La storia del teatro.

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Testo

IL TEATRO

1) Le sacre rappresentazioni
Dopo la decadenza del teatro latino, di cui l’ultimo importante esponente è Seneca con le tragedie, in tutti i secoli successivi non esiste una vera forma di teatro, ma prende corpo nel 1200 un tipo di componimento a carattere religioso detto lauda lirica e drammatica (dialogata) a due o più voci che viene cantata o raccontata o recitata in concomitanza con la celebrazione di un rito liturgico. Nel 1300 prendono una più precisa fisionomia teatrale le laude drammatiche, che costituiscono un sicuro precedente per lo sviluppo del teatro religioso del 1400 (sacre rappresentazioni).
Nel 1400 segue nella letteratura religiosa lo sviluppo della sacra rappresentazione che consiste nello svolgimento scenico della lauda dialogata, componimento di drammi sacri tratti da episodi della storia biblica, vita dei santi ecc. La sacra rappresentazione è uno degli esempi tipici della derivazione degli spettacoli delle cerimonie religiose, di cui si rinvengono tracce presso tutti i popoli. Questa è uno spettacolo primitivo e ingenuo allestito generalmente sul sagrato delle chiese o nelle piazze cittadine su un rudimentale palcoscenico non a scena unica e fissa come nel teatro latino, ma multipla dove si allineavano uno accanto all’altro i luoghi più vari che sarebbero stati teatro dell’azione. Come gli ambienti tra loro più lontani sono presenti e contigui sul palco così le vicende, qualunque sia il loro tempo ideale, si svolgono senza alcun intervallo tra l’annunciazione dell’argomento e la licenza pronunciate da un angelo.
Forse da questo primitivo spettacolo religioso avrebbe potuto derivare un originale teatro nostrano (gli umanisti, infatti, hanno tentato di laicizzarlo, in altre parole, di utilizzare lo schema scenico della sacra rappresentazione per la narrazione di argomenti mitologici, o profani o allegorici come nel Timone del Boiardo), ma nella 2° metà del 1400 subentrò l’imitazione del teatro classico e la sacra rappresentazione sopravvisse solo ai margini senza possibilità di sviluppo.

2) Il teatro Cortigiano
Dalla sacra rappresentazione nella 2° metà del 1400 si passa al teatro cortigiano diffusosi in tutte le corti. Questo teatro è destinato ad una forma di spettacolo diversa dalla precedente perché non viene più allestito sui sagrati delle chiese o sulle piazze ma nelle corti dei principi, tuttavia utilizzando la stessa tecnica della sacra rappresentazione della compresenza dei vari luoghi e tempi, però viene messa in scena la materia profana, mitologica che ha per personaggi gli antichi e i loro dei, il tutto per un pubblico raffinato e scelto formato da una schiera di cortigiani e cittadini di riguardo. Lo spettacolo è allestito come uno dei momenti del ricevimento a corte perciò assai breve, appena un intermezzo tra il ricevimento e le danze, e realizzato dal principe in una sala del palazzo come documentazione esemplare del proprio prestigio. Le opere teatrali importanti di questo tipo sono l’Orfeo di Poliziano, preparato per una recita alla corte dei Gonzaga, e il Timone del Boiardo, rielaborazione in forma scenica di un dialogo dello scrittore greco Luciano, rappresentato alla corte di Ferrara

3) Il dramma pastorale
Su questa linea di genere letterario vanno collocate anche opere del 1500 come il Tirsi di B. Castiglione e l’Egle di G. Girardi Cinzio. E’ la stessa linea che poi porterà ad un nuovo genere teatrale che avrà il maggior sviluppo nella 2° metà de 1500: la tragicommedia o dramma pastorale che riprende gli argomenti della poesia bucolica della letteratura classica, il mondo cioè dei pastori e delle ninfe arricchito da situazioni psicologiche tipiche della tragedia. Nel clima della controriforma questo genere consente agli autori di evadere dalla faticosa realtà contemporanea e di rifugiarsi in un’atmosfera di musicali dolcezze e nella rappresentazione di un’età incontaminata di serena delizia. I rappresentanti più importanti del dramma pastorale sono G. Battista Guarini (1538-1612) con il Pastor Fido, e T. Tasso (1544-1595) con l’Aminta. Ambedue queste opere furono rappresentate alla corte di Ferrara e pur presentando caratteristiche diverse nella struttura generale, evidenziano l’adeguamento al moralismo della controriforma. Infatti, il pastore e la ninfa dopo vari peripezie si ricongiungono e il loro amore, che nella letteratura classica era normalmente libero, in queste due opere si conclude con il matrimonio.

3) La commedia classica
Fin dalla 2° metà del 1400, sulla scia della riscoperta dei testi classica, incomincia a rifiorire anche il genere della Commedia classica. Le opere degli autori greci e latini sono studiate in lingua originale per recuperarne interamente i valori. Dopo il 1429, anno in cui vengono ritrovate dall’umanista Nicola Cusano, dodici commedie di Plauto, sorge un grande interesse per questo genere: vengono rappresentate ovunque le commedie di Plauto e Terenzio, ne vengono scritte di nuove in latino restando entro esperienze ristrette dirette ad un pubblico di studenti universitari e di circoli umanistici.

4) La commedia volgare
Un grosso passo avanti si ha quando le commedie latine vengono rappresentate in traduzione volgare (in terzine) nell'ambito delle feste e degli spettacoli di corte soppiantando il teatro che abbiamo chiamato cortigiano.
Uno dei centri principali di produzione di testi tradotti, di rappresentazione degli stessi e di creazione di testi originali è la corte di Ferrara al tempo di Ercole 1à d’Este. Ben presto però entrano in gara anche le altre corti: Mantova, Milano, Urbino, Venezia e naturalmente Firenze e Roma.
I volgarizzamenti di testi plautini si inaugurano con i Manechini rappresentati a Ferrara nel 1488 e nei decenni successivi. Questo e altri volgarizzamenti sono importanti perché educano il gusto del pubblico e lo preparano ad accogliere i testi più complessi di Machiavelli e Ariosto.
Si vuole fissare la nascita della commedia volgare nel 1503 con il Formicone di Mantovano che ha però scarso interesse. La vera paternità spetta a Ludovico Ariosto che non è solo autore ma è anche regista e organizzatore degli spettacoli. Egli scrive e fa rappresentare la prima delle sue commedie, la Cassaria, nel 1508.
Seguono fino al 1529 le altre sue commedie: i Suppositi, il Negromante, la Lena, gli Studenti (completata dal fratello). Seguono altre commedie di perfetta qualità come la Calandria del cardinale Bibbiena del 1513, la Mandragola e la Clizia di Machiavelli del 1518 e 1525, la Cortigiana di Pietro Aretino del 1525, la Venexiana anonima e di carattere più spregiudicato rispetto a tutte le altre menzionate.
Con le commedie di Ariosto e la Clandria del Bibbiena si pongono le basi di una codificazione che, in varia misura per tutti gli autori, costituisce un punto di riferimento:
1. Il modello è generalmente Plauto o Terenzio, preferito Plauto.
2. Intrecci e tematiche di questi testi si basano sullo sconvolgimento temporaneo di un microcosmo familiare provocato da due passioni: l’amore e l’avidità di denaro. I personaggi rappresentano dei caratteri di solito contrapposti fra loro (avaro- prodigo, intelligente- sciocco) che vengono personificati da una serie di opposizioni fisiche (giovane- vecchio, uomo- donna), sociali (ricco- povero, servitore- padrone), di parentela (moglie- marito, padre- figlio). Si tratta degli stessi ingredienti della commedia latina alla quale si aggiungono gli elementi della novella (a partire da Boccaccio) che offriva intrecci, personaggi e materiale linguistico più vicini al pubblico del 1500.
3. La riscoperta della Poetica aristotelica in periodo umanistico detta, come nel teatro greco e latino, le regole riguardo all’unità di tempo, di azione e di luogo che vengono seguite fedelmente anche se non rigidamente. L’unità di luogo impone l’utilizzo della scena fissa e unica con la presenza di un solo luogo teatro dell’azione. L’unità di tempo impone che l’azione si svolga nel giro di 24 ore (massimo 30). Anche l’azione principale è unica.
4. Ogni commedia è composta, come la latina, da un prologo e cinque atti (Ariosto). Il prologo nella maggior parte dei casi non informa sulla commedia come in Plauto, ma serve come occasione di dibattito letterario come in Terenzio.
5. Secondo i modelli latini vi è la presenza di tipi fissi, di personaggi topici: lo sciocco, l’amante che deve conquistare la sua donna, il vecchio babbeo ecc. A questi si aggiungono altri due tipi specifici del 1500: il pedante, personificazione comica dell’uomo di cultura sclerotizzato nelle sue citazioni latine (ripreso poi da Molière nelle sue commedie), e lo spaccone nel quale si possono cogliere allusioni agli spagnoli (soprattutto accentuate nella Commedia dell’Arte).
6. La lingua utilizzata è il volgare o il dialetto (per la commedia dialettale Ruzante). La lingua è importante perché i diversi livelli linguistici utilizzati corrispondono alla stratificazione sociale dei personaggi. Dopo il 1550 si accentua il legame del personaggio con la sua caratteristica inflessione linguistica (il pedante = latino macheronico).Perciò nella commedia, c’è una miscela linguistica nella quale c’è posto per la lingua sociale a livello alto e spesso sublime per i personaggi d’elevata posizione sociale, per il parlato o il dialetto per i personaggi di basso livello sociale. Nel contempo la lingua è un espediente di comicità. La cristallizzazione di questo procedimento approderà alle maschere regionali dialettali della Commedia dell’arte. La lingua della commedia si muove quindi in una direzione di plurilinguismo e sperimentalismo, opposta alla codificazione fatta da Pietro Bembo.
Nella 2° metà del 1500 e nel 1600 la commedia mantiene i caratteri fondamentali assunti durante il maturo rinascimento: l’imitazione dei classici, apporto della novella di Boccaccio, viva aderenza alla realtà e alla vita comune del tempo, rispetto non sempre rigido delle regole aristoteliche.
Diretta ad un pubblico letterariamente più colto continua ad avere i suoi esemplari soprattutto in Toscana, però il valore letterario della commedia di questo periodo è modesto. Ricordiamo Michelangelo Buonarroti il Giovane per la ricchezza della lingua popolaresca cittadina e l’uso della parlata del contado fiorentino.

5) La Commedia alla spagnola
Nel corso del 1600 acquista grande diffusione anche la cosiddetta Commedia alla spagnola. Nell’ambito della situazione politica della nostra penisola si diffonde dalla Spagna la conoscenza di autori teatrali come Lope de Vega, Calderon della Barca, le cui opere attestano profondità di pensiero e conoscenza dell’animo umano della vita. Il dramma spagnolo sia di soggetto religioso, sia di argomento profano (di avventura e di coppa e spada) rivela grande libertà d’ispirazione e si distacca dalle norme classiche, si avvale dell’elemento fantastico e meraviglioso per indagare nella mente umana e mettere a fuoco problemi morali. Gli imitatori italiani del dramma spagnolo, mirando a soddisfare un pubblico avido di spettacoli insoliti e meravigliosi secondo il gusto barocco non colgono i valori più veri, cioè l’assenza concettuale, sentimentale delle opere originarie ma ne derivano azioni sceniche nelle quali danno rilievo solamente agli intrighi romanzeschi e avventurosi.

6) La Commedia dell’Arte
Il teatro di cui abbiamo parlato finora appartiene alla sfera letteraria. Già dalla 2° metà del 1500 abbiamo un’altra produzione teatrale, che sorge al di fuori del mondo letterario, che punta sul teatro come spettacolo e non come testo letterario, che valorizza non l’autore ma l’attore e che avrà un grandissimo consenso di pubblico (perché non proponeva profondità di pensieri e sentimenti ma sola occasione di divertimento): La Commedia dell’Arte. Essa ha origine quando si formano le prime compagnie fisse di comici professionisti (la prima è del 1545 a Padova) che sono al tempo stesso attori e musici, mimi e acrobati, e quando sorgono i primi teatri stabili. L’attività di queste compagnie sarà fiorente fino ai tempi del Goldoni.
Il processo di formazione della commedia dell’arte è molto discusso dagli studiosi, pare comunque che la maggior parte sia concorde nel sostenere che gli attori del teatro non letterario (non scritto) utilizzassero gli intrecci, i personaggi e le diverse inflessioni linguistiche presenti nella commedia del 1500: i furbi, gli sciocchi, il vecchio, il babbeo ecc., lo scambio di persona e l’agnizione. Questi intrecci e personaggi vengono via via cristallizzati i “tipi fissi” (in “maschere fisse”) di cui sono scontate e prevedibili le vicende e la cui identificazione risulta sempre più facile agli spettatori per la ripetitività del linguaggio, del costume, dei gesti nelle varie commedie (es. Pantalone è il vecchio mercante veneziano, capofamiglia danaroso ma avaro, caratterizzato dal costume rosso e nero e dal ricorso dialetto veneziano). In tutte le commedie i personaggi hanno le stesse caratteristiche, sono dei “tipi”, delle “maschere fisse”; questa fissità della maschera determina innanzitutto la chiusura da ogni sviluppo psicologico ed inoltre comporta la fissità del ruolo dell’attore che per tutta la sua carriera interpreterà sempre la stessa maschera. L’attore perde anche agli occhi dello spettatore la sua vera identità, le sue connotazioni analogiche: basti ricordare il ruolo di Charlot interpretato da Charlie Chaplin in cui la maschera ha sopraffatto l’attore.
Alcune tra le maschere della commedia dell’arte, note ancora oggi, hanno origine regionale, rappresentano cioè i caratteri considerati più caratteristici degli abitanti di una determinata regione di cui parlano anche il dialetto (Pantalone –veneto, Balanzone- bolognese ecc.)
Il termine “Arte” significa “mestiere”, ad indicare il carattere non dilettantesco ma professionale delle varie compagnie teatrali. Infatti, la recitazione degli attori si fonda soprattutto sulla capacità di improvvisazione. Infatti, la caratteristica peculiare della commedia dell’arte è la mancanza di un testo scritto; gli attori seguono un canovaccio o scenario opera del capocomico, nel quale sono annotati semplicemente gli sviluppi dell’azione e al massimo la successione delle scene. Entro lo schema impostato dal canovaccio ciascun attore inserisce la propria inventiva sia improvvisando, sia attingendo ad un patrimonio di dialoghi, di sonetti (“chiusette” per concludere un dialogo), di Tirate cioè soliloqui di un personaggio, concetti che venivano tramandati da una generazione all’altra di comici e che l’attore utilizzava, come dei prefabbricati nel punto giusto, a comporre la commedia.
L’azione resa vivace da canti, danze, duelli, cadute e bastonature, veniva arricchita anche da “lassi” una sorta di gaf, compromesso tra la barzelletta e la scena comica. A tutto ciò si aggiunge poi la componente mimico-acrobatica, di derivazione giullaresca.
La fama dei comici dell’arte fu vastissima in tutta Europa, ebbe grande successo in Spagna e in Francia dove, dal 1653 al 1697, una compagnia italiana recitò stabilmente al Palais Royal, alternandosi con quella di Molière.

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