I Promessi Sposi (cap. XXXI)

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Categoria:Letteratura

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Testo

CAPITOLO XXXI

1. Federigo prescrisse con una lettera pastorale ai parroci di arnmonire ripetutamente il popolo di avvertire le autorita di ogni presunto caso di peste e di consegnare le cose infette o sospette.

2. Secondo il Tadino fu un Pietro Antonio Lovati, di quartiere nel terntorio di Lecco; secondo il Ripamonti fu un Pier Paolo Locati di qustiere a Chiavenna.

3. Un giorno, mentre andava in bussola a visitare i malati, gli si raduno intorno una folla che gli gridava di essere il capo di coloro che volevano la peste, che metteva in subbuglio la gente per dar lavoro ai medici;la folla divenne cosi furiosa che i portantini furono costretti a farlo rifugiare in casa di amici.

4. Col propagarsi del morbo, la caparbieta del popolo di negare la peste venne sempre meno; ma quella stessa caparbieta porto la gente a cercare scuse e cause che non dimostrassero il loro torto e la loro negligenza. Cosi l'attenzione di molti si rivolse a voci e racconti che provenivano dal resto d'Europa: arti venifiche, operazioni diaboliche, gente dedita a spargere il morbo. Poiche l'anno prima era stata denunciata la scomparsa da Madrid di quattro presunti untori, ci si inizio a domandare se per caso essi fossero capitati a Milano; e cosi da quellanotizia inizio a nascere una "*ode scellerata".

5. La sera del 17 maggio alcune persone videro degli uomini che ungevano un assito nel duomo; spaventate, fecero portare fuori dalla chiesa l'assito e molte altre panche e sebbene il presidente della sanita non trovo nulla di sospetto, quella quantita di roba accatastata irnpressiono la moltitudine che inizio a credere che tutto il Duomo fosse stato unto. La mattina dopo in ogni parte della citta si videro le porte e le muraglie sporche di un liquido giallognolo e biancastro sparsovi come con delle spugne.

6. In una delle feste della pentecoste mentre moltissimi cittadini erano riuniti al cimitero di San Gregorio a pregare per i propri defunti, i cadaveri di un intera famiglia morta di peste furono trasportati nudi su un carro, affinche la folla potesse vedere gli effetti della malattia.

7) Esaminando le. varie testimonianze sul contagio e rimanendo fedeli alle sue prerogative, Manzoni ricerca, con mentalita di storico e anche di moralista una precisa concatenazione di fatti e nessi che danno collocazione e senso all'evento che sta trattando mostrando le. cause e le. precise responsabilita umane nella diffusione deUa pesta, indicando lnelemento comune a tutti gli errori compiuti in quel frangente soprattutto nell'irrazionalita e nella eccessiva sicurezza delle persone; tutto questo pero senza rinunciare mai all'essere in fondo, romanziere.

8)Manzoni afferrna che e necessario a proposito di un delirio collettivo grande come la caccia agli untori di Milano, analizzare ogni singolo particolare ed episodio esaminando da vicino le varie sfaccettature di un simile episodio della grande potenza del male, l'interesse principale di Manzoni e di ricercare come questo delirio abbia potuto impossessarsi della comunita e incidere a tal punto la mentalita della gente coinvolta al fine di individuare i meccanismi di diffusione di errori di tale portata, per tentare di evitare che essi si ripetano.

Riassunto cap. XXXI
M. inizia il capitolo spiegando i motivi che lo inducono ad aprire una lunga parentesi storica sulla peste.Il suo scopo e di ricostruire l'evento, owiando alla mancanza di sistematicita tipica dei cronisti secenteschi. Racconta cosi che dai paesi vicini giungono le notizie dei primi morti. Inizialmente la causa delle morti non viene attribuita al contagio, ma dopo una visita sui luoghi detla malattia il Tadino conclude che si tratta di peste Le autorita e in particolare it governatore Ambrogio Spinola rimangono piuttosto indifferenti al problema; ma anche la popolazione rifiuta l'idea del contagio. Finalmente il 29 novembre 1629 viene pubblicata una grida che vieta l'ingresso in citta di coloro che provengono da-paesi ove si e verificato il contagio: ma ormai la peste e gia entrata in Milano Vengono prese misure per evitare il contagio, ma la gente per avidita e paura, riesce ad eluderle. n contagio si diffonde, ma in modo non rapido la gente rimane scettica e si scaglia contro i medici che la mette in guardia, giungendo ad aggredire il medico Lodovico Settala. Si moHiplicano le morti e diviene impossibile negare lXesistenza del morbo. Invece di dichiarare la presenza della peste, si parla perт di"febbri pestilenti", cio induce a trascurare i pericoli del contagio. I malati trasportati al iazzaretto si fanno sempre piu numerosi tanto che il lazaretto stesso diviene ingovernabile: solo l'intervento e il sacrificio di alcuni frati riuscira a riportarvi l'ordine. Si parla finalmentedi peste, ma 5i diffonde al tempo stesso l'idea che all'origine del male non vi sia il contatto con gli ammalati, bensi quello con Uunguenti velenosi'. A rafforzare la psicosi dell'untore concorrono due episodi di presunta unzione: Isuno verificatosi in duomo, l'altro lungo le strade cittadine. Malgrado il tribunale di Sanita non creda allo spargimento di veleni, le autorita non smentiscono pubblicamente l'esistenza delle unzioni; mentre vi e chi addirittura continua a negare la pestilenza: llesposizione di alcuni cadaveri durante una processione convincera tuffi del contrario. In conclusione, M. chiude il capitolo riflettendo suile mistiticazioni di fatti e di parole che hanno condotto ad uno sviluppo cosi ampio del contagio

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