Salvatore Quasimodo

Materie:Appunti
Categoria:Letteratura

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Testo

SALVATORE QUASIMODO
Salvatore Quasimodo (1901-1968) è un poeta il cui percorso umano e letterario si è snodato tra la Sicilia mitica e solare e la Lombardia emblema dell’attivismo e della civiltà industriale. Nato a Modica in provincia di Ragusa nel 1901, figlio di un capostazione, trascorre l’infanzia e l’adolescenza in diversi paesi dell’isola a causa degli spostamenti del padre. Dopo aver conseguito il diploma di geometra, ottiene un impiego al Genio Civile e intanto coltiva studi letterati e classici. Durante un soggiorno fiorentino il cognato Elio Vittorini lo presenta al gruppo di letterati che collaborano alla rivista “Solaria” sulla quale vengono pubblicate le sue prime poesie. Si avvicina anche ai poeti ermetici e ne condivide le scelte letterarie. Risentono fortemente dell’Ermetismo, infatti, le sue prime raccolte di versi, Acque e terre, Oboe sommerso, Errato e Apollion, Nuove poesie successivamente verranno ripubblicate in un unico volume intitolato Ed è subito sera. Nel secondo Quasimodo si segnala per un attivo impegno politico e imprime una svolta anche alla sua poesia che diventa strumento di testimonianza civile e di polemica sociale e assume toni più discorsivi. Risalgono a questo periodo le raccolte Giorno dopo giorno, La vita non è sogno, Il falso è vero verde, La terra impareggiabile, Dare e avere. Nel 1959 gli viene conferito il premio Nobel per la letteratura. Muore improvvisamente a Napoli nel 1968.
ALLE FRONDE DEI SALICI di Salvatore Quasimodo
E come potevamo noi cantare
con il piede straniero sopra il cuore,
fra i morti abbandonati nelle piazze
sull’erba dura di ghiaccio, al lamento
5 d’agnello dei fanciulli, all’urlo nero
della madre che andava incontro al figlio
crocifisso sul palo del telegrafo?
Alle fronde dei salici, per voto,
anche le nostre cetre erano appese,
10 oscillavano lievi al triste vento.
IDENTIKIT DEL TESTO
Epoca:1947
Genere letterario: lirica
Forma metrica: endecasillabi sciolti
La lirica trae spunto dal Salmo136 della Bibbia che esprime il dolore degli ebrei durante le schiavitù in Babilonia:” Sui fiumi in Babilonia, là sedemmo e spargemmo lacrime, ricordandoci di Sion (Israele). Ai salici, in mezzo ad essa, appendemmo i nostri strumenti. Come canteremo un cantico del Signore in terra straniera?”. Come gli ebrei non possono intonare il loro canto a Dio durante l’esilio e la schiavitù, così la poesia non può tacere di fronte alla violenza della guerra che colpisce i deboli (il lamento/ d’agnello dei fanciulli), lacera i più sacri vincoli d’amore (all’urlo nero/ della madre che andava incontro al figlio/ crocifisso sul palo del telegrafo), cancella ogni forma di umana compassione (i morti abbandonati nelle piazze). Il silenzio della parola poetica dunque è segno di pietà e di rispetto per chi soffre, è sacrificio del poeta che offre in voto a Dio la sua rinunzia al canto, è protesta contro le atrocità commesse. Il gesto di appendere le cetre alle fronde dei salici può essere però inteso anche come allusione al mutamento dalla poesia di Quasimodo. Egli abbandona la cetra, simbolo di lirica pura, individuale, per approdare e una poesia corale, profondamente calata nella tragicità della storia.

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