La pazzia di Orlando

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Testo

LA PAZZIA DI ORLANDO
(CANTO XXIII STANZA 132 – CANTO XXIV STANZA 13)
PARAFRASI:
Orlando afflitto e stanco cadde nell’erba, con gli occhi rivolti al cielo e non parlando senza mangiare e stette così per tre giorni, il che lo fece impazzire tanto che il quarto giorno, svegliandosi si strappò di dosso l’armatura. Gettò quindi da una parte l’elmo dall’altra le armi tanto che alla fine erano sparse per tutto il bosco, e poi, si liberò anche dei vestiti girando nudo per il bosco. La rabbia gli aveva offuscato l’intelligenza e, infatti, si scordò di prendere la spada che, se la avesse posseduta avrebbe potuto fare cosi mirabolanti poiché la sua forza non aveva bisogno né di quella né dell’ascia e di altre cose. Qui compì le sue imprese più grandi, infatti sradicò un pino al primo scrollone e dopo il primo ne sradicò parecchi altri come se fossero pianticelle deboli. Orlando faceva con gli alberi secolari quello che si fa con i giunchi e le ortiche un cacciatore di uccelli che libera il campo per le reti. I pastori che hanno sentito il fracasso lasciarono il gregge sparso per la foresta correrono di qua e di là per vedere cosa stette succedendo. Ma sono arrivato al punto, che, oltrepassato la mia storia può sembrarvi fastidiosa e quindi voglio rimandarla. Chi mette il piede sulla trappola per uccelli, cerca di toglierlo senza farsi pinzare le ali; perché alla fine l’ amore non è altro che follia, secondo il comune giudizio dei saggi: e sebbene non tutti facciano i pazzi come Orlando mostrano il loro amore in qualche altra maniera; e quale la maniera più esplicita se non la follia stessa? Gli effetti sono diversi ma la causa che provoca la follia è sempre la stessa, come quando si entra in un bosco è impossibile non perdersi. Concludendo voglio dirvi che chi persiste nell’ amore sono indispensabili oltre alle pene anche i ceppi e la catena. Ma si potrebbe dire a ragione: . Io vi rispondo che capisco abbastanza adesso che uno spazio di lucidità mentale e ho una grande intenzione di riposarmi e di lasciare tutto questo, e spero ormai di farlo: ma non lo posso fare tanto presto quanto vorrei poiché il male mi è penetrato fin dentro le ossa. Signor, nell’altro canto io vi dicevo che il forsennato e pazzo Orlando si era tolto le armi e le aveva sparse per il terreno, si era strappato gli abiti e aveva gettato via la spada, aveva sradicato gli alberi e fatto risuonare le caverne e i boschi profondi; quando alcuni pastori per loro sventura furono attratti dal rumore che faceva. Dopo aver visto da vicino quelle incredibile imprese che il pazzo stava compiendo e la sua grandissima forza, si voltarono per fuggire ma non sapendo dove così come accade quando si è colpiti da un improvviso spavento. Il pazzo si muove rapidamente dietro di loro, ne piglia una e lo priva della testa con la stessa facilità che chiunque altro staccherebbe un frutto o un fiore da un ramo di un albero. Prese per una gamba il pesante corpo e lo usò come se fosse un’ arma contro gli altri pastori: stese in terra due uomini che forse si risveglieranno il giorno del giudizio. Gli altri furono rapidi di gambe e di intelligenza che lasciarono subito il paese, il pazzo non sarebbe stato lento da inseguirli se non si fosse già scagliato contro il gregge incustodito. Potreste già sentire come rimbomba nelle fattorie vicine, il clamore provocato dalle urla e dai corni, e più frequente, il rintocco delle campane; potreste vedere scendere dalle montagne mille uomini armati con i forconi, archi, fionde e bastoni, e altrettanti dal basso verso l’alto per fare ad Orlando un agguato. Come arriva generalmente sulla spiaggia l’onda alzata dal vento proveniente dal Sud, che prima soffia leggermente e, in tal maniera la seconda onda è più alta della prima, la terza più alta della seconda e l’acqua ogni volta è sempre di più e si abbatte ogni volta con più violenza: così contro Orlando aumenta la folla inferocita, che scende dai dirupi ed esce dalle valli. Uccise numerose persone che senza uno schema preciso gli si scagliarono contro e questo diede una chiara dimostrazione che era molto più sicuro stargli lontano. A nessuno fu possibile ferire quel corpo poiché il ferro lo colpisce e lo percuote senza risultato. Dio aveva dato questo dono ad Orlando per porlo a difesa della santa fede. Orlando corse il pericolo di essere ucciso se avrebbe potuto morire. Avrebbe potuto imparare cosa vuol dire buttare via la spada e poi volere fare il coraggioso senza le armi. La folla si stava già ritirando vedendo che ogni suo colpo era fallace. Orlando, siccome, più nessuno lo trattiene si incammina verso un borgo di case. Dentro non vi trovò né adulto né fanciullo poiché le persone del borgo per timore di Orlando erano scappate. C’ erano cibi poveri in abbondanza, i quali si addicono alla vita dei pastori senza dividere il pane dalle ghiande, provato dal digiuno e dalla violenta battaglia lasciò andare giù le mani di colpo e i denti mangiando tutto quello che li capitava, non badando se era crudo o cotto. E quindi vagando per il paese cacciava gli uomini e le bestie e scorrazzando per i boschi prendeva talvolta gli snelli caprioli e le agili daine, spesso si scontro contro orsi e cinghiali e li uccise con le mani nude: il più delle volte si cibò delle loro carni per nulla badante se avessero ancora la pelliccia.
RIASSUNTO:
In questi due canti Ariosto ci parla delle gesta per nulla eroiche, ma insensate compiute da Orlando per la sua perdita del senno. Inoltre Ariosto, in questi due canti interviene per un lungo intervallo dove ci racconta il suo punto di vista sull’amore.
Orlando si ritrova steso per terra in un bosco dopo aver riposato stanco per tre notti. Al suo risveglio, il quarto giorno, perde il senno: infatti, appena svegliato, si strappa di dosso l’armatura, le armi, lo scudo e vaga per il bosco completamente nudo strappando con estrema facilità alberi enormi come pini secolari come se fossero banali fuscelli. A questo punto un gruppo di pastori accorsi per il gran rumore provocato da Orlando subisce le percosse da parte di questo che prendendone uno gli stacca la testa, mentre un altro lo usa come una mazza contro gli altri e ne stende un paio. Gli altri pastori riuscirono a dileguarsi grazie al fatto che Orlando li aveva persi di vista per avventarsi sul gregge che i pastori avevano lasciato incustodito. A questo punto una gran folla di contadini accorsero da Orlando armati di forconi e altre armi improvvisate per ucciderlo e per mettere fine a quel trambusto. Tuttavia ogni colpo inferto non gli provocò alcuna ferita poiché era dotato da Dio dal dono dell’ invulnerabilità, che, senza questo, sarebbe sicuramente morto. Dopo che parecchi contadini furono uccisi dalle mani nude di Orlando e notando che nessun’arma era efficace contro quel pazzo si ritirarono e Orlando, come se nulla fosse successo, si incamminò verso un borgo di case. Una volta giunto lì non trovò nessuno poiché erano scappati tutti per causa sua ed entrando in una casa notò del pane (cibo per esseri umani) accostato a delle ghiande (cibo per maiali) e, molto provato dalla fame per non aver mangiato per tre giorni gli si avventò contro mangiando tutto ciò che gli capitava tra le mani. Uscito da lì camminò per le vie di quel borgo e uccideva chiunque incontrasse, uomo o animale. Si mise poi a scorrazzare per il bosco catturando lepri e daini e uccidendo a mani nude orsi e cinghiali dei quali poi si cibava con tutta la pelliccia.
ANALISI:
In questi canti traspare chiaramente l’innovazione approntata da Ariosto dove in qualche molto viene ridicolizzata l’immagine perfetta del paladino nel ciclo carolingio fin dall’ inizio; infatti, un paladino non sarebbe mai impazzito e tanto meno, si sarebbe disfatto dell’armatura e delle armi, in particolar modo della sua Durlindana, la famosa spada incastonata di reliquie. Inoltre mai e poi mai un paladino avrebbe fatto come Orlando, ossia strapparsi di dosso anche i vestiti e vagare nudo per il bosco, un paladino poi come Orlando, il più fidato di Carlo Magno, un paladino che, inoltre era al servizio della santa fede. Inoltre un paladino difensore del cattolicesimo che perde il senno per amore di una donna, un amore terrestre, sarebbe un’ eresia. Inoltre successivamente Orlando viene colto da una grande furia, altro aspetto inaccettabile nell’ immagine del perfetto paladino carolingio, tanto che con la sua forza riesce a sradicare alberi grandi come pini come se fossero fuscelli come fa un cacciatore di pennuti. Similitudine: “e svelse il primo e altri parecchi, come fosser finocchi, ebuli o aneti: e fe’ il simil di querce e d’olmi vecchi, di faggi e d’orni e d’illici e d’abeti. Quel ch’ un uccelator che s’apparecchi il campo mondo, fa, per por le reti.”.
Gli ultimi due versi del canto XXIII finiscono con il sospendere la storia di Orlando per inserire una riflessione (dalla stanza 132 alla stanza 4) dell’ autore secondo la tecnica del differire, tecnica alla quale Ariosto fa ricorso più volte. In questo passo l’autore fa risaltare il tema “amore = dolore” e fa una metafora con la trappola per uccelli (collegandosi anche alla stanza 105 del canto XXIII) dicendo che come per l’amore chi mette il piede sulla pania (la trappola per uccelli) cerca di non rimanere intrappolato; inoltre ci dice che l’amore porta comunque alla pazzia, che si dimostrano in vari modi nelle diverse persone, perché la causa è sempre la stessa in quanto la ragione (il senno) sono fragili dinanzi alla passione. Ariosto ci fa un’ altra similitudine paragonando l’amore (la causa della pazzia) a una selva nella quale è impossibile uscirne indenni. Negli ultimo versi della stanza 2 del XXIV canto Ariosto dice che chi persiste nell’ amore ci vogliono le pene e i ceppi e la catena, con i quali si immobilizzano i pazzi furiosi. Nella stanza 3 Ariosto cerca preventivamente una giustificazione a quella che gli possono fare dicendo che si occupa degli sbagli altrui non considerando il proprio e si difende dicendo che ora vorrebbe solo riposarsi ma sa bene di non poterlo fare in quanto il suo male gli è penetrato fin nelle ossa. Il “signor” della quarta stanza si riferisce al cardinale Ippolito d’Este, il cardinale per il quale Ariosto lavorava e che si è rifiutato di seguire e nella stessa stanza Ariosto dice che riprenderà il racconto dove si era interrotto prima dell’intervento dell’autore, servito anche a guidare il lettore potenzialmente confuso dalla sua tecnica del differire. Al termine di questa stanza Ariosto dice che i pastori che Orlando sta per incontrare “lor stella, o qualche lor grave peccato” che sta a significare che ciò gli sta per accadere per mano di Orlando è causata dalla loro cattiva sorte o dalla punizione inflitta da Dio per qualche loro grave peccato. Infatti si capisce la crudeltà che Orlando gli ha fatto subire dalla similitudine verso la fine della quinta stanza dove stacca la testa a uno di questi pastori con le stesse difficoltà che si avrebbero a raccogliere un frutto da un albero. Si ha appunto questa immagine del paladino perfetto impazzito che usa un pastore come arma sugli altri il che non potrebbe essere in nessun modo accettato dai canoni del ciclo carolingio. Dalla stanza 6 alla stanza 11 c’è lo scontro tra questa folla di contadini e Orlando dove, naturalmente, prevale Orlando avvantaggiato dall’ invulnerabilità avuta per grazia di Dio che sarebbe dovuta servire a difesa della cristianità e non per uccidere decine e decine di contadini. In seguito emergerà in Orlando il suo lato animalesco dove si ingozza di pane e di ghiande, cibo appunto per i maiali e dove ancora dopo dove si ciba di carcasse di animali come orsi e cinghiale uccisi da lui stesso a mani nude con ancora il pelo. In questi canti, considerati il cuore, di tutto l’ ”Orlando furioso” poiché la parola furia e strettamente legata alla parola pazzia, oltre a essere presenti numerosi latinismi quali “frate”, “et”, traspare la totalmente inciviltà di Orlando (carattere che dovrebbe essere completamente sconosciuto a un paladino perfetto) che comincia con questo paladino impazzito che si spoglia e vaga nudo sradicando alberi, uccidendo pastori indifesi, mangiando ghiande e animali non squoiati: un immagine che Ariosto ha voluto inserire per svalutare quella perfetta e precedente del ciclo carolingio.

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