"il piacere" di d'annunzio: scheda

Materie:Riassunto
Categoria:Italiano

Voto:

1.5 (2)
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Data:02.02.2006
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Testo

TRAMA
Il romanzo si apre al centro dell’azione narrata: Andrea Sperelli, il protagonista, è nelle sue stanze, in attesa dell‘ex amante, la duchessa di Scerni, Elena Muti, che ha accettato il suo appuntamento dopo una lunga separazione. Mentre pregusta la gioia che la visita dell’amante gli procurerà, Andrea ripensa al “giorno del gran commiato”. Elena lo ha lasciato senza una spiegazione, durante una gita romantica “fuori della Porta Pia”, adducendo come unico motivo il fatto che deve partire. I gesti e le parole di entrambi dimostrano che il loro amore non è finito; essi si amano e si desiderano come nei momenti più alti del loro rapporto, eppure quella inebriante relazione deve concludersi. L’attesa dell’incontro si prolunga, tra paure improvvise e ansie palpitanti; ma dentro di sé Andrea è sicuro che la messinscena predisposta avrà ragione di eventuali ritrosie di Elena, che nel frattempo si è sposata con un Lord inglese. L’arrivo di Elena pone fine alla lunga attesa: in quei luoghi, dov’è stata felice, la donna subisce il fascino del ricordo e delle cose predisposte dall’amante; ma cerca disperatamente di resistervi. Andrea, invece, abbagliato dal suo splendore presente quanto dal ricordo di una sfrenata passione, è più che mai intenzionato a farla nuovamente sua. La commozione e l’ardore che prova gli suggeriscono parole infiammate, seppur menzognere, tali da accendere l’animo della donna, che tuttavia continua a resistergli. Tanto che, quando l’amante fa diventare più pressanti le sue avances, non esita a porre la “domanda crudele” per fermarlo: “Soffriresti tu di spartire con altri il mio corpo?”. L’incontro tra i due si chiude su questa battuta. A questo punto inizia il viaggio a ritroso che ha per apertura la descrizione del protagonista: il conte Andrea Sperelli-Fieschi d’Ugenta. Rimasto signore di una discreta fortuna in giovane età per la morte del padre, è il nobiluomo alla ricerca del grande amore, educato “al culto della Bellezza”. L’incontro con Elena Muti, giovane vedova, fa presagire il raggiungimento della meta. Il loro è un amore annunciato: entrambi giovani, belli, liberi da vincoli, amanti dei piaceri della vita e squisiti cultori del bello in tutte le sue forme, non possono che arrendersi, e volentieri, alle circostanze. La loro conoscenza avviene durante un ricevimento organizzato dalla cugina di Andrea, Francesca d’Ateleta. L’indisposizione che colpisce Elena impedisce loro di vedersi per qualche giorno, ma l’impazienza di Andrea non conosce ostacoli, così si reca direttamente a casa della donna e viene ricevuto, a differenza dei precedenti visitatori, nella camera dell’inferma. Sarà lì che si consumerà per la prima volta il loro amore. Tuttavia, proprio quando l’amore tra i due è al culmine e la stagione primaverile, ingentilendo le cose, sembra preludere a una nuova fase del loro rapporto giunge l’addio di Elena, improvviso e immotivato. Il colpo inatteso tramortisce Andrea, che per reazione si lancia in una serie di avventure, agevolate dalla fama ormai acquisita di conquistatore. Naturalmente le “prede” sono tutte titolate e bellissime. Gettatosi a capofitto nel “Piacere”, non riesce a stordirsi a sufficienza, non tanto da dimenticare l’amata, delle cui seconde nozze gli giunge intanto notizia. Nel corteggiare Donna Ippolita Albonico trova ostacolo nella gelosia dell’amante della donna, tanto che i due rivali giungono a sfidarsi a duello. Dall’alto della sua migliore preparazione tecnica Andrea domina facilmente l’avversario, toccandolo a più riprese con lucida freddezza; ma un colpo fortuito e rabbioso del rivale lo tramortisce. Andrea trascorre la convalescenza nella campagna di Rovigliano, a villa Schifanoja, sotto le vigili cure di sua cugina, la marchesa Francesca d’Ateleta. Immerso nella contemplazione e nello studio, fra gli altri, dei libri sacri indiani, si purifica, rinnegando la vita precedente, il piacere, il desiderio e gettandosi nuovamente nella fatica-ebbrezza della composizione.Intanto giunge a Schifanoja un’amica di Francesca, Donna Maria Ferres, la moglie del ministro plenipotenziario di Guatemala. La sua cosa più bella sono i capelli, il suo amore più dolce è per la figlia, il suo aspetto è monacale, la sua ritrosia è assoluta: è insomma l’esatto contrario di tutte quelle donne che sono passate nel letto e nel cuore di Andrea e proprio per questo egli fortemente se ne invaghisce, pur continuando inconsciamente a pensare ad Elena. Nel dichiararsi Andrea sceglie attentamente le sue parole: contenute nella forma e negli atteggiamenti; pronte per essere interpretate come irresistibile slancio passionale, ma contemporaneamente del tutto rispettose e testimoni della disposizione al sacrificio, alla rinuncia. L’ingenua e casta Maria è in grande affanno, travolta dagli eventi che la vedono in bilico tra una prudenza radicata e il turbine di sensazioni nuove e sconvolgenti da cui non sa difendersi. L’alternata presenza della figlia può ancora toglierla d’impaccio, lasciando Andrea senza una risposta, senza un’indicazione certa dei suoi sentimenti. Tanto che d’Annunzio, pur avendo fatto ampiamente intuire il turbamento della donna e presagire il suo cedimento, ricorre a questo punto ad un espediente narrativo, inserendo nel testo pagine di diario della Ferres, che ripercorrono le stesse vicende, più alcune seguenti, fino alla partenza di tutti gli ospiti da villa Schifanoja. Così si apprende che Maria si illude che il rapporto con Andrea, da cui è fortemente tentata, possa avere un suo percorso silenzioso, del tutto platonico e neppure manifestato, ma Andrea incalza l’amata, non le dà tregua, rinnova le sue profferte d’amore trasformandole in moto passionale incontenibile: Maria, infine, è costretta a confessare il proprio amore. Quando ancora non si è ripresa dallo choc di avere dovuto rivelare il suo terribile segreto, un altro dolore giunge a tormentarla: si rende conto infatti che Francesca, l'adorabile amica, soffre in silenzio per suo conto della situazione, essendo segretamente innamorata del cugino. La partenza da Schifanoja viene vista da Maria come una fuga salutare ed opportuna ma al tempo stesso come frutto di sofferenza per l’abbandono di Andrea, profondamente amato. Andrea, tornato nel pieno delle sue forze, si reca nuovamente a Roma. Ancora un po’ toccato dal ricordo di Maria Ferres, mette da parte ogni scrupolo e si getta nella vita di un tempo con un entusiasmo sforzato. Il ritorno in grande stile al Piacere non soddisfa più di tanto Andrea: donne, bella vita, Roma, Londra e Parigi, gli lasciano ora un senso di vuoto e di nausea; ciononostante non riesce a distaccarsene. E’ a questo punto che l’azione prende il giusto andamento cronologico; l’incontro con Elena Muti riporta infatti il livello narrativo al momento originario, all’indomani dell’incontro col quale si era aperto il romanzo. Soltanto adesso Andrea viene a sapere il reale motivo per cui Elena lo ha abbandonato: la donna, sull’orlo di una gravissima crisi finanziaria, ha potuto trarsi d’impaccio solo grazie a un matrimonio d’interesse con Lord Heathfield, un ricchissimo nobiluomo inglese. Ora nel suo animo si consolida l’idea di un’Elena crudele e ingannatrice: quasi per contrasto, allora, ritorna l’immagine dolce di Maria Ferres e le due donne, come già è avvenuto, tendono a sovrapporsi. Tuttavia la passione per la vecchia amante è troppo forte e lo Sperelli si ripromette di conquistarla nuovamente, senza la pretesa di ritrovare un amore che, nella sua più completa accezione, è ormai perduto. Una sera viene a sapere che Maria Ferres è appena tornata a Roma. Il giorno successivo, l’incontro con la donna conferma che lei è ancora innamorata, anche se perdura una ferrea volontà di opporsi al suo desiderio. Ma Andrea ha ormai ben compreso quel carattere, per cui non corre il rischio di rovinare tutto con mosse premature. Programma quindi innocenti incontri, come la presenza ad un concerto cui assiste casualmente anche Elena. Egli sembra scorgere in entrambe della gelosia: l’insistenza di Maria nel sottolineare la bellezza della Muti, così come l’invito di quella nella propria carrozza, dopo che Maria se né andata ne sono la conferma. E infatti, dopo tanto ritrosia e freddezza, Elena lo bacia appassionatamente. Seppur attratto dall’improvviso bacio di Elena, la preda più ambita continua ad essere la Ferres, nei confronti della quale Andrea prosegue l’opera iniziata senza alcuno scrupolo, senza preoccuparsi delle continue menzogne e della perdizione cui conduce se stesso e la donna. Intanto Elena, un po’ misteriosamente, lo invita per la notte davanti al suo palazzo: tuttavia la trepidante attesa non è ricompensata dall’arrivo della donna che ritorna a casa senza poi recarsi dall’amante. Le rose bianche predisposte per l’amore, in perfetta sintonia con la nevicata notturna, andranno allora a rendere il doveroso omaggio altrove, gettate a fascio davanti alla porta della Ferres. La donna, quasi in attesa di un simile gesto in una notte come quella, sta spiando dai vetri la strada sottostante: vedere l’amato compiere un tale gesto la convince dell’inevitabilità di quel rapporto. Per questo i loro incontri si intensificano, permettendo ad Andrea di condurla sugli itinerari preferiti dal suo cuore, quegli stessi su cui aveva condotto per mano Elena, appena due anni prima, nei giorni del loro amore. Non bastano al conte le crescenti dimostrazioni d’affetto di Maria per dimenticare l’amante infedele. L’inutile attesa nella carrozza ha ancora di più esacerbato il suo desiderio. Così egli si trova a dovere sopportare le manie di raffinato collezionista del marchese suo consorte, pur di avere occasioni per starle vicino, per chiedere spiegazioni e riallacciare i contatti. La rabbia e il disgusto sono tali che Andrea giunge a pianificare di uccidere lui, possedere lei e poi uccidere se stesso. Nel frattempo Maria ha finalmente ceduto, ma la mente di Andrea, ora che possiede il corpo di Maria, ritorna inevitabilmente e in modo ossessivo a quello di Elena. La Ferres diventa quindi soltanto un inconsapevole strumento per placare la sua smania, tanto che subisce la violenza dell’amante, reso quasi pazzo dal ricordo della Muti. Continuando a frequentare il bel mondo, Andrea viene a conoscenza del grave scandalo che sta per travolgere don Manuel Ferres, sorpreso mentre barava al gioco. Chi gli racconta il fatto è proprio il giovane gentiluomo che sta per prendere il suo posto come amante della Muti; il tarlo di quel mancato possesso, in presenza di chi invece ne potrà godere, lo rode ancora più atrocemente. L’amore di Maria gli è ormai quasi indifferente, se non nella misura in cui approfitta del suo corpo per illudersi di possedere l’altra. Intanto Maria deve affrontare la bufera dello scandalo legato al marito; ai molti debiti risponde con la messa all’asta dei suoi beni, mentre il cuore si concentra sempre più sull’amante, che è l’unico a non averla abbandonata a se stessa, seppur per motivi che lei neppure lontanamente sospetta. Cerca quindi di ricevere da quel rapporto tutte le dolcezze possibili prima di una separazione che sente come definitiva, nonostante le promesse di Andrea. Non mancano tra i due momenti di struggente tenerezza, anche se l’amante, preso dalla sua folle necessità di sovrapporre l’immagine delle due donne, la costringe spesso ad amplessi furibondi. Andrea, egoisticamente e brutalmente, giunge al punto di morsicarla con violenza durante l’amore per trattenere in gola il nome di Elena. Andrea è talmente ossessionato che, ricevuta in confidenza la conferma che Elena ha ormai un nuovo amante, la segue mentre si reca all’appuntamento d’amore. Poi, con la morte nel cuore e l’immagine di lei nella mente, attende Maria per scaricare su di lei il suo impossibile sogno. Ma stavolta Sperelli è troppo fuori di sé, tanto che il nome così lungamente trattenuto gli sfugge di bocca. Maria, in un attimo, comprende tutto; piena di orrore e di pena se ne va, mentre Andrea disperandosi cerca inutilmente di trattenerla. E’ l’epilogo. Lo Sperelli è consapevole del completo fallimento della sua vita, nonché della crisi irreversibile di quel mondo fatato in cui ha condotto l’esistenza.
PERSONAGGI
ANDREA SPERELLI
Nel protagonista di questo romanzo confluiscono due opposte volontà: l’intenzione dell’autore di ritrarsi nel suo personaggio e quella del narratore di criticarlo, condannarlo e superarlo come tipo umano. La volontà autobiografica risulta evidente poiché nel personaggio di Sperelli d’Annunzio incarna sia il frutto delle sue esperienze reali sia i suoi sogni e le sue aspirazioni: Sperelli è ciò che d’Annunzio è e ciò che vorrebbe essere. Così è giovane, elegante, raffinato e piacente come lui, ma è anche come lui non è, nobile, ricco e alto di statura; come lui è un intellettuale, ma Sperelli oltre che poeta è anche incisore; è come lui un seduttore ora timido come “Cherubino” ora cinico come “Don Giovanni”, ma diversamente da lui è libero da vincoli coniugali e da obblighi familiari; come lui ha facile accesso nei ritrovi mondani e nei salotti della nobiltà, ma diversamente da lui vi entra come protagonista e non come cronista. Tuttavia nel romanzo il narratore non manca mai di sottolineare la debolezza morale di Sperelli oltre che il suo cinismo e la sua perversione. È evidente come questo personaggio sia solito scindersi in ciò che è e in ciò che deve apparire, in ciò che è e in ciò che vorrebbe essere, in ciò che sente e in ciò che esprime all’esterno. La sua intera vita è fondata sulla doppiezza, sulla falsità, sulla menzogna e sull’inganno.
ELENA MUTI e MARIA FERRES
Costituiscono le due figure in cui è scisso il protagonista femminile, rappresentano infatti l’una l’opposto dell’altra. Emblematicamente si contrappongono fin dal nome: l’una richiama la donna che secondo il mito trascinò in rovina un intero popolo, l’altra la donna pura della tradizione cattolica. La prima incarna l’ideale dell’amore erotico e sensuale la seconda quello dell’amore spirituale: Elena, nella sua vicenda d’amore si avvale dei versi di Goethe (poeta sensuale), Maria invece ha il suo poeta in Shelley (poeta più malinconico). Elena non ha figli; Maria è madre. Elena ha una cultura superficiale; Maria è colta e ha un’intelligenza sensibile alle cose dell’arte e della musica. L’unica cosa che le accomuna è la voce, che costituisce nel testo il primo indizio di una futura sovrapposizione. Nel corso della vicenda, Elena consapevolmente e Maria passivamente, le due donne subiscono prima un processo di radicalizzazione dei ruoli (Elena sempre più malvagia, Maria sempre più dolce e tenera), poi un processo d’identificazione che le porta dapprima alla sovrapposizione sentimentale ed erotica dell’una all’altra e, infine, addirittura allo scambio dell’una con l’altra: è il mostruoso connubio finale di cui Andrea è artefice e vittima e che pone fine drammaticamente a tutto il romanzo.
TEMPO E SPAZIO
La vicenda si svolge tra il 1884 e il 1887 a Roma e per un breve lasso di tempo nella campagna di Rovigliano, a villa Schifanoja.
NARRATORE E PUNTO DI VISTA
Nel Piacere, d’Annunzio delega il compito di raccontare gran parte della vicenda a un narratore in terza persona singolare, inoltre, nel capitolo quarto del libro secondo, il narratore a sua volta lascia che parte della vicenda venga appresa mediante il diario di un personaggio. Per distinguersi dal narratore, d’Annunzio fa si che il narratore lo citi ben due volte: una volta come un “poeta contemporaneo” che Sperelli predilige, e una seconda volta come autore di un “emistichio sentenziale” caro allo stesso personaggio. Questo narratore-autore è un narratore onnisciente: interviene a integrare il punto di vista dei personaggi, a spiegare e a puntualizzare; si lascia andare ad anticipazioni e a premonizioni; non esita a farsi avanti in prima persona per attestare la veridicità di qualcosa. Tuttavia l’onniscienza del narratore non gli impedisce a volte di utilizzare il punto di vista interno di svariati personaggi. Il narratore è solito intrecciare i piani temporali, tagliando e saldando a suo piacere momenti diversi, anche attraverso ellissi che provvede poi a integrare mediante il ricorso a più o meno diffusi flashback. L’oggettività di partenza viene quasi sempre sopravanzata e cancellata dagli interventi personali e soggettivi del narratore, che anche nel corso delle descrizioni si inserisce continuamente con le sue valutazioni personali introdotte da formule come “quasi direi”.
STILE
Il mondo raffinato ed elegante di Andrea Sperelli trova a livello espressivo una precisa corrispondenza nella lingua con cui viene descritto: una lingua preziosa e ricercata che si adatta tanto alle descrizioni d’ambiente cui il narratore si abbandona quanto al suo gusto per l’analisi degli stati d’animo dei personaggi. Infatti, le forme arcaiche e letterarie (conscienza), il continuo uso delle tronche di tradizione illustre (l’epansion) e, nell’edizione originale, la forma antiquata di articoli e preposizioni articolate (li) contribuiscono ad impreziosire le pagine del libro e a creare l’atmosfera alta e nobile che caratterizza il romanzo. La prosa utilizzata è ricca ed elegante ma allo stesso tempo allusiva, suggestiva e musicale: la lingua del romanzo perde spesso la sua funzione comunicativa per acquistarne una espressiva. Il romanzo è appiattito su un solo registro linguistico: quello ricercato e un po’ troppo eloquente classico del d’Annunzio di quegli anni. Lo scrittore ricorre spesso allo strumento della comparazione e della metafora che molte volte rende complicato o sfuocato ciò che dovrebbe invece chiarire e smorza i già scarsi nuclei di tensione narrativa. Per quanto riguarda la sintassi, è da sottolineare l’uso quasi esclusivo della struttura paratattica, la più adatta ad accentuare la tendenza alla comparazione, all’anafora e all’elencazione.
L’utilizzo del flashback permette di evitare le situazioni e i passaggi più scontati e prevedibili, vitalizzando una narrazione generalmente statica e coinvolgendo il lettore in un gioco di collaborazione e di ricostruzione degli eventi.
INTERPRETARE
Nel 1889, quando il naturalismo e il positivismo sembrano oramai conquistare pienamente la cultura italiana e Verga pubblica in volume il Mastro don Gesualdo, D'Annunzio dà alle stampe il romanzo attraverso cui entra nella nostra letteratura il personaggio dell'eroe decadente. Così come quasi un secolo prima l'eroe dalle passioni sconvolgenti e assolute Jacopo Ortis aveva diffuso la cultura e la sensibilità romantica in Italia, ora il protagonista del Piacere, Andrea Sperelli, si fa propulsore e mediatore della tendenza più recente e raffinata della cultura decadente europea, l'estetismo. Come sottolineò Croce, con D'Annunzio «risuonò nella letteratura italiana una nota, fino ad allora estranea, sensualistica, ferina, decadente». Servendosi dei più svariati materiali, soprattutto francesi ( Baudelaire, Flaubert, Huysmans, Verlaine, Moréas, i preraffaelliti, Wagner e molti altri ancora ), quasi volesse costruire con la sua opera - dice Mario Praz- «una monumentale enciclopedia del decadentismo», D'Annunzio si propone di uscire dai limiti del naturalismo, non più imitando, ma continuando la natura. Quindi, inaugurando con Il Piacere un tipo di prosa introspettiva - psicologica che conoscerà in seguito notevoli favori, tenta di scandagliare le complicazioni e le deviazioni della vita mondana e amorosa del protagonista «ultimo discendente d'una razza intellettuale», educato dal padre a costruire la propria esistenza come «un'opera d'arte». Il culto dell'arte, la risoluzione della vita stessa nell'arte, la ricerca del bello e di tutto ciò che è prezioso nel più assoluto distacco da ogni convenzione morale, il disprezzo per la volgarità del mondo borghese, accomunano l'Andrea Sperelli di D'Annunzio al Dorian Gray di Oscar Wilde e al Des Esseintes di Huymans, e ne fanno la versione Italiana dell'esteta decadente. Non solo, ma 1' «anima camaleontica, mutabile, fluida, virtuale» di Andrea Sperelli rivela quella mancanza di autenticità , di forza morale e di volontà che si ritroverà in tanti personaggi decadenti, crepuscolari, inetti e indifferenti che affollano la letteratura del secolo scorso. Duplice e ambigua appare dunque questa figura in cui convivono sia il grandioso che il meschino; e in modo altrettanto duplice, D'Annunzio si immedesima e si distacca da essa. L'estetismo dannunziano inoltre, abbagliando ed incantando il lettore, trionfa nell'elencazione e nella descrizione delle opere d'arte, degli oggetti raffinati e preziosi di cui ama circondarsi la frivola e mondana Roma degli anni Ottanta, nuova capitale, centro del nuovo giornalismo e della nuova editoria. Non la Roma classica «dei Cesari, … degli Archi, delle Terme, dei Fori» - che al tempo de Il Piacere aveva il suo vate in Carducci- ma la Roma tardo-rinascimentale e barocca «delle Ville, delle Fontane, delle Chiese» era il grande amore di Andrea Sperelli. Ma da tutta quella magnificenza spira un senso di decadenza e di disfacimento per cui Roma sembra adagiarsi «tutta quanta d'oro come una città dell'Estremo Oriente, sotto un cielo quasi latteo, diafano» in «una primavera de' morti, grave e soave». Roma, capitale dell'estetismo, sembra una nuova Bisanzio, capitale del declino imperiale. E Il Piacere diviene il romanzo della Roma bizantina.
Il piacere (1889)
Oscar Mondadori, Milano, 1995
476 pp., Lire 19.500 (Euro 10,07)
Nel 1889, quando il Naturalismo e il Positivismo sembrano oramai conquistare pienamente la cultura italiana e Verga pubblica in volume il Mastro don Gesualdo, D'Annunzio dà alle stampe il romanzo attraverso cui entra nella nostra letteratura il personaggio dell'eroe decadente. Così come quasi un secolo prima l'eroe dalle passioni sconvolgenti e assolute Jacopo Ortis aveva diffuso la cultura e la sensibilità romantica in Italia, ora il protagonista de Il piacere, Andrea Sperelli, si fa propulsore e mediatore della tendenza più recente e raffinata della cultura decadente europea, l'Estetismo. Come sottolineò Croce, con D'Annunzio «risuonò nella letteratura italiana una nota, fino ad allora estranea, sensualistica, ferina, decadente». Servendosi dei più svariati materiali, soprattutto francesi (Baudelaire, Flaubert, Huysmans, Verlaine, Moréas, i preraffaelliti, Wagner e molti altri ancora ), quasi volesse costruire con la sua opera — dice Mario Praz — «una monumentale enciclopedia del decadentismo», D'Annunzio si propone di uscire dai limiti del Naturalismo, non più imitando, ma continuando la natura. Quindi, inaugurando con Il piacere un tipo di prosa introspettiva — psicologica che conoscerà in seguito notevoli favori, tenta di scandagliare le complicazioni e le deviazioni della vita mondana e amorosa del protagonista «ultimo discendente d'una razza intellettuale», educato dal padre a costruire la propria esistenza come «un'opera d'arte». Il culto dell'arte, la risoluzione della vita stessa nell'arte, la ricerca del bello e di tutto ciò che è prezioso nel più assoluto distacco da ogni convenzione morale, il disprezzo per la volgarità del mondo borghese, accomunano l'Andrea Sperelli di D'Annunzio al Dorian Gray di Oscar Wilde e al Des Esseintes di Huymans, e ne fanno la versione Italiana dell'esteta decadente. Non solo, ma l'«anima camaleontica, mutabile, fluida, virtuale» di Andrea Sperelli rivela quella mancanza di autenticità, di forza morale e di volontà che si ritroverà in tanti personaggi decadenti, crepuscolari, inetti e indifferenti che affollano la letteratura di questo secolo. Duplice e ambigua appare dunque questa figura in cui convivono il grandioso il meschino; e in modo altrettanto duplice, D'Annunzio si immedesima e si distacca da essa. L'Estetismo dannunziano inoltre, abbagliando e incantando il lettore, trionfa nell'elencazione e nella descrizione delle opere d'arte, degli oggetti raffinati e preziosi di cui ama circondarsi la frivola e mondana Roma degli anni Ottanta, nuova capitale, centro del nuovo giornalismo e della nuova editoria. Non la Roma classica «dei Cesari,… degli Archi, delle Terme, dei Fori» — che al tempo de Il piacere aveva il suo vate in Carducci — ma la Roma tardo-rinascimentale e barocca «delle Ville, delle Fontane, delle Chiese» era il grande amore di Andrea Sperelli. Ma da tutta quella magnificenza spira un senso di decadenza e di disfacimento per cui Roma sembra adagiarsi «tutta quanta d'oro come una città dell'Estremo Oriente, sotto un ciel quasi latteo, diafano» in «una primavera de' morti, grave e soave». Roma, capitale dell'Estetismo, sembra una nuova Bisanzio, capitale del declino imperiale. E Il piacere diviene il romanzo della Roma bizantina.
Il Piacere
Primo romanzo di D'Annunzio, pubblicato nel 1889, “Il piacere” introduce nella letteratura nostrana il personaggio dell'eroe decadente. Il protagonista, Andrea Sperelli, è infatti - come il Dorian Gray di Oscar Wilde od il Barone Des Esseintes di Huysmans - incarnazione dell'Estetismo, la tendenza più raffinata e decadente della cultura europea, caratterizzata dal culto dell'arte e dalla risoluzione della vita nella medesima, dalla ricerca del bello, dal disprezzo pel mondo borghese.
Combattuto tra la passione per Elena Muti e l'amore per Maria Ferres (una donna di profondi sentimenti, dalla sensibilità straordinaria, che egli identifica con la parte migliore di sé e con la possibilità di realizzare la propria vocazione d’artista, fuorviata dalla vacuità dell’esistenza aristocratica), Sperelli crede che "bisogna fare la propria vita come si fa un'opera d'arte". Malgrado le buone intenzioni, sarà sopraffatto dalle attrattive d’una Roma corrotta e lussuriosa, ritrovandosi invischiato in una perversa sovrapposizione psicologica delle due donne amate. Abbandonato da entrambe, resterà preda della sua abulica esistenza di nobiluomo, inetto a vivere.
Il romanzo testimonia la crisi del mondo aristocratico a contatto con la brutale irruenza della società borghese del denaro e degli affari, incapace di capire il bello. Primo esempio di "vivere inimitabile", di "anima camaleontica, mutabile, fluida, virtuale", Andrea Sperelli rivela quella mancanza d’autenticità, forza morale e volontà tipica dei personaggi decadenti e crepuscolari. Una figura grandiosa e meschina, nei confronti della quale D'Annunzio alterna immedesimazione e distacco.
Vera protagonista del romanzo, la Roma barocca "delle Ville, delle Fontane, delle Chiese" che trionfa nell'elencazione e nella descrizione delle opere d'arte, degli oggetti raffinati e preziosi della capitale. All’Urbe classica "dei Cesari,… degli Archi, delle Terme, dei Fori" celebrata da Carducci, si contrappone il volto nuovo della metropoli decadente che sembra adagiarsi "tutta quanta d'oro come una città dell'Estremo Oriente, sotto un ciel quasi latteo, diafano" in "una primavera de' morti, grave e soave". Capitale dell'Estetismo, come Bisanzio era stata capitale del declino imperiale.
Riassunto
Fabula:
Il protagonista del romanzo è il conte Andrea Sperelli-Fieschi d’Ugenta. È un nobiluomo alla ricerca del grande amore, amante dell’arte e della bellezza; è rimasto orfano del padre in giovane età ed ha ereditato tutto il suo notevole patrimonio.
Ad un pranzo offerto da sua cugina la marchesa Francesca d’Ateleta (che poi verremo a sapere innamorata segretamente di lui) conosce una bellissima donna, Elena Muti, duchessa di Scerni. Subito fra di loro sboccia l’amore, aiutato anche da un’asta che si svolge il giorno successivo, dove i due percepiscono la loro sintonia spirituale e artistica. I due si rincontrano ad una festa in casa Doria, ed è qui che Elena, benché sofferente per un’indisposizione, dice ad Andrea: “Son venuta qui per voi soltanto”, parole che lasciano intendere il suo interesse per l’uomo.
Nei giorni successivi non si possono incontrare a causa di una malattia che ha colpito Elena. Andrea però è impaziente di vederla, così si reca a casa sua e viene ricevuto, a differenza degli altri visitatori, nella camera della donna. È qui che per la prima volta si consuma il loro amore.
La relazione procede per il meglio, ed Andrea, ispirato artisticamente, si diletta ad incidere e a scrivere versi. Nel frattempo però arriva, improvviso e immotivato, l’addio di Elena. Questa, dopo una romantica gita, gli dice che deve partire, e non gli spiega il perché. Andrea rimane sbigottito, e reagisce lanciandosi in diverse avventure, sicuro ormai delle sue doti da conquistatore. Le donne che frequenta sono tutte bellissime e titolate, ma nessuna riesce ad appagarlo.
Intanto gli arriva notizia che Elena si è sposata con Lord Humphrey Heathfield, un ricchissimo gentiluomo inglese. È un matrimonio d’interesse, che Elena ha contratto per levarsi d’impaccio da una crisi finanziaria.
Andrea si mette a corteggiare Donna Ippolita Albonico, con il solo scopo di donarle un orologio che aveva comprato all’asta sul quale c’era la scritta: “Tibi Hippolyta”. L’uomo riesce facilmente a conquistare la donna, ma viene ostacolato dall’amante di questa, Giannetto Rutolo. I due allora si sfidano a duello e, benché Andrea abbia una migliore tecnica e tocchi più volte l’avversario, l’amante riesce ad avere la meglio, tramortendo il rivale.
A causa della ferita riportata nel duello, che gli ha lesionato un polmone, Andrea passa un periodo di convalescenza a villa Schifanoja, nella campagna di Rovigliano, sotto le vigili cure di sua cugina Francesca. Qui si rilassa e riprende a scrivere e a studiare, e così riacquista la serenità che aveva perduto.
L’arrivo alla villa di una cara amica di Francesca, Donna Maria Ferres, moglie del ministro plenipotenziario del Guatemala, turba però di nuovo l’animo di Andrea. La donna è molto bella e la sua voce ricorda quella di Elena, così l’uomo si trova attratto per l’ospite. Maria ha anche una figlia, Delfina, a cui vuole molto bene.
È un’amante della musica e del canto, e questo dà ad Andrea la possibilità di farsi notare da lei. Infatti la donna comincia a pensare spesso all’uomo e ad apprezzare il suo talento artistico.
Andrea ormai si è fortemente invaghito della signora Ferres, anche se continua a pensare inconsciamente ad Elena, e, non appena se ne presenta l’occasione, si lascia andare ad una controllatissima dichiarazione, che colpisce l’animo della donna. Questa non sa come reagire ed è sconvolta: vorrebbe evitare una nuova relazione ma non vorrebbe neanche rinunciare a lui. Si illude che il loro rapporto potrebbe essere del tutto platonico e segreto ma, rendendosi conto che è un progetto irrealizzabile, si convince che l’unica cosa da fare è rinunciare a questa relazione. “Usa” quindi la figlia per togliersi d’impaccio e si rifugia nella fede. Andrea non è soddisfatto della situazione, e incalza sempre più l’amata, fino a quando questa non gli rivela i suoi sentimenti. Maria rimane sconvolta dalla sua azione, e il suo dolore aumenta ancora di più quando Francesca le rivela i suoi veri sentimenti per il cugino.
Maria ormai sta per partire da Schifanoja, e vede in questa sua prossima dipartita una fuga salutare ed opportuna: ma allo stesso tempo separarsi da Andrea la fa soffrire.
Andrea ha come obiettivo adesso riconquistare Roma, e lo fa grazie a tre amici, che lo fanno rientrare nel clima della città. Si dedica da subito ad occasioni mondane, cene, e varie avventure con donne. Viaggia, conduce una bella vita, ma non si sente appagato.
Un giorno incontra di nuovo Elena e fissa un appuntamento con lei. Si sarebbero visti il giorno dopo a casa di lui.
Andrea prepara tutto con cura, nei minimi particolari, in modo da far venire all’amata nostalgia dei “bei tempi”. Elena però non arriva, così egli ha paura che non venga più. Dopo un’estenuante attesa la donna si presenta all’appuntamento. Qui i due hanno modo di parlare e di chiarirsi. Il sentimento di amore fra loro non si è mai spento, ma ormai Elena non può più essere sua. Il loro incontro finisce qui, freddamente. Andrea si sente offeso, ingannato e tradito. Vorrebbe avere ancora Elena, anche a costo di doverla dividere con il marito. Ma proprio adesso torna nella mente di Andrea l’immagine di Maria, e si sovrappone a quella dell’amata.
Andrea incontra nei giorni successivi Elena, e ottiene un nuovo appuntamento. A Palazzo Barberini è costretto anche a dare dei consigli a Lord Heathfield, e questo fatto lo fa adirare ancora di più contro la donna. Viene però a sapere che Maria è appena tornata a Roma, ed anche che Ippolita è morta.
Già dal giorno successivo Andrea cerca di capire se i sentimenti di Maria sono cambiati: tutto è rimasto come prima. Programma vari incontri, e una volta a teatro si imbatte anche con Elena, e questo provoca in entrambe le donne gelosia. La sera stessa Elena lo “attacca” facendolo salire sulla sua carrozza appena Maria se n’è andata e baciandolo appassionatamente.
Elena dà un appuntamento all’uomo davanti al suo palazzo per una notte successiva. Andrea va all’incontro, ma ella non si presenta. L’uomo decide quindi di portare il mazzo di rose che aveva comprato per Elena a Maria. La donna si aspettava prima o poi una mossa come questa, e stava guardando fuori di finestra. Quando vede il gesto dell’amato non può più reprimere i suoi sentimenti e si rende conto che il loro rapporto è ormai inevitabile.
La relazione con Maria non fa dimenticare ad Andrea Elena. Il desiderio per quest’ultima è sempre più grande, e cerca di vederla il più possibile, anche a costo di doversi sorbire il marito.
Maria è ormai una sostituta di Elena, è un oggetto nelle mani di Andrea, che la usa senza rispettare i suoi sentimenti.
Intanto il marito di Maria rimane coinvolto in un grave scandalo, perché è stato scoperto mentre rubava al gioco. Per la donna è un duro colpo, visto che si deve accollare le responsabilità del marito (che è scappato) e pagare al posto suo, sia in termini morali sia finanziari, ma decide di non farsi aiutare da nessuno.
Come se non bastasse un’altra tegola cade sulla testa della donna. Andrea, che pensa sempre ad Elena ed è ossessionato dalla sua immagine, si lascia sfuggire il nome di quest’ultima mentre è con Maria. La donna in un attimo capisce tutto e scappa via fuori di sé.
Ormai Andrea è rimasto solo e non gli resta altro che fuggire, consapevole del fallimento completo della sua vita.
Intreccio
Nel romanzo troviamo dei flashback. La storia comincia con l’appuntamento che Andrea ha con Elena (che si sono dati quando si sono ritrovati casualmente), per poi proseguire con i ricordi del protagonista. Subito all’inizio del secondo capitolo del primo libro la storia si sposta all’inizio, e viene introdotto il personaggio di Andrea. Successivamente D’Annunzio inserisce nel romanzo il diario di Maria, per farci comprendere meglio i sentimenti della donna e il suo turbamento emotivo. I fatti poi continuano in modo regolare e si riallacciano con il primo capitolo del primo libro, per poi continuare in ordine cronologico fino alla fine.

L'autore
Scrittore e poeta italiano(Pescara 1863 – Gardone Riviera, Brescia 1938). Era ancora studente di liceo a Prato quando pubblicò il primo volume di versi, Primo vere (1887), meno che ventenne quando diede più chiaro indizio della sua personalità con le liriche Canto Novo (1882),che nonostante le diverse reminiscenze letterarie e l’imitazione del Carducci si fecero apprezzare per il calore sensuale e per la rara perizia di stile. Pubblicò nel 1884 Il libro delle vergini e nel 1886 San Pantaleone, due raccolte di novelle più tardi riunite nel volume Novelle di Pescara, nelle quali pur accettando i modelli che offrivano i realisti francesi e i veristi italini, lo scrittore dimostrava un interesse esclusivo e quasi morboso per i drammi dei sensi e della carne, anziché per la più segreta e difficile vita dei sentimenti. Negli anni seguenti sempre di più si definì in lui quel carattere di sperimentatore di varie forme poetiche, grazie al quale egli godette precocemente e a lungo grande prestigio. D ‘Annunzio nella sua vita vive anche un’esperienza politica: affermazioni di acceso nazionalismo aveva fatto nella raccolta L’Armata D’Italia (1888) e poi nelle Odi Navali (1893); ma soltanto nel 1897 pose la sua candidatura come deputato, e per il suffragio degli elettori di Ortona a Mare entrò in parlamento tra le file della maggioranza. Più tardi però, nel Marzo del 1900, compì un gesto clamoroso abbandonando la maggioranza per unirsi ai deputati dell’estrema sinistra che facevano ostruzionismo contro i provvedimenti del governo Pelloux. Il teatro Dannunziano, volle essere, e per un certo senso fu, almeno nella Figlia di Iorio, espressione di una drammaticità diversa da quella a cui si ispirava il teatro borghese e realista di allora; volle estrarre dal mito, dalla storia e dalla vita contemporanea esempi di esperienze eccezionali, nelle quali lussuria e torbide passioni segnano il destino degli uomini. I drammi scritti in francese traggono la loro origine dal fatto che nel 1910 il poeta, disgustato delle vicende giudiziarie che portarono alla vendita della Capponcina, s’era trasferito in Francia, ad Arcachon, in un esilio volontario che non lo distolse tuttavia dal seguire le vicende italiane, come dimostrano specialmente Le canzoni delle gesta d’oltremare composte per la guerra libica. non meno importante dell’opera letteraria fu l’azione di D’Annunzio negli anni che vanno dall’entrata in guerra dell’Italia all’impresa di Fiume. Acceso assertore dell’intervento a fianco dell’Intesa, il 5 Maggio 1915 annunciò il discorso della Sagra dei Mille che, seguito da altri tenuti a Roma, fu decisivo per l’azione degli interventisti. Coraggiosamente egli partecipò come aviatore, come marinaio e come fante a rischiose azioni di guerra, per le quali fu insignito di alte ricompense al valore italiane e straniere. Nella difficile situazione del dopo guerra si schierò dalla parte dei fascisti;ma non diede loro mai un’adesione incondizionata e,soprattutto nei primi anni del potere Mussolini ebbe a preoccuparsi di qualche gesto compromettente da parte di colui che era stato precursore del suo programma politico e gli aveva, in certo modo, insegnato l’apparato delle sagre fasciste. Questo contribuì a isolare il poeta, che del resto appariva ormai del tutto inattuale anche agli scrittori delle generazioni più giovani, impegnati nella ricerca di una poesia ben diversa dalla sua.

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