Giovanni Verga

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GIOVANNI VERGA
Maggiore esponente del verismo, novelliere ed autore di teatro, Verga nasce a Catania nel 1840, figlio di una famiglia di possidenti. È il responsabile degli alti risultati del verismo in Italia, soprattutto nella realizzazione del programma teorico elaborato da Capuana. Comincia a scrivere giovanissimo (I carbonari della montagna, 1861-1862) e dopo aver rinunciato a laurearsi in legge si iscrive per un quadriennio nella Guardia Nazionale. Il suo soggiorno a Firenze segna una tappa fondamentale nella sua maturazione letteraria, in quanto viene a contatto con personalità come Francesco dall’Ongaro e alcuni poeti tardo romantici. Dal 1872 al 1893 dimora a d Milano, dove prende parte ai progetti letterari degli scapigliati milanesi; pubblica qui alcuni romanzi (“Eva”, “Eros” e “Tigre reale”). Cominciava già tuttavia con queste opere a maturare in Verga un’alternativa per quanto riguarda la concezione del romanzo: con le opere “I malavoglia”, “Nedda”, “Vita dei campi”, Verga si ripropone come obiettivo quello di tracciare un quadro il più veritiero possibile della società, utilizzando il metodo dell’impersonalità. Si preoccupa soprattutto, come evidente in “Matro Don Gesualdo”, “I Malavoglia” e nelle “Novelle rusticane”, di descrivere la vita della campagna meridionale (tematica principale di tutto il verismo). Ritiratosi poi in Sicilia nel 1893, tentò invano di portare a termine il “ciclo dei vinti”. Gli ultimi anni furono segnati da preoccupazioni economiche e morì il 27 gennaio 1922 in seguito ad un attacco di trombosi.
Le opere
L’esordio letterario di Verga non è dei migliori, in quanto i romanzi catanesi abbondano di una retorica pomposa, difetti formali che portano all’errore grammaticale voluto. Da ricordare alcune opere come “Amore e patria” (romanzo d’avventura che risente dell’influenza dei “Tre moschettieri”), “I carbonari della montagna” (carico di patriottismo anti-borbonico) “Sulle lagune” (romanzo storico contemporaneo)
Il periodo fiorentino e milanese
Nel 1865 Verga è a Firenze; quella che allora era la capitale, era un circolo vivo di cultura, dove lo scrittore pensa di poter mettere in mostra le sue qualità. Pur essendo indeciso se intraprendere la carriera di commediografo o di scrittore, Verga sceglie quest’ultima, anche se il teatro tornerà spesso nella sua produzione. Il primo lavoro che segna questa sua scelta è “Una peccatrice”, romanzo vagamente autobiografico che narra le vicende di una giovane artista. Il successo immediato arriva però con “Storia di una capinera”, romanzo epistolare che narra le vicende di un’educanda, Maria. Uscita dal convento per un’epidemia di colora, si innamora di Nino che però sposerà la sua sorellastra. Rientrata in convento, si lascerà morire di dolore. Nella forma della narrazione (che si sviluppa tramite una serie di lettera che la protagonista manda alla sua amica Marianna) vi è un chiaro riferimento all’Ortis foscoliano.
A Milano nel 1872, Verga si avvicina all’ambiente della “Scapigliatura democratica”: pubblica i cosiddetti “romanzi mondani”, in cui i personaggi maschile sono spesso meschini e tendono a presentarsi come delle proiezioni dell’autore, da cui si riprende il motivo biografico dell’allontanamento dalla terra natale e dalla famiglia. Le figure femminili rispecchiano invece la lussuria e il lusso.
La lezione del naturalismo
Alla fine degli anni 70, Verga si avvia a diventare il maggior esponente del verismo. Alcuni ritengono che inizi ad esserlo con il romanzo “Nedda” del 1874, ma tuttavia non presenta particolare innovazioni dal punto di vista stilistico o tematico. Dal 1879 Verga viene influenzato dal naturalismo francese, che proprio in quegli anni Capuana stava cercando di diffondere mediante recensioni in Italia. Nella novella “Fantasticheria”, è evidente il passaggio da una visione tradizionale della vita rustica ad una dove la vicenda è filtrata nello stesso tempo attraverso gli occhi del narratore e della protagonista aristocratica.
Nella lettera prefazione dell’ “Amante Gramigna” (edita in “Vita dei campi”) Verga si appresta ad illustrare quali saranno le innovazioni salienti ne “I Malavoglia” che risulteranno come un’opera “fatta da se” (sarà narrata così realisticamente che non sembrerà nemmeno scritta da qualcuno, ma sembrerà di guardare direttamente la realtà)

Vita dei campi
La raccolta, pubblicata nel 1897, riunisce in se 8 novelle precedentemente pubblicate in rivista. La prima è “Fantasticheria”, manifesto dell’opera che fa quasi da prefazione a “I Malavoglia”; contiene per la prima volta il “tema dell’ostrica”, ovvero la difficoltà a staccarsi dalla propria terra natale e l’impossibilità futura di riattecchirvi. Si delinea così anche il tema dei valori semplice (per questo presenta una svolta, anche se il linguaggio è ancora inadeguato)
Segue poi un dittico di personaggi tragici “Jeli il pastore” e “Rosso Malpelo”. Al quarto posto vi è “Cavalleria rusticana”, scritta inizialmente come un testo teatrale. Seguono poi “La lupa” e “L’amante Raja” (poi L’amante Gramigna); questo testo è particolarmente importante perché nella lettera-prefazione che lo introduce Verga fa un bilancio della sua produzione fino al 1880 e abbozza il cammino da percorrere per giungere alla piena realizzazione del programma verista. Concludono la raccota “Guerra di Santi” e “Pentolaccia”.
I temi della raccolta, vertono su personaggi del mondo contadino, lasciati agire in prima persona e in grado per questo motivo di esprimere la loro concezione di vita, i loro valori. Nel momento in cui questi cercando di risollevarsi dalla miseria, vi vengono subito ricacciati dall’ambiente che li circonda. Altro tema fondamentale è quello del triangolo amoros, che trova la drammatica risoluzione nel duello rusticano. Altri tema è quello della “roba”, valore sommo a cui restano subordinati sentimenti e rapporti personali.
I Malavoglia e il “ciclo dei vinti”
Pubblicata nel 1881, questa novella presenta una grande originalità nei temi, nella prefazione formale e nella fusione degli elementi. Gli aspetti chiave di quest’opera sono l’annullamento del narratore onnisciente a favore di un “coro popolare”, che narra la vicenda dall’interno. L’uso del discorso indiretto libero, che consente la fusione delle unità narrative. Il frequente ricorso alla sintassi dialettale, al proverbio popolare e al parlato proverbiale. La tecnica narrativa è poi quella della totale impersonalità, che fa si che il narratore si astenga da qualsiasi giudizio personale.
L’ideologia verghiana di può riassumere nella concezione dell’esistenza come “lotta per la vita”: questa non sfocia mai nella vittoria, bensì sempre in una sconfitta, nel fallimento e nella solitudine assoluta. La visione di Verga è chiaramente pessimistica.
Il “ciclo dei vinti”, doveva essere un’ulteriore raccolta di opere, mai portata a compimento dallo scrittore. Anche questo ciclo si sarebbe dovuto basare sulle dottrine naturalistiche e avrebbe dovuto contenere 5 opere e si sarebbe dovuto intitolare “La marea” (per esprimere l’onda dell’istinto vitale). I testi previsti erano: “Padron ‘Ntoni” (poi I Malavoglia), “Mastro Don Gesualdo”, “La duchessa di Leyra”, “L’On, Scipioni” e “L’uomo di lusso”. Oltre a “Mastro Don Gesualdo” e “I Malavoglia” ci è pervenuto solo il primo capitolo della “Duchessa..”
Novelle Rusticane
Negli anni 80, Verga proseguì la propria sperimentazione; le “Novelle Rusticane” vengono edite nel 1882. la realtà che appare in essere è decisamente più frammentata e più cupa, mentre le parole cardine del mondo antico come Dio, Re, Giustizia, perdono di autorità e rivelano un mondo in cui il progresso è illusorio e il cambiamento solo apparente. Non a caso l’anno in cui sono ambientate molte novelle è il 1860, anno di cambiamenti in Italia poiché anno prima dell’Unità, visto soprattutto in Sicilia come un tradimento alle aspettative Risorgimentali. Alla polemica politica se ne affianca anche una sociale, che vede la natura come una protagonista sempre più forte che schiaccia gli uomini, che vengono accomunati tutti dalla stessa sorte di miseria e desolazione. Da citare tra queste novelle sono: “La roba”, “Malaria”, “Il Reverendo”, “La libertà”..
Per le vie
Ultima raccolta pubblicata da Verga nel 1883. La novità in questa è il largo utilizzo del discorso indiretto libero, che dà voce al punto di vista del personaggio e il prevalere del registro grottesco, evidenzia il fatto che questi sia incapace di integrarsi con la nuova condizione urbana, deluso dalle promesse del progresso. Il protagonista è scandagliato a livello psicologico: questo è possibile grazie all’utilizzo del discorso indiretto libero contrapposto al registro grottesco. L’ambientazione è quella milanese, megalopoli industrializzata che sommerge completamente i più deboli.
Mastro-don Gesualdo
È il secondo grande romanzo verghiano, pubblicato nel 1889. l’opera testimonia il cambiamento effettuato da Verga dopo gli anni 80; risulta meno innovativo dal punto di vista formale, vi si registra una riduzione del discorso indiretto libero e la totale assenza della monotonia stilistica tipica dei Malavoglia, che si adattava all’ottica corale, dove era chiaro che i protagonisti erano molteplici; contrariamente, è chiaro che Gesualdo è l’unico protagonista del romanzo e che tutto gira intorno a lui. Ambientato in una pianura catanese, il romanzo vede appunto Gesualdo come protagonista, avido commerciante. Sposa una donna proveniente da una nobile famiglia decaduta solo per interesse, sperando che sarebbe stato aiutato negli affari. Non sposa invece la donna che probabilmente lo ama, da cui ha avuto 4 figli. La famiglia di lei gli si dichiara però contro e la moglie, sempre più avvilita, non concorda con il marito riguardo l’educazione di loro figlia, che finirà in un convento per volere del padre e ne uscirà a 18 anni, odiandolo profondamente. La madre muore di tisi. Il paese è totalmente contro Gesualdo per il suo carattere e per i suoi modi. È costretto a fuggire per timore per gli vengano tolte le sue ricchezze e torna al paese malato di cancro: spende tutti i suoi soldi per cercare di farsi curare ma muore da solo come un cane, assistito solo da un muratore, che egli ha sempre maltrattato.
La vicenda si svolge tra la fine del 700 e il 1861: per questo, il romanzo risulta anche essere una sorta di romanzo storico e di costume, con una chiave di lettera pessimistica del fallimento di ogni reale cambiamento. Nella figura di Geualdo campeggia il tema della “roba”, la cui ricerca domina e spinge il protagonista: il successo sociale lo porta al confronto con la desolazione affettiva di chi lo circonda e infine alla rovina totale, simbolo del destino umano.

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