Carlo Goldoni

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Testo

Carlo Goldoni

Carlo Goldoni commediografo italiano nato a Venezia nel 1707.
Carlo Goldoni nacque di Carnevale, a Venezia, il 25 febbraio 1707; il padre era medico e tento invano di avviarlo alla professione, invece Carlo dimostro scarsa predisposizione e un interesse diretto per il teatro. Questo periodo giovanile e caratterizzato dalla fuga con una compagnia di comici e poi, dopo il rientro, da un periodo di studio che permise a Goldoni di svolgere attività professionale in campo giuridico.
Intanto lavorava assiduamente per il teatro, legandosi in sodalizio artistico con un capocomico, Imer.
Nel 1734 prese in moglie Nicoletta Conio, genovese, tenera consolazione di tutta la sua vita.
Nel 1743 entra a far parte, come poeta drammatico, nella compagnia di Gerolamo Medebac di Venezia e scrisse la prima commedia per intero, "La donna di garbo".Per la stessa compagnia e per il Teatro Sant'Angelo, il Goldoni scrisse numerose commedie, attuando quella riforma parzialmente cominciata nel 1738 con il Momolo cortesan.
Nello stesso anno abbandono l'attività teatrale e lascio anche Venezia per risiedere un certo periodo in Toscana e riprendere la più lucrosa attività di avvocato.
Finalmente, nel 1748, rientro a Venezia dedicandosi definitivamente al teatro.
La sua prima vera affermazione fu "La vedova scaltra" (1748), ottenne un buon successo, ma com'è naturale, la "riforma goldoniana" provoca ribellioni, attacchi e parodie.
La combattono soprattutto Carlo Gozzi e un critico: Baretti. Ma Goldoni non cede.
Nel 1750 egli promette al pubblico 16 commedie nuove da scriversi tutte in un anno.
La promessa fu mantenuta e tra le commedie ci furono: "La bottega del caffè", "Il bugiardo", "La Pamela" e la commedia-programma dell'arte goldoniana: "Il teatro comico".
La vittoria fu completa. Dopo l'abbandono di Medabac, capocomico che aveva rappresentato i suoi testi per tanti anni (e il 1753 l'anno della "Locandiera"), Goldoni assume un impegno di dieci anni con il Teatro San Luca, e allora seguiranno: "Il campiello", "Gli innamorati", "I rusteghi", "Un curioso accidente", "La casa nova", la trilogia della "Villeggiatura", "Sior Todero brontolon", "Le baruffe chiozzotte".
Si fa aspra la battaglia con Carlo Gozzi. Il martedì grasso del 1762 il poeta dette un addio alla sua Venezia con "Una delle ultime sere di carnevale". Pochi giorni dopo e a Parigi, invitato dagli attori del Theatre-Italien. "Il burbero benefico" (scritta in francese con il titolo di "Le bourru beinfaisant") del 1771 strappa parole di profonda ammirazione a Voltaire, e ha un trionfo. Luigi XV, che lo aveva ufficialmente nominato precettore delle figlie, lo ricompensa con 150 luigi d'oro.
Importanti i suoi Mémoires, in francese iniziati nel 1784 e pubblicati nel 1787.
Gli ultimi anni di Goldoni non furono lieti. Col trionfo della Rivoluzione venne privato dell'assegno fissatogli dal Re. E il 1792. Goldoni, ottantacinquenne, languisce nella miseria. Riottenne dalla Convenzione il ripristino della pensione ma, il giorno innanzi, il 6 febbraio 1793, Carlo Goldoni era morto.

Carlo Goldoni e il settecento
Scorrendo l'autobiografia goldoniana (i 'Memoires', 1784-87) subito ci colpiscono l'armonia e l'unità della personalità dell'autore: sentiamo che la volontà e la ragione non sono divise, l'animo è guidato da un ottimismo etico che impedisce alle emozioni di sconvolgere l'intelligenza e a questa di far tacere i sentimenti.
Nella sua opera ci fa conoscere di conseguenza una dimensione della vita dove non c'è posto per l'eroe, ma neppure per l'antieroe, bensi per l'uomo comune che ama e gode la vita, abile nel piccolo gioco quotidiano degli affetti, dei dispiaceri, delle angustie e delle cose liete e il cui fine è darsi un'esistenza serena e piacevole.
Sentiamo che l'allegria è figlia dell'equilibrio morale, la chiarezza prospettica della lucidità intellettuale.
Nasce a Venezia nel 1707 "in una grande e bella abitazione situata tra il ponte di Nomboli e quello della Donna Onesta"; continua egli stesso "
Mia madre mi ha dato alla luce quasi senza dolore e per questo mi ha amato ancora di più; io non ho pianto vedendo la luce per la prima volta.
Questa quiete pareva manifestare, sin da allora, il mio carattere pacifico che non si è mai smentito nel tempo".
In Goldoni infatti tutto è misura, sdrammatizzazione della storia, immaginazione quotidiana.
Riprodurre la vita dal vero è riportarla alle sue dimensioni reali e ingrandirla otticamente per dare risalto al dettaglio che la caratterizza. à una tecnica teatrale? à un modo di osservare l'esistenza interiore che si impara a teatro, dove più consapevole è il senso del ridicolo e dove la coscienza critica delle dimensioni umane crea una misura e un disincanto.
Goldoni vive in un'età in cui tutti i grandi scrittori pensano a un teatro educativo, popolare; Lessing cerca un linguaggio scenico destinato a un teatro nazionale tedesco; Rousseau condanna moralisticamente la scena, divenuta scuola di lussuria, superbia, crudeltà, ozio e ripropone la forma dell'antico teatro greco, modello di una comunità ideale.
Il nostro autore è un borghese illuminato che ama la pace e la libertà, un intellettuale che conosce e ama l'animo popolare, una realtà etica scoperta nei momenti brevi e profondi dell'esistenza quotidiana; e il popolo sa esprimere i propri sentimenti e la propria volontà proprio nell'accadere minuto dei giorni. La milizia 'illuministica' goldoniana si esprime quindi nell'impegno di un uomo che "scrive per il Teatro ch'è quanto dire principalmente per il popolo", che non intende dare nuove regole ma realizzare opere che trasformino sul palcoscenico il modo di fare teatro.
Tre lezioni di teatro in particolare contraddistinguono la riflessione illuministica: la "Drammaturgia di Amburgo" di Lessing (1750); "Il paradosso sull'attore" di Diderot (1773-74) e, di Goldoni, "Il teatro comico" datato 1750. à quest'ultimo un testo di tecnica drammatica, una lezione di teatro, di etica professionale in cui egli esamina la commedia dell'arte e vi ,mette in azione' la sua riforma.
Qui si capisce che, secondo Goldoni, irrimediabilmente scaduti sono il repertorio e la tecnica della commedia improvvisa, i libri generici, cioè gli zibaldoni zeppi di dialoghi, soliloqui, disperazioni, tirate, figure retoriche, le scene fisse di tenerezza, gli intermezzi, le chiusette in versi, il lazzo meccanico, l'enfasi retorica, irreversibilmente distaccati dalla vita e quindi moralmente inerti.
Bisogna che " ... il carattere principale sia forte, originale e conosciuto; che quasi tutte le persone che formano gli episodi siano altrettanti caratteri; che l'intreccio sia mediocremente fecondo d'accidenti e di novità" che " ...la morale sia mescolata coi sali e colle facezie" che "il fine sia inaspettato ma ben originato dalla condotta della commedia" ("Il teatro comico", Orazio, atto Il, scena III).
L'intento goldoniano insomma è quello di 'costruire' una commedia che tende allo svolgersi naturale dell'azione che sembra scorrere come la vita, alla dialettica di vero e verosimile, alla immedesimazione dell'attore.
Se l'attore debba vivere la parte animandola con la propria partecipazione sensibile è questione che dibatteranno anche Lessing, Diderot e Goethe. Lessing, sottolineando la funzione pedagogica del teatro, imposta la recitazione sia sulla sensibilità emotiva che sul freno razionale.
Diderot, parlando delle "qualità fondamentali di un grande attore", scrive: "lo gli chiedo di avere molta intelligenza; voglio che quest'uomo sia uno spettatore freddo e tranquillo; di conseguenza ne esigo perspicacia e nessuna sensibilità".
Goethe nel più grande romanzo teatrale moderno, "La missione di Wilhelm Meister", afferma: "A un attore nulla dovrebbe essere di maggiore momento che l'imparare a memoria con la massima precisione tutta la propria parte fin dalle prime prove, per poter poi studiare con tutta cura tutte le sfumature di ogni genere che essa comporta... in guisa di potersi, alla rappresentazione, abbandonare completamente al suo cuore, al suo estro, alla sua fortuna". li fondamento didattico del romanzo di Goethe è pressoché uguale a quello del "Teatro comico" goldoniano.
Fondamento comune della riflessione settecentesca è comunque la visione correlativa del teatro, nel quale il poeta, l'attore e il pubblico concorrono a determinare un fenomeno perfettamente articolato: la frattura tra la poesia drammatica e l'arte dell'attore si farà sentire solo nell'età romantica, nel momento in cui la presenza di un unico artefice (l'attore che riduce il testo a occasione di spettacolo) sembrerà essenziale all'unità poetica e al suo valore estetico.

I ruoli comici
La metamorfosi dei ruoli comici è alla base della riforma; il restauro goldoniano riguarda soprattutto il mondo interiore delle maschere: il vecchio Magnifico, per esempio, da cui deriva Pantalone, amava le giovani donne e cercava di ottenerne i favori, ricorrendo ai servigi del secondo Zanni, balordo e avido; i primi Pantaloni della commedia improvvisa avevano una violenza maledicente e una nascosta lussuria; Goldoni li trasforma in onesti mercanti; continuano a portare l'abito nero e rosso, la berretta di lana, ma il loro animo è mutato; sanno sottomettere sentimenti e desideri al dominio della ragione.
Così nei "Due gemelli veneziani", il figlio parla del padre Pantalone con grande rispetto, rispetto condiviso e sottinteso dagli altri personaggi.
Colombina, già nella commedia dell'arte è personaggio che parla in lingua, come la sua padrona, ma libera com'è da obblighi formali cerimoniosi, si esprime in modo vitale: questa disponibilità del personaggio e dei suo lessico, evoluto ma naturale, interessa Goldoni che utilizzerà molto la servetta della commedia dell'arte (nei "Due gemelli veneziani" ne è tratteggiato acutamente il carattere) e addirittura la trasformerà nella protagonista della "Serva amorosa".
Anche qui vediamo lo scrittore rinnovare il carattere della maschera secondo l'ideale illuministico dell'emancipazione e della libertà e contro il gusto seicentesco della sofisticazione.
Allo stesso modo rivede le altre maschere in termini di emancipazione e di civiltà, attraverso il filtro della gentilezza, della pulizia formale dei gesto e della parola. Scompaiono la violenza e la pornografia.
Del "Teatro comico" è questo dialogo:
Eugenio - "Dalle nostre commedie non si potrebbero togliere le maschere?"
Orazio - "Guai a noi se facessimo una tal novità: non è ancor tempo di farla...
Una volta il popolo andava alle commedie solamente per ridere e non voleva altro che le maschere in scena e, se le parti serie facevano un dialogo un poco lungo, s'annoiavano immediatamente.
Ora si vanno avvezzando a sentir volentieri le parti serie... e gustano la morale, ridono dei sali e dei frizzi cavati dal serio medesimo, ma vedono volentieri anche le maschere... convien sostenerle con merito nel loro carattere ridicolo, anche a fronte del serio... più grazioso (Atto 11, scena X).
Goldoni non perde di vista chi ascolta, ha coscienza che il teatro è un'arte dinamica, rivolta a un pubblico presente e che il processo di rielaborazione letteraria non può allontanarsi dalle luci delle ribalte.

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