Alle fronde dei salici di Salvatore Quasimodo

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Testo

Alle fronde dei salici
di Salvatore Quasimodo

E come potevano noi cantare
con il piede straniero sopra il cuore,
fra i morti abbandonati nelle piazze
sull’erba dura di ghiaccio, al lamento
d’agnello dei fanciulli, all’urlo nero
della madre che andava incontro al figlio
crocifisso sul palo del telegrafo?
Alle fronde dei salici, per voto,
anche le nostre cetre erano appese,
oscillavano lievi al triste vento.

L’opera apre una raccolta di poesie, denominata “Giorno dopo giorno” e pubblicata nel 1947, che trae ispirazione dalle vicende della guerra. La poesia, rappresentante una riflessione sugli avvenimenti relativi la Seconda Guerra Mondiale, appare al contempo interpretazione e testimonianza; inoltre risulta analizzabile su tre diversi livelli:
1) tematico;
2) fonico e metrico – timbrico;
3) delle figure retoriche.
Il testo è chiaramente divisibile in due sequenze tra loro fortemente connesse: la seconda è considerabile come una risposta alla prima, classificabile come domanda retorica. I primi sette versi si aprono infatti con una lunga ed accorata interrogazione circa il valore della poesia in una realtà sconvolta e distrutta dalla guerra, nonché oppressa da disumane atrocità delle truppe di occupazione nazista (1943 – 1945). Leggendo il testo, è anche possibile individuare le immagini raccapriccianti contenute nella prima sequenza:
1) occupazione nazista;
2) rappresaglie;
3) oppressione (…con il piede straniero sopra il cuore…);
4) violazione della pietà (morti abbandonati);
5) urlo (ricollegabile al quadro del pittore norvegese Edvard Munch).
Inoltre, le immagini sono rappresentate in un crescente concitato e drammatico: si riscontra quindi un climax ascendente. La seconda sequenza conferma invece l’inutilità della poesia, non in sé e per sé, ma intesa come “culto della parola”. Nell’Ottocento infatti la poesia era considerata una risposta ai drammi dell’uomo ed il poeta si ergeva come individuo a conoscenza della verità che utilizzava la parola per rivelarla. Al contrario risalta, come urgenza terribile, la realtà dei fatti: il poeta non sa più cosa dire. L’opera tace per la comune angoscia del mondo di fronte agli orrori della guerra (…anche le nostre cetre erano appese, oscillavano lievi al triste vento…) e fatica ad esprimere la propria protesta che risulta muta, un silenzio votivo riferito ad un apporto diretto con la divinità. Lo scrittore esprime grande disperazione per la drammaticità dell’oppressione nazista e, riproducendo suggestive immagini tratte dalla Bibbia, ricalca il modello del salmo CXXXVI (136), nel quale si narrano le sofferenze subite dagli ebrei, considerati schiavi, durante la deportazione a Babilonia: anche il Manzoni ricorse a questa stessa tecnica di confronto fra epoche. Sul piano della misura e della regolarità metrico – ritmica, di fronte ad una realtà distrutta da morte, devastazione e caos, si tende a disciplinare e contenere gli effetti deflagranti del dramma in cui l’autore si trova a scrivere. In un totale di 10 versi endecasillabi, da notare è la caratteristica del settimo (…crocifisso sul palo del telegrafo?…), che risulta “ipermetro” in quanto costituito da 12 sillabe in seguito alla presenza di una parola sdrucciola (per la precisione, l’ultimo sostantivo è caratterizzato dall’accento sulla terzultima sillaba: telegrafo). In tale ambito, può essere utile anche una breve considerazione a livello grammaticale: in presenza di una parola “tronca”, ossia con l’accento sull’ultima sillaba, l’endecasillabo presenta solo 9 sillabe; al contrario, nella maggioranza dei casi, cioè con parole “piane” (aventi l’accento sulla penultima sillaba), il totale di 11 sillabe si mantiene invariato. Da sottolineare inoltre è la presenza di una sola rima (lamento – vento), tuttavia probabilmente casuale sia per la distanza fra i due termini sia per la differenza di contenuti. A livello puramente strutturale, consistente è la presenza degli “enjambement”, che rendono le immagini più concitate, aumentando il ritmo fra i versi 4, 5 e 6. Diffuse sono anche consonanti “allitteranti”, quali la R e la M, nonché N e GN, nelle parole seguenti:
- R: cantare, straniero, sopra, cuore, fra, morti, erba, dura, urlo, nero, madre, incontro, crocifisso, telegrafo, fronde, per, nostre, cetre, triste;
- M, N e GN: in particolare sono da segnalare tre termini assonanti, quali lamento, agnello e fanciullo, che mimano il lamento dei bambini dal punto di vista fonico, creando così una suggestione forte.
A tali figure retoriche, si accompagna un ritmo ascendente nei primi 7 versi, al quale però si alterna un andamento discendente nei restanti. Inoltre, grazie ad una pausa sintattica segnalata dalla punteggiatura, la scansione è più accentuata e, poiché la metrica è molto libera ed è riscontrabile la quasi completa assenza di rime, il livello retorico – stilistico prevale sugli altri. Le stesse parole che hanno forte rilevanza fonica, quali urlo e crocifisso, in realtà costituiscono figure retoriche: per la precisione, sono le metafore – analogie che tramano e costituiscono l’impianto della poesia. In particolare sono rintracciabili i seguenti significati traslati:
- cantare: fare poesia;
- con il piede straniero sopra il cuore: sottomettersi all’occupazione nazista, schiacciati dalla violenza. Poiché il cuore è la sede dei sentimenti, indica la negazione della pace, della comunicazione e dell’amore;
- erba dura di ghiaccio: tramite interpretazione diretta, è possibile realizzare una trasformazione della metafora in una similitudine (erba dura come ghiaccio), ma è anche concessa una lettura più simbolica, che rende l’erba raggelata dall’orrore;
- lamento d’agnello dei fanciulli: innanzitutto indica il lamento dei bambini tenero ed indifeso come quello degli agnelli. A livello simbolico, rappresenta invece il sacrificio dell’innocente, l’olocausto del debole e, in collegamento al campo religioso, l’effigie della purezza: l’immagine ci rimanda anche all’orrore dei lager nazisti;
- urlo nero: l’associazione con il colore nero crea l’idea di un urlo funebre, di morte, lugubre e disumano. Tale metafora è ulteriormente potenziata da una sinestesia: infatti, mentre l’urlo è ricollegabile al campo fonatorio (bocca) o uditivo (orecchio), il nero rientra nel campo semantico visivo (occhi);
- figlio crocifisso sul palo del telegrafo: sebbene in realtà il termine “crocifisso” possa essere sostituito da “impiccato”, chiaro è l’intento dello scrittore di costruire un collegamento con l’immagine di Gesù Cristo crocifisso sulla croce;
- cetre: indicano la poesia poiché nell’antichità, presso i Greci ed i Latini, i versi poetici erano accompagnati da questo strumento musicale;
- triste vento: rappresenta un’atmosfera che porta in sé il male ed il dolore;
Da notare come la prima e la penultima metafora abbiano lo stesso valore traslato: alludono infatti chiaramente alla poesia, che, in base alla confessione dell’autore, non è più in grado di modificare il mondo, bensì può solo gridare denunciando il male. Grazie alla circolarità dei contenuti, quindi, il messaggio che arriva sino a noi è tanto duro e forte quanto realistico: di fronte alle atrocità ed alla barbarie della guerra, il poeta non poteva più cantare ed abbandonarsi all’ispirazione poetica; egli si sente perciò inutile nei confronti di una realtà che lo supera e lo sovrasta. Tale consapevolezza è espressa nel corso dell’intera opera mediante una forte antitesi: l’azione del comporre e scrivere poesie, espressa come “canto” e quindi definibile come celebrazione di gioia, si contrappone infatti alla guerra, considerabile segno raccapricciante di dolore e morte. Queste metafore formano un intreccio, un labirinto di significazioni, evocazioni, ricordi ed immagini che si visualizzano nella nostra mente durante la lettura. In particolare l’urlo nero coinvolge sensazioni complesse in quanto rientrano in parte nella sfera emotiva ed in parte nel campo visivo – uditivo. Soprattutto risulta molto forte l’impatto del nero, che riconduce ad immagini di lutto proprio perché in unione con il lamento. Comunque la poesia, nel suo complesso, nasce da un forte parallelismo tra la dimensione storica descritta (la Seconda Guerra Mondiale) e la tradizione ebraico – cristiana (chiaro è il riferimento al salmo CXXXVI precedentemente citato). Nello specifico, la poesia di Quasimodo non si preoccupa delle caratteristiche formali, ma degli aspetti contenutistici. Nell’intento dello scrittore vi è infatti il desiderio di divenire, anche tramite un linguaggio semplice, quotidiano e diretto, una fonte e testimonianza: la poesia deve quindi rimanere nella memoria dell’umanità.

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