Eugenio Montale

Materie:Appunti
Categoria:Letteratura
Download:1855
Data:09.02.2001
Numero di pagine:12
Formato di file:.doc (Microsoft Word)
Download   Anteprima
eugenio-montale_4.zip (Dimensione: 13.52 Kb)
trucheck.it_eugenio-montale.doc     48.5 Kb
readme.txt     59 Bytes


Testo

Eugenio Montale
E
ugenio Montale ha cominciato a scrivere a vent’anni e ha continuato fino alla morte; ha vinto il Premio Nobel per la letteratura ed è stato fatto senatore a vita per i suoi meriti nei confronti della letteratura italiana. Eppure, in fondo, alla poesia si è formato da solo, grazie alla sua “mania” di lettore onnivoro, capace di “divorare” ogni tipo di testo e di leggere in molte lingue, e alla sua capacità di osservare anche i fenomeni meno “vistosi”, gli elementi più piccoli e più umili della vita.
Nato a Genova nel 1896, destinato da genitori borghesi a fare il ragioniere nella ditta del padre, decide di diventare cantante operistico e per diversi anni prende lezioni di canto: una grande musicalità, un grande interesse per i suoni e per gli strumenti musicali restano poi una costante della sua opera. Nella sua vita piena di avvenimenti un’importanza grande quanto quella della lettura hanno i rapporti con uomini di coltura, che egli stringe negli ambienti più diversi: durante il servizio militare (prestato nel corso della prima guerra mondiale) conosce alcuni poeti ed intellettuali, che in seguito diverranno oppositori del fascismo, come fu sempre lo stesso Montale. E’ proprio uno di questi intellettuali antifascisti, Piero Gobetti, che pubblica, nel 1925, la prima raccolta poetica di Montale, Ossi di seppia, assai legata alla terra in cui il poeta aveva passato gli anni dell’infanzia, la Liguria arida e rocciosa delle Cinque Terre.
Intanto Montale, che ha firmato nel 1925 il Manifesto degli intellettuali antifascisti, allarga il suo giro di amicizie: conosce tra gli altri lo scrittore triestino Italo Svevo e il poeta Umberto Saba. Dopo alcuni anni di collaborazione a diverse riviste, Montale ormai trentenne si trasferisce a Firenze, dove lavora prima come redattore della Casa Editrice Bemporad e poi come direttore della Biblioteca del Gabinetto Vieusseux , una prestigiosa istituzione fiorentina. In questi anni Firenze è il vero centro culturale d’Italia e Montale conosce e frequenta molti scrittori, musicisti e pittori dell’epoca. Al Caffè “Le Giubbe Rosse” si parla di letteratura, di poesia, ma anche di politica; intanto il regime si fa più rigido, con l’avvicinarsi della seconda guerra mondiale, e Montale, che non ha voluto mai prendere la tessera del partito fascista, nel 1938 perde il proprio lavoro. Da qualche anno il poeta ha conosciuto e poi ha iniziato a convivere con Drusilla Tanzi, la cui figura ritornerà in molte sue poesie con l’affettuoso soprannome di Mosca. Questi sono anche gli anni in cui Montale lavora molto, anche per necessità economiche, a tradurre poeti, soprattutto inglesi, come Eliot (traduzioni che oggi sono piuttosto discusse, ma che sicuramente contribuirono ad allargare la cultura e ad affinare il gusto del poeta per la parola ben scelta, per la sonorità più raffinata).
Nel 1039 Montale pubblica presso Einaudi la sua seconda raccolta poetica, Le occasioni, che ha grande successo: essa esprime le difficoltà e le angosce di anni davvero bui, ma insieme parla d’amore e di salvezza. Viene “completata” nel 1943 da Finisterre, un insieme di poesie che Montale stesso definisce come proiettate “sullo sfondo di una guerra cosmica e terrestre”, “nate nell’incubo degli anni ‘40-42” (quelli dunque della seconda guerra mondiale): per la stretta censura dell’epoca di guerra la raccolta viene pubblicata a Lugano, in Svizzera, grazie a Gianfranco Contini, un grande critico italiano, che la porta di nascosto oltre confine.
Durante la guerra Montale partecipa al Comitato di Liberazione Nazionale (una sorta di governo provvisorio democratico dopo la liberazione dell’Italia dai nazisti) e si scrive al Partito d’Azione. Subito dopo la guerra comincia a collaborare con il Corriere della Sera, da cui viene infine assunto in modo stabile: nel 1948 perciò si trasferisce a Milano, dove passerà gli anni della maturità e della vecchiaia.
Nella sua qualità di giornalista, e anche di critico musicale, viaggia molto; negli anni Cinquanta e Sessanta scrive moltissime recensioni di opere letterarie e musicali, articoli di costume, servizi da “inviato speciale”. Sul Corriere della Sera pubblica anche bozzetti e brevi racconti, che verranno poi raccolti nella Farfalla di Dinard.
Nel 1956 esce, presso Mondadori, la terza grande raccolta poetica di Montale, La bufera e altro ( in cui vengono riprese anche le liriche di Finisterre): una raccolta difficile, complessa, incentrata sulla crisi che minaccia le “presenze amate e familiari”, ma anche sulla possibilità di salvezza che scaturisce da figure di donne angeliche e insieme reali (Clizia, La Volpe, La Stessa Mosca) .
Negli anni Sessanta la fama di Montale è grandissima non solo in Italia, ma anche all’estero: le sue opere sono tradotte nei paesi europei, compresi quelli dell’Est, come Ungheria e Bulgaria, e negli Stati Uniti. Sarebbe una stagione felice per Montale che, nominato senatore a vita, privo di preoccupazioni economiche, può dedicarsi alle attività preferite: purtroppo, però, nel 1963 muore la Mosca, che il poeta non finirà mai di rimpiangere. Dopo un lungo silenzio “poetico”, Montale rinnova comunque la sua scrittura, tanto che molti critici parlano di una “seconda stagione poetica” dell’autore: escono Satura (1971), Diario del ’71 e del ’72 (1973), Quaderno di quattro anni (1977), e infine Altri versi (1980); scopriamo un nuovo Montale, attento alle cose minime della vita quotidiana: al rondone che si è incatramato le ali, ad una vecchia pipa, all’infilascarpe.
Lo sguardo critico, ma insieme partecipe, sull’uomo e sul mondo non si è certo affievolito. E intatta resta la capacità di fare ironia sugli altri e su sé stesso, sulla falsa notizia della sua morte apparsa su molti giornali, sulla sua stessa esistenza.
“Quando il mio nome apparve in quasi tutti i giornali/una gazzetta francese avanzò l’ipotesi/che non fossi mai esistito”: questi i primi versi di una poesia del 1980, scritti a pochi mesi dalla morte, avvenuta a Milano nel 1981.
L’ERMETISMO. La poesia ermetica fu così chiamata nel 1936 dal critico Flora che con aggettivo ermetico volle definire un tipo di poesie caratterizzato da un linguaggio difficile, a volte ambiguo e misterioso (il termine è forse derivato dal nome del Dio greco Hermes, il Mercurio dei Romani, personaggio dai risvolti enigmatici).
I poeti ermetici con i loro versi non raccontano, non descrivono, non spiegano, ma fissano sulla pagina dei frammenti di verità a cui sono pervenuti in momenti di grazia, attraverso la rilevazione poetica e non con l’aiuto del ragionamento.
I loro testi sono estremamente concentrati: molti significati si racchiudono in poche parole e tutte le parole hanno un’intensa carica allusiva, analogica, simbolica.
La poesia degli ermetici vuole liberarsi dalle espressioni retoriche, dalla ricchezza lessicale fine a se stessa, dai momenti troppo autobiografici o descrittivi e dal sentimentalismo.
Vuole diventare “poesia pura” che si esprime con termini essenziali: concorrono a questa essenzialità anche la sintassi semplificata, spesso privata dei nessi logici, gli spazi bianchi e le pause lunghe e frequenti che rappresentano momenti di concentrazione, di silenzio, di attesa.
I poeti ermetici si sentono lontani dalla realtà politico - sociale dei loro tempi: l’esperienza della Prima Guerra Mondiale, e quella del ventennio fascista, li ha condannati ad una grande solitudine morale; l’impossibilità di farsi interpreti della realtà o messaggeri di verità storico - politiche li isola, li confina in una ricerca poetica riservata a pochi e priva di impegno sul piano politico.
Il poeta sicuramente più rappresentativo della corrente è Giuseppe Ungaretti. La poesia si Salvatore Quasimodo ed Eugenio Montale si può collegare per qualche aspetto all’ermetismo, ma dopo gli esordi si evolve in linee poetiche originali ed innovative.

Meriggiare Pallido e Assorto
Eugenio Montale
Il sole di cui ci parla Montale è in questo caso quello molto caldo delle giornate estive, quando non c’è vento ed è da poco passato mezzogiorno. Nel bagliore dei suoi raggi, il poeta osserva il paesaggio che lo circonda (il terreno arido, le onde del mare, il frinire delle cicale): paesaggio che diviene simbolo della vita umana e dei suoi limiti.
Meriggiare pallido e assorto
presso un rovente muro d’orto1,
ascoltare tra i pruni e gli sterpi2
schiocchi di merli, frusci di serpi.
Nelle crepe3 del suolo o su la veccia4
spiar le file di rosse formiche
ch’ora si rompono ed ora s’intrecciano
a sommo di minuscole biche5.
Osservare tra frondi il palpitare
lontano di scaglie di mare6
mentre si levano tremuli scricchi7
di cicale dai calvi picchi8.
E andando nel sole che abbaglia
sentire con triste meraviglia
com’è tutta la vita e il suo travaglio9
che ha in cima cocci aguzzi di bottiglia10.
(da L’opera in versi, cit.)
1. Meriggiare ... d’orto: trovarsi a trascorrere il mezzogiorno presso un muretto che fa da recinto a un orto ed è molto caldo (rovente) per i raggi del sole: un sole bruciante, ma pallido, offuscato.
2. tra i pruni e gli sterpi: tra gli arbusti spinosi (pruni) e i cespugli secchi (sterpi).
3. crepe: sono le fenditure della terra provocate dal gran caldo e dalla mancanza d’acqua.
4. su la veccia: la veccia è un’erba che viene utilizzata come foraggio, con un lungo stelo.
5. ch’ora si rompono ... biche: le formiche procedono in file che si dividono o si uniscono sopra minuscoli mucchietti di terra, che hanno l’aspetto di piccoli covoni o fasci di grano (biche).
6. Osservare ... mare: osservare tra i rami degli alberi (frondi) il movimento di piccole onde, che per i riflessi del sole brillano come minuscole scaglie e danno così l’idea di una leggera e ritmica vibrazione (palpitare).
7. mentre si levano ... scricchi: mentre è possibile ascoltare il verso tremulo delle cicale.
8. dai calvi picchi: sulle cime pietrose dei colli (picchi), privi di qualsiasi vegetazione (calvi).
9. e il suo travaglio: e la sua fatica, il suo affanno.
10. in questo seguitare ... bottiglia: in questo seguire, andare lungo un muro che ha in cima piccoli pezzi taglienti di vetro.
Parafrasi della poesia. Trovarsi a trascorrere il mezzogiorno presso un muretto che fa da recinto a un recinto a un orto ed è molto caldo per i raggi del sole: un sole bruciante, ma pallido, offuscato, ascoltare tra gli arbusti spinosi e i cespugli secchi, il verso del merlo e il rumore delle serpi. Spiare nelle crepe del terreno o sull’erba, le file delle formiche rosse che ora si dividono ed ora si uniscono sopra minuscoli mucchietti di terra, che hanno l’aspetto di piccoli covoni o fasci di grano. Osservare tra i rami degli alberi uno scorcio di mare e il movimento di piccole onde, che per i riflessi del sole brillano come minuscole scaglie e danno così l’idea di una leggera e ritmica vibrazione, mentre è possibile sentire i tremuli richiami delle cicale. E andando verso il sole abbagliante sentire con triste meraviglia, com’è tutta la vita e il dolore che l’accompagna in questo seguire, lungo un muro che ha in cima piccoli pezzi taglienti di vetro.
Felicità raggiunta, si cammina
Eugenio Montale
La felicità esiste? Per un poeta che, come Montale, ha cantato “il mal di vivere”, la felicità è forse piuttosto “attesa di felicità”: perché nel momento stesso in cui essa entra nella nostra vita - e ci illude per un attimo - subito ci sfugge dalle mani, all’improvviso, fragile e leggera come è venuta, lasciando in noi solo un vasto senso d’angoscia.
Felicità raggiunta1, si cammina
per te sul fil di lama2.
Agli occhi sei barlume che vacilla3,
al piede, teso ghiaccio che s’incrina4;
e dunque non ti tocchi chi più t’ama.
Se giungi sulle anime invase
di tristezza e le schiari5, il tuo mattino6
è dolce e turbatore come i nidi delle cimase7.
Ma nulla paga8 il pianto del bambino
a cui fugge il pallone tra le case.
(Da Ossi di seppia, Mondadori, Milano)
1. Dopo che finalmente uno crede di averti raggiunta, di averti per sé.
2. Essere felici è uno stato di grazia, e vale la pena di fare tutto per conservarlo il più lungo possibile, come camminare leggeri su un filo di lama. L’immagine figurata - come le altre che seguono - esprime tutta la cautela necessaria a conservare quel po’ di gioia che è entrata nella vita.
3. Luce vacillante, che si spegne in un attimo.
4. Lastra sottile di ghiaccio su cui deve camminare con cautela, perché subito si spezza.
5. Quando arrivi a chi è triste, rischiari la sua anima.
6. La luce che porti nella vita dell’uomo.
7. Turba e commuove come la scoperta di nidi sotto i cornicioni delle case (cimase).
8. Riesce a consolare. Così, nulla consolerà l’uomo del bene che ha perduto.
Parafrasi della poesia. Dopo che una persona pensa di avere raggiunto la felicità, di averla per sé, vale la pena di fare di tutto per conservare lo stato di grazia, di questo momento, il più a lungo possibile, come camminare leggeri su un filo di lama. Agli occhi sei una luce vacillante, che si spegne in un attimo, lastra sottile di ghiaccio su cui si deve camminare con cautela, perché subito si spezza, per questo, per non perderla non ti molesti a chi sei più cara. Quando arrivi a chi è triste, rischiari la sua anima, la luce che porti nella vita dell’uomo, turba e commuove come la scoperta di nidi sotto i cornicioni delle case. Così nulla consolerà (ma nulla paga) l’uomo (il pianto del bambino), del bene che ha perduto (a cui fugge il pallone tra le case).

Mediterraneo
Eugenio Montale
È un dialogo silenzioso fra il poeta e il mare che lo vide fanciullo: spesso, nelle poesie di Montale, ricorre il paesaggio ligure, da cui egli trae vasti motivi di contemplazione e di riflessione.
In questa poesia egli ricorda gli insegnamenti che gli vennero negli anni lontani dal mare: l’umiltà, il coraggio ad aprirsi ad ogni esperienza, la coerenza, la necessità di purificarsi, per realizzarsi come un uomo.
Antico1, sono ubriacato dalla voce2
ch’esce dalle tue bocche3 quando si chiudono
come verdi campane e si ributtano
indietro e si disciolgono4.
La casa delle mie estati lontane5,
t’era accanto, lo sai,
là6 nel paese dove il sole cuoce
e annuvolano l’aria le zanzare7.
Come allora oggi in tua presenza impietro8,
mare, ma non più degno
mi credo del solenne ammonimento
del tuo respiro9. Tu m’hai detto primo10
che il piccino fermento
del mio cuore non era che un momento
del tuo11; che mi era in fondo
la tua legge rischiosa12: essere vasto13 e diverso
e insieme fisso14:
e svuotarmi15 così d’ogni lordura16
come tu fai che sbatti sulle sponde
tra sugheri alghe asterie17
le inutili macerie18 del tuo abisso.
(da Ossi di seppia, Mondadori, Milano)
1. È l’appellativo con cui il poeta si rivolge al Mediterraneo, che è anche culla delle più antiche civiltà.
2. Esaltato dal suono.
3. Dalle tue onde.
4. Il movimento delle onde - nel loro andare e venire - è visto come un lento e vasto scampanio.
5. Le estati della fanciullezza e della giovinezza del poeta.
6. In Liguria.
7. Le zanzare sono così numerose che si addensano come nuvole nell’aria.
8. Il poeta rimane immobile e muto dinanzi all’immensità del mare, oggi come allora.
9. Egli pensa di essere ormai cresciuto; di aver anche tentato di mettere in pratica ciò che il mare gli ha insegnato, spesso senza riuscirci.
10. Per primo.
11. La vita di un uomo non è che un attimo breve della vita dell’universo.
12. Il mare insegna al ragazzo a seguire la stessa legge che è alla base del suo esistere.
13. Aprirmi ad ogni esperienza.
14. Non tradire mai me stesso.
15. Liberarmi; purificarmi.
16. Di ogni bruttura della vita.
17. Le stelle marine.
18. I rifiuti che non servono più.
Parafrasi della poesia. Mediterraneo, sono esaltato dal suono che esce dalle tue onde, che si chiudono come verdi campane e si ributtano indietro e si disciolgono. Le estati della mia fanciullezza e della mia giovinezza ti era vicino, lo sai (sogg. = il mare), in Liguria, nel paese in cui il sole è cuocente e le zanzare sono così numerose che si addensano come nuvole nell’aria. Oggi come allora, rimango immobile e muto dinanzi alla tua immensità mare, ma ormai cresciuto ho tentato di mettere in atto i tuoi insegnamenti, spesso senza successo. Tu m’hai detto per primo che la vita di un uomo non è che un attimo breve della vita dell’universo; la stessa legge che è alla base della tua esistenza: aprirmi ad ogni esperienza e non tradire mai me stesso: purificarmi di ogni bruttura della vita così come fai tu, con le onde che sbatti sulle sponde, tra sugheri e stelle marine, i rifiuti che non servono più, del tuo abisso.
Maestrale
Eugenio Montale
Non sempre quella di Montale è una poesia facile, proprio perché in ogni poesia egli cerca di chiarire, a sé e agli altri, la concezione amara della vita, intesa come pena e dolore. Lo spunto è sempre offerto alla contemplazione della natura, come in questa poesia, che si basa tutta sul cessare di una tempesta e su un volo di uccelli di mare. Da qui la riflessione sulla condizione dell’uomo: cercare, cercare sempre, andare “più in là”, come è scritto su tutte le cose della vita, senza accontentarsi mai.
S’è rifatta calma
nell’aria1: tra gli scogli parlotta2 la maretta3.
Sulla costa quietata, nei broli4, qualche palma
a pena svetta5.
Una carezza6 disfiora
la linea del mare e la scompiglia7
un attimo, soffio lieve che vi s’infrange e ancora
il cammino ripiglia.
Lameggia nella chiarìa
la vasta distesa8, s’increspa, indi si spiana beata
e specchia9 nel suo cuore vasto codesta povera mia
vita turbata.
O mio tronco10 che additi11
in questa ebrietudine tarda12,
ogni rinato aspetto13 co’ tuoi raccolti diti14
protesi in alto, guarda15:
sotto l’azzurro fitto
del cielo qualche uccello di mare se ne va;
né sosta mai: ché su tutte le cose pare sia scritto:
“più in là”16.
(Da Ossi di seppia, Mondadori, Milano)
1. È ritornata la quiete dopo il temporale.
2. Sussurra leggera.
3. È il movimento creato dal susseguirsi di brevi onde irregolari, al calmarsi di una burrasca marina.
4. Giardini alberati.
5. La cima della palma si muove leggermente al lieve soffio del vento.
6. Del vento.
7. La increspa.
8. Nell’aria che si è rifatta limpida e luminosa (nella chiarìa) la distesa del mare scintilla come una lama al sole (lameggia).
9. Riflette.
10. O mia vita. A un tronco il poeta paragona la propria esistenza.
11. Che indichi; mostri.
12. In questa pace inebriante, arrivata tardi, dopo tanta tempesta.
13. La natura rinata a nuova vita.
14. Con i rami tesi verso il cielo.
15. Rifletti.
16. L’uomo non può e non deve accontentarsi mai. Ogni punto d’arrivo deve essere un punto di partenza verso le altre conquiste.
Parafrasi della poesia. È ritornata la quiete dopo il temporale: tra gli scogli sussurra leggero il movimento creato dal susseguirsi di brevi onde irregolari, al calmarsi di una burrasca marina. Sulla costa quietata, nei giardini alberati, la cima della palma si muove leggermente al lieve soffio del vento. Una carezza del vento sfiora la linea del mare e la increspa un attimo, un soffio lieve di vento che vi si rompe e ancora il cammino riprende. Nell’aria che si è rifatta limpida e luminosa (nella chiarìa) la distesa del mare scintilla come una lama al sole (lameggia), si increspa, quindi si libera beata e riflette nel suo profondo vasto questa mia povera vita turbata. O mia vita che mostri, in questa pace inebriante, arrivata tardi, dopo tanta tempesta, la natura rinata a nuova vita con i rami tesi verso il cielo, rifletti: l’uomo non può e non deve accontentarsi mai. Ogni punto d’arrivo deve essere un punto di partenza verso altre conquiste.

Lavoro eseguito da:
Malagò GianLuca
classe 3 A
a. s. 1997/1998

IX
I

Esempio