La letteratura dalle origini a i nostri giorni

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LETTERATURA
Le origini e il Duecento.
La letteratura italiana nasce solo nel XIII sec., in forte ritardo sulle altre letterature europee, per la forza di conservazione del latino. Punto di partenza è la fondazione della Scuola poetica siciliana, fiorita tra il 1230 e il 1270 ca. alla corte di Federico II. I testi arcaici precedenti (Laurenziano, Cassinese, di Sant'Alessio) della fine del XII sec. e il Cantico delle creature di s. Francesco (1224) sono già componimenti letterari, ma la loro apparizione come fenomeni poetici è episodica. L'iniziativa della Scuola siciliana è invece unitaria: propone l'adozione di una lingua d'arte italiana (il volgare siciliano colto); elabora quelli che saranno i metri principali della lirica posteriore: la canzone e il sonetto, ispirandosi ai modelli provenzali. La sconfitta di Benevento, con la morte di re Manfredi (1266), disperde la Scuola. Ma il suo ricupero era già avvenuto in Toscana: i testi siciliani vi si diffondono, linguisticamente toscanizzati, mentre i rimatori delle varie province della regione (Guittone d'Arezzo, Chiaro Davanzati) ne assimilano temi, schemi e linguaggio arricchendoli di un fervore speculativo più vivacemente interessato ai tradizionali temi provenzali dell'amore, della cortesia e della virtù. Nasce la prosa in volgare nella quale elementi culturali diversi sono ancora confusi: Guittone d'Arezzo, Brunetto Latini, i vari 'fiori' (raccolte di proverbi, sentenze di filosofi, aneddoti con finalità morali), i volgarizzamenti del francese e del latino, le raccolte di novelle come il Novellino. L'uso del volgare subisce tuttavia ancora la concorrenza di altre lingue più autorevoli: il latino, che è pur sempre la lingua dei dotti, e il francese, che sembra preferibile per la sua larga diffusione (il Tresor di Brunetto Latini e il Milione di Marco Polo). Nel Veneto e in Italia settentrionale fioriscono, sin dalla fine del XIII sec., i poemi cavallereschi detti franco-veneti e una più originale produzione religiosa, sociale e moraleggiante, collegata al movimento ereticale lombardo della pataria (Girardo Patecchio, Uguccione da Lodi, Bonvesin de la Riva, Giacomino da Verona). In Umbria, la poesia religiosa ispirata a s. Francesco trova la sua espressione collettiva nella lauda, destinata a evolversi in primitiva rappresentazione drammatica (sacra rappresentazione): di essa si servì il più grande poeta religioso del tempo, Iacopone da Todi. La poesia religiosa ha il suo corrispettivo gioioso e terreno nell'ispirazione popolareggiante dei poeti comico-realistici o giocosi della Toscana (Rustico di Filippo, Cecco Angiolieri, Folgore da San Gimignano): malgrado l'apparente antiletterarietà dell'espressione, anche questa è poesia dotta. Lo stesso fenomeno si verifica con le tipiche forme popolari dell'alba e della ballata, che sono elevate a raffinato motivo lirico dai poeti del dolce stil novo. La poetica del bolognese Guido Guinizelli, estrema spiritualizzazione della concezione dell'amor cortese, è arricchita di toni personali, oltre che psicologicamente approfondita, nei poeti toscani (Guido Cavalcanti, Lapo Gianni, Gianni Alfani, Dino Frescobaldi, Cino da Pistoia e, soprattutto, Dante Alighieri).
Il Trecento.
Dante, nelle opere minori (Canzoniere, Vita nova, Convivio, De vulgari eloquentia, Monarchia), riassume i diversi aspetti di tale fervore. La Divina Commedia chiude ma anche informa un'età e nello stesso tempo la trascende, sottraendosi a ogni classificazione, come sempre avviene per i massimi capolavori. Il mondo del Boccaccio è più limitatamente fiorentino: il Decameron raccoglie un'ormai secolare eredità di cultura cittadina e borghese e segna la nascita del letterato capace di dominare la realtà, di osservarla con sereno distacco; tale vuol essere anche il Petrarca. Fondamentale è l'influenza di questo autore: la sua poesia sarà imitatissima e darà luogo al fenomeno del petrarchismo; la sua opera di rivalutazione dei classici sarà determinante per la cultura letteraria fino a tutto il Cinquecento. Nel Trecento la Toscana resta l'unico territorio d'intensa vita culturale. Qui la prosa in volgare si giova del vivo apporto dei cronisti fiorentini Dino Compagni e Giovanni Villani e delle prose di devozione, da quelle anonime nate in ambito francescano (come i Fioretti di s. Francesco) a quelle di Iacopo Passavanti, di Domenico Cavalca, di s. Caterina da Siena, di Andrea da Barberino (I Reali di Francia), di ser Giovanni Fiorentino (Il Pecorone), di Franco Sacchetti, uno dei pochi nomi da segnalare anche tra i rimatori del Trecento.
L'Umanesimo e il Rinascimento.
Nel Quattrocento si afferma la nuova cultura umanistica, che disdegna per un cinquantennio il volgare. Non mancano risultati degni di nota che fanno capo nella seconda metà del secolo al latino idillico del Pontano e a quello elegiaco del Poliziano. Ma la nuova cultura non è più soltanto cittadina o regionale, è nazionale, italiana. Centri di cultura sorgono un po' dovunque, nelle accademie e nelle corti. Firenze ha una funzione importantissima in quella rinascita del volgare che si afferma con l'intelligente mecenatismo di Lorenzo il Magnifico e negli scritti suoi e dei poeti da lui protetti, il Pulci e il Poliziano. A Venezia Giustinian, colto umanista, ingentilisce la lirica dialettale; a Ferrara il Boiardo assimila, nell'Orlando innamorato, con spirito diverso da quello che il Pulci rivela nel Morgante, l'ingenuità favolosa ed eroica dei cantari e romanzi cavallereschi; a Napoli lo stesso raffinato Sannazzaro non si sottrae al fascino della comicità umile e giullaresca. Nei primi decenni del Cinquecento il classicismo rinascimentale trova la sua più fortunata formulazione nelle Prose della volgar lingua di Bembo. È al petrarchismo che il Bembo diede un particolare impulso, proponendo un tipo di lirica che del Petrarca riconquistasse l'esperienza spirituale, oltre che i valori formali. Ma il petrarchismo (Della Casa, Tansillo, Gaspara Stampa, Vittoria Colonna, Michelangelo) generò una contrapposizione giocosa che ebbe soprattutto fortuna a Firenze, col Berni e col Lasca. L'antipetrarchismo fu uno dei modi con cui nel Cinquecento si espresse lo spirito comico di una borghesia spregiudicata che all'idealismo platonizzante di Bembo o a quello dei trattati di vita cortigiana contrapponeva un vivace realismo. Altri modi dello stesso atteggiamento si ritrovano nella novella (Bandello, Firenzuola, Straparola), nella poesia in latino maccheronico di Folengo, nell'opera di P. Aretino, di B. Cellini e soprattutto nel teatro comico. La commedia del Cinquecento (Ariosto, Aretino, Bibbiena, Caro, Della Porta) costituisce uno dei capitoli più vitali del teatro italiano e trova nella Mandragola di Machiavelli il suo capolavoro, capace di rispecchiare intero lo spirito di un secolo. Fuori delle grandi corti fioriscono sia la produzione anonima (la Venexiana) sia il teatro d'ispirazione contadina (Ruzzante, Calmo ecc.). Le tragedie del Cinquecento (Trissino, Rucellai, Giraldi) hanno invece valore soprattutto storico; più importante è la trattatistica che le accompagna (Giraldi, Scaligero ecc.). Grande, infine, il successo del 'dramma pastorale' che nell'Aminta del Tasso e nel Pastor fido del Guarini avrà i suoi capolavori. Esempio massimo di mirabile commistione di valori ideali e di spirito comico, di fantasia e di realismo è la poesia dell'Ariosto, il quale con l'Orlando furioso diede un modello insuperabile di arte rinascimentale. La coscienza critica del tempo s'incarna invece in Machiavelli, teorico realista, volto a costruire, nel Principe e nei Discorsi, i fondamenti di uno Stato forte, non soggetto, per la virtù dell'individuo e la saldezza delle istituzioni, all'avversità della fortuna. Diversamente da Machiavelli, Guicciardini accetta la situazione politica della sua epoca, svolge con scrupolo il compito di testimone della crisi, osserva la realtà con saggio discernimento, inteso a salvaguardare il proprio interesse 'particulare'.
La crisi del Rinascimento e il Seicento.
A metà del Cinquecento la crisi si manifesta come piena decadenza della civiltà rinascimentale. Nella letteratura, a un classicismo spontaneamente assimilato s'era sostituito un classicismo precettistico, in coerenza con il dogmatismo religioso e morale della Controriforma che impone la censura, la revisione degli stessi classici di 'pericolosa' lettura, l'Indice dei libri proibiti. Chi soffrì nella sua stessa anima questa crisi rinascimentale fu Torquato Tasso e da questa sofferenza derivò l'intensa elegia amorosa in perpetuo conflitto con un'autentica e travagliata religiosità, che è il motivo centrale della Gerusalemme liberata. Anche nella novellistica si anticipò il barocco con le novelle del Bandello, mentre solitaria apparve la voce di Giordano Bruno che traeva le regole dalla poesia e non avvinceva la poesia alle regole, fino ad arrivare, nel suo Candelaio, a mettere in satira ogni forma di pedanteria. Con Marino e i marinisti la poetica tardo-cinquecentesca della poesia come diletto si muta in quella della meraviglia, nel gusto di un secolo che tendeva alla pompa, alla sontuosità. Questa poetica anticlassicistica o della novità, formulata, forse più coerentemente che in altri, da Emanuele Tesauro, è presente in quasi tutti i poeti del secolo, da Chiabrera a Tassoni, fino alla schiera dei satirici e dei dialettali (G. C. Cortese e G. B. Basile). Cortigiana, raffinatamente colta o popolareggiante, la poesia esprimeva in definitiva una desolante povertà di contenuti. Una notevole eccezione è però costituita dal teatro tragico (Della Valle, C. de' Dottori); e non va dimenticato che nel Seicento si sviluppano la Commedia dell'arte e il melodramma. Nella prosa filosofica, il pensiero rinascimentale trova nelle opere di Bruno e di Campanella la sua combattiva formulazione, pagata col martirio o con la persecuzione. Alla cultura ufficiale (Botero, Segneri, Bartoli) si contrappone una cultura polemica (Sarpi, Boccalini, Tassoni). Nella lotta contro l'aristotelismo emerge la più grande figura del secolo, Galilei: erede del Rinascimento per la distinzione da lui operata tra fede e scienza e per l'efficacia della sua prosa caustica.
Arcadia e Illuminismo.
La scuola di Galilei (Torricelli, Viviani, Malpighi, Redi e Magalotti) collega la cultura italiana a quella europea. Ed essa può essere richiamata con orgoglio già nazionale dagli scrittori del Settecento, attenti a ricostruire le linee della storia civile e letteraria d'Italia con un infaticabile impegno di eruditi (Muratori, Scipione, Maffei, Tiraboschi), di polemisti e storici (Giannone), di scienziati e divulgatori della scienza (Morgagni, Spallanzani, Algarotti). Nella letteratura la reazione al 'mal gusto' barocco si definisce sul piano nazionale con la costituzione dell'Arcadia (1690), la cui funzione riordinatrice nelle forme metriche e nel linguaggio poetico giovò anche ai poeti più rinnovatori: a Metastasio e Goldoni per il teatro, allo stesso Parini per la poesia. Il rinnovamento culturale illuministico si accentra in Italia soprattutto a Napoli (con l'opera di A. Genovesi, G. Filangieri, F. M. Pagano, F. Galiani) e a Milano, che vede l'azione riformatrice della rivista Il Caffè, di Pietro Verri, di Cesare Beccaria. Nella prosa prevale la tendenza antitoscanizzante, contrastata dalla veneziana Accademia dei Granelleschi (con Carlo e Gasparo Gozzi) e da quella milanese dei Trasformati, ma sollecitata polemicamente da quella dei Pugni col Verri e più autorevolmente giustificata nel Saggio sulla filosofia delle lingue di Melchiorre Cesarotti. Nell'estetica, dove il geniale antiaristotelismo del Vico era rimasto per tutto il secolo inascoltato, il sensismo, abbracciato da Verri e Beccaria, offre un'immagine della poesia che può adattarsi con senso vivo del particolare e del concreto a tutti gli argomenti. Nella critica, infine, l'antipedantismo e l'antiretorica apparentano, pur nella loro diversità, i due maggiori critici del secolo, Baretti e Bettinelli. Arcadia e Illuminismo s'intrecciano inscindibilmente nel teatro d'ambiente del Goldoni e nella poesia satirica e sferzante del Parini.
Preromanticismo e Romanticismo.
Sullo scorcio del Settecento, la reazione all'Illuminismo si fa più viva: si evolve il gusto con la moda della poesia lugubre, cimiteriale, campestre, notturna, sintomo di una sensibilità preromantica nell'opera di A. Verri, A. Varano, I. Pindemonte. Non preromantico, ma 'protoromantico' è stato definito l'Alfieri, il cui titanismo scaturisce dal conflitto del sentimento, anelante a una libertà assoluta, con le leggi meccaniche della natura. Nell'atmosfera preromantica rientra anche il neoclassicismo, che il mito della bellezza scinde in due tendenze: quella illustrativa (Giordani, Monti); e quella intimamente conquistata da un'alta riflessione sulle disarmonie della vita che il Foscolo espresse nei maggiori sonetti, nelle Odi, nei Sepolcri e nelle Grazie. Milano fu, dopo il 1816, il centro d'irradiazione in Italia del Romanticismo, inteso dagli scrittori del Conciliatore (Di Breme, Berchet, Borsieri, Visconti) in un'accezione moderatamente polemica. Delle due direzioni prese in Europa dal Romanticismo, quella del lirismo soggettivo e quella del realismo, fu la seconda che soprattutto attecchì in Italia, imponendosi con un modello narrativo quale I Promessi Sposi di Manzoni, di alto valore poetico, ideologico e linguistico, ma esprimendosi anche in altre forme, come quella meno autorevole delle poesie milanesi e romanesche di Porta e Belli, con i quali il dialetto diventa mezzo espressivo di un'arte satirica e fortemente rappresentativa. La tendenza lirica e soggettiva del Romanticismo ha in Italia un solo grande nome: quello del Leopardi. Con Foscolo e Manzoni, Leopardi condivide l'ansia religiosa, ma rifiuta ogni consolazione, chiudendosi nella solitudine patetica ed eroica dell'idillio. Leopardi è dunque un isolato: la sua lirica 'pura' contrastava sia col prevalente conciliatorismo cattolico-liberale (che prende le mosse da Manzoni, Pellico, Gioberti e giunge al sentimentalismo pietistico, moralistico o paternalistico di Cantù, Prati, Tommaseo), sia col finalismo patriottico degli scrittori democratici (Mazzini, Berchet, Giusti, Guerrazzi), sia infine col populismo romanzesco entro al quale fa le sue prove narrative anche Nievo, staccandosi però dagli schemi del genere con Le confessioni di un italiano, romanzo di evocazioni storiche e autobiografiche. La coscienza critica romantica, fondata sul canone della letteratura come espressione della società, si riassume nella geniale attività di De Sanctis. Ma, intanto, nel meno fervido clima dell'Italia postrisorgimentale, il manzonismo era divenuto lo strumento linguistico della pubblicistica dei toscani o toscanizzanti (Bonghi, F. Martini, De Amicis); Carducci vi reagì rilanciando un classicismo di ampia prospettiva storica, ma sotterraneamente percorso da motivi romantici. Più fedeli alla lezione del realismo manzoniano gli scrittori lombardi e piemontesi della Scapigliatura, che reagivano al sentimentalismo alla Prati e Aleardi: movimento di notevole importanza, non misurabile sulle pagine di Boito, Praga, Tarchetti e del più tardo Dossi, ma nel suo fervore d'arte che determinò i più vari interessi ed esperimenti, aprendo la strada al verismo.
Verismo e decadentismo.
Anche il verismo accolse l'eredità del realismo manzoniano, contraddicendolo, però, per certi versi. La poetica del documento umano è praticata in modo diverso dai vari scrittori: Capuana, Serao, Fucini, Pratesi, De Roberto, Deledda, Pascarella e Di Giacomo. In Verga, il più grande narratore italiano dopo Manzoni, tale poetica si traduce nell'individuazione di alcuni temi essenziali, la religione della famiglia o della 'roba', sui quali egli costruisce nei Malavoglia e in Mastro don Gesualdo la sua dolorosa epopea dei vinti. Ma la poetica del documento non soddisfa altri narratori: per Fogazzaro resta solo come impianto romanzesco complicato da una problematica spiritualistica; per il D'Annunzio delle Novelle della Pescara, mezzo d'osservazione della vita elementare nei suoi dati coloriti e primordiali; per il Pirandello dei romanzi e dei racconti, infine, elemento oggettivo d'ambientazione borghese e comune cui si contrappone umoristicamente o tragicamente la dimensione soggettivistica del personaggio. Ma solo più tardi, con La coscienza di Zeno di Italo Svevo (1923), apparirà il grande romanzo d'analisi italiano. Nel clima verista della seconda metà dell'Ottocento fiorisce la produzione teatrale: più che il dramma borghese di Paolo Ferrari è infatti in primo piano il dramma verista, con Verga, con Carlo Bertolazzi, con Vittorio Bersezio, con Giuseppe Giacosa. Negli ultimi decenni dell'Ottocento e nei primi del Novecento il decadentismo penetra nel tradizionale e un po' chiuso organismo della poesia italiana. Pascoli assimila l'inquietudine simbolista e traduce i dati autobiografici in una poetica del 'mistero', di cui il poeta-fanciullino è lo smarrito cantore. D'Annunzio sembra in genere più attento a conservare le strutture tradizionali, ma nell'Alcyone si spinge al limite della strumentazione in senso fonico e musicale del linguaggio. Anche nel teatro la reazione antiverista avviene nel nome di D'Annunzio, che riporta sulla scena climi poetici e temi inconsueti. In opposizione si esprimono intimisti e crepuscolari (Gozzano, Corazzini), mentre i futuristi propongono, in nome di un'esagitata modernità, la rottura di ogni regola sintattica e grammaticale e di ogni legame col passato. Antidannunziano è quel teatro tra fantastico e simbolico che fu detto grottesco (Chiarelli, Rosso di San Secondo, Antonelli). Contemporaneamente primeggia il teatro di Luigi Pirandello, al cui tragico relativismo si contrappone il teatro di Ugo Betti, autore spietato nel mettere a nudo le piaghe e gli istinti più torbidi dell'uomo e della società.
La letteratura contemporanea.
Nel primo Novecento la cultura italiana tende a rinnovarsi in modi più riflessivi e profondi. La letteratura filosofica ha i suoi esponenti in Labriola, Croce, Gentile, Salvemini, Romagnosi, Cattaneo, Amari. La cultura militante delle riviste fiorentine (Il Leonardo, La Voce, Lacerba) di Prezzolini, Papini e Soffici e di quelle torinesi di Gobetti e di Gramsci diviene sempre più incisiva e aperta alle più vive innovazioni. Da Parigi Marinetti lancia il movimento futurista, cui si ricollegheranno dadaismo e surrealismo. La guerra interrompe questo fervore attivistico di cultura, ma in realtà fa maturare altre premesse. Nella poesia la posizione dei poeti nuovi (Campana, Onofri, Rebora, Sbarbaro, Saba, Ungaretti, Montale) si configura come proposta di una poesia pura, espressa in parole di intensa risonanza. Poesia dove i dati di una sofferta esperienza umana appaiono però ancora visibilmente, mentre nei poeti dell'ermetismo (Quasimodo, Gatto, Luzi, Parronchi, Bigongiari) la ricerca tecnico-letteraria sembra farsi più esclusiva e astratta. Gentile diviene intanto il filosofo ufficiale del fascismo, ma solo una parte degli intellettuali si presta all'ossequio formale verso il regime. Croce, isolato politicamente, accresce la sua autorità di pensatore, storico e critico con un'attività multiforme e coerente. La prosa tende a risolversi nel frammento di valore lirico, o all'elaborato saggio d'arte e all'elegante elzeviro, come negli scrittori della Ronda, da Cardarelli a Barilli, a Cecchi, a Baldini. L'ambizione al romanzo, tenuta viva da Tozzi, Borgese, Palazzeschi, Bacchelli, Bontempelli, Pea, Alvaro, si fa più palese sulle riviste fiorentine Solaria e Letteratura, aperte al confronto con la narrativa europea e americana, ma anche alla realtà. Nel decennio precedente e in quello immediatamente successivo alla seconda guerra mondiale si chiariscono le più interessanti esperienze narrative con Vittorini, Pavese, Bilenchi, Pratolini, Brancati, Moravia. Più appartata l'esperienza letterariamente composita e umanamente tormentata di Gadda. Il dopoguerra ha sancito il passaggio dalla prosa lirica al romanzo. I nuovi contenuti politici, sociali e morali si riflettono con esiti e accentuazioni tematiche diversi nell'opera di Carlo Levi, Bernari, Calvino e infine nel romanzo postumo ma fortunatissimo di Tomasi di Lampedusa, Il Gattopardo. La solitudine dell'uomo immerso in momenti storici sconvolgenti impronta la tematica di G. Bassani e di C. Cassola. La Ginzburg, la Banti e la Romano si affidano al ricupero della memoria. Elsa Morante s'impone con vigore sommo narratrice di livello internazionale con La storia. E mentre Buzzati entra nel mistero del surreale, G. Testori evoca un realismo pieno di sangue e di linfa. Gli fanno da controcanto la quotidianità meschina e disadorna delle opere di Mastronardi e di Bianciardi e l'acutissima analisi dell'alienazione del mondo industriale svolta da Volponi. Né si può dimenticare l'opera di G. Morselli, Ledda, Camon, Tomizza, Malerba, Arpino, Eco. In poesia, i versi più limpidi delle nuove generazioni, sull'eco di Caproni, Penna, Raboni, Fortini, Roversi, Zanzotto, si trovano in D. Bellezza e M. Cucchi. La critica letteraria è esercitata da studiosi attenti e raffinati quali Contini, Caretti, Getto, Binni, Asor Rosa, Barberi-Squarotti, Pampaloni, Fortini, Magris. Gli anni Ottanta e Novanta hanno visto emergere autori alla ricerca di nuovi linguaggi in sostituzione dei tradizionali, che alla luce di una società multimediale, sono apparsi ormai obsoleti. Pur non verificandosi la nascita di vere e proprie correnti sono emersi autori interessanti quali Benni, De Carlo, Del Giudice, Maurensing e Bufalino, insieme a personaggi il cui valore era già noto come Vassalli e Pontiggia. Per quello che riguarda la poesia si è assistito a una fioritura della poesia dialettale con esponenti come Guerra, Zanzotto e Pierro.

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