D'annunzio: Poeta e prosatore italiano

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Testo

Gabriele D'Annunzio
Poeta e prosatore italiano (Pescara, 1863 - Gardone Riviera, 1938).
D'Annunzio fu educato fino all'età di undici anni nella casa di Francesco Paolo e di donna Luisa De Benedictis: prima affidato alle cure di quelle sorelle Del Gado, che lo scrittore ritrarrà felicemente in una novella del Libro delle vergini, poi ai precettori Morico e Sisti, che si accorsero dell'eccezionale precocità del ragazzo, non tanto per frenarne la natura esuberante, quanto perché il padre voleva affrancare almeno l'unico figlio dal nativo accento abruzzese che da buon provinciale, riteneva poco elegante. Nel 1874 si recò in Toscana, a Prato, dove studiò presso il liceo Cicognini e pubblicò la prima raccolta di versi, Primo vere (la seconda edizione fu salutata dal critico Chiarini, come un'autentica rivelazione).
Nel 1880 comparve il In memoriam, ventuno poesie dedicate alla cugina, dove ancora persistevano echi carducciani, ma si avvertiva già un promettente indizio di originalità espressiva, come nelle prime prose di Cincinnato e Toto apparse, sempre nel 1880, sul supplemento letterario di un noto quotidiano politico moderato, Il Fanfulla della domenica.
Conseguita, nel 1881, la licenza liceale, dopo una breve sosta a Pescara, nella casa paterna, D'Annunzio partì per Roma dove si iscrisse presso la facoltà di lettere e iniziò a frequentare i più celebri salotti letterari della capitale. Collaborò inoltre con le redazioni del Capitan Fracassa, della Cronaca bizantina, per diventare poi redattore stabile, tra il 188488, alla cronaca mondana della Tribuna. Pubblicò in quel periodo Canto novo (1882), dedicato a Elda Zucconi. Si tratta di una vibrata celebrazione poetica della natura, terra e mare, che ha il suo complemento nel coevo volume dei bozzetti Terra vergine.
Il biennio 1882-84 vide un incremento dei rapporti personali di D'Annunzio col Carducci, frequentemente a Roma come membro del Consiglio superiore della Pubblica istruzione.
In quegli anni alcuni importanti avvenimenti segnarono la vita dello scrittore: il matrimonio di Gabriele con la duchessina di Gallese, Maria Hardouin (da cui ebbe tre figli: Mario, che sarà deputato al parlamento; Gabriellino, attore coscienzioso se non eccelso e compagno del padre nella squadriglia della Serenissima al Lido di Venezia; Ugo Veniero, ingegnere meccanico e uomo d'affari negli U.S.A., che intervisterà per gli Americani il padre, il «Comandante di Fiume» durante la reggenza italiana del Carnaro, nel 1920); la comparsa dell'Intermezzo di Rime (1884) - qui l'influenza di Baudelaire e di Maupassant è fin troppo palese, la «sprovincializzazione» dell'abruzzese è stata violenta, ma questi versi testi poeta e. prima ancora, sull'uomo - e, contemporanea, quella del Libro delle vergini, dove, se va notata nella prosa l'influenza di Zola, si può cogliere come nota positiva lo stadio di una trasformazione in fieri, preparatoria a quella raccolta narrativa del San Pantaleone (1884-88), dove suggello d'originalità convincente e verismo paesistico, sensibile alle influenze di Flaubert e Verga, si fondono senza apprezzabili residui (nelle Novelle della Pescara, del 1902, rifluiranno componimenti del San Pantaleone, Violenti, Libro delle vergini). Prima di Il piacere, il primo dei «romanzi della rosa», D'Annunzio offrì all'ammirazione delle belle dame dell'lsaotta Guttadauro (non le spaventerà la parodia del titolo, trasformato in Risaotta al Pomidauro, dovuta a un collega in bilico tra invidia e ammirazione sincera), compì un viaggio attraverso l'Adriatico, nel quale rischiò il naufragio. Ma questa crociera non rimase senza traccia nello spirito di D'Annunzio: a essa forse si deve lo stimolo delle pagine profetiche riguardo al destino marinaro dell'Italia (L'Armata d'Italia, 1887-88).
A Francavilla (in provincia di Chieti), nel convento di S. Maria Maggiore che l'amico pittore F. P. Michetti aveva trasformato in dimora residenziale, portò a termine quella sintesi della ben nota «ora gioconda» che è il romanzo II piacere (esso denota anche i sintomi di una crisi già latente nei sonetti Pro Anima apparsi nella Nuova Antologia, febbraio 1888); queste pagine suscitarono per certa loro audacia rappresentativa profondo scalpore: ammirate o condannate, invidiate o disprezzate, confermarono la vocazione narrativa dello scrittore, che prima di stenderle le aveva vissute, e indifferente al biasimo e alla lode già attende al rifacimento dell'Invincibile, apparso in appendice alla Tribuna e nucleo fondamentale al terzo romanzo della rosa, Il trionfo della morte (pubblicato nel 1894); a contrappunto e complemento del Piacere aveva anche pubblicato le Elegie romane, ben più impegnative, per vari aspetti, delle esercitazioni poetiche di Andrea Sperelli (il protagonista del Piacere) come furono argutamente definite le poesie dell'Isaotta citata (questa raccolta fu poi ribattezzata L'Isotteo e la Chimera, 1890). Separatosi di fatto dalla moglie e dai figli, dopo il servizio prestato in cavalleria a Roma (1889-90), agli inizi del 1891, colse dal vero nei bassifondi di Roma - ma va detto che aveva scoperto da poco Dostoevskij e Tolstoj e messo per il momento in disparte i moduli estetici alla Des Esseintes - le figure, tragiche nella loro abiezione, che improntano il lungo racconto Giovanni Episcopo. Ancora all'amico Michetti deve la possibilità del raccoglimento necessario per dedicarsi all'Innocente: nella quiete di Francavilla compose, nello stesso 1891, L 'innocente: tradotto in francese da G. Hérelle e presentato come L'intrus spalancò all'abruzzese le porte della notorietà e del plauso internazionali. A1 1892 appartengono le Odi navali, all'anno successivo le pagine dolorosamente malinconiche di quel Poema paradisiaco che riecheggia l'amore contrastato per Maria Gravina Cruyllas (la nobildonna amata nel 1893 a Napoli dal poeta, dalla quale gli nacque Renata, la Sirenetta del Notturno), e la redazione di Il trionfo della morte.
Questo romanzo, che conclude l'unica trilogia completa (quella del «giglio» comprende solo Le vergini delle rocce [1895-96], quella del «melograno» [pubblicato nel 1908] solo Il fuoco [1900]), rivela un D'Annunzio, che «sotto le spoglie del protagonista Giorgio Aurispa, si lascia ancora dominare dal demone del senso; e dopo aver invano tentato di sottrarsi al servaggio dell’amore rifugiandosi nel sacrario familiare, o nella vita della natura, o nelle tradizioni e nella fede ingenua del Abruzzo, o infine nell’estasi purificatrice della musica, trascina seco nel vortice della morte la bellissima amante. Morte simbolica, che prelude alle nuove avventure spirituali del D’Annunzio; il quale, del resto, come ogni altro vero grande artista, pose sempre l’arte al di sopra di tutto - l’arte, diciamo, non le dilettazioni estetizanti, che sono un aspetto generativo di essa -, e in questo romanzo ci ha lasciato pagine superbamente belle e indimenticali»(Lamanna).
Tra arte e politica, tra teatro ed estetismo rinascimentale
Con Claudio Cantelmo, l'eroe di Le vergini delle rocce (1895), che si propone di recuperare Roma alla tradizione legittima, sembra riassumere nuovo vigore il mito del «superuomo», attraverso il culto della volontà già presente nel pensiero del giovane D'Annunzio, e ora mediato dalla filosofia di Nietzsche che, accantonata la pietas cristiana, come scudo dei deboli e ipocrita rivalsa del «gregge», vi contrappone la volontà di potenza. Accanto a Cantelmo, Stelio Effrena del Fuoco, Paolo Tarsis di Forse che sì forse che no (1909), reinterpretano in senso mediterraneo e latino il mito oltremontano della nietzschiana volontà una, protesa all'azione.
Il 1897 fu l'anno dell'esordio di D'Annunzio nella vita politica. Venne eletto deputato ma rinuncerà presto a questa sua carica dopo la sconfitta della candidatura socialista presso il collegio di San Giovanni Fiorentino.
Nel periodo della relazione dello scrittore con la più grande attrice del tempo, Eleonora Duse, il poeta scrisse i drammi La gioconda, La gloria, La città morta e Sogno di un mattino di primavera (1897-99). Nello stesso periodo progettò e compose Il gioco (1900), scritto quasi interamente alla presenza dell'ispiratrice, che vi compare nelle vesti della Foscarina. Al romanzo, che vagheggia il «superuomo-artista» proteso in ogni sua fibra alla creazione della compiuta bellezza, segue la tragedia Francesca da Rimini (1902) che Eleonora Duse interpreto a Roma. Dell'opera scrisse L. Russo: «Il lettore vi troverà alcune pagine di Musica pura: la ferocia medievale delle armi e la sensuale soavità degli amori sono due note care al più genuino poeta, e qui sono accolte e trasfigurate, ma talvolta anche vanificate, in un superiore gusto dell'arcaico e del prezioso». Nel 1903 apparvero, in due volumi, i tre libri delle Laudi (Maia, Elettra e Alcyone) dove emergono per singolare bellezza le poesie dedicate alla Città del silenzio contenute nel secondo libro e in Airone - le immagini di fauna e flora intrinseche all'ispirazione più intima; tra queste ricordiamo: La pioggia nel pineto, La morte del cervo, La sera fiesolana.
Il dramma La figlia di Iorio, concluso a Milano nel 1903, viene rappresentato a Nettuno, protagonisti gli attori R. Ruggeri e I. Gramatica.
La tragedia pastorale è forse il vertice delle capacità drammatiche di D'Annunzio: e si può condividere il parere del Russo per il quale il teatro dannunziano si salva dove l’autore dimentica il suo programma di educazione estetico-politica (si pensi a La gioconda, La gloria, La città morta, e a Più che l'amore, La nave, Fedra composte tra il 1906 e il 1909); sulla scia di questo successo, due anni dopo ecco un altro dramma ambientato in terra d'Abruzzo, La fiaccola sotto il moggio, che solo nel terzo atto, con la rinuncia all'estetica del verismo, è paragonabile alla Figlia di Jorio.
Nel 1905 è da ricordare una biografia storica, La vita di Cola di Rienzo.
Nel 1910 il poeta si trasferì in Francia e si chiuse nella solitudine di una villa ad Arcachon dove compose l'Orazione di Quarto dei Mille, a favore dell'intervento italiano nella Prima Guerra mondiale a fianco della Francia; il dramma Le martyre de Saint Sébastien (1911) [musicato da C. Debussy]; il quarto libro delle Laudi (Merope), patriottica esaltazione dell'impresa libica di Giolitti; la tragedia Parisina; le «meditazioni» della Contemplazione della morte; La Pisanelle ou la mort parfumée (1912-13); Le chávrefeuille (tradotto in italiano con il titolo Il ferro).
L'inizio della guerra mondiale lo sorprese a Villacoublay: convinto che il conflitto non fosse soltanto «di interessi economico-politici ma il cozzo di due civiltà, delle quali una, la mediterranea e latina, avrebbe dovuto a ogni costo trionfare» (Renda), caldeggiò subito gli interessi della terra che l'ospitava e si schierò tra gli italiani di sentimenti interventisti; numerosi in questo periodo i suoi appelli sul Figaro e sul Journal. Ai primi di maggio è a Genova: il mattino del 5 parla alla folla nei pressi dello storico scoglio di Quarto, da dove era partita la spedizione dei Mille.
Il crepuscolo dell'«eroe»
D’Annunzio partecipò alla guerra con imprese coraggiose tra cui ricordiamo le incursioni aeree in Istria, la «beffa» di Buccari e il volo su Vienna. Nel 1916 fu ricoverato all'ospedale militare di Venezia per una ferita a un occhio. Scrisse in quel periodo l'opera in prosa il Notturno, pubblicato nel 1921 e considerato il suo capolavoro, «di cui è impossibile dare una sia pur imprecisa definizione, tale e tanta è la sua materia, fatta di sensazioni, di reminiscenze, di vita vissuta, e rielaborata dal poeta stesso con quell'intuito particolare che un lungo periodo di tenebra acuisce fino all'esasperazione» (Renda). Dello stesso periodo sono le poesie della raccolta Canti della guerra latina; il quinto libro delle Laudi, Asterope; precedente è invece il racconto Leda senza cigno (1913) al quale segue Licenza, che è da assumere come opera a sé stante.
Sono altresì da ricordare, legati alle inquietudini insoddisfatte del primissimo dopoguerra, nel solco della sua passione fiumana e dalmata, i quattro capitoli dell'Aveaux de l'ingrat, contro l'ingratitudine egoista della Francia ufficiale; L'Italia alla colonna, La vittoria col bavaglio, La pentecoste d'Italia. Anche l'impresa di Fiume (settembre 191 9-dicembre 1920) lasciò ampie tracce nell'attività dello scrittore e dell'artista: quei sedici mesi videro anche l'elaborazione di La reggenza del Carnaro, Disegno d'un nuovo ordinamento dello Stato libero di Fiume, aperto a una sensibilità cui non sono estranee idealità sociali, sindacali e corporative. Nel 1922 apparve il volume di ispirazione patriottica Per l'Italia degli Italiani.
Il poeta si ritirò infine presso Gardone Riviera, nella casa di campagna che diventò il «Vittoriale degli Italiani» (28-5-1925). Seguirono gli anni più tristi, né giovarono a sollevare l'uomo, che si sentiva un sopravvissuto, e in un certo modo un prigioniero - soprattutto di se stesso - gli onori, il soddisfacimento sollecito di ogni suo desiderio, gli echi di una fama ormai mondiale confermata dalla traduzione delle sue opere in decine di lingue. Appartengono a questi anni Il libro ascetico della Giovane Italia (che raccoglie trent'anni di testimonianze nazionaliste, escluse quelle relative alla guerra e all'impresa fiumana), Le faville del maglio (in due tomi: Il venturiero senza ventura, Il compagno dagli occhi senza cigli), prose vivaci, che erano state pubblicate a più riprese, nell’anteguerra, sul Corriere della Sera. L'ispirazione autobiografica - che era già vivace in queste Faville - emerge in forme più incisive, nel 1935, nelle Cento e cento e cento e cento pagine del libro segreto.
Il Libro, più convincente dell'occasionale Teneo te Africa (del 1936, in margine al conflitto italo-etiopico concluso con la fondazione dell'lmpero), conferma quel «non perduto mordente» che i giovani avevano colto nel Notturno; ed è certo che talune pagine dannunziane «i giovani le sentissero tanto vicine da credere di riconoscervi l’eco delle loro stesse ricerche: mentre il D'Annunzio non aveva fatto che portarvi a rigorose conseguenze le proprie premesse, state di quei giovani attraverso lui» (De Michelis).
D'Annunzio morì di un attacco cardiaco nel 1938, quasi alla vigilia del conflitto in seguito al quale il mondo sociale, politico e letterario in cui visse il poeta sarebbe parso lontanissimo tanto ai superstiti quanto alle generazioni successive. Secondo Montale, nel 1956, era senz'altro possibile affermare che D'Annunzio occupava nella tradizione italiana, in certo modo, il posto che V. Hugo aveva avuto, da Baudelaire in poi, nella letteratura francese. E in effetti il principale contributo dello scrittore alla storia della letteratura italiana è da ricercarsi, sul piano formale, nella sperimentazione delle possibilità evocative della parola, della capacità di comunicare con analogie e suggestioni.
L'atteggiamento estetizzante nei confronti della vita, l'esplorazione di un nuovo tipo di rapporto con la natura, che esclude l'intervento critico della ragione e comporta il dissolvimento dell’io cosciente, pongono D'Annunzio tra gli esponenti del decadentismo italiano.

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