La nuova concezione della realtà tra l'800 e il '900

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Testo

INDICE
Materie: filosofia, letteratura italiana, letteratura inglese, storia dell’arte, fisica
Mappa concettuale
Introduzione
Filosofia: Bergson e la concezione del tempo
Letteratura italiana: Svevo e "La coscienza di Zeno"
Letteratura inglese: Joyce e "Dubliners"; Woolf e "Mrs Dalloway"
Storia dell'arte: Pablo Picasso e "Les demoiselles d'Avignon"
Fisica: la crisi del meccanicismo e la teoria elettromagnetica di Maxwell
Bergson: Il tempo omogeneo e la durata reale; Il corpo, la memoria e la percezione
Analisi dell'opera "Les demoiselles d'Avignon" di Pablo Picasso.
Bergson percepisce la realtà come proiezione del soggetto e della sua coscienza
l
utilizza
l’intuizione come strumento per comprendere la vita della coscienza
l
caratterizzata da
un tempo inteso come durata
Influenze di Bergson

in ambito letterario
in ambito artistico
in ambito scientifico
letteratura italiana
letteratura inglese
cubismo

attraverso il
superamento delle barriere spazio-temporali

e
introduzione della quarta dimensione

giunge ad una
visione della realtà da più punti di vista

Picasso: Les demoiselles d’Avignon
analisi dell’opera
la crisi del positivismo

in fisica diviene
crisi del meccanicismo

nel quale ad esempio non si inquadra la

teoria elettromagnetica di
Maxwell
vengono introdotte nuove tematiche legate a:
il flusso di coscienza, la malattia, la nevrosi, l’inettitudine
i
analizzate attraverso
una nuova struttura narrativa e nuovi temi
u
ne è un esempio
Svevo con:
La coscienza di Zeno
- la realtà è concepita in rapporto alla coscienza del soggetto, alla sua malattia e nevrosi
- il flusso di coscienza e il monologo interiore permetto questa nuova descrizione della realtà
stream of consciousness

e
interior monologue

sono utilizzati da
Joyce
Dubliners
- paralysis-escape
- epiphanies
Woolf
Mrs Dalloway
- moments of being
LA NUOVA CONCEZIONE DELLA REALTÀ TRA ‘800 E ‘900
Il filosofo francese Bergson fu tra i primi a mettere in crisi il paradigma positivista: egli non vede più la realtà sotto le leggi meccaniche e sotto le coordinate spazio-temporali della fisica, ma intende il reale come una proiezione del soggetto e della sua coscienza. La realtà è dunque inserita in una dimensione di vissuto poiché la coscienza e la “base del cono” sono costituiti dal ricordo di esperienze vissute: perde così il suo carattere di elemento oggettivo sottoponibile ad un’unica interpretazione ma diviene legata alla prospettiva del singolo.
Questa centralità del tema della realtà in rapporto alla coscienza, da cui essa viene a definirsi, è tradotto in ambito letterario da una radicale innovazione sia per quanto riguarda le strutture narrative (Svevo introduce il monologo, dove la narrazione procede secondo analogie e schemi caratteristici della coscienza: Joyce e la Woolf introducono lo strema of consciousness) sia dal punto di vista tematico (vengono introdotte tematiche legate all’inconscio e a una dimensione più interiore del singolo). In generale la realtà di Zeno o dei Dubliners o di Mrs Dalloway non è altro che un quid determinato dalla loro stessa coscienza, dalla loro “malattia”, nevrosi e paralisi.
In ambito artistico la crisi del positivismo si traduce in una negazione delle coordinate cartesiane spazio-temporali con l’introduzione della “quarta dimensione” e di una rappresentazione dell’oggetto che non è più quello visto ma quello conosciuto e pensato (nel cubismo si attua infatti una scomposizione dell’immagine attraverso una simultaneità di rappresentazione di vari elementi strutturali dell’oggetto e prospettive diverse dello stesso).
In ambito scientifico la crisi del modello positivista introduce nuove ipotesi scientifiche difficilmente inquadrabili nel modello meccanicista dell’Ottocento e che ne determinano una prima crisi: infatti la nuova interpretazione elettromagnetica del reale, operata da Maxwell attraverso quattro leggi fondamentali, non riesce ad inserirsi nel precedente modello meccanicista.
• Nel “Saggio sui dati immediati della coscienza” il filosofo francese Bergson mette a confronto la concezione spazializzata del tempo e della durata propria delle scienze positive con la durata reale.
Bergson individua due forme di molteplicità a cui sono riferite due forme di durata cha a loro volta fanno riferimento a due aspetti e due dimensioni di vita cosciente (“io superficiale” e “io fondamentale”).
Vi sono dunque una molteplicità intesa come molteplicità numerica determinata da una successione di elementi quantitativi e una molteplicità intesa come qualitativa. La molteplicità numerica fa riferimento al tempo e allo spazio delle scienze positive e deriva dal procedimento analitico operato dall’intelligenza; la molteplicità qualitativa fa riferimento al tempo del vissuto e deriva dal procedimento di sintesi della coscienza.
Da queste due differenti forme di molteplicità Bergson deduce due valutazioni profondamente diverse della durata: una durata, riferita alla molteplicità numerica, assume un carattere di omogeneità (durata omogenea) e di “simbolo estensivo della vera durata”. Tale tipo di durata è intesa come il ripetersi nel tempo di un “termine identico” e viene percepita da un “io di superficie” che appartiene a una dimensione in cui la “nostra vita psicologica superficiale si svolge in un mezzo omogeneo” mantenendo “qualcosa dell’esteriorità reciproca che caratterizza oggettivamente le…cause” di quelle che Bergson chiama “sensazioni” e che nella teoria del cono rovesciato saranno le immagini-mondo, mantenendo dunque l’esteriorità degli oggetti che le hanno create.
La seconda valutazione di durata riguarda una molteplicità qualitativa ed è determinata dalla compenetrazione e dalla fusione di “momenti eterogenei”. Essa è la durata pura percepita dalla coscienza e dall’intuizione e dunque dall’ ”io fondamentale” cioè da “una psicologia attenta” in cui sono totalmente superate tutte le coordinate spazio-temporali di matrice positiva.
Con la formulazione di queste due differenti forme di durata e dunque con la definizione di un io-interiore e di un io-esteriore, Bergson tenta di coniugare il momento quantitativo della successione degli eventi con quello qualitativo del tempo della durata, mostrando quale sia l’elemento di congiunzione che consenta il passaggio dalla durata reale al tempo spazializzato mediante un processo di esteriorizzazione. Questo passaggio teorico decisamente arduo ma fondamentale nella filosofia di Bergson, viene risolto con l’introduzione della teoria dell’immagine del cono rovesciato, presentata in “Materia e memoria”.
Il fluire dinamico della coscienza viene schematizzato attraverso il ricorso all’immagine di un cono rovesciato che giace su un piano. Il piano P rappresenta la percezione attuale del mondo (l’insieme delle immagini-oggetto); la base del cono AB rappresenta il carico di ricordi (il “passato”) che sono presenti in forma cosciente o incosciente nella memoria; il vertice S indica il punto in cui l’immagine-corpo si inserisce nella percezione presente delle immagini-mondo.
L’immagine-corpo seleziona le immagini-oggetto in base al loro significato pratico (alla loro utilità per l’azione) e in base al contenuto di ricordi presenti nella memoria. Questa è a sua volta costituita dall’insieme dei ricordi che si sono progressivamente depositati attraverso la selezione compiuta dell’immagine corpo. La memoria vive nella temporalità della durata, essa è “conservazione e accumulazione del passato nel presente” e conserva simultaneamente l’intera esperienza della coscienza. Tale esperienza è il risultato dell’interazione tra l’immagine-corpo e le immagini-oggetto che sono presenti nel mondo. Esiste perciò un rapporto biunivoco tra memoria e percezione; la memoria orienta la percezione in base all’affluire dei ricordi e la percezione permette alla memoria di attivare contenuti che altrimenti rimarrebbero per sempre obliati.
La realtà è dunque per Bergson una esteriorizzazione delle immagini che albergano nella menoria.
• La centralità del tema della realtà in rapporto alla coscienza, da cui essa viene a definirsi, è tradotto in ambito letterario da una radicale innovazione sia per quanto riguarda la struttura narrativa sia dal punto di vista tematico (vengono introdotte tematiche legate all’inconscio, alla follia, come in Pirandello, e a una dimensione più interiore del singolo). In generale la realtà presentata da Svevo in “La coscienza di Zeno” non è altro che un quid determinato dalla coscienza stessa del protagonista, dalla sua “malattia”, dalla sua nevrosi.
Per tale ragione la realtà del nevrotico Zeno non è attendibile nella sua descrizione; Zeno infatti non possiede nessuno strumento per poter giudicare oggettivamente il suo passato e il suo presente. Egli è tuttavia consapevole di questa sua condizione, anche quando ricaccia questa consapevolezza sotto il livello della coscienza proclamando, nelle ultime pagine del romanzo, che egli è finalmente arrivato alla “sanità”.
L’insicurezza che si crea così nell’”io” narrante produce una serie di dubbi e di interrogazioni nel lettore. Pertanto Zeno non può condurre ordinatamente la narrazione, seguendo il cosiddetto “tempo oggettivo” del romanzo ottocentesco. Il tempo della narrazione diviene quindi il tempo interiore della coscienza, un “tempo misto” poiché gli avvenimenti che in esso si svolgono, presentati secondo gli accostamenti analogici della coscienza, sono sempre alterati dal desiderio del narratore. Significativo di come Zeno percepisca la realtà in rapporto alla propria nevrosi è come la malattia abbia comesola cura posibile un’illusione.
Queste nuove tematiche permeate sulla nevrosi e sul rapporto realtà-coscienza vengono affrontate attraverso nuove strutture narrative.
La narrazione non segue più il modello ottocentesco, costruito sul resoconto di una vicenda dall’inizio alla fine, secondo un percorso rettilineo che si svolge in progressione cronologica, ma viene adottata la “struttura aperta”: la vicenda si sviluppa seguendo un percorso tematico, affrontando questioni diverse legate alla nevrosi del protagonista come la morte del padre, il motivo del fumo o il matrimonio. Eventi avvenuti in epoche diverse o contemporanei sono perciò narrati al di fuori della successione, all’interno di un “tempo misto”, proiezione sulla realtà della coscienza interiore di Zeno.
“La coscienza di Zeno” rappresenta il nuovo romanzo d’avanguardia del primo novecento in cui, per meglio esprimere il rapporto sempre più centrale realtà-coscienza dell’individuo, prevale largamente l’uso del monologo interiore: la distanza fra “io” narrante e “io” narrato diviene così sempre più sottile e ambigua. Indubbiamente non manca il giudizio del primo sul secondo, ma esso resta sempre precario, aperto e problematico.
La presenza del giudizio distingue comunque il monologo interiore di Svevo dal “flusso di coscienza” di Joyce: la scrittura di Svevo presuppone infatti un controllo razionale, attraverso un’organizzazione logica e grammaticale.
• Joyce, like the Italian writer Svevo, perceives reality in connection with individual consciousness, and especially in connection with human paralysis. Thus the accurate description of Dublin is not strictly derived from external reality, but from the characters’ mind floating.
Joyce’s style, technique and language develop from the realism and the disciplined prose of the “Dubliners”, through an exploration of the characters’ impressions and points of view, through the use of the free direct speech and epiphany, to interior monologue with two level of narration, a device used to give a realistic framework to the characters’ formless thoughts, up to extreme monologue. Thus language breaks down into a succession of words without puntaction or grammar connections, into infinite puns, and reality becomes the place of our psycological projections, our symbolical archetypes and cultural knowledge.
Therefore time, in Joyce like in Svevo, is not perceived as objective but as subjective, leading to psychological change. It becomes the time of soul and, in Virginia Woolf, a “creative time”.
She also describe a subjective reality through the “stream of consciousness”, but she never lets, unlike Joyce, her characters’ thoughts flow out of control, and maintains logical and grammatical organization. Her technique is based on the fusion of streams of thoght into a third-person, past tense narrative. Thus she gives the impression of simultaneous connection between the inner world (consciousness) and the outer world (society) producing a new vision of reality: life, in fact, express itself in moments of vision which are at the same time objctive (the clocks, the streets, the cars, the flowers) and yet subjectively creative, since they are recreated every moment by active consciousness.
• In ambito artistico la crisi del positivismo si traduce in una negazione delle coordinate cartesiane spazio-temporali con l’introduzione della “quarta dimensione” e di una rappresentazione dell’oggetto che non è più quello visto ma quello conosciuto e pensato (nel cubismo si attua infatti una scomposizione dell’immagine attraverso una simultaneità di rappresentazione di vari elementi strutturali dell’oggetto e prospettive diverse dello stesso).
L’opera che inaugura la stagione cubista di Picasso è il quadro “Les demoiselles d’Avignon”. Realizzato tra il 1906 e il 1907, ha come soggetto la visione di una casa d’appuntamento in cui figurano cinque donne.
L’analogia più evidente è con i quadri di Cézanne del ciclo “Le grandi bagnanti”, a cui Picasso si ispira per la figura in piedi a destra e per quella al centro, con le braccia ripiegate sulla testa.
In quest'opera Picasso, attraverso l'abolizione di qualsiasi prospettiva o profondità, abolisce lo spazio: si simboleggia perciò una presa di coscienza riguardo una quarta dimensione non visiva, ma mentale. Nella realizzazione delle figure centrali Picasso ricorda la scultura iberica, mentre nelle due figure di destra è evidente l'influsso delle maschere rituali dell'Africa. Soprattutto la figura in basso, con gli occhi ad altezza diversa, la torsione esagerata del naso e del corpo, evidenzia come Picasso sia giunto alla simultaneità delle immagini, cioè la presenza contemporanea di più punti di vista.
Le singole figure, costruite secondo il criterio della visione simultanea da più lati, si presentano con un aspetto decisamente inconsueto che sembra ignorare qualsiasi legge anatomica. Vediamo così apparire su un volto frontale un naso di profilo, oppure, come nella figura in basso a destra, la testa appare ruotata sulle spalle di un angolo innaturale. Sono infranti così i canoni della prospettiva lineare: pur essendo ripresa di tre quarti di schiena, sono contemporaneamente visibili il viso, un seno e la schiena. Tutto ciò è comunque la premessa di quella grande svolta, che Picasso compie con il cubismo, per cui la rappresentazione tiene conto non solo di ciò che si vede in un solo istante, ma di tutta la percezione e conoscenza che l’artista ha del soggetto che rappresenta.
Ciò che costituisce la grande novità dell’opera è l’annullamento di differenza tra pieni e vuoti. La struttura dell’opera è data da un incastro geometricamente architettato di piani taglienti, ribaltati sulla superficie della tela quasi a voler rovesciare gli oggetti verso lo spettatore, coinvolto direttamente dalla fissità dello sguardo delle figure femminili e dallo scivolamento della natura morta quasi fuori del quadro. L’immagine si compone di una serie di piani solidi che si intersecano secondo angolazioni diverse ed ogni angolazione è il frutto di una visione parziale per cui lo spazio si satura di materia annullando la separazione tra un corpo ed un altro.
• La crisi del paradigma positivista, operata in particolare dalla filosofia di Bergson, in ambito fisico diventa crisi del meccanicismo: alcune ipotesi scientifiche, infatti, non rientravano più nel quadro meccanicista della fisica dell’Ottocento.
Fra queste ipotesi, la prima per importanza è quella che prova l’esistenza del campo elettromagnetico, formulata da Maxwell. La teoria dell’elettromagnetismo di Maxwell rappresenta infatti un passo di straordinaria importanza nel processo di descrizione fisica della realtà: essa è in grado di unificare i fenomeni elettrici, magnetici e ottici (interpretando la luce come un’onda elettromagnetica) per mezzo di quattro equazioni fondamentali. Tuttavia essa crea diversi problemi teorici quando si tenta di inglobarla nel precedente quadro meccanicistico. In particolare, risulta problematico “escogitare” un modello basato sulle proprietà meccaniche delle particelle in grado di spiegare la propagazione delle onde elettromagnetiche e, quindi, anche della luce.
Maxwell, pur essendo il padre di una teoria che si discostava profondamente dalla visione meccanicistica della realtà, tentò per lungo tempo di trovare per essa proprio un supporto meccanico, cioè un modello materiale che spiegasse come potessero avvenire queste interazioni fra campi.
Attraverso quattro equazioni fondamentali Maxwell ipotizza che una carica accelerata è in grado di creare un campo magnetico variabile, il quale a sua volta genera un campo elettrico variabile nel tempo. Questi due campi, elettrico e magnetico variabili si propagano nello spazio, producendo radiazioni elettromagnetiche (la cui verifica sperimentale venne fatta da Hertz).
Misurando la velocità di propagazione della radiazione elettromagnetica, Maxwell ottiene che tale velocità è prossima a quella di propagazione della luce nel vuoto. In tal modo anche la luce deve obbedire alle leggi elettromagnetiche: si può intendere dunque la luce come un’onda elettromagnetica che, a differenza delle onde meccaniche, non ha più bisogno di alcun mezzo per potersi propagare.
Equazioni di Maxwell per l’elettromagnetismo
• CE,l= la circuitazione di un campo elettrico lungo una linea chiusa l è uguale ed opposta alla derivata del flusso di campo magnetico concatenato con la linea stessa (teorema di Faraday-Lenz)
• •E,s= il flusso di un campo elettrico attraverso una superficie chiusa S è uguale al rapporto fra la somma delle cariche interne alla superficie e la costante dielettrica del vuoto, perché le linee di campo sono aperte (teorema di Gauss)
• CB,l==0((i + ) la circuitazione di un campo magnetico lungo una linea chiusa l è uguale a al prodotto tra la somma delle correnti reali e di spostamento concatenate con il filo e la permeabilità magnetica del vuoto (teorema della circuitazione di Ampére + teorema di Maxwell)
• •B,s=0 il flusso di un campo magnetico attraverso una superficie chiusa S è uguale a zero, perché le linee di campo sono chiuse (teorema di Gauss per il magnetismo).
Elementi della crisi della fisica classica
• Instabilità dell’atomo di Rutherford
• Spettro del corpo nero
• Spettri a righe
• Effetto fotoelettrico
• Etere
• Indipendenza della velocità della luce dall’osservatore e dall’emettitore
Bergson
IL TEMPO OMOGENEO E LA DURATA REALE
Da questa analisi risulta che solo lo spazio è omogeneo, che le cose situate in esso costituiscono una molteplicità indistinta, e che tutte le molteplicità distinte sono ottenute grazie a un dispiegamento nello spazio. Risulta pure che nello spazio non ci sono né durata né suceessione, nel senso in cui la coscienza intende questi termini: ognuno dei cosiddetti stati successivi del mondo esterno esiste da solo, e la loro molteplicità ha realtà solo per una coscienza in grado prima di conservarli, e poi di giustapporli esteriorizzandoli gli uni rispetto agli altri. Se essa li conserva, ciò avviene perche questi diversi stati del mondo esterno danno luogo a dei fatti di coscienza che si compenetrano si organizzano insensibilmente insieme e, per l’effetto di questa stessa solidarietà, legano il passato al presente. E se li esteriorizza gli uni rispetto agli altri, è perché, pensando poi alla loro distinzione radicale (poiché uno cessa di essere quando l'altro appare), li pensa nella forma di una molteplicità distinta: il che significa ritornare ad allinearli insieme nello spazio in cui ciascuno di essi esisteva separatamente. Lo spazio di cui ci si serve per far ciò è proprio ciò che viene definito tempo omogeneo. [...]
In breve, si dovrebbero riconoscere due specie di molteplicita, due possibili significati del termine distinguere, due concezioni, l'una qualitativa e l’altra quantitativa, della differenza tra il medesimo e l’altro. Purtroppo, siamo talmente abituati a spiegare l’uno con l’altro questi due significati dello stesso termine, e addirittura a scorgerli l’uno nell'altro, che ci risulta molto difficile distinguerli, o per lo meno esprimere questa distinzione attraverso il linguaggio. Dicevamo dunque che parecchi stati di coscienza si organizzano fra loro, si compenetrano, si arricchiscono sempre più, e che, a un io che ignorasse lo spazio, essi potrebbero fornire così il sentimento della durata pura: ma già per impiegare il termine "parecchi" avevamo isolato questi stati gli uni dagli altri, li avevamo esteriorizzati, gli uni rispetto agli altri, li avevamo insomma giustapposti, e così, la stessa espressione cui abbiamo dovuto far ricorso, tradiva la nostra abitudine radicata di dispiegare it tempo nello spazio.
Diviene allora evidente che, al di fuori di ogni rappresentazione simbolica, il tempo non assuinerà mai per la nostra coscienza l’aspetto di un mezzo omogeneo, in cui i termini di una successione si esteriorizzano gil uni rispetto agli altri. Ma a questa rappresentazione simbotica perveniamo naturalmente, per il solo fatto che, in una serie di termini identici, ogni termine assume per la nostra coscienza un duplice aspetto: uno sempre identico a se stesso, poiché pensiamo all'identità dell’oggetto esterno, l'altro specifico, perché l’addizione di questo termine da luogo a una nuova organizzazione dell'insieme. Di qui, la possibilità di dispiegare nello spazio, nella forma di molteplicità numerica, ciò che abbiamo chiamato una molteplicità qualitativa, e di considerare l'una come l'equivalente dell'altra. Ora, da nessuna parte questo doppio processo si compie così facilmente come nella percezione di quel fenomeno esterno, inconoscibile in sé, che assume per noi la forma di un movimento. In questo caso abbiamo proprio una serie di termini identici tra loro, poiché si tratta scmpre dello stesso mobile; ma d'altra parte, la sintesi operata dalla nostra coscienza tra la posizione attuale e ciò che la nostra memoria chiama la posizione anteriore, fa si che queste immagini si compenetrino, si completino e che in qualche modo si prolunghino le une nelle altre. Quindi, è soprattutto attraverso l’intermediario del movimento che la durata assume la forma di un mezzo omogeneo, e che il tempo si proietta nello spazio. Ma, se non ci fosse stato il movimento, ogni ripetizione di un fenomeno esterno ben determinato avrebbe suggerito alla coscienza lo stesso modo di rappresentazione. Così quando sentiamo una serie di colpi di martello, i suoni, in quanto sensazioni pure, formano una melodia indivisibile, dando ancora luogo a ciò che abbiamo chiamato un progresso dinamico: ma, sapendo che agisce la stessa causa oggettiva, dividiamo questo progresso in fasi che da questo momento consideriamo identiche; e poiché questa molteplicità di termini identici non può più essere concepita se non in base a un dispiegamento nello spazio, perveniamo di nuovo e necessariamente all'idea di un tempo omogenco, immagine simbolica della durata reale. Insomma, con la sua superficie, il nostro io tocca il mondo esterno: e, sebbene si fondino le une nelle altre, le nostre sensazioni successive mantengono qualcosa dell’esteriorità reciproca che caratterizza oggettivumertte le loro cause; ed è per questo che la nostra vita psicologica superficiale si svolge in un mezzo omogeneo senza che questa modalità di rappresentazione ci costi un grande sforzo. Ma il carattere simbolico di questa rappresentazione diviene sempre più evidente via via che penetriamo nelle profondità della coscienza: l'io interiore, quello che sente e si appassiona, che delibera e decide, è una forza i cui stati e modificazioni si compenetrano intimamente, subendo una profonda alterazione allorchè li si separa per dispiegarli nello spazio. Ma siccome questo io più profondo forma una stessa e unica persona con l'io superflciale, sembra che essi durino nello stesso modo. E siccome la rappresentazione costante di un fenomeno oggettivo identico che si ripete seziona la nostra vita psichica superficiale in parti esterne le une alle altre, a loro volta, i momenti così ottenuti determinano dei segmenti distinti nel progresso dinamico e indiviso dei nostri stati di coscienza più personali. Così, questa esteriorità reciproca che la loro giustapposizione nello spazio omogeneo assicura agli oggetti materiali si ripercuote e si propaga sino alle profondità della coscienza: a poco a poco, le nostre sensazioni si staccano le une dalle altre come le cause esterne che le fecero nascere, e questo accade anche per i sentimenti o per le idee, similmente alle sensazioni di cui sono contemporanei. — Che la nostra concezione abituale della durata derivi da una graduate invasione dello spazio nel campo della coscienza pura, lo prova molto bene il fatto che per togliere all’io la facoltà di percepire un tempo omogeneo basta staccare da !ui quello strato più superficiale di fatti psichici che egli utitizza come regolatori. Il sogno ci pone proprio questa condizione, poiché il sonno, allentando il gioco delle funzioni organiche, modifica soprattutto la superficie di comunicazione tra l’io e le cose esterne. Allora non misuriamo più la durata, la sentiamo; da quantità, ritorna allo stato di qualità non c’è più valutazione matematica del tempo trascorso, essa ha lasciato il posto a un istinto confuso che, come tutti gli istinti, può commettere degli errori grossolani ma talvolta anche procedere con una straordinaria sidurezza. Anche allo stato di veglia, l'esperienza quotidiana dovrebbe insegnarci a cogliere la differenza tra ta durata-qualità quella che la coscienza afferra immediatamente, e che probabilmente l'animale percepisce, e il tempo per così dire materiatizzato, il tempo divenuto quantità a causa di un dispiegamento nello spazio.
Quindi, per concludere, distinguiamo due forme di molteplicità, due valutazioni motto diverse della durata, due aspetti della vita cosciente. Al di sotto della durata omogenea, simbolo estensivo della vera durata, una psicologia attenta riesce a districare una durata i cui momenti eterogenei si compenetrano al di sotto della moltaplicità numerica degti stati di coscienza, una molteplicità qualitativa; al di sotto di un io dagli stati ben definiti, un io in cui la successione implica fusione e organizzazione. Ma la maggior parte delle volte noi ci limitiamo al primo di essi, e cioè all'ombra dell’io proiettata nello spazio omogeneo. La coscienza, tormentata da un insaziabile desiderio di distinguere sostituisce il simbolo alla realtà oppure scorge quest'ultima solo attraverso il primo. E siccome l’io così rifratto, e per ciò stesso suddiviso, si presta infinitamente meglio alle esigenze della vita sociale in generale e del linguaggio in particolare, essa lo preferisce, e perde di vista a poco a poco l'io fondamentale.
Per ritrovare questo io fondamentale, così come verrebbe percepito da una coscienza inalterata, è necessario un vigoroso sforzo d’analisi, attraverso il quale i fatti psicologici interni e vivi verranno isolati dalle loro immagini dapprima rifratte, e poi solidificate nello spazio omogeneo. In altri termini le nostre percezioni, sensazioni, emozioni e idee si presentano sotto un duplice aspetto: l'uno netto, preciso, ma impersonale; l'altro confuso, infinitamente mobile e inesprimibile, poiché il linguaggio non potrebbe coglierlo senza fissarne la mobilità, e nemmeno adattarlo alla sua forma banale senza farlo cadere nel dominio comune.
da H. Bergson, Saggio sui dati immediati della coscienza, cap. 2. in H. Bergson, Opere 1889-1896, a cura di F. Sossi e Rovatti, A. Mondadori, Milano 1986.

Bergson
IL CORPO, LA MEMORIA E LA PERCEZIONE
Il nostro corpo non è altro che la parte della nostra rappresentazione che rinasce invariabilmente, la parte sempre presente, o piuttosto quella che, in ogni momento, è appena passata. Immagine esso stesso, questo corpo non può immagazzinare le immagini, perché fa parte di esse; ecco perché pretendere di localizzare le percezioni passate, o anche presenti, nel cervello, è del tutto chimerico: le percezioni non si situano nel cervello; è il cervello che è in esse. Ma, in ogni istante, quest’immagine tutta particolare, che persiste in mezzo alle altre e che chiamo il mio corpo, costituisce, come dicevamo, un taglio trasversale nel divenire universale. E quindi il luogo di passaggio dei movimenti ricevuti e rinviati, il "trait d'union" tra le cose che agiscono su di me e le cose sulle quali io agisco, la sede, in una parola, dei fenomeni sensorio-motori. Se rappresento con un cono SAB la totalità dei ricordi accumulati nella mia memoria, la base AB, situata nel passato, rimane immobile, mentre il vertice S, che raffigura in ogni momento il mio presente, avanza senza posa, e, sempre senza posa, tocca il piano mobile P della mia rappresentazione attuale dell’universo. L’immagine del corpo si concentra in S; e, poiché fa parte del piano P, tale immagine si limita a ricevere e a restituire le azioni che emanano da tutte le immagini che compongono il piano.
La memoria del corpo, costituita dall'insieme dei sistemi sensorio-motori che l’abitudine ha organizzato, è, dunque, una memoria quasi istantanea a cui la vera memoria del passato serve da base. Poiché esse non costituiscono due cose separate, poiché la prima è, come dicevamo, solo la punta mobile che la seconda inserisce nel piano mobile dell’esperienza è naturale che queste due funzioni si prestino un mutuo appoggio. Da un lato, infatti, la memoria del passato presenta ai meccanismi sensorio-motori tutti i ricordi in grado di guidarli nel loro compito e di dirigere la reazione motrice nel senso suggerito dagli insegnamenti dell’esperienza: le associazioni per contiguità e per somiglianza consistono proprio in ciò. Ma, dall’altro, gli apparati sensorio-motori forniscono ai ricordi impotenti cioè inconsci, il modo di prendere corpo, di materializzarsi insomma di divenire presenti. Un ricordo, infatti, per riapparire alla coscienza deve scendere dalle altezze della memoria pura fino al punto preciso in cui si compie l’azione. In altri termini, l’appello a cui il ricordo risponde parte dal presente, e il calore che dà vita viene preso a prestito dal ricordo dagli elementi sensorio-motori dall'azione presente.
da H. Bergson, Materia e memoria cap. 3, in H. Bergson, Opere 1889-1896 cit.
Studio sull’autore
Pablo Picasso nacque a Malaga nel 1881, ma nel 1904 si trasferì definitivamente a Parigi, dove divenne uno dei maggiori animatori della vita culturale. La sua ricerca artistica è caratterizzata dal succedersi di modi raffigurativi diversi: (1900-1906) il “periodo blu”, caratterizzato da un’arte cupa segnata dalla dominanza del colore blu e da temi malinconici, e il “periodo rosa”, con una pittura “sentimentale”, volta a rappresentare un mondo di emarginati (mendicanti, infermi o saltimbanchi), caratterizzata da una decisa geometricità dei volumi e da una salda definizione degli spazi; (1907-1920 circa) lo studio dell’arte negra e il periodo cubista (“Les demoiselles d’Avignon”); (1921-1931) una reinvenzione personale, quasi surrealista del cubismo. La guerra civile spagnola (1936-1939) segna un momento fondamentale nella sua vita e “Guernica” ne costituisce la condanna più alta. Nel 1947 inizia l’attività di ceramista. Il suo impegno politico per la pace si manifesta nel dopo guerra anche disegnando il simbolo della colomba per i Congressi su questo tema.
Studio dell’opera
Autore: Pablo Picasso
Titolo dell’opera: Les demoiselles d’Avignon
Periodo di esecuzione: 1907
Soggetto: cinque nudi femminili e una natura morta
Collocazione attuale: New York, Museum of Modern Art
Dimensioni: 244x233 cm
Tecnica: olio su tela
Notizie Storiche
Alla fine del 1906 Picasso iniziò a lavorare a una grande tela che avrebbe dovuto avere per soggetto cinque donne e due uomini all’interno di un postribolo a il cui titolo doveva essere “Les bordel d’Avignon”. Nell’autunno del 1907 Picasso presentò il dipinto agli amici, che ne rimasero sconcertati. Nel 1920 la tela fu acquistata dal collezionista Jacques Doucet, che la tenne nella sua collezione, e rimase sconosciuta al grande pubblico fino al 1925, quando venne riprodotta sulla pagine della “Révolution Surréaliste”; solo nel 1937 fu esposta per la prima volta al Petit Palais a Parigi.
Descrizione iconografica
L’opera che inaugura la stagione cubista di Picasso è il quadro “Les demoiselles d’Avignon”. Il quadro è stato realizzato tra il 1906 e il 1907. Il soggetto del quadro è la visione di una casa d’appuntamento in cui figurano cinque donne. Inizialmente Picasso pensava di raffigurare sette figure, cinque donne e due uomini (un marinaio e uno studente con un teschio in mano), raggruppate in un interno di postribolo, con una natura morta, fiori, frutta e tendaggi.
Successivamente eliminò uomini e fiori, lasciando solo la frutta in primo piano e i nudi femminili; ma di questi rimasero quasi inalterati solo i due centrali.
L’analogia più evidente è con i quadri di Cézanne del ciclo “Le grandi bagnanti”, a cui Picasso si ispira per la figura in piedi a destra e per quella al centro, con le braccia ripiegate sulla testa. Ed è praticamente certo che Picasso modifichi continuamente questo quadro proprio per le sollecitazioni che gli vengono dalla conoscenza delle opere di Cézanne.
Analisi compositiva
In quest'opera Picasso, attraverso l'abolizione di qualsiasi prospettiva o profondità, abolisce lo spazio: si simboleggia perciò una presa di coscienza riguardo una quarta dimensione non visiva, ma mentale. Nella realizzazione delle figure centrali Picasso ricorda la scultura iberica, mentre nelle due figure di destra è evidente l'influsso delle maschere rituali dell'Africa. Soprattutto la figura in basso, con gli occhi ad altezza diversa, la torsione esagerata del naso e del corpo, evidenzia come Picasso sia giunto alla simultaneità delle immagini, cioè la presenza contemporanea di più punti di vista.
Le due figure centrali hanno un aspetto molto diverso dalle figure ai lati. In queste ultime, specie le due di destra, la modellazione dei volti ricorda le sculture africane che in quel periodo conoscevano un momento di grande popolarità tra gli artisti europei.
Ciò che costituisce la grande novità dell’opera è l’annullamento di differenza tra pieni e vuoti. L’immagine si compone di una serie di piani solidi che si intersecano secondo angolazioni diverse. Ogni angolazione è il frutto di una visione parziale per cui lo spazio si satura di materia annullando la separazione tra un corpo ed un altro.
Le singole figure, costruite secondo il criterio della visione simultanea da più lati, si presentano con un aspetto decisamente inconsueto che sembra ignorare qualsiasi legge anatomica. Vediamo così apparire su un volto frontale un naso di profilo, oppure, come nella figura in basso a destra, la testa appare ruotata sulle spalle di un angolo innaturale. Tutto ciò è comunque la premessa di quella grande svolta, che Picasso compie con il cubismo, per cui la rappresentazione tiene conto non solo di ciò che si vede in un solo istante, ma di tutta la percezione e conoscenza che l’artista ha del soggetto che rappresenta
Linee, Colori e Volumi
A differenza delle “Cinque bagnanti” di Cézanne, i cinque nudi femminili rappresentati da Picasso perdono le forma arrotondate: le forme essenziali delle due figure centrali, dipinte uniformemente in rosa con leggere variazioni di tono negli arti, sono segnate da linee taglienti e spigolose; né ombreggiature né espedienti prospettici sono impiegati per rendere i volumi. I volti appaiono disegnati con estrema chiarezza, benché stilizzati.
In origine anche gli altri tre nudi erano dipinti in questo modo: ma improvvisamente Picasso cambiò registro, sconvolgendo la composizione. A determinarli fu l’incontro dell’artista con la scultura africana: il pittore fu conquistato dal carattere “razionale” di tale scultura, dal suo esprimere mediante convenzioni figurative concetti spirituali pregnanti, divenendo essa stessa manifestazione concreta di quelle forze sovrannaturali di cui è al contempo rappresentazione. L’arte africana è un’arte della mente: essa come il cubismo rappresenta ciò che di un oggetto si sa, non ciò che appare ai sensi.
Prima sovrappone il nero al rosa originario della testa di sinistra, che rappresenta la fase intermedia fra le due centrali e le due di destra, conferendole le sembianze di una maschera. Poi in modo più radicale interviene sui volti e sui corpi delle figure di destra, i quali risultano nettamente più angolosi degli altri, con tocchi di colore puro che distinguono i piani che li compongono. Il nudo in piedi appare sfaccettato, come intagliato in un tronco di legno. I visi presentano deformazioni grottesche, le teste sono fortemente modellate, con lunghi nasi stretti, a cuneo, appiattiti verso il lato del viso; nella donna in piedi, tocchi di verde creano le striature tipiche delle maschere africane, mentre il blu deforma il viso arancio del nudo accosciato. In quest’ultimo inoltre sono infranti i canoni della prospettiva lineare: pur essendo ripresa di tre quarti di schiena, sono contemporaneamente visibili il viso, un seno e la schiena.
Struttura compositiva dell’opera
La struttura dell’opera è data da un incastro geometricamente architettato di piani taglienti, ribaltati sulla superficie della tela quasi a voler rovesciare gli oggetti verso lo spettatore, coinvolto direttamente dalla fissità dello sguardo delle figure femminili e dallo scivolamento della natura morta quasi fuori del quadro. L’immagine si compone di una serie di piani solidi che si intersecano secondo angolazioni diverse. Ogni angolazione è il frutto di una visione parziale per cui lo spazio si satura di materia annullando la separazione tra un corpo ed un altro.
Analisi dell’opera
1. Individuazione delle principali linee forza
2. Individuazione dei principali elementi compositivi
3. Analisi della struttura compositiva
Bibliografia
Lezioni di Arte 3 – Dal neoclassicismo all’arte contemporanea
Electa – Bruno Mondadori
Art Dossier – Cubismo
J. Nigro Covre – Giunti
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Esempio



  


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