L'"Adelchi" di A.Manzoni

Materie:Appunti
Categoria:Letteratura

Voto:

2.5 (2)
Download:207
Data:15.10.2001
Numero di pagine:6
Formato di file:.doc (Microsoft Word)
Download   Anteprima
adelchi-manzoni_1.zip (Dimensione: 10.17 Kb)
trucheck.it_l-adelchi-di-amanzoni.doc     38.5 Kb
readme.txt     59 Bytes


Testo

Alessandro Manzoni
ADELCHI
DEDICA
ALLA DILETTA E VENERATA SUA MOGLIE ENRICHETTA LUIGIA BLONDEL LA QUALE INSIEME CON LE AFFEZIONI CONIUGALI E CON LA SAPIENZA MATERNA POTÉ SERBARE UN ANIMO VERGINALE CONSACRA QUESTO ADELCHI
L' AUTORE DOLENTE DI NON POTERE A PIÙ SPLENDIDO E A PIÙ DUREVOLE MONUMENTO RACCOMANDARE IL CARO NOME E LA MEMORIA DI TANTE VIRTÙ.
NOTIZIE STORICHE
FATTI ANTERIORI ALL'AZIONE COMPRESA NELLA TRAGEDIA
Nell'anno 568, la nazione longobarda, guidata dal suo re Alboino, uscì dalla Pannonia, che abbandonò agli Avari; e ingrossata di ventimila Sassoni e d'uomini d'altre nazioni nordiche, scese in Italia, la quale allora era soggetta agl'imperatori greci; ne occupò una parte, e le diede il suo nome, fondandovi il regno, di cui Pavia fu poi la residenza reale. Con l'andar del tempo, i Longobardi dilatarono in più riprese i loro possessi in Italia, o estendendo i confini del regno, o fondando ducati, più o meno dipendenti dal re. Alla metà dell'ottavo secolo, il continente italico era occupato da loro, meno alcuni stabilimenti veneziani in terra ferma, l'esarcato di Ravenna tenuto ancora dall'Impero, come pure alcune città marittime della Magna Grecia. Roma col suo ducato apparteneva pure in titolo agli imperatori; ma la loro autorità vi si andava restringendo e indebolendo di giorno in giorno, e vi cresceva quella de' pontefici. I Longobardi fecero, in diversi tempi, delle scorrerie su queste terre; e tentarono anche d' impossessarsene stabilmente .
754.
Astolfo, re de' Longobardi, ne invade alcune, e minaccia il rimanente. Il papa Stefano II si porta a Parigi e chiede soccorso a Pipino, che unge in re de' Franchi. Pipino scende in Italia; caccia Astolfo in Pavia, dove lo assedia, e, per intercessione del papa, gli accorda un trattato, in cui Astolfo giura di sgomberare le città occupate.
755.
Ripartiti i Franchi, Astolfo non mantiene il patto, anzi assedia Roma, e ne devasta i contorni. Stefano ricorre di nuovo a Pipino: questo scende di nuovo: Astolfo corre in fretta alle Chiuse dell'Alpi: Pipino le supera, e spinge Astolfo in Pavia. Vicino a questa città, si presentarono a Pipino due messi di Costantino Copronimo imperatore, a pregarlo, con promesse di gran doni, che rimettesse all'impero le città dell'esarcato che aveva riprese ai Longobardi. Ma Pipino rispose che non aveva combattuto per servire né per piacere agli uomini, ma per divozione a san Pietro, e per la remissione de' suoi peccati; e che, per tutto l'oro del mondo, non vorrebbe ritogliere a san Pietro ciò che una volta gli aveva dato. Così fu troncata brevemente nel fatto quella curiosa questione, sul diritto della quale s'è disputato fino ai nostri giorni inclusivamente: tanto l'ingegno umano si ferma con piacere in una questione mal posta. Astolfo, stretto in Pavia, venne di nuovo a patti, e rinnovò le vecchie promesse. Pipino se ne tornò in Francia, e mandò al papa la donazione in iscritto.
756.
Muore Astolfo: Desiderio, nobile di Brescia, duca longobardo, aspira al regno; raduna i Longobardi della Toscana, dove si trovava, speditovi da Astolfo, e viene da essi eletto re. Ratchis, quel fratello d'Astolfo, ch'era stato re prima di lui, e s'era fatto monaco, ambisce di nuovo il regno; esce dal chiostro, fa raccolta d'uomini, e va contro Desiderio. Questo ricorre al papa; il quale, fattogli promettere che consegnerebbe le città già occupate da Astolfo, e non ancora rilasciate, consente a favorirlo, e consiglia a Ratchis di ritornarsene a Montecassino. Ratchis ubbidisce; e Desiderio rimane re de' Longobardi.
Non si sa precisamente in qual anno, ma certo in uno de' primi del suo regno, Desiderio fondò, insieme con Ansa sua moglie, il monastero di san Salvatore, che fu poi detto di santa Giulia, in Brescia: Ansberga, o Anselperga, figlia di Desiderio, ne fu la prima badessa.
758.
Alboino, duca di Benevento, e Liutprando, duca di Spoleto, si ribellano a Desiderio, mettendosi sotto la protezione di Pipino. Desiderio gli attacca, gli sconfigge, fa prigioniero Alboino, e mette in fuga Liutprando. In quest'anno, o nel seguente, fu associato al regno il figliuolo di Desiderio, nelle lettere de' papi e nelle cronache chiamato Adelgiso, Atalgiso, o anche Algiso, ma negli atti pubblici, Adelchis.
Nell'anno 768, morì Pipino: il regno de' Franchi fu diviso tra Carlo e Carlomanno suoi figli. Le lettere a Pipino, di Paolo I e di Stefano III, successori di Stefano II, sono piene di lamenti e di richiami contro Desiderio, il quale non restituiva le città promesse, anzi faceva nuove occupazioni.
770.
Bertrada, vedova di Pipino, desiderosa di stringer legami d'amicizia tra la sua casa e quella di Desiderio, viene in Italia, e propone due matrimoni: di Desiderata o Ermengarda, figlia di Desiderio, con uno de' suoi figli, e di Gisla sua figlia con Adelchi. Stefano III scrive ai re Franchi la celebre lettera, con la quale cerca di dissuaderli dal contrarre un tal parentado Cionnonostante, Bertrada condusse seco in Francia Ermengarda; e Carlo, che fu poi detto il magno, la sposò. Il matrimonio di Gisla con Adelchi non fu concluso.
771.
Carlo, non si sa bene per qual cagione, ripudia Ermengarda, e sposa Ildegarde, di nazione Sveva. La madre di Carlo, Bertrada, biasimò il divorzio; e questo fu cagione del solo dissapore che sia mai nato tra loro. Muore Carlomanno: Carlo accorre a Carbonac nella Selva Ardenna, al confine de' due regni: ottiene i voti degli elettori: è nominato re in luogo del fratello; e riunisce così gli stati divisi alla morte di Pipino. Gerberga, vedova di Carlomanno, fugge co' suoi due figli, e con alcuni baroni, e si ricovera presso Desiderio. Carlo, ne fu punto sul vivo.
772.
A Stefano III succede Adriano. Desiderio gli spedisce un'ambasciata per chiedergli la sua amicizia: il nuovo papa risponde che desidera di stare in pace con quel re, come con tutti i cristiani; ma che non vede come possa fidarsi d'un uomo il quale non ha mai voluto adempir la promessa, fatta con giuramento, di rendere alla Chiesa ciò che le appartiene. Desiderio invade altre terre della Donazione.
PERSONAGGI
Longobardi
Desiderio, re.
Adelchi, suo figlio, re.
Ermengarda, figlia di Desiderio.
Ansberga, figlia di Desiderio, badessa.
Vermondo, scudiero di Desiderio.
Scudieri d'Adelchi: Anfrido, Teudi,
Baudo, duca di Brescia.
Giselberto, duca di Verona.
Duchi: Ildechi, Indolfo, Farvaldo, Ervigo, Guntigi,
Amri, scudiero di Guntigi.
Svarto, soldato.
Franchi
Carlo, re
Albino, legato.
Conti: Rutlando, Arvino,
Latini
Pietro, Legato d'Adriano papa.
Martino, diacono di Ravenna.
Duchi, scudieri, soldati longobardi: donzelle, suore nel monastero di san Salvatore.- Conti e Vescovi franchi; un araldo.
ATTO SECONDO
CORO
Dagli atrii muscosi, dai Fori cadenti,
Dai boschi, dall'arse fucine stridenti,
Dai solchi bagnati di servo sudor
Un volgo disperso repente si desta;
Intende l'orecchio, solleva la testa
Percosso da novo crescente romor.
Dai guardi dubbiosi, dai pavidi volti,
Qual raggio di sole da nuvoli folti,
Traluce de' padri la fiera virtù:
Ne' guardi, ne' volti confuso ed incerto
Si mesce e discorda lo spregio sofferto
Col misero orgoglio d'un tempo che fu.
S'aduna voglioso, si sperde tremante,
Per torti sentieri, con passo vagante,
Fra tema e desire, s'avanza e ristà;
E adocchia e rimira scorata e confusa
De' crudi signori la turba diffusa
Che fugge dai brandi, che sosta non ha.
Ansanti li vede, quai trepide fere,
Irsuti per tema le fulve criniere,
Le note latebre del covo cercar;
E quivi, deposta l'usata minaccia,
Le donne superbe, con pallida faccia,
I figli pensosi pensose guatar.
E sopra i fuggenti, con avido brando,
Quai cani disciolti, correndo frugando,
Da ritta, da manca, guerrieri venir:
Li vede, e rapito d'ignoto contento,
Con l'agile speme precorre l'evento
E sogna la fine del duro servir.
Udite! Quei forti che tengono il campo,
Che ai vostri tiranni precludon lo scampo,
Son giunti da lunge, per aspri sentier:
Sospeser le gioie dei prandi festosi
Assursero in fretta dai blandi riposi,
Chiamati repente da squillo guerrier.
Lasciar nelle sale del tetto natio
Le donne accorate, tornanti all'addio,
A preghi e consigli che il pianto troncò:
Han carca la fronte de' pesti cimieri,
Han poste le selle sui bruni corsieri,
Volaron sul ponte che cupo sonò.
A torme, di terra passarono in terra,
Cantando giulive canzoni di guerra,
Ma i dolci castelli pensando nel cor:
Per valli petrose, per balzi dirotti,
Vegliaron nell' arme le gelide notti,
Membrando i fidati colloqui d'amor.
Gli oscuri perigli di stanze incresciose,
Per greppi senz'orma le corsa affannose,
Il rigido impero, le fami durar;
Si vider le lance calate sui petti,
A canto agli scudi, rasente agli elmetti,
Udiron le frecce fischiando volar.
E il premio sperato, promesso a quei forti,
Sarebbe, o delusi, rivolger le sorti,
D'un volgo straniero por fine al dolor?
Tornate alle vostre superbe ruine,
All' opere imbelli dell'arse officine,
Ai solchi bagnati di servo sudor.
Il forte si mesce col vinto nemico,
Col novo signore rimane l'antico
L'un popolo e l'altro sul collo vi sta.
Dividono i servi, dividon gli armenti;
Si posano insieme sui campi cruenti
D'un volgo disperso che nome non ha.

Esempio