Rissunto IX cap. Promessi Sposi

Materie:Appunti
Categoria:Letteratura
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Testo

IX CAPITOLO
Giunti a destinazione, i tre scesero dalla barca e ringraziarono il barcaiolo. Renzo gli offrì del denaro, ma lui si rifiutò di accettarlo. Nei pressi c’era un barrocciaio che li aspettava e grazie a lui raggiunsero una locanda dove pernottarono e, l’indomani mattina, dopo aver fatto colazione, le donne convinsero Renzo a partire, facendogli capire che la gente avrebbe parlato e che il distacco più ritardato, sarebbe stato ancora più doloroso e quindi il giovane partì trattenendo a stento le lacrime e stringendo fortemente la mano ad Agnese. Nel frattempo Lucia pianse. Dopo di che il barrocciaio le accompagnò dal padre guardiano, al quale consegnarono la lettera di Padre Cristoforo. Mentre l’uomo la leggeva si meravigliava sempre di più e guardava Lucia e la madre con pietà ed interesse. Finito di leggere disse loro di andare dalla “signora”. Così Agnese, Lucia ed il barrocciaio si avviarono dieci passi dopo il frate, il quale, arrivato davanti a d una porta, si fermò per guardare se gli altri venivano e disse al barrocciaio di ripassare fra un paio d’ore, mentre accompagnò le donne dalla signora. Durante il cammino raccomandò loro di comportarsi bene e le fece fermare nella stanza della fattoressa per andare a parlare con la signora. Ritornato le fece entrare. La signora era una monaca di nobili origini che dimostrava circa venticinque anni d’età. Indossava un velo nero, sospeso e stirato orizzontalmente sulla testa, che cadeva dalle due parti. Una bianchissima benda di lino cingeva la sua fronte ed un’altra le copriva parte del viso e del collo. Inoltre, portava un saio attillato sui fianchi ed un ciuffo di capelli che cadeva sulla fronte. Il guardiano raccontò in breve la storia, ma la monaca voleva ascoltarla da Lucia, la quale non riusciva a parlare. A questo punto intervenne la madre, ma la monaca la rimproverò e così la figlia decise di parlare. La signora mandò fuori sia il guardiano sia Agnese e restò sola con Lucia. Il suo atteggiamento era alquanto strano e questo può essere spiegato solo narrando la sua provenienza e la sua storia. Era l’ultima figlia di un principe, però bisogna sapere che a quei tempi vi era la legge del maggiorasco, che diceva che solo i primogeniti avevano diritto all’eredità, mentre i figli cadetti dovevano necessariamente dedicarsi alla carriera militare oppure a quell’ecclesiastica. Gertrude, questo era il suo nome, era perciò destinata a diventare una monaca. Infatti, i primi giocattoli che ricevette furono bambole vestite da monaca e santini. Ma nessuno le aveva detto direttamente di farsi monaca. A sei anni entrò nel convento di Monza e qui crebbe fino all’adolescenza. Le compagne conoscevano il suo destino e la compiangevano, facendole delle carezze malinconiche. Lei, dal canto suo, voleva essere superiore alle sue compagne e suscitare in loro sentimenti d’invidia, ma in realtà era lei che provava invidia, perché quelle ragazze parlavano di matrimonio. Infatti, anche lei voleva sposarsi e sapendo che non lo poteva fare, faceva loro dei dispetti. C’era una legge, che diceva che prima di diventare monaca si doveva essere sottoposti all’esame di un ecclesiastico, chiamato vicario delle monache. Guidata da altre monache scrisse una lettera di supplica. Poi, per un periodo di tempo, fu mandata nuovamente nella casa paterna per pensare bene alla sua vocazione. In questa casa nessuno le rivolgeva la parola, neanche i camerieri e quando c’erano degli ospiti non era invitata a tavola. Solo un ragazzo che lavorava come paggio le diede un po’ d’affetto. Un giorno, mentre Gertrude gli stava scrivendo una lettera, questa fu presa da una cameriera che la consegnò al padre. Il principe la castigò e cacciò il paggio da casa sua. Dopo questo spiacevole episodio Gertrude decise di entrare definitivamente in convento e scrisse una lettera di perdono al padre.

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