Leopardi la vita

Materie:Appunti
Categoria:Letteratura

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LA VITA

La famiglia Leopardi poteva essere anoverata tra le più cospicue della nobiltà terriera marchigiana, ma si trovava in cattive condizioni patrimoniali, tanto da dover osservare una rigida economia per conservare il decoro esteriore del rango nobiliare. Il padre era un uomo colto, che nel suo palazzo aveva messo insieme una notevole biblioteca, ma di una cultura attardata e accademica. I suoi orientamenti politici erano ferocemente reazionari, ostili a tutte le idee nuove che erano state diffuse dalla Rivoluzione francese e dalle campagne napoleoniche. La vita familiare era dominata soprattutto dalla madre, donna dura e gretta, interamente dedita alla cura del patrimonio dissestato, ed era caratteristico da un’atmosfera autoritaria, arcigna, priva di confidenza e di affetto. Giacomo, come era costume nelle famiglie nobili del tempo fu istruito inizialmente da precettori ecclesiastici, ma ben presto, intorno ai dieci anni, non ebbe più nulla da imparare da essi e continuò i suoi studi da solo, chiudendosi nella biblioteca paterna, per quei “sette anni di studio matto e disperatissimo”: imparo in breve tempo, oltre il latino, anche il greco e l’ebraico, condusse lavori filologici che stupirono i dotti dell’epoca, compose vaste opere di compilazione erudita, quali La Storia dell’astronomia (1813) e il Saggio sopra gli errori popolari degli antichi (1815). Se questa vasta produzione intellettuale lascia sbalorditi in un adolescente, c’è anche da osservare che ne emerge il quadro di una cultura arcaica e superata, ancora ispirata a modelli arcaico-illuministici, e di un’erudizione arida e accademica, dagli orizzonti ristretti: era la cultura propria dell’ambiente familiare e di quell’attardato mondo provinciale. Anche sul piano politico Giacomo segue gli orientamenti reazionari del padre, come dimostra l’orazione Agli Italiani per la liberazione del Piceno (1815), nella quale esalta il vecchio dispotismo illuminato e paternalistico e vuol distogliere gli italiani dalle aspirazioni patriottiche. Tra il ’15 e il ’16 abbandona le aride minuzie filologiche e si entusiasma per i grandi poeti, Omero, Virgilio, Dante. Comincia a leggere i moderni. Un momento fondamentale della sua formazione intellettuale e della sua esperienza vissuta è costituito dall’amicizia con Pietro Giordani, uno degli intellettuali più significativi di quegli anni, di orientamento classicistico, ma di idee democratiche e laiche. Nella corrispondenza con il Giordani, Leopardi può trovare quella confidenza affettuosa che gli manca nell’ambiente familiare, e al tempo stesso una guida intellettuale. Questa apertura verso il mondo estrerno gli rende ancor più dolorosamente insostenibile l’atmosfera chiusa e stagnante di Recanati e del palazzo paterno. Raggiunge poi la percezione lucidissima della nullità di tutte le cose, che diviene il nucleo del suo sistema pessimistico. Il 1819 è anche un anno di intense sperimentazioni letterarie. Molti filoni sono tentati e subito abbandonati, ma con l’Infinito comincia la stagione più originale della sua poesia. Nel 1822 ha la possibilità di uscira da Recanati e di vedere il mondo esterno a quella “tomba de’ vivi”: si reca a Roma ospite dello zio Carlo Antici. Ma l’uscita tanto desiderata si risolve in una cocente disillusione. Gli ambienti letterati di Roma gli appaiono vuoti e meschini. Tornato a Recanati nel ’23, si dedica alla composizione delle Operette morali, a cui affida l’espressione del suo pensiero pessimistico. Nel ’25 gli si offre l’occasione di lasciare la famiglia e di mantenersi con il proprio lavoro intellettuale: un editore milanese intraprendente e di moderne concezioni, lo Stella, gli offre un assegno fisso per una serie di collaborazioni, un’edizione di Cicerone, un commento al Tetrarca, un’antologia della poesia e una della prosa. Trascorre l’inverno ’27-’28 a Pisa: qui la dolcezza del clima una relativa tregua dei suoi mali favoriscono un “risorgimento” della sua facoltà di sentire e di immaginare. Nella primavera del ’28 nasce così A Silvia, che apre la serie dei “grandi idilli”. Le necessità economiche però lo incalzano. Nell’autunno 1828, aggravatesi le condizioni di salute, divenuto impossibile ogni lavoro e sospeso l’assegno dell’editore, è costretto a tornare in famiglia a Recanati. Nell’aprile del ’30 si risolve ad accettare una generosa offerta degli amici fiorentini, che pochi mesi prima aveva respinto per fierezza: un assegno mensile per un anno. Lascia così Recanati per non farvi più ritorno. A Firenze fa anche l’esperienza della passione amorosa, per Fanny Targioni Tozzetti. La delusione subita ispira un nuovo ciclo di canti, il cosiddetto “ciclo di Aspasia”, in cui compaiono soluzioni estetiche decisamente nuove.
Nato a Recanati il 29 giugno 1798 muore a Napoli il 14 giugno 1837.

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