GABRIEL GARCÍA MÁRQUEZ

Materie:Riassunto
Categoria:Letteratura
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Data:03.01.2007
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Testo

Barbara Santin

GABRIEL GARCÍA MÁRQUEZ
CENT’ANNI DI SOLITUDINE

Gabriel Garcìa Márquez è nato ad Aracataca , nella Colombia atlantica, il 6 marzo 1928. Come giornalista ha soggiornato in Francia, Messico e Spagna; in Italia è stato allievo del Centro sperimentale di cinematografia. Ha esordito con un breve romanzo “Foglie morte” nel 1955, cui sono seguiti “Nessuno scrive al colonnello” (1961), i racconti raccolti ne “I funerali della Mamà Grande” (1962), “La mala ora” (1962) e “Cent’anni di solitudine” (1967), considerato il suo capolavoro. Alcune delle sue opere: “L’autunno del patriarca” (1975), “Cronaca di una morte annunciata” (1981), “L’amore ai tempi del colera” (1985) e la raccolta di articoli “Taccuino di cinque anni 1980 – 1984” (1991). Nel 1982 gli viene assegnato il premio nobel per la letteratura.

“Cent’anni di solitudine” è la storia della famiglia Buendia e del villaggio, chiamato Macondo, fondato dai sui capostipiti: Ursula e José Arcadio. La saga comincia con la paura di Ursula che, essendo la cugina di José Arcadio e una donna saggia, ma superstiziosa, teme di generare un figlio con la coda di maiale.
La famiglia però nel frattempo si moltiplica normalmente con il passare del tempo e sembra proprio che tutti i componenti vogliano inconsapevolmente inseguire un solo destino: quello di generare un figlio con la coda di maiale.
Ogni personaggio insegue una meta, che alla fine si rivela effimera: dagli amori irraggiungibili o proibiti dei personaggi femminili, ai sogni, il più delle volte mai realizzati, dei personaggi maschili.
Tutto il racconto è come una ruota che , appunto, nel giro di cent’anni, ritorna sempre al punto di partenza: ogni “eroe” vive il suo destino ineluttabile di solitudine. Una sorta di circolo vizioso da cui pare non si possa uscire.
Il colpo di scena arriva però alla fine del romanzo: Amaranta Ursula e Aureliano generano il loro figlio (l’unico nato veramente con amore) con la coda di maiale. Purtroppo però la mamma muore dopo il parto e Aureliano lascia morire anche suo figlio. Non gli dà pace però la sua voglia di scoprire cosa nascondono le pergamene di Melquiades, lo zingaro chiaroveggente, che praticamente fondò Macondo con Ursula e José Arcadio. Come improvvisamente illuminato, comprende che lo zingaro aveva già previsto dall’inizio la sorte della famiglia, aveva già visto come avrebbero vissuto ogni istante e lo aveva scritto in quelle misteriose pergamene che nessuno era mai riuscito a tradurre. Anche la morte dello stesso Aureliano è descritta in ogni dettaglio: morirà non appena finirà di leggere le pergamene, “perché le stirpi condannate a cent’anni di solitudine non avevano una seconda opportunità sulla terra”.

Ho apprezzato questo libro soprattutto alla fine, perché solo lì ho capito veramente il titolo dato al romanzo: i cent’anni di solitudine sono veramente tali, ogni personaggio è destinato alla solitudine, fra l’altro già stabilita fin dall’inizio. Mi è piaciuto anche il riferimento storico di Márquez, dato che Macondo è praticamente la “fotocopia” del paese natale dell’autore durante il periodo della guerra civile e durante quello della sua modernizzazione.

“ gridava Ursula ” Pag. 191

“Lei, invece rabbrividì per la certezza che quel bramito profondo era un primo indizio della temibile coda di maiale, e pregò Dio che le facesse morire la creatura nel ventre. Ma la lucidità della decrepitezza le permise di sapere, e poi lo ripeté parecchie volte, che il pianto dei bambini nel ventre della madre non è né un annuncio di ventriloquia né di facoltà divinatoria, bensì un segno inequivocabile di interdizione all’amore.” Pag.245

“Dicendolo, si rese conto che stava dando la stessa risposta avuta dal colonnello Aureliano Buendia nella sua cella di condannato, e ancora una volta rabbrividì constatando che il tempo non passava, come lei aveva appena finito di ammettere, ma che continuava a girare in giro.” Pag.328

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