Amphitruo (Anfitrione)

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Testo

Amphitruo «Anfitrione», comandante dell’esercito di Tebe, in Beozia, porta guerra ai Teleboi e ai Tafi, in Acarnania. Sua moglie Alcmena, figlia del re Creonte, è facile preda degli appetiti di Giove, il quale si presenta alla reggia nella parte (cioè nell’aspetto e nelle vesti) proprio di Anfitrione reduce dalla campagna vittoriosa, con al fianco Mercurio che ha assunto in tutto e per tutto l’identità del fido servo Sosia. Allo scopo di prolungare il suo piacere, il finto Anfitrione arresta il corso del sole e giace ininterrottamente con la donna per un tempo equivalente a tre notti consecutive. Il vero Arifitrione, intanto, sconfigge realmente i nemici e torna a sua volta a Tebe, dove trova ad attenderlo, anziché un accoglienza trionfale, la poco lieta sorpresa di una moglie che un’infinità di indizi accusano di tradimento: incolpa Alcmena di impudicizia e tenta inutilmente di conoscere l’identità dell’adultero. Alcmena da alla luce due gemelli, l’uno interamente umano, Ificle, l’altro di seme divino, Ercole. Alla fine un benigno intervento del padre degli dèi in veste ufficiale chiarisce ogni cosa e riporta la pace tra Anfitrione e la sua sposa. Sogno, ebbrezza, follia, sdoppiamento (di dèi, uomini e cose) sono i motivi conduttori di questa commedia dell’identità, che è anche l’unica commedia d’argomento mitologico che ci sia giunta dal repertorio greco-latino.

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