L'evoluzione della lirica italiana dalle origini allo Stilnovo

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L’evoluzione della lirica italiana dalle origini allo stilnovo Ilaria Patteri III I

Le origini della lirica italiana sono databili al XIII secolo, periodo in cui l’idioma volgare, se pur in ritardo rispetto alle altre regioni europee, assume un ruolo notevole nel campo della letteratura.
Le maggiori influenze giungono da una regione comprendente la Francia meridionale, la Spagna e l’Italia settentrionale (Liguria, Piemonte e Veneto) dove, la lingua d’oc (del si) conosce presto dignità letteraria, dando vita alla poesia provenzale od occitanica. Tale scuola, sviluppatasi tra la fine dell’XI e del XIII secolo trasmetterà i propri temi alla lirica Siciliana e Stilnovistica. I poeti provenzali, detti trovatori, (dal provenzale trobar = trovare) sono di diversa estrazione sociale, ma accomunati dalla vita a corte dove, grazie al mecenatismo dei signori, possono comporre per un pubblico élitario. L’esecuzione della poesia, accompagnata da un supporto musicale di strumenti ad arco o a corde (di solito un’arpa o una “ viella”) é spesso affidata agli stessi compositori oppure a degli interpreti itineranti, detti giullari (dal provenzale jangleur) che vanno a trasmettere di corte in corte le creazioni trobadoriche. I temi trattati dalla lirica cortese sono principalmente di carattere amoroso, politico e morale. L’amore assume per i poeti occitani una valenza raffinatrice, che porta ad una crescita intellettuale e morale di chi lo prova; viene inoltre paragonato al vincolo vassallatico, si nutre di ostacoli e riceve maggior forza dall’impossibilità di possedere la donna amata. Nasce dunque l’amor de lohn (amore di lontano), che insieme all’uso di un nome fittizio, il senhal, contribuisce a celare l’identità della donna amata e a fare di lei un oggetto misterioso. Le composizioni di argomento politico o morale trovano invece la loro massima espressione nel sirventese e nel discordo: il primo è un componimento di tono satirico e aggressivo che ricalca, dal punto di vista metrico, la struttura della canzone; il secondo è caratterizzato invece da una successione irregolare delle strofe e da uno schema ritmico variabile. Dal punto di vista formale la lirica provenzale appare molto ricca ed elaborata tanto da diventare, come nel caso del trobar clus, di cui Jaufré Rudel e Marcabru sono i maggiori esponenti, difficilmente comprensibile.Tra i maggiori poeti provenzali troviamo ancora Guilhem de Petieu, Arnaut Daniel e Bernart de Ventadorn. In Italia la lirica occitana si diffonde soprattutto a nord presso la corte di Alberico ed Ezzelino da Romano, governatori della Marca Trevigiana, che nel 1231-32 suscitano con la loro politica un forte interesse presso Federico II di Svevia.
Come re di Sicilia e Imperatore del Sacro Romano Impero egli dà vita, all’interno della Magna Curia ad una nuova esperienza letteraria: la scuola siciliana. Il suo sviluppo va dal 1230 al 1266 (morte del figlio di Federico) e comprende la produzione dei poeti italiani che gravitano intorno alla corte palermitana.Si tratta di nobili, tra cui lo stesso Federico e suo figlio Manfredi, ma soprattutto di funzionari di corte che, tra i loro molteplici compiti hanno quello di scrivere poesie.Il più famoso è Iacopo da Lentini, attivo intorno al 1233-45, definito da Dante, nel De Vulgari Eloquentia e nel XXIV canto del Purgatorio, il caposcuola della lirica siciliana. La figura del “ Notaro” va ricordata anche per il sonetto in endecasillabi, di cui è considerato l’iniziatore e per il trasferimento dei temi e degli stili provenzali al volgare italiano. Al centro della produzione poetica rientra, infatti, l’amore cortese, seppur con delle variazioni dovute all’impronta della diversa società in cui i siciliani operano: essi non si trovano più all’interno dei castelli feudali dove i sentimenti per la donna sono ricchi di devozione cavalleresca, ma in un ambiente che, per quanto chiuso, rappresenta una corte moderna e laica di uno Stato accentrato. Ne deriva innanzi tutto l’abbandono dei temi di argomento politico e morale, dell’accompagnamento musicale, ma soprattutto una visione propria del sentimento amoroso. L’amore, come spiega il “Notaro” in Amor è un desio che ven da core nasce (in polemica con il tema dell’amor de lohn) dalla semplice visione della donna per passare in seguito ad un’elaborazione mentale ed alla creazione di un ritratto interno, quasi fantastico, dell’oggetto amato. La donna, il cui nome non è più celato, è il centro dell’ispirazione poetica, è fonte di gioia e alegranza (concetti che saranno ripresi anche nella lirica toscana soprattutto da Guittone D’Arezzo), il suo amore affina e si fonde con la poesia. La sua morte, come scrive Giacomino Pugliese (altro pilastro della scuola siciliana) è dunque fonte di tristezza, di rimpianto, proprio perché vengono a mancare tutte le sue qualità che il poeta spera le siano rimaste anche in paradiso: le dolzi sembianti, la dolze compagnia, il suo insegnamento, la sua canoscianza (quella capacità che porterà lo stilnovista Cavalcanti a vedere l’uomo in posizione subalterna rispetto alla donna). La lingua utilizzata dai poeti della Magna Curia è il siciliano illustre, una lingua elegante, appartenente al patrimonio comune dei volgari italiani il cui scopo è di “illuminare”. Le forme metriche predilette sono invece il sonetto, spesso compreso all’interno di una tenzone, ossia di una “disputa” fra più poeti su un determinato argomento, e la canzone. Si tratta di componimenti non più accompagnati dalla musica che conoscono grande interesse anche in Toscana.
Qui, in seguito ad una trasformazione profonda del tessuto economico e politico nasce una cultura di tipo laico che dà luogo ad esperienze e tendenze letterarie di natura eterogenea, ma tutte riconducibili ad un unico modello: il Dolce Stil Novo. Questo termine, coniato da Dante, sta ad indicare la produzione poetica sviluppatasi tra la fine del Duecento e l’inizio del Trecento dapprima a Bologna ed in seguito a Firenze. Protagonisti di tale vicenda letteraria sono, oltre al giovane Dante, Guido Guinizelli, Cino da Pistoia, Guido Cavalcanti, Lapo Gianni ed altri poeti minori: si tratta di intellettuali colti e raffinati, appartenenti ad un ceto aristocratico che tendono a differenziarsi dal popolo e che danno vita ad una sorta di cenacolo. Ma nello stesso momento in cui realizzano questo distacco, si mostrano molto legati alla vita del comune, tanto da coniare un nuovo concetto di nobiltà. La gentilezza, come scrive il caposcuola Guido Guinizelli nella canzone Al cor gentil rempaira sempre amore, non consiste in titoli o ricchezze ereditari, ma in un’intima spiritualità, del tutto indipendente dalla nascita.Si tratta dunque di una poesia volutamente solitaria che prende spunto dai più antichi e più alti poeti provenzali e che tende ad esprimere, come indica l’aggettivo dolce, un amore fortemente interiorizzato e spiritualizzato, un sentimento che affina, rende nobili. La donna, come scrive Cavalcanti, è un essere superiore rispetto al quale l’uomo, incapace di poterla comprendere pienamente, si trova in posizione subalterna. In lei si trova l’onore, la cortesia, l’umiltà, la bellezza, l’intelligenza, qualità che le fanno assumere spesso una valenza divina. Un suo sguardo o un semplice saluto è per il poeta fonte di felicità, di salvezza, ma anche di sbigottimento, d’angoscia.La lirica Stilnovista è perciò una poesia filosofica che studia il sentimento in modo astratto e che porterà la sua influenza anche a Boccaccio e Petrarca, figure importantissime all’interno del nostro inestimabile patrimonio letterario.

Ilaria Patteri III I

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