Letteratura provenzale

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Testo

PERIODO STORICO
Tra l’XI e il XII secolo la Francia divenne la culla della nascita di una nuova cultura, che da lì a poco avrebbe avuto un ruolo di rilevante importanza in ambito europeo influenzando in modo profondo la produzione letteraria e il pensiero italiano. Pur avendo confini territoriali ben definiti, la Francia di questo periodo poteva considerarsi divisa in due parti: Francia del sud, caratterizzata dalla nascita e dalla diffusione della letteratura in lingua d’oc (provenzale) e Francia del nord, soggetta a influenze germaniche e in cui si sviluppa la letteratura in lingua d’oil (francese).
DAL LATINO AL VOLGARE
La lingua utilizzata ufficialmente nella produzione letteraria è il latino. Il volgare in ambito letterario compare all’inizio del XIII sec. in Italia e nell’XI in Francia.
Nei secoli dell’antichità latina classica esistevano due varietà di latino:
- quello colto, utilizzato alivello letterario e ufficiale;
- quello parlato quotidianamente dalle persone non colte (SERMO VULGARIS = lingua del popolo).
Nel processo espansionistico della Roma imperiale si diffonde il secondo tipo di latino. Questo sermo vulgaris, a contatto coi popoli conquistati (mescolanza tra sermo vulgaris e le lingue di sostrato), si trasforma, ma, nonostante le diversità che si creano, rimane una base comune, grazie ad una diffusione capillare del latino dovuta a intensi traffici commerciali, all’opera degli eserciti, della scuola e ad un’amministrazione piuttosto ramificata.
Quando si assiste alla frammenatzione dell’Impero Romano (V sec.) si determina anche una frammentazione linguistica perché vengono meno gli elementi che avevano impedito tale frammentazione. Da quel momento si determina una trasformazione linguistica (a livello di lingua parlata) attraverso cui si approda a delle lingue che non sembrano avere più niente a che fare col latino anche se da esso derivano. Si tratte delle lingue parlate nelle aree un tempo soggette alla dominazione romana (francese, provenzale, diversi volgari italiani, rumeno, ladino, sardo, portoghese, spagnolo e catalano). A livello di lingua e comunicazione scritta vige ancora il latino.
Il primo documento che attesta l’incapacità di comprensione del latino da parte delle diverse popolazioni, è un documento redatto durante il Concilio di Tours (voluto da Carlo Magno_IX sec.) in cui si esortano i vescovi a pronunciare l’omelia in lingua romana rustica (volgare).
Il primo documento in cui compare una parte in volgare è il trattato del giuramento fatto a Strasburgo da Ludovico il Germanico (che controlla la Baviera) e Carlo il Calvo (IX sec.). Si giurano fedeltà e alleanza di fronte ai loro eserciti e pronunciarono il giuramento nella loro lingua poi in quella dell’altro (e fu così trascritto dallo storico Nitardo).
In Italia, uno tra i primi documenti in volgare è un indovinello in veronese (VIII-IX sec.):
SE PAREBA BOVES
ALBA PRATALIA ARABA
ET ALBO VERSORIO TENEBA (arava bianchi prati)
ET NEGRO SEMEN SEMINABA
che allude all’arte dello scrivere.
Un altro documento è il Placito (sentenza di tribunale) di Capua (960 d.C.) emesso dal giudice Arechisi. La causa è intentata da un privato contro una persona del monastero di Monte Cassino, per appropriarsi di parte delle sue terre e viene persa dal privato. La sentenza è redatta in latino, ma una delle testimonianze è riportata in lingua volgare.
A livello letterario i primi testi in volgare compaiono in Francia nell’XI sec.
LA NASCITA DEI CAVALIERI
In un periodo regolato dalle rigide norme feudali, solo i figli primogeniti avevano il diritto di ereditare il patrimonio familiare; i figli cadetti potevano entrare in convento oppure dedicasi all’arte militare. Fu però il progressivo aumento di coloro che sceglievano di dedicarsi alle armi a generare la nascita del ceto cavalleresco: coloro che vi appartenevano si tramutarono pian piano da uomini rozzi e prepotenti in difensori della legge e della giustizia, dando vita ad un nuovo concetto di nobiltà, elemento caratterizzante del ceto cavalleresco stesso: una nobiltà misurabile non più in base alla discendenza familiare, ma rintracciabile nei valori insiti nell’animo.
La cavalleria voleva dare di sé un’immagine idealizzata ed eroica. I valori su cui si basava (a livello teorico) questa autorappresentazione, autocelebrazione sono:
- prodezza (coraggio, disprezzo del pericolo, capacità militare);
- sete di gloria (per il proprio signore e per sé stessi);
- onore (rispetto delle norme cavalleresche e delle regole dei combattimenti);
- fedeltà e lealtà (rispetto ai vincoli che legano il singolo al signore)
Su questi valori successivamente intervenne la chiesa, orientandoli in senso religioso e cristiano: sosteneva che fosse compito del cavaliere difendere gli inermi e combattere in difesa della fede e per la sua affermazione contro i nemici interni (eretici) ed esterni (mussulmani). E' proprio in questo periodo e per questi motivi, nel XI-XII sec., che vengono bandite le prime crociate.
Questi ideali, valori, comparvero in un particolare tipo di produzione letteraria: canzoni di gesta, nate nella Francia del nord, in lingua d’OIL e celebravano le imprese militari del passato reinterpretate, rivisitate in chiave cristiana (attribuendovi valori che non esistevano a quel tempo).
Il codice cavalleresco era basato innanzitutto sul rispetto dell’onore e sull’obbedienza assoluta al proprio padrone, per il quale bisognava essere pronti a sacrificare anche la propria vita. Le caratteristiche principali del ceto cavalleresco erano la generosità , la magnanimità, il coraggio e la difesa dei più deboli.
LA CHANSON DE GESTE
La chanson de geste è il tipico componimento usato dalla letteratura francese, quella caratteristica del nord del paese, che si discosta dai componimenti in lingua d’oc per differenza dei temi trattati: accanto alla trattazione dell’amore, che comunque non era inteso come nella letteratura provenzale, compaiono anche l’argomento politico, sociale, religioso e feudale.
LA CORTESIA E LA NUOVA VISIONE DELLA DONNA
Nel corso del XII sec. (dalla fine dell’XI) gli ideali cavallereschi subirono un processo di raffinamento e di ingentilimento che portò all'affermazione degli ideali cortesi, elaborati nelle corti feudali nel nord ma soprattutto nel sud della Francia dove i grandi signori potevano contendere per prestigio, potere e estensione dei possedimenti, con il sovrano stesso. La corte era un piccolo mondo (microcosmo) nel quale si elaboravano rituali, codici di comportamento che facevano leva su valori laici (non più religiosi):
- liberalità o larghezza (disinteresse verso i beni materiali, capacità di donare agli altri, in quanto erano persone che non basavano il proprio lavoro sulla produzione di beni: la loro era una posizione di consumatori, non di produttori)
- magnanimità (grandezza d'animo nel compiere azioni significative, importanti)
- senso della misura (rifuggire dagli eccessi, essere sempre equilibrati)
- il culto dell’eleganza (delle belle cose, della raffinatezza, del conversare raffinato, delle belle forme e della bellezza)
Tutti questi elementi costituivano la cortesia, sistema di valori da usare a corte, che si contrapponevano alla villania, propria dei villani, dei contadini (rozzi, volgari, meschini, piccoli d'animo).
Altri elementi degli ideali cortesi erano:
- il senso di nobiltà, non legato all'appartenenza dinastica, all’appartenenza ad una determinata famiglia, bensì alle virtù interiori dell'uomo
- la profonda valorizzazione della donna, che divenne il fulcro della vita a corte, personificazione degli ideali su cui si basava la cortesia e ispiratrice di quegli ideali.
L'AMOR CORTESE
Dal culto della donna, essere impareggiabile ed irraggiungibile, presentata con attributi divini e dotata di ogni virtù, nacque una nuova concezione dell’amore: l'amore cortese (che troviamo nelle produzione provenzale), caratterizzato dal fatto che gli amanti si ponevano in una dimensione di subordinazione, sottomissione, obbedienza e servizio rispetto alla donna amata. L'amore dell’amante, con forti elementi di fisicità e sensualità, si traduceva in una tensione perennemente inappagata (quindi non si arrivava mai all’atto carnale), perché se l’amore fosse stato consumato, trasformato in termini concreti, avrebbe fatto cessare il processo di nobilitazione interna e raffinamento morale tipico di esso. Si parla, infatti, di amore fino, rigorosamente adultero, fuori del vincolo del matrimonio, poiché l’amore coniugale non poteva comportare un amore di questo tipo, in quanto i matrimoni erano fatti a fini utilitaristici. Questo tipo di amore poteva portare a tormento e sofferenza, ma che di solito era gioia, ebbrezza, energia e pienezza vitale. Il nome della donna amata era tenuto celato e si utilizza un nome fittizio per tutelarla, proteggerla dalle maldicenze.
L’amore fino era però una passione dominante e totalizzante in contrasto con i valori cristiani, inconciliabile con la fede (poiché spesso la donna era vista come una divinità e il suo culto “sostituiva” quello di Dio), il che spesso provocava un senso di colpa, in quanto la chiesa condannava l'amore fino.
Tutti questi elementi, caratterizzanti l’amore fino, si possono trovare nella lirica Trobadorica, provenzale.
LA LIRICA PROVENZALE O TROBADORICA
Nella lirica provenzale che fiorisce nel XII sec. Nella Francia meridionale uno dei temi dominanti è l’amore fino.
Fiorisce ad opera di poeti chiamati trovatori che compongono i testi e la musica da cui i testi vengono accompagnati. (trobar →comporre poesia sia in versi che musica).
Recuperano la tradizione latina e greca della poesia.
E’ una produzione destinata alla produzione orale nelle corti che veniva attuata o dal trovatore o da un giullare che era un mimo - buffone, ma non privo di cultura.
Nel XIII sec. I componimenti incominciarono ad essere redatti in forma scritta e raccolti in canzonieri che contemplavano la presenza di vidos e razos, cioè informazioni biografiche sui poeti trasfigurate leggendariamente e i commenti delle poesie.
Molti dei componimenti non sono anonimi e questo dimostra che comincia ad essere valorizzata la componente creativa individuale.
I poeti sono di classi sociali diverse (potenti, feudatari, nobili, umili).
La poesia diventa strumento di affermazione nella corte anche per gli individui più umili.
I temi sono vari: l’amore (predominante) che vede affermarsi alcune convenzioni topiche (luoghi comuni), politico, militare, satirico – politico.
Le due modalità che si affermano sono:
1-Trobar leu→ il poetare leggero, esplicito, scorrevole in cui si usa un linguaggio semplice e in cui l’uso delle figure retoriche è scarso.
2-Trobar clus→ è il poetare chiuso, difficile da comprendere, ambiguo, enigmatico e caratterizzato dall’uso di termini preziosi e da sovrabbondanza di figure retoriche.
I TROVATORI
I giullari raggiunsero la loro massima diffusione nel Basso Medioevo: venuta meno la tradizione scenica dell’antichità, l’unica forma di teatro profano che sopravvive è la spettacolarità diffusa degli intrattenitori. Fare il giullare era comunque un mestiere, o almeno un modo per ricavare da vivere mediante l’esibizione delle proprie abilità.
Nel XIII e nel XIV secolo, con il termine “giullare” s’intende una vasta gamma di tipologie di intrattenitori, che si esibiscono anche in luoghi improvvisati, come taverne, strade e piazze dei mercati.
Anche il pubblico dei giullari è molto eterogeneo, poiché comprende sia le famiglie nobiliari sia i ceti popolari.
Durante le “corti bandite”, cioè i festeggiamenti organizzati nei palazzi in occasione dei matrimoni o di altri eventi eccezionali, i giullari accorrono in gran numero cercando di offrire il loro spettacolo in cambio di denaro e regali.
A partire dal XIV secolo, molti suonatori e buffoni riusciranno a stabilirsi in modo permanente nelle corti d’Europa, sottraendosi così ai disagi e ai pericoli della vita girovaga.
I giullari che viaggiavano per vendere il loro spettacolo a un pubblico prevalentemente popolare avevano un repertorio molto diversificato, che poteva spaziare dalle performances acrobatiche alla recitazione di chansons de geste. La maggior parte degli intrattenitori sapeva suonare almeno uno strumento musicale, anche senza conoscere la musica. Molto diffusi erano gli esibitori di animali ammaestrati, come orsi e scimmie. Ma anche i danzatori, gli equilibristi e i giocolieri erano uno spettacolo frequente nella vita quotidiana medioevale. Gli intrattenitori che si producevano in esercizi di abilità ginnico-acrobatica o che esibivano animali ammaestrati si rivolgevano soprattutto a un pubblico popolare, mentre i buffoni di corte si sbizzarrivano in virtuosismi verbali, con storielle comiche, scioglilingua e frizzi di ogni genere.
A partire dalla fine del XIV secolo, dal variegato e multiforme mondo dei giullari finirono per emergere i buffoni di corte, che risiedevano stabilmente nei palazzi per allietare i momenti ricreativi dei nobili.
Una figura talvolta assimilata al giullare è il trovatore, che è però in primo luogo un compositore di versi e melodie, cioè si diletta nella nobile arte dell’inventio letteraria o musicale. Inoltre, a differenza del giullare che chiede doni o denaro, il trovatore è disinteressato. In verità anche molti trovatori giravano per le corti d’Europa in certa di ospitalità e favori, altri, invece, erano ricchi e di origine nobile. Il più antico trovatori di cui si abbia notizia è addirittura Guglielmo IX (1071-1127), duca d’Aquitania e conte d’Alvernia. I trovatori divennero sempre più numerosi a partire dal XIII secolo, con la diffusione della poesia epica e della letteratura cortese.
I giullari di corte e i trovatori erano più fortunati degli altri intrattenitori, poiché agivano soprattutto in ambienti aristocratici, mentre la maggior parte dei giullari doveva arrabattarsi per vivere.
I buffoni assunti in servizio permanente a corte potevano infatti contare su elargizioni costanti, mentre i giullari girovaghi finivano spesso per confondersi con i mendicanti. Tuttavia, se anche alcuni giullari di corte si arricchirono al punto di diventare possessori di terre e di case, pare che la maggior parte di essi dilapidasse velocemente il denaro accumulato per poi finire la propria vita in miseria.
La varietà e l’eterogeneità degli intrattenitori medioevali trovano conferma nella molteplicità dei termini usati per designarli. Alla fine del XIII secolo, il trovatore Guiraut Riquier scrisse una supplica al re di Pastiglia Alfonso X, per pregarlo di porre fine alla confusione di nomi utilizzati per indicare i giullari. Giuraut era un trovatore, per cui si sentiva superiore, dal punto di vista professionale e sociale, ai giullari che chiedevano soldi per le strade in cambio di un misero spettacolo: strimpellatori di strumenti musicali, acrobati, prestigiatori, esibitori di marionette e così via. Come argomenta Riquier, l’opera del trovatore è qualcosa che rimane e non dura soltanto per il tempo dell’esecuzione. La tradizione della cultura orale comincia insomma a cedere il posto al crescente prestigio della scrittura. La risposta del re, scritta anch’essa probabilmente da Riquier, stabilisce dunque che debbano essere chiamati “giullari” (joglars) soltanto coloro che suonavano o contavano in modo appropriato le canzoni altrui, mentre il titolo di “trovatori” spetta a colui che compone versi o melodie. Nella realtà le categorie erano, però, meno differenziate e la confusione terminologica non accennò a diminuire. A partire XIII secolo, per esempio, viene usato sempre più spesso il termine “menestrello”. Come suggerisce l’etimologia stessa della parola (da ministerium, servizio), originariamente era riservato ai giullari a servizio permanente presso un signore. Nei secoli successivi il termine passò a indicare i giullari in genere, o almeno gli intrattenitori che cercavano di distinguersi dai loro colleghi di infimo livello.
I trovatori danno voce mediante la poesia alla loro personale dimensione psicologica, una dimensione completamente occupata dalla figura femminile identificata come l’essere capace di ingentilire chi le sta accanto. I cantori di questa nuova forma letteraria potevano considerarsi tali solo dopo un lungo tirocinio, per mezzo del quale potevano imparare ad esprimere i sentimenti più profondi anche in modo “oscuro”, comprensibile solo a chi altamente competente. Essi diedero vita a due stili differenti: il trobar clus, ovvero il poetare chiuso, poco comprensibile; e il trobar lai, meno astruso.
I COMPONIMENTI
I trovatori usavano esprimere quanto di più caratteristico della loro anima mediante differenti tipi di componimento: la ballata, la tenzone, il compianto, il discordo, l’alba, la pastorella, il sirventese, ma quello che eccelleva fra tutti era la canzone, con accompagnamento musicale.
I TRE CICLI
La letteratura francese si articola in tre cicli: il ciclo carolingio, il ciclo bretone e il ciclo dei cavalieri antichi. Quello carolingio tratta le imprese di Carlo Magno e dei suoi paladini, impegnati nella lotta contro la “minaccia” musulmana (che in realtà non rappresentava alcun pericolo), esaltando le virtù della chiesa e gli ordinamenti feudali. Il ciclo bretone tratta le imprese di re Artù e dei Cavalieri della Tavola Rotonda impegnati nella ricerca del Santo Graal, caratterizzato da temi piuttosto differenti rispetto a quelli dl ciclo carolingio: viene infatti introdotto l’elemento fiabesco, assieme alla magia e allo spirito di avventura dei cavalieri che si allontanano continuamente dalla corte in cerca di nuove esperienze. Esiste una profonda differenza tra i due cicli finora citati: le avventure dei paladini sono strettamente collegate ai valori cristiani e alla figura del signore, naturalmente impersonata da Carlo Magno, per il quale i cavalieri lottano. I cavalieri del ciclo bretone, invece, hanno quasi una loro indipendenza: si spostano dalla corte a loro piacimento in cerca di gloria personale con lo scopo, mediante le avventure intraprese, di conquistare l’amore della donna amata. Il ciclo dei cavalieri antichi tratta infine l’argomento mitologico misto a elementi tipici di quel periodo.
NUOVI GENERI LETTERARI
Grazie al pubblico, che diventa sempre più variegato ed esigente, nascono nuovi generi letterari: i lais, poemetti satirici in versi; i fabliaux,, poemetti comici di trattazione oscena o grottesca in linguaggio scurrile. Il Roman de Renardè, invece, è un romanzo allegorico i cui protagonisti sono degli animali parlanti. Il Roman de la Rose tratta un tema allegorico mediante la descrizione di un sogno.
LA TRASMISSIONE CULTURALE
Ognuno dei cicli era caratterizzato, oltre che dalla diversità dei temi, anche dal pubblico al quale era destinato. Il ciclo carolingio era dedicato prevalentemente al popolo, alla gente ignorante, per cui veniva trasmesso oralmente: una pratica a cui va ricollegata l’importantissima figura del giullare. Il ciclo bretone, invece, era destinato alla fascia nobile della società, dunque veniva scritto in versi.
STILE E LINGUAGGIO DELLE CANZONI DI GESTA
Non essendo testi trasmessi oralmente, venivano recitati da cantori sulla base di un accompagnamento musicale. Erano in versi decasillabi, lunghi e solenni, raggruppati in strofe dette lasse. I versi erano ricchi di assonanze, cioè dal ricorrere, nelle parole finali, delle stese vocali a partire dall’accento tonico. Il romanzo cortese-cavalleresco usava, invece, l’ottonario a rima baciata, che conferiva una certa piacevolezza al testo.

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