I Promessi Sposi - capitolo 1 - ulteriore commento

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Testo

Daniele Biasci mercoledì 13 novembre 1996
I promessi sposi
di Alessandro Manzoni

1) Per quale motivo il narratore si sofferma a descrivere, nel caso dei bravi, il loro abbigliamento ?
L’autore ci fornisce, nel caso dei bravi, un’attenta e minuziosa ricostruzione della foggia degli abiti del Seicento. Questa descrizione gli permette di “storicizzare” il racconto, di collocarlo cioè maggiormente nel suo contesto storico attraverso la citazione di elementi che rendono più credibile la narrazione. Ma il vero intento del Manzoni nella sua minuziosa descrizione degli abiti è un altro. Il modo di vestire è un linguaggio, e comunica direttamente e più esplicitamente di quello verbale la funzione e le intenzioni di un personaggio. In questo caso, tutto l’abbigliamento dei Bravi trasuda violenza, ne è la materializzazione. Il corno della polvere attaccato al collo “come una collana” conferisce ai bravi un aspetto di ribalderia, gli aggettivi accrescitivi e dispregiativi che accompagnano le armi descritte (“spadone”, “coltellaccio”) le fanno sembrare ancora più minacciose, la loro lucentezza e efficienza fanno capire con quanta cura i bravi si occupino dei propri strumenti d’offesa. Ancora una volta, il Manzoni ci trasmette sensazioni e significati molto vivi, nascosti dietro elementi apparentemente banali del testo.

2) Ciascuna delle seguenti citazioni contiene una o più figure retoriche tra quelle sotto indicate. Identificale e scrivine la denominazione. Similitudine, metafora, reticenza, litote, antitesi.

- “...uomo avvertito... lei c’intende...”
Si tratta di una reticenza, una figura retorica che consente di rafforzare un concetto lasciandolo solo intuire.

- “Il nostro don Abbondio, non nobile, non ricco, coraggioso ancor meno, s’era dunque accorto di essere, in quella società, come un vaso di terracotta costretto a viaggiare in compagnia di molti vasi di ferro.”
Siamo davanti alla litote, che grazie alla negazione del contrario di un concetto, permette di esprimerlo con significato più blando (“...non nobile, non ricco, coraggioso ancor meno...”). La similitudine che segue (introdotta da “come”) è usata per descrivere efficacemente la situazione di don Abbondio nella società del Seicento.

- “Le leggi, anzi, diluviavano.”
Si tratta di una metafora (erano abbondanti come se diluviassero)

- “Ma lor signori, son troppo giusti, troppo ragionevoli...”
Può trattarsi di un’antitesi, anche se il solo scopo di queste parole di don Abbondio è quello di ingraziarsi i due bravi. La figura retorica può tuttavia essere letta dal punto del Manzoni o del lettore, che notano il contrasto tra la violenza dei bravi e la gentilezza servile, quasi comica, delle parole di don Abbondio.

3) Descrivi il personaggio di Perpetua, spiegando con quale tattica riesca ad ottenere le confidenze di don Abbondio.
Il Personaggio di Perpetua è un personaggio straordinario, una donna schietta, popolana, pettegola e avventata, di indole brusca e dolce al tempo stesso. Perpetua costituisce il naturale completamento di don Abbondio, la sua antitesi per eccellenza. Lui timoroso e riservato, lei energica e ficcanaso, più che due individui diversi sembrano costituire le due facce di un unico personaggio. La descrizione che ce ne dà il Manzoni è viva, velatamente ironica, e ne traspare una donna burbera ma affezionata al suo padrone. Che tipo di rapporto ci sia tra i due, ci è indicato dalla tattica che Perpetua, curiosa per natura, utilizza nei confronti di don Abbondio per strappargli le sue confidenze dopo l’incontro del curato con i bravi. Semplice ma forte, la strategia di Perpetua si basa sia sulla profonda conoscenza che ha dei comportamenti e degli argomenti che possono far leva su don Abbondio, sia su una dolce ma ferma insistenza. Inoltre, appare chiaro tanto a lei quanto al lettore che don Abbondio, reduce dall’incontro con i bravi, non desidera altro che confidarsi con qualcuno, per non dover sopportare da solo il peso dell’evento (“...ansioso di trovarsi in una compagnia fidata, chiamò subito: «Perpetua ! Perpetua !»...”). La schietta autorità di Perpetua non stenta troppo a forzare l’animo ansioso di raccontare di don Abbondio e, con qualche gesto simbolico (“...disse Perpetua empiendo il bicchiere e tenendolo in mano, come se non volesse darlo che in premio della confidenza che si faceva tanto aspettare...”) e teatrale (“...Perpetua, ritta davanti a lui, con le mani arrovesciate sui fianchi...”) e numerose solenni formule di giuramento circa la sua assoluta riservatezza, ottiene il racconto completo della disavventura di don Abbondio.

4) Dopo aver rintracciato sul testo le seguenti espressioni, spiegane il significato letterale e metaforico.

- “Forza legale e forza reale”
(cap. I rig. 250 - 258)
I due termini stanno in netta contrapposizione fra di loro. Per forza legale, infatti, si intende la forza della legge e della giustizia pubblica, quella che dovrebbe difendere il debole dall’oppressore, e per forza reale invece, la potenza che i signori locali esercitavano sulla popolazione, in contrasto con la forza legale, per mezzo dei piccoli eserciti di bravi che erano loro a disposizione.

- “Le leggi, anzi, diluviavano.”
(cap. I rig. 239)
Questa metafora ci comunica, in tutta la sua drammaticità, l’inefficacia delle gride emesse dai governatori spagnoli. Poiché il valore delle disposizioni della macchina burocratica spagnola era pressoché nullo, i governanti cercavano di supperire a questa carenza aumentando a dismisura il numero dei provvedimenti. Ne conseguiva che le leggi “diluviavano”, numerosissime ma impotenti come gocce di pioggia.

- “Era quindi ben naturale che costoro vendessero la loro inazione o anche la loro connivenza ai potenti.”
(cap. I rig. 278 - 279)
L’affermazione si riferisce agli uomini della giustizia, gli sbirri, che, essendo disprezzati peggio dei delinquenti e tenendone veramente lo stesso comportamento, era naturale che si alleassero per denaro con gli stessi signori, il cui potere erano destinati a contrastare (da qui poi l’impotenza della forza legale contro la forza reale, vedi frase 1).

- “Questo chiamava un comprarsi gli impicci a contanti.”
(cap. I rig. 337)
Questa frase, riferita a don Abbondio, ci mostra una delle sue massime di vita: stare il più possibile lontano dai guai. “comprarsi gli impicci a contanti” significa infatti trovarsi noie con facilità, ed è riferita al comportamento di certi suoi colleghi curati che, facendo il loro dovere di uomini di chiesa, difendevano i deboli contro lo strapotere dei signori. Questa espressione popolare, insieme a quella successiva (“...voler raddrizzar le gambe ai cani...” per indicare una cosa impossibile) serve a riferire direttamente i pensieri, non certo elevati, del curato.

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