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Categoria: | Letteratura |
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LUDOVICO ARIOSTO
Ariosto, che opera per tutta la vita nell’ambiente della corte, rappresenta la tipica figura dell’intellettuale cortigiano del Rinascimento.
Proveniva da una nobile famiglia: nacque l’8 settembre 1474 a Reggio Emilia, città di cui il padre era comandante militare. Nell’84 si trasferì con lui a Ferrara. Tra i 15 e i 20 anni frequentò lì i corsi di diritto, anche se contro la sua volontà. Lasciati quindi gli studi, si dedicò ad approfondire la sua formazione letteraria e umanistica. Essendo venuto a contatto con Bembo, ne subì l’influenza, indirizzandosi verso la poesia volgare. La morte del padre, nel 1500, lo mise di fronte alle necessità della vita e fu così costretto ad assumere incarichi che lui riteneva disdicevoli alla sua dignità di letterato. Assunse anche la veste di chierico pur non avendone la vocazione. Nel frattempo si occupò degli spettacoli di corte, scrivendo la “Cassaria” e i “Suppositi”. Dovendo andare più volte a Roma come ambasciatore, strinse rapporti con ambienti fiorentini nella capitale e quando Leone x della famiglia dei Medici divenne pontefice, l’Ariosto pensò che sarebbe stato invitato a Roma. Ma fu deluso nelle sue aspettative e rimase così a Ferrara, non volendo seguire il cardinale Ippolito. Intanto conobbe a Firenze una donna, Alessandra Benucci, che era però sposata e anche quando questa diventò vedova non poté né convivere con lei né sposarla, avendo egli preso gli ordini minori. Nel 1516 pubblicò la prima edizione dell’”Orlando furioso” e la dedicò al cardinale Ippolito. Nel 1522 divenne governatore della Garfagnana, dove dimostrò di essere abile in campo politico. Nel 1525 tornò a Ferrara, per la quale corte scrisse gli spettacoli, la “Lena” e il “Negromante”. Furono questi gli anni più tranquilli; morì nel 1533.
La sua immagine è quella di un uomo bonario, che si serve di un’ironia benevola per stigmatizzare la corte e la società del suo tempo, oltre a tutta la vita dell’uomo. Tutto questo è fatto nella costante rivendicazione della libertà e dell’autonomia dell’intellettuale: non asservì infatti il suo impegno alle corti. E’ vero che, nel comporre l’Orlando furioso, non fece altro che andare incontro alle esigenze di corte, così come per le commedie. Ma è pur vero che l’Orlando furioso è una proiezione “ironica”, “sorridente”, del mondo della corte, piuttosto che un’opera scritta per la corte stessa.
Le opere minori
Queste vanno dal 1949 al 1503. Ariosto scrisse prima, secondo modelli classici, 67 componimenti in latino, che si possono classificare come un “apprendistato poetico” nel quale imparò ad usare il verso e che si evidenziano per l’intonazione realistica.
Poi ci sono le rime in volgare, la cui composizione lo accompagnò fino al 1527. Trattavano di amore, degli affetti più cari, e c’erano rime d’occasione.
C’erano poi i Capitoli, che trattavano di autobiografia, amore ed erano espressi in un linguaggio colloquiale.
Si occupò anche di teatro, riprendendo la tradizione della corte di Ferrara e inaugurando la commedia cinquecentesca. Le sue opere, la “Cassaria” e i “Supppositi”, erano modellate su qelle di Plauto, ma già si presentava una tendenza che vedeva la prosa privilegiata rispetto al verso. Questa volontà di scrivere le commedie in prosa era determinata un po’ dalla tradizione culturale, un po’ dalla facilità di comprensione della prosa rispetto al verso.
La Cassaria, ambientata nella città greca di Metelino, è caratterizzata dalla serie di trovate astute di molti servi.
I Suppositi si fonda su una serie di scambi di persona e sugli equivoci che ne nascono.
Dopo queste due commedie, l’Ariosto maturò l’idea di un teatro più elevato di toni e più vicino a modelli classici: adottò quindi per le sue commedie i versi. Il “Negromante” e la “Lena” avevano un impianto nuovo. La prima era una presa in giro di tutti coloro che affidavano il proprio destino ai maghi. La seconda trattava, oltre che dell’amore contrastato di due giovani, il tema dell’interesse economico. L’ultima commedia ambientata nel mondo universitario, gli “Studenti”, lasciata incompiuta, fu completata prima dal fratello Gabriele, che la chiamò “L’imperfetta”, poi dal figlio Virginio, che la chiamò “La scolastica”.
Scrisse inoltre 7 satire riferendosi al modello oraziano. Orazio riprese le satire del tipo enniano e diede alle sue il nome di sermoni (chiacchierate di intonazione familiare). Sono satire morali in cui mostra di preferire un ideale di vita pacato ed equilibrato, improntato sull’autarchia (il governo di se stessi) e pratica la teoria del “giusto mezzo”: il non cadere mai negli eccessi.
Ariosto era vicino a questo modello ciò si esprime nell’Orlando furioso nel momento in cui vengono stigmatizzati gli eccessivi comportamenti dell’uomo.
- SATIRA I, indirizzata al fratello Alessandro; Ariosto spiega i motivi per cui non è andato in Ungheria;
- SATIRA II, rivolta al fratello Glasso; contiene una rappresentazione critica della corte papale;
- SATIRA III, dedicata al cugino Annibale Malaguzzi; si tratta della sua vita;
- SATIRA IV, destinata a Sigismondo Malaguzzi; descrive il suo governatorato della Garfagnana;
- SATIRA V, ancora rivolta ad Annibale; parla della vita matrimoniale, con vantaggi e svantaggi;
- SATIRA VI, indirizzata a Pietro Bembo, a cui chiede il nome di un maestro per il figlio;
- SATIRA VII, dedicata a Bonaventura Pistofilo; parla del suo amore per Ferrara.
Lo stile è colloquiale, la struttura è dialogica (è come se l’autore si rivolgesse continuamente ad un suo interlocutore). Queste satire sono una base ineliminabile per capire l’Orlando furioso, proprio perché in esse si descrive il mondo ariostesco, dal punto di vista pratico e morale.
Ariosto scrisse anche delle lettere, ce ne sono giunte 214 e si tratta di lettere private, relazioni diplomatiche, rapporti ai signori, biglietti d’occasione. Sono scritte in un linguaggio semplice ed immediato.