Francesco Petrarca

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Testo

PETRARCA

Ugo Dotti afferma che con Petrarca nasce la coscienza moderna: con la sua poesia, che rappresenta la fondazione della lirica moderna, viene data voce ad un mondo lacerato e dinamico che è il mondo della nuova interiorità. Nasce una concezione per cui la scelta del bene non elimina il dubbio: la scelta verso ciò che è giusto si porta dietro un’incertezza e una tentazione verso il peccato mai eliminata. Questa situazione di dilemma (conoscere il bene ma sentirsi risucchiati verso il male) fonda la situazione psicologica della modernità. In Dante questa dimensione non è presente: per lui il viaggio verso il bene è rettilineo e progressivo, non si può tornare indietro. Il cammino di Petrarca, invece, è sinuoso e difficile, spesso si rischia anche di sbagliare strada. Il male è rappresentato dalla passione per i beni terreni che, nel caso del poeta, sono l’amore per la propria poesia e per l’oggetto di essa, ovvero Laura. Egli li riconosce come peccati ma li ama lo stesso perché sono parte di sé: questo è uno dei tratti fondamentali della sua modernità.
Con Petrarca la poesia diviene pienamente lirica, cioè voce di un’interiorità soggettiva conflittuale e la lirica diventa il genere centrale della letteratura poetica.
Egli rappresenta anche un nuovo tipo di intellettuale. Mentre Dante è un uomo del comune e teorizza l’idea di mettere la cultura al servizio della comunità e di essere politicamente e municipalmente impegnato, Petrarca è un intellettuale pre-umanistico. Egli non appartiene a una città ma mette la sua eccellenza intellettuale e la sua cultura al servizio di un potere che non è quello cittadino, bensì quello signorile. Il signore, in cambio dei suoi servizi (fornire lustro alla corte, essere funzionario e oratore → ambasciatore), gli offre il sostegno economico senza cui egli non vivrebbe poiché non ha altro mestiere al di fuori della letteratura. Petrarca è anche un clericus: prende gli ordini minori, con cui ha l’obbligo del celibato e può godere di un beneficio dal quale trae sostentamento. Dante aveva una cultura filosofica e teologica sebbene fosse laico, Petrarca ha una cultura letteraria sebbene sia un ecclesiastico → per lui è più importante la riscoperta della letteratura antica.
Egli conduce una vita itinerante e ciò è il riflesso di un’inquietudine morale che si ritrova anche nelle sue poesie. Per lui il rapporto con la realtà concreta e civile è meno importante che per Dante. De Sanctis, infatti, nella “Storia della letteratura d’Italia” (1871) chiama Dante “poeta”, poiché ha una dimensione letteraria che è un tutt’uno con quella civile, etica e politica (è una figura a tutto tondo), e Petrarca “artista”, in quanto è solo un uomo di cultura.
Tanto più c’è un divorzio con la realtà concreta, tanto più la dimensione spirituale diventa importante; il primato dell’interiorità si realizza con la lirica e Petrarca ne è un ottimo esempio.
La situazione di analisi continua, di soggettività assoluta a cui si accompagna la scoperta di un conflitto che non si risolve mai, corrisponde a una lingua classica equilibrata e controllata, in cui la compostezza delle forme fa da contraltare ad un argomento di struggimento morale. A differenza di Dante che presenta una pluralità di forme, Petrarca segue il monostilismo, che si risolve con la ricerca di una forma di poesia perfetta e senza tempo che sia associa ad un contenuto drammatico.

IL SECRETUM

Il tormento di una vita non vissuta secondo certe coordinate morali crea in Petrarca una crisi, un tormento e una sospensione fra sapere con certezza cos’è il bene e il non riuscire a seguirlo con decisa volontà. Egli è attratto dalla bellezza terrena che, sebbene effimera, è troppo coinvolgente. Non riesce, infatti, a distogliersi dall’amore per Laura (donna reale) e dalla ricerca di gloria terrena attraverso la poesia. Nel 1343 Petrarca compone il Secretum (il cui vero titolo è De secreto conflicto curarum mearum) che ci immette in questo dramma interiore. E’ scritto in latino ed è destinato all’esplorazione della personalità dello scrittore. E’ un’opera per certi versi ancorata alla cultura medioevale: si tratta, infatti, di un dialogo fra Petrarca e sant’Agostino che si svolge per tre giorni alla presenza muta della verità (rappresentazione allegorica). Sant’Agostino è uno dei padri della Chiesa e uno degli auctores preferiti di Petrarca; è il grande inventore del dramma cristiano della coscienza. Egli scrive le Confessioni che definiscono la spiritualità cristiana come luogo in cui l’uomo si confronta con se stesso e con la propria coscienza e costruisce, così, la sua storia. Quest’opera è principalmente un esame dell’interiorità del poeta che si realizza attraverso l’interagire di due personaggi, rappresentanti le diverse voci della coscienza di Petrarca.
La conversazione inizia con lo scrittore che parla della propria ansia e con sant’Agostino che gli dimostra come questa derivi dal troppo attaccamento ai beni della Terra e dall’insoddisfazione che essi provocano, a causa della loro deperibilità e inadeguatezza. Il dialogo passa poi attraverso l’esame dei sette peccati capitali, si incentra sulle due grandi colpe di Petrarca e sull’accidia (debolezza della volontà rispetto alla scelta del bene). Sant’Agostino gliela rimprovera e colloca sull’orizzonte di essa il suo amore per Laura e per la gloria terrena. Il poeta risponde che questi amori sono due nobili disposizioni interiori che aiutano a superare i limiti della normale umanità. In realtà si tratta di un perdersi nella bellezza divina inseguendo un bene e una gloria effimeri. Alla fine del dibattito Petrarca si dichiara sconfitto se non persuaso, ma la conclusione è comunque aperta perché egli non dichiara di voler rinunciare a questi amori, pur riconoscendone il peccato, in quanto non è in grado di staccarsi da loro.
Le voci della coscienza qui rappresentate sono la ragione religiosa e morale, ovvero il bene e la ragione umana, rappresentata dalla bellezza dell’amore e della gloria terreni. Questa interiorità in conflitto è un’idea nuova, poiché in Dante, una volta riconosciuto ed eliminato il peccato, non ci si ricade più.
La frase finale indica una redenzione nell’anima del poeta che avviene attraverso la letteratura: “SPARSA FRAGMENTA ANIMAE RECOLLIGAM”.

L’EPISTOLARIO

Nei suoi viaggi Petrarca, essendo bibliofilo, ha occasione di visitare le grandi biblioteche dei monasteri europei e di scoprire qui dei codici considerati perduti nel Medioevo. Essi condizionano il suo pensiero sull’antichità classica e sullo stile da utilizzare. Egli, infatti, modella il proprio stile su quello dell’originale latino ad è animatore di una rete di intellettuali che segue il mito di restaurare la classicità distrutta dal Medioevo. Petrarca raccoglie tutte le lettere, sia quelle fittizie sia quelle reali che scrive ad altri dotti, in epistolari, unendole e modificandole secondo l’esempio degli epistolari latini per dare di sé un’immagine precisa. Tra tutte ricordiamo le familiares, quelle indirizzate agli scrittori dell’antichità e quella ad posteros in cui parla di sé. Sono tutte scritte in latino.

UMANESIMO E FILOLOGIA

Petrarca è uno scrittore che privilegia il latino e che lo fa diventare la lingua internazionale della cultura. Si tratta di un latino che, per la prima volta, rifiuta la modificazione medioevale e che cerca di elevarsi alla purezza di quello ciceroniano. Si può dire che l’Umanesimo comincia da qui, perché nasce un rapporto nuovo con il mondo classico che viene recuperato nella sua purezza e nella sua storicità. Ciò significa che si sviluppa l’idea di una evoluzione nel tempo che ha determinato una frattura incolmabile fra la classicità e l’età contemporanea: il Medioevo prende questo nome poiché è considerato un passaggio fra questi due periodi. Nasce anche un nuovo modo di rapportarsi ai testi classici, in cui si scopre un significato che va compreso nella sua diversità, purificandolo da tutte le interpretazioni che ne sono state fatte nel Medioevo. La cultura di quell’epoca, infatti, aveva assimilato quella antica attraverso una lettura simbolica tesa a trovare significati morali. Con Petrarca inizia la coscienza storica, che consiste nell’avere la consapevolezza del tempo che è trascorso e che ha così separato il nostro presente da un periodo antico diverso e da interpretare nella sua identità precisa. I testi classici vengono riportati al mondo dei loro valori che viene riscoperto. Nel momento in cui si allontana un’opera dalla propria cultura gli si dà la possibilità di comunicare la propria verità. Si sviluppa, quindi, nei confronti dei codici antichi, uno spirito critico teso a ricostruire, per mezzo della filologia, l’originale con fedeltà. Attraverso il confronto di tutti gli esemplari reperibili di un testo e ai riferimenti all’usus scribendi dell’autore si cerca di raggiungere l’originalità. I codici cominciano, quindi, a non essere visti più come auctoritates ma come probabili portatori di errori al loro interno e bisognosi di una correzione: si può dire che si modifica anche l’atteggiamento nei confronti della letteratura. Spesso, infatti, i testi erano stati soggetti a interpolazioni, ovvero ad aggiunte o tralasciamenti di parole e alle più varie tipologie di errori dovuti, tra le altre cose, alle glosse, alla mancanza di segni di interpunzione, alla scarsa illuminazione, alla stanchezza, … Possiamo quindi affermare che la filologia come scienza del testo esatto ha inizio con Petrarca. Egli, infatti, viaggia moltissimo e, poiché ha una rete molto vasta di conoscenze culturali, scambia i propri pareri e le proprie interpretazioni con altri intellettuali e letterati. Egli sa benissimo che su tutti i testi si sono stratificate molteplici interpretazioni funzionali alle idee del lettore e cerca di riportare questi codici alla verità della loro significazione originale.
Riassumendo, si può dire che filologia vuol dire ricostruire un testo con coscienza storica (consapevolezza che il tempo è passato e che non c’è un eterno presente in cui assimilare testi in un solo universo culturale) e con spirito critico (viene meno l’idea dell’infallibilità della parola scritta). Si tratta, quindi, di una totale rivoluzione mentale. L’uomo è ora libero di conoscere, comprendere, rivisitare e migliorare un universo culturale che gli è stato tramandato. Questo atteggiamento di libera indagine critica si trova anche nell’interpretazione dei testi sacri e della donazione di Costantino.
Anche in molti codici delle beatitudini, nella parte in cui si dice “Beati i poveri di spirito poiché di
essi è il regno dei cieli” non c’è la precisazione “di spirito” e ciò ha causato accesi dibattiti.
Eugenio Garin sostiene che gli uomini del Medioevo conoscevano sì i classici ma erano barbari perché li interpretavano in modo sbagliato. Nel momento in cui definisco un testo nella sua verità
definisco anche la mia perché segno la mia diversità dal mondo antico. Si generano cos’ una nuova consapevolezza di sé e della distanza storica. In questo periodo in arte nasce la prospettiva, cioè la costruzione geometrica dello spazio che parte dal punto di vista dell’occhio che guarda (e ciò equivale a collocare un testo in una prospettiva lontana dal presente).
I testi vengono anche visti come portatori di contenuti riguardo all’uomo che hanno un valore educativo universalmente valido. Da qui si originano le humanae litterae che generano l’humanitas, la dimensione umana, psicologica e filosofica che forma pienamente l’uomo e che è completa non solo culturalmente ma anche moralmente. Petrarca, infatti, nelle epistole immagina di scrivere a Cicerone come ad un suo contemporaneo perché la cultura azzera i tempi.

IL CANZONIERE

E’ l’opera più importante della produzione di Petrarca ed è fondamentale per la letteratura italiana. Si tratta di un monumento letterario, ovvero di un testo che fonda una posizione, che sta alla base di una serie di opere ad esso ispirate. Fonda, infatti, la tradizione della poesia lirica in Italia e ne rimane il modello fino a Leopardi. La produzione italiana rimane fortemente ancorata al Canzoniere e alla sua lingua chiusa e non aperta ad innovazioni per secoli, tanto che per noi è molto difficile da interpretare. Bisogna cercare di trovare in quest’opera delle ragioni forti (che dicono qualcosa) di lettura; quest’ultima è spesso eretica e difficilmente giustificabile in termini storico-filosofici. Si tratta di una misreading, cioè di un’attualizzazione del testo, che permette al lettore di incontrarlo in modo integrale. L’incontro con un’opera, infatti, può avvenire in due modi:
* secondo la cortesia: si presenta il testo storicizzandolo e contestualizzandolo, poi si procede all’analisi (lo si tratta come un ospite del mondo antico)
* face to face: si entra direttamente nel testo leggendolo; ciò è fonte di molte misreadings.

Nel macrotesto (= insieme dei testi) di Petrarca è l’opera più importante per valore artistico, per fortuna postuma e per influenza sulla letteratura successiva. Questa sua centralità, però, non emerge dalle scritture dell’autore, anzi egli la tratta sempre con atteggiamento riduttivo: considera le poesie che vi sono contenute delle nugae, delle inezie. In ogni caso bisogna tenere presente che nell’epoca antica la sincerità letteraria non esisteva e i giudizi che un autore dava sulle proprie opere erano tutti legati a precise scelte retoriche. Petrarca, quando chiama le poesie nugae, un po’ dice la verità poiché è coerente con le sue scelte linguistico-espressive: la sua produzione in volgare è veramente un’inezia rispetto a quella in latino (se non fosse per il Canzoniere e per i Trionfi, egli sarebbe uno scrittore della letteratura latina tardo-medioevale). In realtà, con la sua affermazione, il poeta fa anche un’affetatio modestiae perché definisce di poco conto un’opera che invece è di grande valore artistico anche secondo il suo giudizio. Ciò si può dedurre dal fatto che egli ci lavora dal 1336 al 1374: esistono, infatti, nove redazioni manoscritte, frutto di modifiche e ampliamenti successivi. Il codice da cui viene ricavata l’editio princeps e tutte le seguenti è il “codice vaticano latino 3195”.
Il vero titolo del Canzoniere è “Rerum vulgarium fragmenta” perché l’opera come raccolta organica e unica di poesie nasce più tardi. I canzonieri antichi contenevano poesie diverse per genere e per epoca e scritte da vari autori: non erano organismi strutturati e chiusi in se stessi, ma miscellanee. Erano composti da amanti della cultura che raccoglievano testi diversi ad uso personale e, proprio per questo, nonostante la loro scarsa organizzazione, rappresentano delle selezioni storiografiche e stilistiche (EX: canzonieri di stile guittoniano o stilnovista). Tra questi e il Canzoniere di Petrarca, c’è comunque un elemento di continuità: la selezione di testi suddivisi in blocchi tematici o stilistici. Accanto ai canzonieri in volgare esistevano anche quelli in francese, le vidas e le razos. Le poesie in essi contenute erano precedute dal racconto della vita dell’autore (o degli autori), spesso rielaborata in chiave leggendaria, ed erano accompagnate da commenti in prosa; davano, quindi, il tema narrativo e il senso della storia. Anche nel Canzoniere ci sono una cornice narrativa e il senso della storia (che però è di difficile leggibilità) che rappresenta uno degli elementi forti dell’opera.
Il Canzoniere è una raccolta di poesie: canzoni, madrigali, ballate, ma soprattutto sonetti. Esse sono state composte in situazioni diverse e sono state selezionate per raccontare una storia, la vita di Petrarca, che, a differenza delle vidas, non è esplicita, ma ermetica e nascosta nei testi. Si tratta della storia dell’amore triste e infelice per Laura ed è corredata di simboli, allegorie, personificazioni e di significati esoterici (= percepibili solo da lettori che conoscono il codice semiotico usato dall’autore per nascondere certi fatti). Essa è molto lontana dalla nostra sensibilità: nelle storie d’amore attuale c’è una forte presenza di corpo e di sensi, mentre quello di Petrarca è un amore inappagato, per cui l’intera vicenda è interiorizzata e sublimata, sconfina nella sfera del desiderio e del sogno. Questo racconto conosce anche un momento tragico, cioè la morte di Laura e l’ultima parte del Canzoniere è giocata sull’elemento memoriale e sulla trasfigurazione in chiave religiosa di Laura, descritta con stilemi che ricordano quelli del Dante stilnovista. La componente religiosa è così forte nella seconda parte che l’opera si conclude con una solenne preghiera alla Vergine Maria. I simboli che sono aggiunti al testo hanno la funzione di arricchirlo di nuovi significati per collocarlo all’interno di una struttura rigidamente calcolata che consegna al lettore un insieme di rimandi complessi, spesso criptati in punti specifici. Usando questi elementi di compositio, Petrarca vuole evitare che la propria opera faccia la fine dei canzonieri francesi che devono essere corredati di vidas e razos, i quali rischiano di alterare la vicenda raccontata. La storia, come già avviene nella Vita Nova di Dante, ha anche un significato aggiunto religioso: parla di un percorso di purificazione e ascesi che dall’errore e dal traviamento amoroso passa al ripudio per le passioni terrene e alla dedizione totale a Dio). Questo significato è dato da una precisa dispositio dei testi. L’opera è divisa in due parti:
1. liriche in vita di Laura (1 → 263)
2. liriche in morte di Laura (264 → 366)-
Gli elementi di dispositio sono:
1. sonetto proemiale: Petrarca riconosce la vanità delle passioni terrene e se ne pente (tutta l’opera è all’insegna del rimorso e del pentimento)
2. testi che raccontano della passione e dei tormenti d’amore
3. sonetto 267: annuncio della morte di Laura
4. testi incentrati sull’idealizzazione, sulla spiritualizzazione e su una forte presenza religiosa
5. canzone 366: abbandono delle passioni terrene e conversione dall’amore profano a quello sacro.
La bipartizione del testo è singolare per il lettore moderno ma per quello medioevale era chiaramente leggibile come lo specchio dei due momenti della storia dell’anima di ogni uomo:
1. viaggio terreno correlato da insidie, tentazioni, vane passioni
2. ritorno nella vera patria ultraterrena in cui si compie il destino di ogni anima.
Altri significati sono celati dietro ai numeri:
1. 366 poesie → 365 + 1 proemio. Il 365 è riconducibile ai giorni dell’anno e, quindi, il Canzoniere diventa come un diario o come un libro di preghiere, poiché c’è una poesia per ogni giorno.Questa struttura è anche simbolo di una rispondenza fra un tempo interiore e individuale e un tempo del mondo che è mosso da Dio e che, quindi, è anche il tempo di Dio stesso. Questa corrispondenza fra microcosmo e macrocosmo è tipica del Medioevo che percepisce il passato e il presente come elementi di una sola unità armonica e religiosa. Nonostante tutto, però, Petrarca inizia a collidere con questi elementi- perché essi sono rigidi mentre lui è tormentato- e con il tempo, rappresentando così la propria modernità. Ci sono, infatti, dei sonetti dedicati agli anniversari dell’innamoramento per Laura e sono tutti contigui: quello che rappresentano è un tempo personale, molto più importante di quello universale. Il 366 è importante anche perché contiene due volte il numero 6: il primo corrisponde alla data del primo incontro con Laura (6 aprile 1327), il secondo alla data della sua morte (6 aprile 1348), avvenuta di venerdì santo. Essa, quindi, è fatta coincidere con la morte del Redentore, evento centrale della cristianità, avvenuta per il peccato degli uomini → l’innamoramento è presentato come peccato ed errore e l’esperienza individuale è ancorata ad una di tipo religioso. Il 6 è anche un multiplo di 3 e si riallaccia quindi alla simbologia trinitaria. Il primo testo di anniversario è una sestina lirica (e di nuovo torna il 6).
2. i sonetti in vita sono 266; quelli cha vanno dal 267 alla fine sono 100 (= multiplo di 10)
3. le canzoni sestine sono 9 (= multiplo di 3)
4. le canzoni nella seconda parte del testo sono 9
5. DATE: • 6 aprile, giorno della morte di Laura e venerdì santo (morte di Cristo per il peccato degli uomini), • il testo 264 (il primo della seconda parte) è relativo al 25 dicembre (nascita di una nuova vita, senza passioni terrene, che va verso Dio e inizio dell’amore nuovo)
6. tra l’innamoramento e la morte intercorrono 21 anni (2 + 1 = 3)

Sonetto 1

Forma metrica: sonetto con schema metrico ABBA, ABBA, CDE, CDE, molto usato da Petrarca.
Temi:
1. scrivere e ascoltare poesia, ovvero produzione e fruizione del testo. Ciò è detto nel primo verso che ha la funzione di orientare il lettore nella lettura del sonetto, che ha quindi una funzione proemiale. VOI → destinatario della comunicazione; incipit con un deittico (pronome o avverbio che indica qualcosa nello spazio e/o nel tempo) che ha una funzione icastica e una forza possemica (= energia testuale); è completato dal verso 7 che indica il classico pubblico della poesia prima provenzale e poi stilnovista. ASCOLTATE → rimanda alla fruizione orale e alla lettura fatta ad alta voce. AMORE → si tratta di lirica elevata e non di poesia comico-giocosa, anche perché l’amore ha i caratteri della gentilezza e della cortesia. RIME SPARSE → è un’espressione tecnica per indicare le poesie in volgare che deriva dal fatto che il latino non ha rima; l’aggettivo “sparse” indica che esse all’inizio erano vaganti, autosufficienti, non collocate in nessun testo poetico; è anche una ripresa della battuta conclusiva del Secretum: “sparsa fragmenta animae recolligam” → collegamento intertestuale che rende effettiva la proprietà del Canzoniere di dare unità ad una vicenda interiore scissa e lacerata; “sparse” dal punto di vista morale è negativo perché riflette il motivo storico che attribuisce al volgo lo spargimento e al saggio l’unità e l’autocontrollo. VARIO STILE → indica la pluralità di registri retorici e stilistici che sono specchio di una grande mutevolezza di stati d’animo del poeta in balia delle passioni; si tratta del genere lirico sulla base dell’affermazione di Isidoro di Siviglia (6 sec) che definisce la lirica: “lyrici poetae a varietate carminum”.
2. amore: la poesia è appartiene alla lirica e all’interno di essa è poesia d’amore. CUORE → è il topos letterario del cuore legato al nutrimento. L’amore è connotato in senso negativo come errore, smarrimento e il legame è rimarcato dalla rima (core, errore, dolore, amore); la passione d’amore va purificata ed è legata alla giovinezza, vista come l’età della mancanza della saggezza. All’interno del testo si ha un iter dall’amore profano a quello sacro, che è semantizzato in modo cristiano da “pietà” e “perdono”. “Perdono” rima con “sono” per rimarcare la soggettività del poeta.
3. tempo: si parla di un cambiamento avvenuto nel corso del tempo però solo in modo parziale (“in parte”, v.4) e a fatica. I tempi parlano in modo chiaro: si passa dal presente (del pentimento, della vergogna, della saggezza) al passato (dell’illusione).
4. il sonetto si conclude con una gnome (= massima, riflessione morale) cristiana che assorbe in sé e risolve i temi della poesia e dell’amore. E’ una tesi da sottoporre a discussione nel corso dell’opera, l’io l’accetta solo dopo un lungo cammino spirituale: vi è quindi un forte legame fra la gnome e la macrostruttura del testo. Questa frase (“ciò che piace al mondo è breve sogno”) è riconducibile all’adagio monastico (= massima morale, filosofica) sulla “contemptio (= disprezzo) mundi” o “vanitas mundi”. Si tratta di un topos antico e forte, che resiste fino a Leopardi; nella forma originaria si trova nell’Ecclesiasta (“vanitas vanitatum et omnia vanitas est”). Dal punto di vista stilistico la gnome è espressa in una sententia (=frase lapidaria ed icastica): ciò è tipico di Petrarca- che ha un intento psicagogico (muove la psiche del lettore per far sì che la frase rimanga impressa), di Seneca e delle Sacre Scritture. Nel Medioevo era importante saper citare sententiae perché questa abilità si ricollega alle tecniche mnestiche, è così che si misura l’abilità di un poeta.
5. confessione: nell’ultima terzina le parole chiave (VERGOGNA → disagio per il peccato, PENTERSI, CONOSCER CHIARAMENTE → conoscere la retta via per non peccare più) rimandano a questo tema.
Stile
Si tratta di un testo quasi discorsivo e piano, che però poi si complica grazie ad un’elaborata struttura sintattica. Inizia in maniera fluida: la prima quartina non ha figure dell’ordine, nella seconda c’è un anacoluto (il “voi” rimane senza verbo reggente e compare un nuovo soggetto) e un iperbato (= ordo artificialis, sconvolgimento dell’ordine della frase; viene scambiato il verso 5 con l’8; con questa figura Petrarca cerca di creare suspance ricettiva e illusionismo sintattico e porta ad un’ermeneutica corretta).
Morfologia
1. i verbi indicano i piane della temporalità, che è giocata sulla contrapposizione fra il presente (tempo della ricezione poetica, del rendimento e della comprensione degli errori giovanili) e il passato (tempo dell’errore). Questo conflitto è risolto da un presente acronico, che è quello della gnome, cioè della verità universale e indiscutibile.
2. ci sono molti pronomi, soprattutto dei deittici, tipici della lirica. Ci fanno capire che l’io lirico è centrale, è il protagonista ed èd è oggetto di riflessione.
3. le parole in rima segnano il percorso del testo poetico, tanto che è possibile una lettura acrostica (in questo caso vuol dire “che segue le parole iniziali o finali di un verso”, ma in generale l’acrostico è la figura per cui le lettere iniziali o finali di alcune parole compongono una parola di senso compiuto) del testo. CORE – ERRORE → se si segue il cuore si pecca, -AMORE-DOLORE. RAGIONO-PERDONO → se il poeta riflette si accorge di aver bisogno del perdono cristiano. VERGOGNO – SOGNO → il sogno è causa di vergogna. L’arte di Petrarca gioca sulla dissimulazione della bravura poetica: inizia il proprio sonetto in modo piano e man mano lo rende più elaborato. Questa tecnica è detta spezzatura ed essa, nel 1500, è uno degli elementi fondamentali del comportamento cortese.
Figure retoriche del significato
1. sineddoche: RIME SPARSE
2. metafore: CORE come sede dei sentimenti; è una metafora tipica del mondo cortese e ormai spenta - NUTRIRE IL CUORE DI SOSPIRI cioè con qualcosa di immateriale; è quasi una sinestesia perché unisce campi sensoriali diversi – FAVOLA come oggetto di derisione; è una metafora antica e classica poiché si trova già nella commedia di Terenzio “Il pentitore di se stesso”- FRUTTO come risultato – MONDO come insieme dei viventi; è una metafora riconducibile alla religione – SOGNO come immaginazione. Le metafore comunicano delle notizie sui sistemi culturali medioevali: qui ci si muove fra tre sistemi culturali, quello cortese, quello classico e quello religioso.

Sonetto 3

Il tema qui affrontato è l’innamoramento che segue la vista di Laura. Il sonetto, insieme al primo, ha una funzione strutturale: fornisce le nozioni fondamentali sui temi e sui personaggi. Qui Petrarca si rivolge direttamente a Laura e ricorda come il giorno dell’innamoramento coincidesse con un venerdì santo: questo è un rimando simbolico per indicare che l’amore è connesso con l’idea di sofferenza e dispiacere. L’esperienza individuale del poeta, collegata con la morte di Cristo, diventa esemplare e pragmatica, ovvero riconducibile al destino dell’umanità. Questo testo introduce quindi il tema del rapporto fra l’amore profano (Laura) e quello divino (Cristo).
I personaggi del sonetto e di tutto il Canzoniere sono il poeta, Dio, l’amata (di cui per ora non si dice nulla) e Amore. La prima quartina presenta il tema dell’innamoramento e i primi tre personaggi; la seconda è riflessiva, c’è il commento sul tema: si spiegano il perché e il come è successo, inoltre compare Amore che cattura il poeta e che è quindi connesso all’idea di guerra, di sofferenza e di dolore; nella prima terzina si riparla degli “occhi” che però non sono più quelli di Laura, ma quelli del poeta (c’è un ritorno alla prima quartina); la seconda terzina è riflessiva, c’è una critica ad Amore secondo le regole del codice cavalleresco, di cui la parola chiave è HONORE (non si poteva colpire chi era disarmato).
Il momento dell’innamoramento qui è indicato secondo il calendario liturgico, mentre nel sonetto 211 ci sono le indicazioni del calendario profano. Il poeta fa corrispondere quel giorno con un venerdì santo per dare un’impronta sacrale a ciò che accade. Il tono solenne è reso anche da un elemento intertestuale, un passo del Vangelo di Luca (“tenebrae factae sunt et obscuratus est sol”) che è rivisitato nei primi versi.
Gli elementi riconducibili alla poesia cortese sono:
1. immagini che appartengono al campo semantico della guerra: CATTURA → “preso” e “legaro”, DIFESA E ASSEDIO → “guardai”, “far riparo”, “disarmato”, “aperta la via”, “ uscio et varco”, ARMI → “colpi”, “saetta”, “arco”, CODICE FEUDALE → “honore”;
2. immagini dell’ipostatizzazione dell’amore;
3. immagini degli occhi (ripetute due volte): hanno le loro origini in Jacopo da Lentini (“Amore è un desio che ven da core/ per abundantia di gran piacimento/ e li occhi in prima genera l’Amore/ e lo core li da nutricamento”), Cavalcanti (“Voi che per li occhi mi passaste il core”) e Dante (“Tanto gentile e tanto onesta pare”, dove però la vista è legata a una donna sacralizzata che qui manca). Qui la donna è cortese, senza attributi metafisici e l’amore è visto come passione terrena ed è desacralizzato: c’è un ritorno a una concezione prestilnovistica di questo sentimento.
E’ quindi evidente come, sia in questo sonetto sia in tutto il Canzoniere, ci sia una commistione di elementi cristiani e di topoi cortesi.
Ci sono molte metafore, giocate sulla connotazione militare: “preso”, “guardai”, “legaro”, “far riparo”, “colpi”, “nel commun dolor”, “disarmato”, “aperta la via”, “uscio et varco” e tutta l’ultima terzina.
La sintassi è discorsiva e piana, c’è un unico iperbato (“scoloraro” e “rai”), l’interpunzione è chiara e didascalica per indicare con chiarezza le fasi dell’innamoramento.
Sono presenti anche molti deittici, segnali di una scrittura fortemente centrata sull’io lirico, vero protagonista: “io”, “me”, “vostri”, “mi”, “m’”, “miei”, “mi”, “mio”, “me”, “voi”.

Sonetti sul senhal

Sonetto 5

Questo sonetto è dedicato a Laura: sappiamo solo che è donna e che ha fatto innamorare il poeta. Non ne conosciamo il nome chiaramente, ma esso ci è fornito in modo indiretto ed è pronunciato come se si trattasse di una parola magica che pochi sanno leggere. La ricercatezza del sonetto è spinta fino ai confini dell’enigmistico: il poeta invita il lettore a comporre il nome di Laura usando, secondo la tecnica dell’acrostico, le sillabe iniziali di parole che descrivono cosa viene quando quel nome è pronunciato. Nei manoscritti queste sillabe sono evidenziate secondo il gusto della poesia figurata in cui l’ornato coopera alla configurazione del significato. Questo gioco letterario trova la sua ragion d’essere in un filone che partendo dalla spiegazione del significato dei nomi biblici era approdato alla teoria del nome come emblema verbale che contiene in sé l’essenza e la qualità delle cose nominate. Nel Convivio Dante si ricollega a ciò e dice “nomina sunt consequentia rerum”. Nel nome Laura sono contenute le qualità della donna: è una concezione quasi mistica.
Parafrasi
Quando io emetto le parole per chiamare Voi e il nome che l’amore mi ha impresso nel cuore, il suono delle prime dolci sue lettere si incomincia a sentire di fuori mentre io la lodo. La Vostra condizione regale che incontro poi raddoppia le forze nell’ardua impresa del cantare le vostre lodi; ma “Taci” grida la sillaba finale perché onorarla è un peso adatto a spalle diverse dalle tue. Così il nome stesso insegna a lodare e ad ossequiare se soltanto Vi si chiama, oh donna degna di ogni ossequio e di ogni onore, se non che forse Apollo non tollera che nel parlare di lauro (simbolo della poesia) una lingua mortale diventi presuntuosa.

Sonetto 194
Parafrasi
Riconosco al dolce suo soffiare il vento delicato e tiepido della primavera che conferisce un aspetto sereno ai colli risvegliando i fiori in questo bosco ombroso, per il quale vento è necessario che io cresca nei tormenti e, scrivendone, nella fama. Fuggo dal mio dolce cielo natio di Toscana (o d’Italia) per ritrovare un luogo dove il cuore stanco possa riposare; cerco il mio sole (Laura) e spero di vederlo oggi per fare luce nei miei pensieri inquieti e neri (o sulla mia disperazione), nel quale sole provo tante e tali dolcezze che amore a forza mi riconduce a lui; poi mi abbaglia a tal punto che non vedo l’ora di fuggire. Io chiederei per scappare dalla morte non armi ma ali, ma il cielo mi destina di morire (interiormente) a causa di questo sole poiché quando sono lontano mi dispero e quando sono vicino ardo di passione (e quindi soffro).

Sonetto 197
Parafrasi
Il soffio divino che spira fra i rami dell’alloro (o fra i capelli di Laura), attraverso cui amore ferì al cuore Apollo (oppure Laura divina che anima l’alloro – e che quindi ispira la mia poesia- attraverso cui amore ferì al cuore Apollo) e pose a me un dolce peso sul collo tale che cerco di recuperare invano la mia libertà, può in me quello che Medusa poté nel gran vecchio Atlante quando lo trasformò in pietra; e non posso svincolarmi dal bel nodo (o chiome di Laura) rispetto a cui sono vinti non solo l’ambra e l’oro ma anche il sole; intendo dire i biondi capelli e il laccio intrecciato (o treccia) che così dolcemente lega e stringe l’anima che io non munisco d’altro se non di umiltà. L’ombra dell’alloro (o la presenza di Laura) trasforma il mio cuore in un pezzo di ghiaccio e colora il mio viso di bianca paura (mi fa impallidire) ma gli occhi hanno il potere di farne un marmo.

Sonetto 228
Parafrasi
Amore con la mano destra mi aprì il lato sinistro del petto e vi piantò nel cuore un verde alloro (una giovane e bella Laura) tale che avrebbe sicuramente superato per il colore ogni smeraldo. L’aratro della penna (le mie rime) con i sospiri (il vento tiepido dei sospiri) del cuore e il cadere dagli occhi delle lacrime, lo fecero così bello che il suo profumo (le virtù) salì al cielo, la qual cosa non so se già in precedenza accadde mai di altri alberi (donne). Fama, onore, virtù, bellezza degli atti, una bellezza casta in una persona (portamento) celestiale sono le radici della nobile pianta dell’alloro. Tale me la trovo nel cuore ovunque io sia, dolce peso, e con preghiere pudìche io l’adoro e la riverisco come cosa sacra.
Questo sonetto ha un sistema metaforico manieristico ed eccessivo, quasi barocco (giocato sull’eccesso e sulla dismisura). Se fosse collocato in una raccolta poetica del 1600 ci starebbe bene proprio per queste sue caratteristiche. Richiama, per la sua struttura, l’anonimo seicentesco dei Promessi Sposi.

Sonetto 246
La presenza del senhal avvia letture polisemiche. Il primo verso è costruito come un gioco di specchi e il gioco paranomastico è esibito in tre forme: l’aura, lauro e l’aureo.
Parafrasi (prima quartina)
Laura che soavemente sospirando muove il giovane corpo e i biondi capelli, rende con le sue sembianze dolci e inedite le anime estranee ai loro corpi (= rapisce chi la guarda).
OPPURE
La brezza che mormorando soavemente muove il mio poetare e le poesie come intarsio dorato, rende con le sue….

Sonetti sull’immagine di Laura
Di Laura sappiamo solo il giorno in cui ha fatto innamorare il poeta e il nome “magico”. Conosciamo poco dell’aspetto, che risulta descritto in una selezione di pochi tratti fisici che ricorrono nella maggior parte dei testi dedicati a lei. Nel Canzoniere non ne viene fatto un ritratto naturalistico perché Laura è una bellezza idealizzata e depurata dalle scorie dell’individualità e della concretezza. La sua descrizione fisica corrisponde a una topica letteraria codificata nei trattati di arte poetica medioevale (ex: “Ars versificatoria” di Matteo di Vendôme) in cui la descriptio personae è uno dei capitoli in cui più ci si dilunga con puntigliosa precisione. Laura rappresenta tutte le donne belle e nessuna in particolare, è a tutti gli effetti una donna della poesia. La sua apparenza risale a una convenzione descrittiva, cioè a un modo codificato valido per tutti gli scrittori, tanto che Giacomo Colonna, un amico di Petrarca, considerava i carmina delle ficta. In essi, infatti, Laura è descritta con elementi scarni, rarefatti e sintetici, ma per il poeta ella è una referente reale. Questa critica contiene comunque una verità, tanto che la risposta alla domanda del sonetto 159, in cui Petrarca si chiede dove sia il modello (idea platonica) da cui natura ha tratto lo stampo per il viso di Laura, secondo Raimondi è: nel mondo della letteratura e non in quello reale.
I tratti fisici che il poeta nomina nei suoi testi sono:
1. gli occhi;
2. i capelli d’oro, i biondi crini che sono “a l’aura sparsi” (s. 90) e “in treccie bionde” (s.220);
3. guance (presentate con la metafora delle rose);
4. la carnagione (presentata con la metafora della brina e della neve);
5. la fronte (sineddoche per viso) “più che il ciel serena”;
6. i denti (presentati con la metafora delle perle);
7. le mani (presenti in due sonetti “della bella mano”)
8. il piè.
Il corpo è praticamente assente dalla descrizione; molti elementi sono presenti attraverso delle metafore piuttosto che direttamente.
Le parti escluse sono:
1. naso;
2. orecchie;
3. collo;
4. labbra;
5. spalle;
6. braccia;
7. seno;
8. gambe.
Vengono scelti solo gli elementi codificati dai testi di retorica, gli altri che richiamano la sensualità e l’erotismo sono scartate (si trovano solo nella poesia comico-giocosa). Quello del poeta si tratta quindi di un amore platonico perché lo Stil Novo aveva insegnato che il vero amore non è quello della mercede, ma quello delle anime e degli intelletti. C’è però del nuovo rispetto alle donne stilnoviste: • Laura, pur essendo stilizzata, è a un gradino superiore in confronto a Beatrice, che è praticamente priva di elementi corporei; • a differenza di Beatrice, che è sempre uguale, Laura invecchia e muore (i suoi capelli da biondi diventano bianchi, gli occhi passano da luminosi a spenti ≠ Beatrice va nella direzione della luce metafisica). Questa bellezza fisica è quindi collegata alla religione e alla tematica della vanitas mundi (non bisogna fare troppo affidamento sulla bellezza fisica perché essa è destinata a perire).

Sonetto 220
Questo sonetto si basa solo su frasi interrogative: ci sono due interrogazioni per ogni quartina e una per ogni terzina. Nelle terzine la bellezza è ricondotta all’ordine sovrannaturale: la risposta alle domande che sono poste è “il cielo, il paradiso”. Secondo gli elementi tipici dello Stil Novo la sostanza del corpo non è qualcosa di terreno. Nelle quartine le fonti della bellezza sono legate al mondo fisico, terrestre anche se le domande sembrano essere retoriche, per cui la risposta scontata è “nessun luogo al mondo è tanto bello da contenere la sostanza per creare il viso e il corpo di Laura”.
Parafrasi
Da dove prese amore l’oro e da quale miniera per fare le due trecce bionde di Laura? e fra quali spine colse le rose (guance) e in quale campagna la brina (bianco dell’incarnato) soffice e fresca e le diede battito del cuore e respiro? da dove le perle (i denti) in cui egli infrange e articola dolci parole piene di decoro ed eccezionali? da dove tante bellezze e così divine di quella fronte (viso) serena più del cielo? da quali angeli venne e da quale sfera celeste quel divino parlare che mi consuma in modo che ormai è rimasto poco che possa consumarsi? da quale sole nacque la luce vivificatrice soprannaturale di quei begli occhi da cui io ricavo guerra e pace (dolore e appagamento) e che mi tormentano il cuore con ghiaccio e fuoco?

Sonetto 90 (pag.275)
Il tema è quello della bellezza di Laura e degli effetti che essa produce in Petrarca. A differenza degli altri sonetti qui è un tema declinato nel senso del ricordo: sono presenti elementi del tempo che passa (i verbi sono al passato e al presente della disillusione).

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