Schede di Calvino

Materie:Appunti
Categoria:Letteratura

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Testo

- Scheda libro su Italo Calvino -
Indice:
- Biografia Dell’autore
- I Nostri Antenati
- Il Sentiero Dei Nidi Di Ragno
- Il Visconte Dimezzato
- Il Barone Rampante
- Il Cavaliere Inesistente
BIOGRAFIA
Italo Calvino nasce, il 15 ottobre 1923, a Santiago de Las Vegas, un villaggio vicino all'Avana, (Cuba), dove il padre dirige una stazione sperimentale di agricoltura e una scuola d'agraria. Dal padre agronomo e dalla madre botanica riceve un'educazione rigorosamente laica.
Nel 1925 la famiglia ritorna in Italia, e si stabilisce a San Remo, nella Villa Meridiana che ospita la direzione della Stazione Sperimentale di Floricoltura, dove Calvino vive «fino a vent'anni in un giardino pieno di piante rare ed esotiche».
Compiuti gli studi liceali, viene avviato dai genitori agli studi di Agraria, che non porta a compimento. Per quanto, infatti, tenti di seguire la tradizione scientifica familiare, ha già «la testa alla letteratura». Inoltre, ad interrompere gli studi si intromette la guerra. Dopo l'8 settembre 1943, Calvino si sottrae all'arruolamento forzato nell'esercito fascista, e assecondando un sentimento che nutriva fin dall'adolescenza, si aggrega ai partigiani della Brigata «Garibaldi», e fa così «la prima scoperta del lancinante mondo umano».
Dopo la liberazione, aderisce al Partito Comunista Italiano, collabora a giornali e riviste, e si iscrive alla Facoltà di Lettere di Torino, dove nel 1947 si laurea con una tesi su Joseph Conrad. A Torino collabora al «Politecnico» di Vittorini, ed entra a far parte del gruppo redazionale della casa editrice Einaudi. In quell'ambiente «interdisciplinare, aperto alla cultura mondiale», matura la sua vocazione a «scrivere pensando ad uno scaffale di libri non solo di letteratura».
Nel 1947 esordisce come scrittore, pubblicando, grazie a Pavese, Il sentiero dei nidi di ragno.
A questo romanzo, con cui si rivela il più giovane e dotato tra gli scrittori neorealisti, segue il volume di racconti Ultimo viene il corvo (1949).
Negli anni Cinquanta e Sessanta svolge le funzioni di dirigente nella casa editrice Einaudi; ed intensifica sempre più la sua attività culturale e il suo impegno nel dibattito politico-intellettuale, collaborando a numerose riviste.
Inoltre si impone nel panorama letterario italiano, come il più originale tra i giovani scrittori, in seguito alla pubblicazione della raccolta dei Racconti (1958), e soprattutto del volume I nostri antenati (1960), che comprende la trilogia di romanzi fantastici e allegorici sull'uomo contemporaneo: Il visconte dimezzato (1952), Il barone rampante (1957), e Il cavaliere inesistente (1959). In questi anni pubblica anche l'importante saggio Il midollo del leone (1955), e raccoglie e traduce Le fiabe Italiane che pubblica nel 1956, anno in cui i fatti di Ungheria provocano il suo distacco dal PCI e lo conducono progressivamente a rinunciare ad un diretto impegno politico.
Tra il 1959 e il 1967 dirige, insieme a Vittorini, l'importante rivista culturale letteraria «Il Menabò», in cui pubblica interventi caratterizzati da un impegno di tipo etico-conoscitivo, quali Il mare dell'oggettività (1959) e La sfida del labirinto (1962). Nel 1963, anno della neoavanguardia, pubblica, oltre a Marcovaldo, il racconto costruito ancora su schemi di tipo tradizionale La giornata di uno scrutatore, con cui si chiude il ciclo apertosi all'incirca un decennio prima.
Nel 1964 si apre una nuova fase della vita e della carriera di Italo Calvino: sposa l'argentina Judith Esther Singer, e si trasferisce a Parigi, da dove continua a lavorare per l'Einaudi, e dove viene a contatto con gli ambienti letterari e culturali più all'avanguardia. Nel 1965 nasce la figlia Abigail, ed esce il volume Le Cosmicomiche, a cui segue nel 1967 Ti con zero, in cui si rivela la sua passione giovanile per le teorie astronomiche e cosmologiche. Il nuovo interesse per le problematiche della semiotica e per i processi combinatori della narrativa trova espressione anche ne Le città invisibili (1972), e ne Il castello dei destini incrociati (1973). Intanto cresce il suo successo e il suo prestigio in tutto il mondo.
Negli anni Settanta - anni in cui nutre una residua speranza nella ragione, pur avvertendo un degradarsi generale della vita civile italiana e mondiale - Calvino pubblica numerosi interventi, prefazioni e traduzioni in molte lingue, e collabora prima al «Corriere della Sera», poi alla «Repubblica». Nel 1979 esce il romanzo Se una notte d’inverno un viggiatore, che diviene subito un best-seller.
Nel 1980 si trasferisce a Roma, e pubblica una raccolta dei suoi saggi più importanti, Una pietra sopra. Nel 1983 escono i racconti di Palomar, ricchi di disillusa amarezza. Nel 1984 la crisi della casa editrice Einaudi lo induce a passare all'editore Garzanti, presso cui pubblica il volume Collezione di sabbia, oltre alla riedizione delle sue opere più importanti.
Nel 1985, avendo ricevuto l'incarico di tenere una serie di conferenze negli Stati Uniti a Cambridge, alla Harvard University, prepara le Lezioni Americane, che tuttavia rimarranno incompiute, e saranno edite solo postume nel 1988. All'inizio di settembre, infatti, Italo Calvino muore all'ospedale di Siena, colpito da un'emorragia celebrale.
I NOSTRI ANTENATI
Scritti nel corso di un decennio e pubblicati separatamente, i tre romanzi brevi, Il visconte dimezzato (1952), Il barone rampante (1957) e Il cavaliere inesistente(1959), sono stati riuniti nel 1960 nel volume I nostri antenati. Questa trilogia vuole essere un allegorico ritratto in divenire dell’uomo, o meglio dell’intellettuale, contemporaneo: un’ironica, divertente e fiabesca metafora dei limiti, dei condizionamenti e delle possibilità della ragione umana di conoscere e confrontarsi con la realtà storica e sociale.
In tutti e tre i romanzi la narrazione è affidata ad un narratore interno, diretto testimone o protagonista secondario della vicenda: il nipote del visconte ne Il visconte dimezzato, il fratello del barone ne Il barone rampante e la monaca Teodora, che alla fine s’identifica con il personaggio di Bradamante, ne Il cavaliere inesistente. Celandosi dietro la mediazione di narratori-personaggi, così da poter osservare dall’esterno le vicende dei personaggi, Calvino proietta in un lontano e fantastico passato (rispettivamente la fine del Seicento, il Settecento e l’epoca di Carlo Magno) i modelli di comportamento umano che agiscono nella società contemporanea. Per l’appunto, nelle figure dei tre protagonisti - nel visconte Medardo di Terralba, diviso letteralmente a metà in seguito ad uno scontro con i Turchi, nel barone ligure Cosimo Piovasco di Rondò, vissuto tutta la vita sugli alberi, ed infine nel cavaliere Agilulfo di cui esiste solo l’armatura - si possono riconoscere «i nostri antenati».

IL VISCONTE DIMEZZATO
Riassunto
Il racconto, narrato in prima persona dal nipote del protagonista, descrive le vicende del giovane visconte Medardo che, recatosi nella pianura di Boemia come soldato cristiano durante la guerra contro i Turchi, nella prima battaglia si getta contro una palla di cannone che, prendendolo in pieno, lo divide esattamente a metà.
Quando la metà “sopravvissuta” del visconte fa ritorno a casa si comporta in modo molto strano, rifiutando le cure e ogni approccio o incontro con chiunque, e il padre, il vecchio visconte Aiolfo, che da tempo non si occupava d’altro che dei suoi uccelli, come mezzo di comunicazione, gli invia un’averla che, però, gli viene restituita morta e mutilata in metà del corpo. A seguito di questo il vecchio visconte muore e Medardo esercita così il potere sui terreni di famiglia.
Da allora in poi si instaurerà nelle terre dei visconti di Terralba un clima di terrore dovuto alla crudeltà di Medardo verso il popolo e animali: uccide e mutila decine di persone senza motivazione, dimostrando una cattiveria ferocissima, anche verso i membri della propria famiglia; esilia la propria balia Sebastiana tra i lebbrosi; tenta di uccidere il nipote; brucia case e persone e, soprattutto, divide a metà (così com’era lui) tutti gli esseri viventi che lo circondano.
Un giorno incontra una pastorella di nome Pamela e decide che deve essere sua. La giovane, perseguitata dal visconte, cerca rifugio nel bosco.
In tutta questa prima parte del racconto sembra che, dall’impatto con la palla di cannone, sia sopravvissuta solo una delle due metà del corpo del visconte.
Un giorno, il giovane narratore incontra lo zio sulla riva di un fiume e questi si dimostra gentile e premuroso, stupendo il nipote che nota di parlare con la metà sinistra del visconte, anziché la destra.
Da questo punto in poi si delineano due figure differenti: una di una crudeltà disumana, l’altra totalmente buona e sensibile. Da qui si scopre che, dopo l’incidente, anche l’altra metà del visconte fu riportata in vita da alcuni eremiti e che adesso anche questa era tornata a casa..
Il Buono stringe amicizia con Pamela, mentre il Gramo agisce in modo da essere sempre più detestato dalla popolazione. A seguito della richiesta di matrimonio da parte di ognuna delle due metà a favore di Pamela, la giovane decide di mettere in atto uno stratagemma dicendo ad entrambi che di voler sposare proprio quello con cui parlava in quel momento.
Entrambi accettano, ma, a seguito di un contrattempo, Pamela sposa il Buono facendo infuriare il Gramo che non era riuscito ad arrivare in tempo per le nozze. Per questo motivo i due si sfidano a duello e, nel corso del combattimento, si feriscono reciprocamente proprio dove erano presenti le cicatrici dell’intervento. Il dottor Trelawney, il medico del palazzo, riesce a ricongiungere le due metà riformando il visconte e dando a Pamela un marito normale e, soprattutto, né buono né cattivo, ma umano, così com’era prima della battaglia contro i Turchi.
Commento
La caratteristica principale, che nel corso della lettura si può facilmente notare, è una certa ambiguità di fondo, comune a tutti i personaggi del romanzo. Infatti, in quasi tutte queste bizzarre persone convivono delle contraddizioni: il codardo e inetto dottor Trelawney è un genio del tressette, i lebbrosi di Pratofungo sono poveri e moribondi, ma capaci ancora di continui festeggiamenti che spesso sfociano in vere e proprie orge, mastro Pietrochiodo, uomo onesto e benevolo, è l’inventore però di crudeli strumenti di tortura e morte.
A Calvino, infatti, interessava soprattutto «il problema dell’uomo contemporaneo (dell’intellettuale, per essere più precisi) dimezzato, cioè incompleto, “alienato”»; e , proprio per questo, ha dimezzato i suoi personaggi «secondo la linea di frattura tra “bene-male”», perché ciò gli «permetteva una maggiore evidenza di immagini contrapposte.».
D’altra parte, sottolinea lo stesso scrittore, «i miei ammicchi moralistici… erano indirizzati non tanto al visconte quanto ai personaggi di cornice, che sono le vere esemplificazioni del mio assunto: i lebbrosi (cioè gli artisti decadenti), il dottore e il carpentiere (la scienza e la tecnica staccate dall’umanità), quegli ugonotti, visti un po’ con simpatia e un po’ con ironia (che sono un po’ una mia allegoria autobiografico-familiare, una specie di epopea genealogica della mia famiglia) e anche un’immagine di tutta la linea del moralismo idealista della borghesia».
Così, questo continuo parallelo tra comportamenti e caratteristiche contrapposte rafforza ancora di più il messaggio dell’autore che non condanna e, contemporaneamente, non giustifica nessun atteggiamento e nessuna azione.
Rende volutamente confusi i confini tra bene e male, dimostra che in ogni azione sono le sfumature, le ragioni, i comportamenti a determinare il senso dell’azione stessa e che, non sempre, le regole predeterminate devono considerarsi assolute e definitive. Ci dice che nessuno è perfetto, come dice anche un antico proverbio, forse troppo poco considerato, e che tutti hanno le loro “miserie” e “squallori”.
Altra caratteristica importante dell’opera è la leggerezza che vi si respira, sia riguardo al linguaggio, semplice e scorrevole, sia relativamente al costante accento ironico che impedisce a Calvino di essere macabro di fronte alle crude atrocità del Medardo maligno o retorico raccontando della zuccherosa e noiosa metà “buona”.
L’autore, aiutato dal contesto fantastico, stupisce anche per l’estrema attualità degli argomenti: durante la lettura, tra le considerazioni ironiche, vengono riportati anche interrogativi morali, riflessioni e domande probabilmente da sempre al centro della riflessione di ognuno di noi.
Al tempo stesso, la sua simpatia e la sua fantasia non vengono mai meno, e si esprimono anche in piccole sottigliezze, come la scelta di nomi come Pratofungo per il villaggio dei lebbrosi o Pietrochiodo per il mastro del paese.
D’altronde, per Calvino, è proprio il divertimento la prima funzione sociale di un’opera letteraria o teatrale e, fermamente convinto che il divertimento sia una cosa seria, a uno studente che lo interroga sul suo libro, Calvino risponde così: «Quando ho cominciato a scrivere Il visconte dimezzato, volevo soprattutto scrivere una storia divertente per divertire me stesso, e possibilmente anche gli altri; avevo questa immagine di un uomo tagliato in due ed ho pensato che questo tema dell’uomo tagliato in due, dell’uomo dimezzato fosse un tema significativo, avesse un significato contemporaneo: tutti ci sentiamo in qualche modo incompleti, tutti realizziamo una parte di noi stessi e non l’altra».
D’altra parte, «è chiaro che - dice con la solita razionale ironia l’io-narrante de Il visconte dimezzato - non basta un visconte completo perché diventi completo tutto il mondo».
I BARONE RAMPANTE
Riassunto
Il racconto, narrato da Biagio (fratello minore del protagonista), attraversa tutta l’esistenza del barone Cosimo Piovasco di Rondò, primogenito di una famiglia nobile in parte decaduta con a capo il Barone Ariminio.
La narrazione inizia con la descrizione di un futile litigio avvenuto il 15 giugno 1767 nella tenuta di Ombrosa, immaginario paesino della riviera Ligure, tra Cosimo adolescente e suo padre, causato dal rifiuto del giovane di mangiare le lumache cucinate dalla perfida e macabra sorella Battista.
In seguito a questo fatto Cosimo decide di salire sugli alberi del giardino di casa per non scenderne mai più.
Dopo il litigio, la vita del protagonista si svolgerà sempre sugli alberi, prima del giardino di famiglia e, in seguito, nei boschi del circondario dove il giovane farà conoscenza di alcuni coetanei e in particolare di un bambina, Viola, di cui rimarrà per sempre innamorato..
La sua vita sarà intervallata anche da parentesi in terre lontane seppur collegate per «via vegetale» alla tenuta del barone. Durante un viaggio a Olivabassa (un paese dell’interno) Cosimo conoscerà degli esiliati spagnoli e si innamorerà di Ursula che però, terminato l’esilio, ritornerà in Spagna mettendo fine alla loro storia. Cosimo è forte, testardo, introverso e scontroso ma onesto e dotato di forza di volontà, fatto che gli consente di non venire mai meno ai propri ideali.
Mantiene una normale vita di relazione con gli abitanti della tenuta, per i quali si offre di fare molti servizi utili guadagnandosi così anche la loro simpatia.
Inoltre prosegue gli studi, impara a cacciare, consolida amicizie e segue la vita di famiglia. Ciò contribuisce sensibilmente a renderlo strano ma anche affascinante agli occhi della società.
La sua fama del ragazzo che vive sugli alberi si diffonde con rapidità e toni impensabili per l’epoca d’ambientazione del racconto. Se all’inizio Cosimo diviene famoso come fenomeno da baraccone e la sua famiglia quasi se ne vergogna, in seguito a rapporti diretti o indiretti con personaggi del calibro di Diderot, Rousseau, Napoleone e lo Zar di Russia.
Cosimo scrive anche un "Progetto di Costituzione di uno Stato ideale fondato sugli alberi", opera che contribuisce alla fama e al rispetto che godeva il personaggio.
Il ritorno di Viola, suo primo amore, fa esplodere un sentimento reciproco in realtà sempre esistito, che si concluderà drammaticamente per una serie di equivoci e cose non dette. Alla fine Cosimo, ormai vecchio e stanco, un giorno si aggrappa ad una mongolfiera di passaggio, e tutti supposero che il vecchio morente fosse sparito mentre volava in mezzo al golfo.
Commento
“Un ragazzo sale su di un albero, si arrampica tra i rami, passa da una pianta all'altra, decide che non scenderà più”. Inizia così la prefazione che Calvino, celandosi dietro il nome anagrammato di Tonio Cavilla, fece, nel 1965, per un’edizione del suo romanzo destinato alle scuole medie.
Questa è, in estrema sintesi, la storia de Il Barone rampante, romanzo che “sfugge ogni definizione precisa”, ma che sicuramente può essere visto come un'allegoria, quindi una metafora che sottintende un significato, ma quale possa essere questo significato non è chiaro.
La storia di Cosimo Piovasco di Rondò è facilmente accostabile alla favola di "Peter Pan" o di "Alice nel paese delle meraviglie", rappresenta quasi un libro scritto per gioco; ma è anche un libro che può essere trovato accostato in uno scaffale a "Don Chicotte" o a "Gulliver", romanzi che sicuramente propongono importanti spunti di riflessione.
Il Barone Rampante è dunque un'avventura scritta per gioco, “anche se il gioco sembra ogni tanto complicarsi e trasformarsi”.
Il fatto di svolgersi nel XVIII dà al libro una certa aria di "serietà", a volte tende anche ad essere un romanzo storico in cui attorno al protagonista si muovono uomini di grande importanza come Napoleone, Diderot, Voltaire; comunque non è neppure un romanzo storico, infatti, questi personaggi illustri del Settecento non sono altro che uno sfondo alla storia di Cosimo, unico e vero protagonista del romanzo, e Calvino usa probabilmente questo stratagemma per conferire dignità e importanza ad un personaggio in parte autobiografico.
Persino l'autore non chiarisce i significati nascosti dell'allegoria:" L'uomo che vive sugli alberi . E' un'allegoria del poeta, del suo modo sospeso di essere nel mondo? E, più in particolare, è un'allegoria del disimpegno? Oppure al contrario dell'impegno? ".
Con certezza possiamo affermare che la salita sugli alberi di Cosimo Piovasco di Rondò è un atto di ribellione all'autoritarismo paterno; ma ciò che intende Calvino con questa ribellione e a chi realmente la rivolge non è chiaro. Il messaggio che comunque traspare dalla lettura del libro è che la disobbedienza e la trasgressione acquistano un senso solo quando diventano “una disciplina morale più rigorosa e ardua di quella a cui ci si ribella.” Da ciò si può notare un grande interesse, da parte dell’autore, per gli atteggiamenti morali e per lo stile di vita che ogni persona.
Il "Progetto di Costituzione di uno Stato ideale fondato sugli alberi", scritto da Cosimo, rappresenta ben altro che un elemento esclusivamente narrativo; è invece la prospettiva dell’autore di un mondo rivolto al futuro, ma fatto però non solo di "progresso", ma anche di idee e di rispetto delle idee.
E’ dunque evidente che con questo libro Calvino intende analizzare anche la società contemporanea, spesso troppo protesa verso lo sviluppo che non sempre è sinonimo di miglioramento. Ciò non ci deve stupire, infatti, Il barone rampante, pubblicato nel 1957, costituisce il secondo libro della trilogia “I nostri antenati”, attraverso la quale lo scrittore voleva fare un allegorico ritratto dell'uomo moderno, e quindi della sua società.
Per l’autore spesso vengono dimenticati o messi in secondo piano i tutti i valori morali e etici, in particolare quelli che riguardano il rispetto per gli altri, che sono alla base per ogni società civile.
Un altro aspetto che è doveroso riportare è la consapevolezza acquisita da Cosimo che le cose appaiono in modo diverso a seconda del punto da cui le si guardano, perciò la salita sugli alberi di Cosimo può essere intesa ad un’apertura verso nuove idee e il rifiuto per rigidi condizionamenti ideologici.
La scelta di Calvino dell'allegoria equivale al suo dire "no", come lo fa Cosimo quando decide di non mangiare le lumache. Quel "no" però si affievolisce quando Cosimo muore volando, attaccato al filo di una mongolfiera, in cielo. La sua morte rappresenta la fine dell'opera, ma anche la consapevolezza dell'esilità dell'allegoria. Essa si è difesa dall'accusa di essere una forma di evasione, ma sente che la sua consistenza è volata in cielo insieme a Cosimo. Calvino termina la propria presentazione con queste parole: ”per chi vuol trarre una morale dal libro le vie aperte sono molte, anche se per nessuna si può essere certi che sia giusta”, quasi volesse tenere segreto al pubblico il vero significato della sua opera.

IL CAVALIERE INESISTENTE
Riassunto
La storia si svolge nel medioevo. Carlomagno e le sue truppe sono accampate alle porti di Parigi, pronte per partire per la guerra contro gli infedeli.
Agilulfo è uno dei paladini del re, ma solo la sua bianca e splendente armatura esiste. Infatti egli parla, cammina, combatte, ma dentro quell’armatura non c’è proprio nulla. Era diventato cavaliere perché aveva salvato la figlia del Re di Scozia da due briganti che la volevano violentare. Per ricompensa, il padre della ragazza l’aveva nominato cavaliere. Da quel momento, Agilulfo era sempre in cerca di imprese eroiche da compiere e del raggiungimento della perfezione, anche se però era completamente privo di sentimenti umani come amore e compassione. Impiega il tempo libero a riordinare e controllare il campo, è sempre sveglio e attento e non lesina ordini e critiche a sottoposti e colleghi, atteggiamento che lo rende piuttosto inviso.
Arriva al campo anche un altro cavaliere, Rambaldo. Egli vuole vendicare il padre ucciso dal soldato moro Isoarre. Il giovane, però, è molto inesperto. Non conosce nulla di guerre e di combattimenti e quindi fa tante domande. Ma le risposte che riceve sono poco chiare, e quindi i suoi dubbi restano tutti. Rambaldo è molto impressionato da Agilulfo, e anche se lo trova un po’ freddo ed antipatico, pensa che sebbene non esista, egli sia la presenza più solida dell’accampamento.
Quando i paladini partono per la guerra, strada facendo, incontrano uno strano tipo: il suo nome è Gurdulu, anzi, ha tanti nomi, perché in ogni paese in cui passa, viene chiamato con un nome diverso.
È un personaggio molto bizzarro, che crede di essere a volte un’anitra o una rana, in altri momenti una minestra o un pesce. Insomma è uno che c’è, ma non sa di esserci, e crede sempre di essere qualcosa di diverso. Carlomagno, divertito dall’uomo, lo assegna ad Agilulfo come scudiero, perché pensa che sia una bella idea quella di mettere quei due insieme, un uomo che non c’è, ma che c’è, ed uno che c’è, ma che in realtà non c’è.
La battaglia contro gli infedeli comincia. Rambaldo cerca Isoarne per ucciderlo, ma in mezzo a quella confusione, la cosa è molto difficile. Riesce solo a trovare ‘il porta-occhiali’ del pagano e a distruggere un paio di occhiali. Isoarne, però, quasi cieco senza i suoi occhiali, va ad infilzarsi diritto contro una lancia cristiana e muore. Rambaldo ha cosi vendicato il padre, ma si ritrova solo sul campo di battaglia pieno di morti. Due pagani arrivano e cercano di ucciderlo, ma grazie all’intervento di un cavaliere sconosciuto, il giovane riesce a salvarsi. Rambaldo vorrebbe ringraziarlo, ma il cavaliere fugge, senza dire il suo nome. Rambaldo, però, scopre che quel cavaliere in realtà è una bellissima ragazza di cui si innamora. La ragazza, Bradamante era il suo nome, è però innamorata di Agilulfo, e non gradisce le attenzioni di Rambaldo.
La sera i paladini si riuniscono per la cena. Agilulfo ha una discussione con gli altri cavalieri che gli rimproverano la sua arroganza nel giudicare il comportamento degli altri e il fatto che lui crede sempre di essere nel giusto. Uno di loro, Torrismondo, allora, gli rinfaccia il fatto che lui non è un vero cavaliere. Infatti, la ragazza che aveva salvato dai briganti non era vergine, ma bensì sua madre, che lo aveva concepito con un cavaliere del Santo Gral. Agilulfo, sconvolto, parte per cercare Sofronia e conoscere quindi la verità. Lo seguono il suo scudiero Gurdulu, Bradamante, che lo ama, e Rambaldo, che non vuole perdere Bradamante perché è innamorato di lei. Torrismondo, invece, parte alla ricerca dei cavalieri del Santo Gral per avere da loro in riconoscimento di paternità.
Agilulfo, alla fine, riesce a trovare Sofronia, prigioniera del Sultano del Marocco; la libera e la riporta in Francia. I due si rifugiano in una grotta per riposare. Alla stessa grotta arriva anche Torrismondo. La sua ricerca non era andata troppo bene. Era riuscito a trovare i sacri cavalieri, ma ben presto si era accorto che quanto si diceva di loro era tutto falso. Essi non erano puri e santi, anzi, con la storia che era il Gral a farli muovere, commettevano gesti crudeli e pretendevano di essere nel giusto.
Torrismondo si innamora subito di Soffronia, ma quando scopre che lei è sua madre, fugge. Anche Agilulfo fugge disperato, non può sopportare il fatto di avere perso anche il suo nome. Ma Torrismondo torna indietro, ha capito, infatti, che Sofronia, non può essere sua madre in quanto era ancora vergine. La ragazza spiega che Torrismondo è il suo fratellastro, dato alla luce da sua madre mentre il re era in guerra. La madre per nascondere il misfatto, aveva abbandonato la figlia con il piccolo, e i due erano vissuti nel bosco fino all’ arrivo dei briganti e di Agilulfo.
Saputa questa verità, Rambaldo giunto nel frattempo alla grotta con Bradamenta, va alla ricerca di Agilulfo per dirgli che il suo nome e il suo titolo non sono più in pericolo, ma scopre così che Agilulfo è sparito. Rambaldo trova solo la sua armatura e stavolta è vuota per davvero. Il giovane, allora, la indossa.
Quando Bradamenta vede l’armatura bianca, crede che sia Agilulfo. Il ragazzo non ha il coraggio di dirle la verità e fa l’amore con la ragazza. Quando questa, però, scopre l’inganno, offesa e ferita, fugge e sparisce per sempre. Il povero Rambaldo passerà tuta la vita a cercarla, e a cercare Agilulfo, l’unico con cui potrebbe parlare dei suoi problemi. Anche Gurdulu, cerca il suo padrone, ma invano. Torrismondo e Sofronia, invece, si stabiliscono a Curvaldia dove il giovane aveva aiutato gli abitanti a liberarsi dai Cavalieri del Gral. La città era molto cambiata perché i cittadini avevano finalmente capito che nulla era impossibile se si voleva veramente, e che un uomo va giudicato per quel che vale. Avevano imparato finalmente ‘di essere al mondo’.
Infine, trascorsi alcuni anni, Rambaldo ritroverà Bradamante in un convento, dove sotto il falso nome di suor Teodora, ha scritto la storia fin qui narrata; scoprendosi innamorati, i due fuggiranno insieme.
Commento
Il cavaliere inesistente fu scritto da Calvino nel 1959: in gran parte rispecchia i pensieri e gli ideali dell' autore di quel periodo, che erano di rifiuto verso i rigidi condizionamenti ideologici e politici, e di apertura nei confronti di una più libera ed immediata realtà, semplicemente ponendosi al servizio della ragione.
Il libro, che solamente ad una prima e superficiale analisi può sembrare una favoletta banale, offre invece al lettore molteplici interpretazioni, che vanno ben al di là della semplice lettura di un’avventura cavalleresca, e lo presentano come un genere di racconto nuovo, dove gli eroi sono più spesso visti in chiave dissacratoria e buffa che come paladini "senza macchia"
Ad un' indagine più accurata e attenta si scopre tra le righe della vicenda un certo ironico e malinconico riserbo, di cui Agilulfo, così misterioso e impenetrabile, ne è l' esempio principale.
Nel corso della storia l’eroe si trasforma anche in portavoce di un pessimismo crescente: infatti il nostro cavaliere inesistente alla fine fallisce e si annulla volontariamente, lasciando l'armatura e le sue prerogative al giovane Rambaldo, via di mezzo tra la pura razionalità Agilulfo e la pura corporeità Gurdulù..
Oltre queste chiavi di lettura, il racconto può essere anche visto come allegoria dell'antenato dell' uomo contemporaneo; "Il Cavaliere Inesistente" , infatti, affiancato da altri due romanzi, "Il barone rampante" e "Il visconte dimezzato", compone una trilogia di figure emblematiche e spesso indecifrabili, quasi a ricostruire un piccolo albero genealogico dell' uomo contemporaneo, ma in modo ironico e paradossale.
Personaggi come Gurdulù, lo strampalato scudiero senza nome, Bradamante, la fiera e valorosa amazzone, il giovane e irrequieto Rambaldo ed Agilulfo stesso, contribuiscono a ad introdurre il lettore nella "favola" del cavaliere inesistente e nella sua atmosfera surreale e immaginaria.
L’ambientazione cavalleresca risulta solamente un pretesto, un espediente usato da Calvino per oggettivare le sue considerazioni (molte delle quali implicite) e poter in un certo senso parlare più liberamente dell' uomo moderno.
Tuttavia, lo sfondo medievale, come i personaggi, anche se in gran parte inventati, ci comunicano pur sempre alcune preziose informazioni sulla società del tempo, che viene letteralmente ridicolizzata da Calvino, a causa delle sue inutili suppellettili e insulse formalità (ad esempio la necessità di salvare una ragazza vergine per diventare cavaliere), e che viene descritta come un età sostanzialmente "vuota", proprio come l' armatura di Agilulfo.
Nel racconto la realtà medievale non corrisponde sicuramente a quella che si legge abitualmente sui testi scolastici, è una realtà profondamente deformata dall'autore, che ci vuole mostrare la vita dei cavalieri, compreso il grande Carlo Magno, non dal lato delle imprese valorose, ma dal lato più umano e forse anche più buffo.
Non è possibile collocare precisamente gli eventi narrati (si parla di una imprecisata battaglia contro i Musulmani e nient' altro), e ciò è in netto contrasto la precisione meticolosa, quasi ossessiva con la quale Calvino elenca i "mille e più" titoli di tutti i paladini, senza mai dimenticarne uno, quasi fossero più importanti dell' avventura stessa che viene raccontata.
La lettura è stata facilitata dalla semplicità del linguaggio usato, unitamente anche ai molteplici significati che può offrire, celati dietro alla favola del cavaliere Agilulfo.
A tal proposito l’autore, difendendosi da una recensione sul suo libro che affermava che l’intera vicenda era un’allegoria sul comunismo e sui comunisti, commentò che l’unica allegoria politica che si poteva ritrovare nel romanzo era la lotta per la libertà del popolo dei Curvaldi.
Aggiunse inoltre che più che un’allegoria, si trattava di “un’indicazione palese dei popoli e delle classi che attraverso la lotta si realizzano sul piano dell’essere”. Quindi la vicenda del popolo dei Curvaldi non costituisce esclusivamente un elemento narrativo, ma contribuisce a renderci più chiari i pensieri e gli ideali che l’autore vuole esprimere.
Ne Il Cavaliere inesistente ha un ruolo molto importante la voce narrante che, mano a mano che procede il racconto, acquista connotati sempre più precisi (svelando infine la propria vera identità) e che dedica maggiore spazio alla riflessione sulla propria funzione di scrittrice e sul tempo della scrittura, sino a far prendere a questa parte quasi il sopravvento sulla storia narrata.
Questo espediente e le modalità con cui viene realizzato assolvono anche la funzione di evidenziare il carattere fittizio della narrazione, le cui vicende si riducono al ghirigoro d'inchiostro tracciato dalla narratrice sul foglio («Ora disegno, qui nel mare, la feluca. La faccio un po' più grossa della nave di prima, perché anche se incontrasse la balena non succedano disastri. Con questa linea ricurva segno il percorso della feluca che vorrei far arrivare fino al porto di San Malò. Il guaio è che qui all'altezza del golfo di Biscaglia c'è già un tale pasticcio di linee che si intersecano, che è meglio far passare la feluca un po' più in qua...»). È anche questo un segnale discreto del progressivo spostarsi della riflessione di Calvino dalla funzione dello scrittore nel reale alla sua funzione di scrittore nell'ambito specifico della dimensione mentale e fittizia della letteratura
IL SENTIERO DEI NIDI DI RAGNO
Riassunto
Il racconto narra le vicende di un ragazzino di nome Pin, che, quasi per gioco, si trova a partecipare alla lotta partigiana contro i tedeschi durante la seconda guerra mondiale, dapprima nel suo paese e più tardi sulle montagne liguri.
Pin, ragazzo ribelle e scanzonato, è orfano e si trova a vivere con sua sorella, una prostituta che della vita ha poco da insegnare al ragazzo. L’unico modo per confrontarsi e parlare con delle persone è entrare nel bar del paese dove i vecchi che lo frequentavano godevano nel sentire Pin cantare le sue ormai famose canzoncine e nel prenderlo in giro. Ed è proprio dal bar che prende vita l’intera vicenda; per vincere una scommessa fatta con le persone al bar, Pin ruba la pistola ad un soldato tedesco e la nasconde in un luogo che solo lui conosce, un luogo quasi magico che per il giovane diventerà il premio da far vedere solo al suo primo vero amico: il sentiero dove fanno i nidi i ragni.
Scoperto, il giovane viene rinchiuso in prigione e torturato dai comandanti tedeschi. Grazie all’aiuto di un giovane e famoso partigiano conosciuto come Lupo Rosso, anch’egli rinchiuso, Pin riesce a fuggire e con il compagno di prigionia scappa per trovare un distaccamento dove potersi arruolare. Per poter sfuggire alle guardie tedesche che li braccavano, i due fuggitivi si nascondono in un campo; Lupo Rosso se ne va e lascia il povero Pin che rimane solo. Il giovane si addormenta e al su risveglio trova un nuovo compagno, Cugino, che lo conduce al distaccamento. Pin entra nei partigiani e fa la conoscenza del capo della squadriglia, il Dritto, che lo manda in cucina a sbucciare patate e ad aiutare il cuoco. Anche lì Pin diventa la mascotte del gruppo, con le sue canzoni ed i suoi innumerevoli scherzi allieta gli ormai stanchi e svogliati partigiani che lo ripagano con la stessa moneta.
Pin non capisce la ragione della guerra ma si allea soprattutto per trovare il tanto sperato amico con cui parlare ed a cui mostrare il sentiero dei nidi di ragno.
Il ragazzo nutre molto rispetto per Dritto perché si rivela semplice e comprensivo nei suoi confronti, anche se, quest’ultimo, non vuole mandarlo mai in battaglia. Una mattina, però, al ragazzo si presenta l’occasione sperata per andare finalmente in guerra; al Dritto viene dato l’ordine di mandare tutti gli uomini in battaglia per fermare l’avanzata tedesca; Pin si trova spaesato perché non essendo mai stato in battaglia o in missione questa sarebbe diventava una cosa più grande di lui e, per questo, il ragazzo inizialmente si ferma all’accampamento.
Dopo la battaglia, al ritorno degli uomini, Pin comincia a cantare una delle sue canzoni prendendo pesantemente in giro Dritto e Gilda che in segreto portavano avanti una relazione; Dritto allora, infuriato, ferma il ragazzo in maniera brusca. Pin, arrabbiato e allo stesso tempo triste torna verso il luogo dove aveva nascosto la pistola ma non la trova: Pelle, partigiano che aveva tradito il suo gruppo, l’aveva presa (Pin gli aveva raccontato, come faceva con tutti per sentirsi importante, la storia della pistola spiegandogli a grandi linee dove si trovava il posto).
Sconsolato, il ragazzo torna dalla sorella e lì trova il suo cimelio: Pelle prima di morire era andato a chiedere i favori della sorella di Pin e come pagamento le aveva dato la pistola. Presa l’arma il ragazzo torna verso i campi dove trova Cugino con cui se ne va contento di aver trovato per la prima volta un vero amico.
Commento
Il Sentiero dei nidi di ragno è il romanzo d’esordio di Calvino e si colloca in modo del tutto originale rispetto ai canoni del neorealismo narrativo, dominanti nell’immediato dopoguerra.
L’autore, nella sua prefazione, precisa che “più di un’opera mia”, il romanzo può essere considerato come “un libro nato anonimamente da un clima generale” caratterizzato da una “esplosione letteraria”, causata da vari fattori.
Il più importante è sicuramente l’esperienza della guerra, che aveva segnato gli scrittori di quel periodo, rendendoli “depositari esclusivi d’una eredità”: questa esperienza comune che, in modo o in un altro, aveva interessato tutti, “stabiliva un’immediatezza di comunicazione tra lo scrittore e il suo pubblico”. Per questo motivo fu facile per gli scrittori del dopoguerra scrivere storie che avevano vissuto di persona o di cui erano stati spettatori che risultassero simili a centinaia di altre vissute e conosciute dalle persone comuni.
Il testo è realistico, in quanto narra le vicende di un ragazzino al contatto con gli adulti durante la guerra partigiana e, oltre alla descrizione di figure verosimili, anche quest’elemento storico rende il racconto credibile e verosimile.
Con questo romanzo Calvino descrive le difficoltà dei partigiani, senza idealizzare le vicende e i comportamenti, e, contemporaneamente, fa riflettere il lettore sul mondo dei giovanissimi spesso incompreso dagli adulti. Il narratore è onnisciente, il linguaggio è semplice e la narrazione veloce è intervallata da molti dialoghi.
Mentre gli altri scrittori partigiani scrivevano diari e memorie, Calvino si proponeva con rigore una ricerca sulla vita partigiana della seconda guerra mondiale.
La scelta fondamentale, sul piano del sistema dei personaggi, consiste nell’utilizzare come punto di vista Pin, che osserva dal suo mondo fiabesco di «bambino vecchio» le esistenze misteriose ed ingarbugliate dei grandi: a volte sono gli amplessi animaleschi della sorella, che Pin spia con «occhi come punte di spillo» dal ripostiglio stretto e scuro che è la sua camera, altre volte sono parole oscure e affascinanti (GAP, troschista, STEN, SIM) alle quali il bambino attribuisce significati favolosi. Pin vede la Resistenza come un’avventura o una fiaba e così una pistola, una P38 rubata ad un ufficiale tedesco, uno degli amanti di sua sorella, diventa l’oggetto magico delle favole, è come la bacchetta magica che permette a Pin di entrare nel mondo favoloso dei grandi. L’unico gioco in questo momento sembra veramente interessargli è la guerra, e Pin vuole parteciparvi, con la cocciutaggine tipica dei bambini. Ma è un gioco duro e difficile, e le regole molto spesso sfuggono a Pin: non capisce i comportamenti e le reazioni di questi uomini, che si trovano a scrivere le pagine tra le più importanti della nostra storia senza nemmeno saperlo. Anche Pin prova a ritagliarsi un suo ruolo, nel modo che conosce meglio: quello del monello beffardo, senza vergogna, senza peli sulla lingua, che con i suoi scherzi spazza via le maschere e le ipocrisie degli adulti.
Pin è un personaggio di confine, sospeso tra un’infanzia che non gli è mai appartenuta e un mondo adulto ancora lontano ed estraneo, ma che tuttavia lo attrae, perché sente che tra gli adulti potrà avere un’occasione di riscatto, potrà trovare un amico, un compagno con cui condividere i sogni e i segreti su cui si basa la sua piccola vita.
Il “Sentiero dei nidi di ragno”, inoltre, si può considerare come un romanzo di iniziazione incompiuta: Pin, infatti, come il protagonista di ogni fiaba, supera diverse prove, anche per mezzo di veri e propri aiutanti, ma la mancanza di consapevolezza lo esclude dal mondo degli adulti, e l’oggetto magico di cui è entrato in possesso (la pistola rubata), non basta a fargli compiere la conquista della maturità.
Un personaggio che, nonostante non abbia un ruolo importante nello svolgersi delle vicende, ha un ruolo fondamentale nel romanzo è il commissario Kim, nelle cui meditazioni si trovano le riflessioni tipiche di Calvino sulla natura e sulla storia. Calvino affida a Kim il compito di esprimere alcune certezze: in particolare il rapporto tra lotta giusta dei partigiani e quella ingiusta dei fascisti e la relazione tra i grandi progetti politici e la partecipazione alla guerra degli uomini del Dritto, mossi solo da istinti elementari. Non a caso nel capitolo IX Kim si propone di studiare e razionalizzare i meccanismi della psiche: la storia, infatti, per Calvino non funziona solo secondo le regole della coscienza, ma anche secondo quelle dell’inconscio, con le sue “paure bambine” e i suoi “furori”.
Alla fine il protagonista troverà l’amico tanto desiderato, e lo troverà proprio nel mondo dei grandi: Cugino, con il suo mantello scuro e le mani grandi, che sembrano di pane, le poche parole brusche e il peso di un grande dolore sulle spalle. Un altro tradito dalla vita, che trova nella guerra un senso, un’alternativa, uno scopo per vivere. Lui, alla fine del romanzo, sarà incaricato di uccidere la sorella di Pin che fa la spia per i tedeschi. Ma Pin non lo capirà, Pin non riesce a decifrare la Storia nei suoi significati profondi, per il bambino, essa rimane come un enigma indecifrabile
Per lui, però, conta solo aver trovato l’amico, e solo in ragione di questo umile affetto umano Il Sentiero dei nidi di ragno può chiudersi con un’immagine di speranza.
«E continuarono a camminare, l’omone e il bambino, nella notte, in mezzo alle lucciole, tenendosi per mano.»
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