Materie: | Appunti |
Categoria: | Letteratura |
Voto: | 2.5 (2) |
Download: | 98 |
Data: | 17.01.2001 |
Numero di pagine: | 4 |
Formato di file: | .doc (Microsoft Word) |
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Relazione di: “Fontamara” di I. Silone
La presenza del fascismo crea una situazione particolare nella cultura italiana, che nella sua componente più significativa assume un ruolo di denuncia e di distacco nei confronti del regime.
Nei romanzi, in particolare, rivive la varietà della cronaca quotidiana, la concretezza della vita di provincia, di cui è protagonista un popolo ancora depositario di sani valori. Pur nella continuità con la tradizione del verismo ottocentesco, prevale una nota di speranza, un implicito invito alla riscossa. Esempio notevole per la carica ideale e per la creatività linguistica resta Fontamara, epopea degli umili “cafoni” della Marsica, che pur nella loro psicologia elementare, scoprono una propria coscienza morale.
La storia narrata avviene durante l’ascesa del fascismo in Italia, nei primi anni ’30. La prima parte della vicenda è ambientata a Fontamara, un piccolo paese, simbolo dell’universo contadino della Marsica; la parte centrale, invece, nel capoluogo, Avezzano, l’ultima parte a Roma.
Il libro racconta la lotta del narratore e dei fontamaresi contro l’ingiustizia e gli abusi del potere istituzionale, la lotta fra i “cafoni” e i borghesi.
In una calda giornata di giugno arrivò a Fontamara il cavalier Pelino che fece firmare ad alcuni “cafoni” un foglio indirizzato al governo. I fontamaresi credettero al cavaliere, il quale aveva assicurato che non si trattava di tasse.
Il giorno seguente, a Fontamara, non vi era più acqua per irrigare i campi poiché alcuni cantonieri stavano deviando l’acqua ai terreni di don Carlo Magna. Le donne del paese, infuriate, si diressero nel capoluogo e dopo una lunga e massacrante camminata giunsero al municipio, dove furono derise e scacciate. Si diressero, allora, dal podestà e chiesero di essere ascoltate a proposito dell’acqua del ruscello. Egli decise, così, di dividere l’acqua in parti uguali tra i cittadini.
Qualche giorno dopo, arrivò la visita del canonico del paese, don Abbacchio: anch’egli, però, si prendeva gioco dei “cafoni”. Intanto Berardo Viola, un “cafone” che era stato trascinato nella lotta per raggiungere la fratellanza evangelica, decise di andare a far fortuna in America, dal momento che, ormai, si riteneva tradito da tutti. Il suo sogno, però, fu distrutto in un solo giorno. Il giorno della partenza, infatti, fu emanata una nuova legge, la sospensione dell’emigrazione e Berardo rimase a Fontamara come un cane sofferente. L’amarezza di Fontamara aumentò con l’arrivo d’Innocenzo la Legge, un membro del governo, che informò i Fontamaresi a proposito dei provvedimenti che il governo aveva assunto contro di loro e che sarebbero stati messi in pratica il giorno stesso.
Verso la fine di giugno, i fontamaresi, salirono su alcuni camion che li portarono gratuitamente ad Avezzano, luogo dove tutti i “cafoni” si erano riuniti per ascoltare le decisioni del governo di Roma sulla questione del Fucino. Si seppe soltanto che la questione era stata risolta e tutti tornarono a casa.
Il giorno seguente, arrivarono a Fontamara alcuni militari fascisti che fecero rientrare in casa anziani, donne e bambini, portarono via tutte le armi e si scagliarono su di una donna, lasciandola in terra rantolante. Usciti nuovamente in piazza, interrogarono gli uomini che erano venuti dai campi, a proposito del governo. Nessuno diede risposte soddisfacenti e i soldati si ritirarono.
La mattina seguente il narratore incontrò Berardo e discussero sul problema di trovare terreni. Alla fine, decisero di andare a far visita a don Circostanza, l’antico sindaco del paese, per chiedergli aiuto riguardo ad un lavoro per il povero Berardo. Questi gli promise aiuto, ingannandolo, però, con false leggi, allo scopo di non ridare il denaro ai “cafoni”.
Arrivò finalmente il giorno della divisione dell’acqua tra i “cafoni” di Fontamara e l’impresario. Anche questa volta, però, visto che il livello dell’acqua scendeva sempre di più, i fontamaresi capirono di essere stati nuovamente ingannati da don Circostanza.
Il giorno successivo il figlio del narratore e Berardo partirono per Roma. Ma, anche qui, trovarono difficoltà a lavorare e furono imbrogliati da un avvocato, al quale sai erano rivolti, che chiese loro tutto il denaro.
Alcuni giorni dopo, arrivò una lettera per Berardo, la quale lo informava che Elvira, la sua fidanzata, era morta a Fontamara. Berardo ed il figlio del narratore furono catturati dai carabinieri e portati in prigione, poiché a Fontamara, vi era la caccia al “Solito sconosciuto”, ovvero colui che metteva in pericolo l’ordine pubblico con la fabbricazione e la diffusione di stampa clandestina. In seguito, Berardo fu ucciso dai poliziotti nella sua cella ma questi ultimi raccontarono che si fosse ucciso da solo, impiccandosi.
In merito a tutti questi fatti, i fontamaresi decisero di scrivere un giornale con gli appunti lasciati dal “Solito sconosciuto” e fu intitolato “Che fare?”. All’autore e ad altri “cafoni” fu dato il compito di andare a distribuirlo, sia in paese, che al di fuori di Fontamara.
Mentre si apprestavano a ritornare a Fontamara, si udirono degli spari: c’era la guerra. Chi
aveva potuto scappare, lo aveva fatto, gli altri erano morti. Il narratore e gli altri fontamaresi “cafoni” si erano nascosti nei campi, scampando così alla morte, ma non ci rimasero comunque a lungo.
Penso che la storia dei fontamaresi voglia essere la denuncia forte e dolorosa di una miseria e di un sopruso sofferti dai “cafoni” marsicani, sotto la dittatura fascista, di cui viene evidenziato l’aspetto violento e beffardo, che sfrutta abbondantemente l’ignoranza e la buona fede per estendersi e radicarsi.