Il sublime cantiano come categoria critica

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Testo

Il sublime kantiano come categoria critica

Di Daniele d.
Liceo Scientifico

Argomenti di discussione:
• I. Kant, Concezione del sentimento del sublime
• Michelangelo, Il Giudizio Universale
• W. A. Mozart, Dies Irae ( da Requiem, K 626 )
• Dante Alighieri, Paradiso, Canto XXXIII
• S. T. Coleridge, The rime of the ancient mariner
Bibliografia

I. Kant Osservazioni sul sentimento del bello e del sublime - Ed. Bur
I. Kant Critica della capacità di giudizio - Ed. Bur
G. C. Argan Storia dell’arte italiana, vol. 3 - Ed. Sansoni
Dante Alighieri Paradiso - Ed. La Nuova Italia
S. T. Coleridge Selected poetry - Ed. Oxford
Propongo questo cammino di analisi interdisciplinare a partire da un concetto filosofico, il “sublime” descritto da Kant nella sua “Critica del giudizio”.
Questo sentimento, dalle valenze soggettive ed idealistiche ( in quanto frutto di una contemplazione dell’oggetto ), viene da me assunta come categoria critica, come metodo di analisi di alcune opere che, a mio giudizio, sono in grado di risvegliare questo sentimento dentro ognuno di noi.
Inoltre, queste opere sono legate tra loro per la coincidenza della poetica degli autori, o per il fine per cui sono state prodotte, o per il senso profondo che possiamo cogliere al loro interno.
Dopo aver introdotto la concezione di sublime, passo all’analisi della prima opera, il Giudizio Universale di Michelangelo.
Per la sua maestosità, per i particolari, per l’idea stessa di rappresentare uno degli eventi più importanti per i cristiani in questa maniera, possiamo, a mio giudizio, considerare quest’opera “sublime”.
In seguito, avremo un confronto tra la concezione del Cristo Judex di Michelangelo e di Mozart, nel suo Dies Irae. Ci sarà anche un breve ascolto associato ad immagini tratte dall’affresco.
Analizzerò poi il Canto XXXIII del Paradiso di Dante; quest’opera risulta “sublime” in quanto sono riscontrabili gli stessi caratteri presenti nel Giudizio universale ( le descrizioni particolareggiate, lo stile, la capacità di descrivere l’ineffabile, Dio,…)
Infine, The rime of the ancient mariner di Coleridge: può essere definito “sublime” sia perché risponde al concetto romantico di sublime ( la natura violenta, luoghi esotici,…), sia perché è in grado di descrivere la risposta violenta, inarrestabile, terrificante, “sublime” appunto, di Dio ( o degli spiriti, o della natura: ogni uomo, secondo la sua fede, le sue credenze, può individuare un essere “soprannaturale” che gli si rivolta contro ) ai nostri attacchi.
Kant, concezione del sentimento del sublime
Il sublime, per Kant, è un sentimento, un’emozione.
Erroneamente viene attribuita la definizione di “sublime” ad un oggetto di analisi: esso è in realtà un sentimento che l’uomo prova di fronte all’oggetto ( “il sublime vero e proprio non può essere contenuto in alcuna forma sensibile, bensì concerne solo idee della ragione: le quali, benché nessuna esibizione possa essere loro adeguata, proprio mediante questa inadeguatezza, che può essere esibita in maniera sensibile, vengono attivate ed evocate nell’animo.” ).
Kant sostiene che “a volte il sentimento si accompagna a sensazioni di terrore, o di malinconia, in altri casi solo a pacata ammirazione e in altri ancora a bellezza che si irradia con intensità sublime”.
Vediamo quindi che questo sentimento si presenta sotto vari aspetti, ma il significato di esso è uno solo: “sublime è ciò che, solo per il fatto di poter essere pensato, dimostra una facoltà dell’animo che oltrepassa ogni misura dei sensi; il sublime commuove, deve essere grande e semplice, è una grandezza uguale solo a sé stessa, è ciò in confronto a cui ogni altra cosa è piccola, il sublime consiste semplicemente nella relazione in cui il sensibile nella rappresentazione viene valutato come adatto per un suo possibile uso soprasensibile.”
Il sublime è di due specie:
- il sublime matematico, riferibile all’infinitamente grande ( fisicamente parlando )
- il sublime dinamico, riferibile all’infinitamente potente ( generalmente, fenomeni naturali )
Il sublime si differenzia dal bello in quanto, mentre quest’ultimo riguarda la forma dell’oggetto, che è caratterizzata dalla limitazione, il sublime riguarda anche l’informe, la rappresentazione dell’illimitato. Inoltre, il bello produce un piacere positivo, mentre il sublime un piacere negativo, “una continua meraviglia e stima”. Infine, il bello produce nell’uomo solo una “calma contemplazione”, il sublime commuove.
Michelangelo, Analisi del Giudizio Universale
Il protagonista assoluto di questo affresco è il Cristo giudice, presente al centro: da lui parte tutto il movimento, su di lui viene attirato il nostro sguardo, lui è l’artefice, il responsabile, di questo Giudizio.
Ci appare come simbolo di giustizia suprema, di incorruttibilità, che né la pietà né la misericordia ( rappresentate dalla Madonna implorante di fianco a lui ), possono alleviare.
Une figura simile era già stata presentata nella giovanile Centauromachia, in cui il dio Apollo al centro dava movimento all’intero rilievo.
Ricordiamo che Michelangelo riteneva la scultura arte più nobile della pittura, poiché consisteva nel “levare” la materia e lasciare libero il disegno, il concetto, mentre la pittura è un “porre” materia.
L’uomo è legato alla materia, non può essere scisso da essa. La scultura è quindi l’arte che maggiormente ritrae il destino dell’uomo.
Michelangelo si contrappone così a Leonardo in quanto, mentre per quest’ultimo la storia è un divenire di fenomeni e l’arte è esperienza, è scienza, e le sue opere hanno contorni vaghi perché sempre in relazione ad “altro”, alla realtà sensibile, per Michelangelo la storia è volere di Dio e l’arte è trascendenza, rapporto con Dio, ma anche forma, immagine dei concetti, della realtà soprasensibile.
Il destino dell’uomo nella pittura di Michelangelo è perfettamente definito in questo affresco: l’uomo è finito, mortale, è cosciente della sua situazione, ma ,nonostante questo destino, la sua grandezza morale lo spinge continuamente a vivere.
Un particolare richiamo a questo destino di morte è la pelle di San Bartolomeo ( sotto a destra rispetto al Cristo ): quella pelle raffigura, in anamorfosi, Michelangelo.
Questa tecnica viene usata per ricordare ulteriormente la finitudine dell’uomo: è possibile ritrovare questa tecnica usata per questo identico scopo ne “I due ambasciatori” di Holbein.
Lo spazio è occupato quasi interamente dalle masse dei santi, dei condannati, degli angeli, ecc. Questo “sovraffollamento” di elementi sottolinea la grandezza, la maestosità dell’evento.
Il movimento a spirale serve ad alleggerire la scena, oltre a renderla più realistica: se fosse stato rappresentato in maniera statica l’affresco sarebbe facilmente risultato “pesante”, molto simbolico, ma poco realistico.

Michelangelo e Mozart, Confronto tra i due “Cristo Judex”
Dies irae, dies illa
solvet saeclum in favilla,
teste David cum Sybilla.
Quantus tremor est futurus,
quando judex est venturus,
cuncta stricte discussurus
Giorno d'ira, quel giorno
distruggerà il mondo nel fuoco,
come affermano Davide e la Sibilla.
Quanto terrore ci sarà,
quando verrà il giudice,
per giudicare tutti severamente
Mozart ricalca perfettamente le caratteristiche dell’affresco michelangiolesco: presenta un Cristo giudice severo, distruttore, che terrorizza.
Infatti, il Cristo di Michelangelo terrorizza per la sua potenza, la sua giustizia suprema ed inarrestabile. Riesce perfino a terrorizzare la Madonna, che di fianco a lui lo implora. Non è un Cristo distruttore, ma non esita a condannare e a spedire all’Inferno.
Il terrore descrittoci da Mozart si riflette nei personaggi dell’affresco: ricordando i simboli della passione di Cristo, viene ricordata all’uomo uno dei suoi peggiori peccati, l’aver condannato il figlio di Dio; i condannati ed i personaggi all’Inferno vengono rappresentati col terrore sul volto e nei gesti per il loro destino.
A completare questo scenario di terrore, gli angeli tubicini, al centro, che con il suono delle loro trombe scuotono il mondo annunciando la venuta del Giudizio.
Inoltre, la concezione della nostra vita come cammino verso la morte: la morte è il nostro destino, ce lo dimostra Michelangelo nel Giudizio e lo conferma Mozart
( “Quanto terrore ci sarà, quando verrà il giudice” ).
Più genericamente, l’intero etimo lirico del Requiem è accostabile a quello dell’affresco: è un “addio alla vita” ( Prod’homme ) “libero da paura” ( Mila ).
Questo è l’affresco di Michelangelo: un annuncio di morte, ma senza paura, perché l’umanità è grande e forte moralmente.
Dante, Analisi del canto XXXIII
In questo canto si realizza completamente il dramma umano-intellettuale dell’estrema conquista di Dante:
“ E io ch’al fine di tutt’i desii
appropinquava, sì com’io dovea,
l’ardor del desiderio in me finii.”.
“Finii” ha significato di “portai al culmine”: l’ardore del desiderio, trovandosi vicino al suo obbiettivo, il “fine di tutt’i desii”, si amplia per accoglierlo in sé.
Dante è ormai puro spirito, totalmente “ficcato” nella visione di Dio. Può raccontarci solo le sensazioni provate, “una favilla sol” della gloria di Dio. Inoltre, ritornato sulla terra egli riacquista le sue terrene capacità intellettive, che nel viaggio attraverso i diversi cieli aveva visto ampliate per poter comprendere la vera gloria e i misteri del cielo.
Viene ribadita più volte l’impossibilità di volgere altrove lo sguardo:
“i’ sarei smarrito,
se li occhi miei da lui fossero aversi”;
“A quella luce cotal si diventa,
che volgersi da lei per altro aspetto
è impossibil che mai si consenta”.
In quella luce si trova la perfezione, e tutto ciò che si trova al di fuori di essa è “defettivo”.
Lo stile ed il tono sono tragici, data la sublimità dell’evento.
Secondo il Sermonti, è riscontrabile una “bellezza che fa spavento, incute paura”, quindi il canto è giustamente classificabile nella “categoria” del sublime.
Per il Fubini è un “capolavoro di sapienza artistica e teologica”; per il Momigliano “si raggiunge il senso del tutto”; per Apollonio “è il canto più assolutamente religioso della Commedia”.
Michelangelo e Dante, Confronto
Entrambi gli autori esprimono la loro sublime visione in forma artistica, ma in maniere differenti.
• Dante presenta Dio in modo statico, come cerchi sovrapposti, e tutto intorno il nulla: abbiamo solamente Dio e Dante, un unico sentimento, che è lo stupore, la meraviglia.
In Michelangelo, Cristo ci viene presentato in maniera dinamica, è lui a dare il movimento a tutto l’affresco; abbiamo diversi personaggi, diverse situazioni, ed ognuna ci procura diverse sensazioni: la maestosità di Cristo, la disperazione dei dannati, la gioia dei salvati, la disperazione e la pietà della Madonna,…
Inoltre, l’uomo sente (o dovrebbe sentire ) un senso di colpa alla vista, nella parte superiore, degli angeli che portano i simboli della passione: come si può non provare nulla di fronte al ricordo della condanna e della morte per mano di uomo, dell’umanità intera, di un essere così potente?
• Dante ha come obbiettivo la salvezza dell’umanità, è “l’io trascendentale dell’umanità”; Michelangelo invece vuole celebrare l’umanità gloriosa ed eroica, che sa di dover finire, ma nonostante questo continua a vivere e lottare.
Alcuni passi del canto sembrano però ottime didascalie all’affresco.
Ad esempio,
“Fa la mia lingua tanto possente,
ch’una favilla sol della tua gloria
possa lasciare alla futura gente;
ché, per tornare alquanto a mia memoria
e per sonare un poco in questi versi,
più si conceperà di tua vittoria.”: la vittoria di Michelangelo è quella della giustizia divina, la vera giustizia; la “futura gente” deve conoscere il proprio destino ( la morte, il giudizio finale ), ma deve anche comprendere la necessità di lottare nella vita e per la vita.
“Legato con amore in un volume
ciò che per l’universo si squaderna” sembra la perfetta didascalia del Cristo di Michelangelo: lui, un unico, solo uomo, “squaderna”, dà movimento all’intero affresco, è da lui che dipende tutto.
“A quella luce cotal si diventa,
che volgersi da lei per altro aspetto
è impossibil che mai si consenta”: Cristo, al centro dell’affresco, origine del movimento, attira inesorabilmente l’occhio dell’osservatore, ed è quindi impossibile volgere lo sguardo altrove senza essere calamitati da questa figura maestosa.
Coleridge, Analisi di The rime of the ancient mariner
The rime of the ancient mariner has the typical structure of the ballad:
• It is divided into a few stanzas ( most quatrains )
• Its rhyme scheme is A-B-C-B
• It opens in “medias res”
• It is impersonal, the author doesn’t appear
• Each quatrain introduces a small picture
• There are typical expression and internal rhymes, so this helps the listener to follow the story and memorise it
• The themes are nature, violence
• There are supernatural elements
• There are archaic terms, which add a sense of historical authenticity.
“I’m not going to use poetic diction, but I want to use a language really used by men” ( Wordsworth, in the preface of the second edition of Lyrical ballads, opened by this ballad: this sentence is considered the manifesto of the English Romantic movement )
There are some other typical themes of the Romantic Age: violent nature; wildness; nature which reflects mankind’s feelings; an escape into time and space ( in the past, in an unknown place ); the sublime which strikes your attention, it makes you stop for thinking, “the beautifully horrible and the horribly beautiful”.
The story is about the fate of a mariner, who have to narrate forever his adventure: he killed an albatross ( a spirit, a good-sign symbol send by God ), so he was punished: his crew was killed, but he was condemned to live on his ship in an unknown place until he recognise his fault and God’s power. Then, when he could finally come back home, he was condemned to live forever to tell his story all over the world to make everybody conscious of God’s power.
The sublime can be find in the last stanza of this ballad, “ a sadder and a wiser man he rose the morrow morn”: the narration of the mariner hit the soul of the wedding-guest who understood the power of the supernatural, of God.

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