria opera illuminata con fastosa artificiosità.
I lavori iniziano nel 1752 fino a protrarsi a circa il 1790 con Caserta come nuova capitale perché città più sicura di Napoli; essa segue un progetto di Vanvitelli, terminato, poi, da suo figlio Carlo, in un’epoca felice per i Borboni che vogliono riproporre con la reggia ed il giardino l’idea di “Campania felix”, di paradiso terrestre.
Il giardino principale è, come detto, all’italiana con vasti prati, aiuole squadrate e grandiosi giochi d’acqua creati dalle fontane come vuole il giardino barocco.
La natura è razionalizzata secondo un’idea classica italiana; il parterre francese non è stato realizzato come, invece, programmato.
La prospettiva è basata su un asse centrale e continua sui viali di lecci, sulle cascate, comprendendo, a lato, anche i boschi, che fanno da cornice e che illudono su ampi spazi che in realtà non ci sono
La fecondità è rappresentata dalla catena d’acqua che parte da terrazze di acqua ferma vicino alla palazzo e giunge alle innumerevoli e ricche di statue fontane alimentate da un canale molto costoso appositamente costruito, navigabile, che sfocia in un bacino dove venivano svolte le naumachie; la catena dell’acqua è inserita in un sistema perpendicolare alla villa sempre accompagnata da continue statue dal monte fino alla villa; il sistema idraulico, voluto secondo l’ideale della civiltà dell’acqua dell’antica Roma, è innovativo ed ha portato allo sventramento da parte del Vanvitelli di 30 chilometri di territorio.
Si vorrebbe costruire, iniziando dalla reggia, una nuova Caserta: una città giardino, moderna e con ampi spazi e viali prospettici come la contemporanea Parigi.
Come si vede la grandeur francese è presente anche qui in un desiderio di dare spettacolo e di rappresentare significati allegorici; infatti vicino ai monti c’è la fontana di Diana, dea della natura selvatica; avvicinandosi alla villa troviamo, in un climax ascendente di virtù, la fontana di Venere, dea del sentimento e poi la fontana di Cerere, dea della razionalità; infine si staglia, posta prima di due fontane più domestiche vicine alla Reggia, la fontana dei Venti che rappresentano la dinastia dei Borbone, fondatrice, come Enea, della nuova Roma.
Il giardino, che in quell’epoca è il più importante di Italia, e che sarà successivamente trascurato dai Savoia, che requisiranno la reggia dopo l’unità di Italia, può essere osservato, nella sua vastità, dal cortile e dalla galleria centrale della villa; da lì si può notare una simmetria assiale che continua per tre chilometri fino a degradare dolcemente sui boschi, come voleva il modello di giardino alla francese, e verso i monti, a partire dal vialone che collegava la reggia a Napoli.
La natura e la fecondità, idea di ispirazione classica, è rappresentata dall’acqua e dall’uso di piante produttive secondo l’esempio italiano di Lucca e Napoli; lo scopo dei giardini, infatti, è principalmente quello dello svago, della celebrazione e dell’ornamento, ma non viene dimenticato anche quello della utilità con la coltivazione di piante fruttifere e di giardini
Nella Reggia di Caserta esiste, però, come detto anche un giardino inglese.
Il giardino inglese fu voluto in epoca posteriore a quello dell’inizio della costruzione della Reggia, nel 1780 da Maria Carolina d’Austria, incitata dall’ambasciatore inglese Hamilton, marito della famosa Emma, amante di Nelson, che contattò i Kew gardens a Londra e fece venire un architetto di giardini dall’Inghilterra; insieme al marito Ferdinando IV però la regina se ne dimenticò presto anche per i rovesci politici occorsi loro (i moti del 1799 per i quali i sovrani dovettero temporaneamente scappare); il giardino ha molte piante e palme esotiche ed indigene favorite dal terreno fertile come la gardenia per la prima volta importata dalla Cina tramite l’Inghilterra o come il cedro del Libano; viene formato, quindi, un orto botanico che sarà famoso in tutta Europa.
Nel giardino inglese è presente anche uno chalet, un laghetto, fontane con dee greche e pastorelli, un ruscello che diventa lago, ruderi di tempi e false rovine (ma ci sono rovine anche vere, provenienti da Pompei) in un tentativo forse di emulare il gusto della sorella della regina, la famosa Maria Antonietta, che faceva la contadinella a Versailles; bisogna comunque ricordare che le false rovine sono una metafora della caducità dell’esistenza.
Il mondo, governato dalla bellezza, è rappresentato dalla vegetazione posta, come insegna il giardino inglese, su dolci pendii, in uno spazio irregolare situato sui primi terreni vicini al Monte Briano; si osservano anche una serra monumentale verso cui si dirige il maggiore sentiero, boschetti con sottopassaggi, strade e casupole e viali che seguono ed enfatizzano l’accidentata conformazione del territorio.
Si susseguono, passeggiando nel giardino, scene di pittura paesaggistica neoclassica e preromantica: ci sono tufi che sprofondano verticalmente, caverne, criptoportici, in un variare di livelli che si possono raggiungere solo con una passeggiata al buio, all’insegna del viaggio “pittoresco”; si notano grandi alberi con radici in vista da cui sembra nascere il lago, l’acqua, cioè la vita, ma anche la morte dato il veleno che potrebbero contenere.
Ed ecco qui descritta un’altra meraviglia del nostro Sud…..

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da edifici addossati ai muri di cinta, si
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